APPALTI – Appalti di opere pubbliche – Piano di sicurezza – Rimborso all’appaltatore dei maggiori costi sopportati – Procedura – Tempestiva riserva – Registro di contabilità – Documenti contabili – Tutela della P.A. appaltante – SICUREZZA SUL LAVORO – Costi per la sicurezza sul lavoro – Art. 12 d.lgs. n. 194/1996 – Contratti in corso Prevenzione degli infortuni – Entrata in vigore della norma – Art.26, c.5, d.lgs. 81/2008 – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Nullità contrattuale – Giudizio di appello – Giudizio di Cassazione – Mancata rilevazione officiosa – Nullità parziale – Nullità totale – Rilievo ex officio di una nullità negoziale – Diritto ad un equo processo – Diritto ad un ricorso effettivo dinanzi a un giudice – Effettività della tutela dei diritti – Diritto dell’Unione europea – Principio di autonomia processuale – Principio di equivalenza – Principio del giusto processo – Impugnazioni – Inammissibilità – Declinatoria di giurisdizione – Declaratoria di competenza – Potestas iudicandi – Interesse ad impugnare – Parte soccombente – Modificazione della domande – Art. 183 cod. proc. civ. – Elementi oggettivi della domanda – Petitum – Causa petendi – Nuove domande – Riqualificazione giuridica. (Segnalazione e massime a cura di Chiara Trotta)
Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: 1^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 19 Aprile 2024
Numero: 10650
Data di udienza: 31 Gennaio 2024
Presidente: Valitutti
Estensore: Scotti
Premassima
APPALTI – Appalti di opere pubbliche – Piano di sicurezza – Rimborso all’appaltatore dei maggiori costi sopportati – Procedura – Tempestiva riserva – Registro di contabilità – Documenti contabili – Tutela della P.A. appaltante – SICUREZZA SUL LAVORO – Costi per la sicurezza sul lavoro – Art. 12 d.lgs. n. 194/1996 – Contratti in corso Prevenzione degli infortuni – Entrata in vigore della norma – Art.26, c.5, d.lgs. 81/2008 – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Nullità contrattuale – Giudizio di appello – Giudizio di Cassazione – Mancata rilevazione officiosa – Nullità parziale – Nullità totale – Rilievo ex officio di una nullità negoziale – Diritto ad un equo processo – Diritto ad un ricorso effettivo dinanzi a un giudice – Effettività della tutela dei diritti – Diritto dell’Unione europea – Principio di autonomia processuale – Principio di equivalenza – Principio del giusto processo – Impugnazioni – Inammissibilità – Declinatoria di giurisdizione – Declaratoria di competenza – Potestas iudicandi – Interesse ad impugnare – Parte soccombente – Modificazione della domande – Art. 183 cod. proc. civ. – Elementi oggettivi della domanda – Petitum – Causa petendi – Nuove domande – Riqualificazione giuridica. (Segnalazione e massime a cura di Chiara Trotta)
Massima
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. 1^, 19 aprile 2024 (Ud. 31/01/2024), Ordinanza n. 10650
APPALTI – Appalti di opere pubbliche – Piano di sicurezza – Rimborso all’appaltatore dei maggiori costi sopportati – Procedura – Tempestiva riserva – Registro di contabilità – Documenti contabili – Tutela della P.A. appaltante.
L’appaltatore, che invochi il rimborso dei maggiori costi sopportati per l’adozione delle misure previste dal piano di sicurezza, è tenuto ad iscriverne tempestiva riserva nel registro di contabilità o in altri appositi documenti contabili, nonché ad esporre, nel modo e nei termini indicati dalla legge, gli elementi atti ad individuare il titolo e l’ammontare della sua pretesa, e, infine, a confermare la riserva al momento della sottoscrizione del conto finale, trattandosi di fatti destinati ad incidere sull’opera commissionata e a tradursi nell’esecuzione di maggiori lavori; tanto più che l’onere di iscrivere le riserve secondo la disciplina pro tempore vigente ha carattere generale e comprende tutte le richieste e le ragioni giustificatrici idonee ad incidere sul compenso spettante all’imprenditore assolvendo una funzione a tutela della P.A. appaltante, che deve poter esercitare prontamente ogni verifica necessaria a valutare l’esistenza, o meno, di una propria obbligazione.
APPALTI – Appalti di opere pubbliche – SICUREZZA SUL LAVORO – Costi per la sicurezza sul lavoro – Art. 12 d.lgs. n. 194/1996 – Contratti in corso Prevenzione degli infortuni – Entrata in vigore della norma – Art.26, c.5, d.lgs. 81/2008.
In tema di appalti e di costi per la sicurezza sul lavoro, per potersi parlare di applicazione dell’art. 12 del d.lgs. 494 del 1996, che concerne i costi della sicurezza sul lavoro anche ai contratti in corso al momento della sua entrata in vigore, occorre intendere per contratti in corso quelli in cui i lavori sono effettivamente ancora in essere, in quanto non avrebbe senso pretendere, ex post, a lavori conclusi, una previsione dei relativi costi contrattuali. Si tratta, infatti, di una norma che tende alla prevenzione degli infortuni ed è destinata, pertanto, ad operare solo su lavori ancora in essere al momento della sua applicazione. Di conseguenza, il riferimento alla data dell’opus, che può essere posteriore anche di molto tempo alla data di conclusione dei lavori, è inconferente.
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Nullità contrattuale – Giudizio di appello – Giudizio di Cassazione – Mancata rilevazione officiosa – Nullità parziale – Nullità totale – Rilievo ex officio di una nullità negoziale.
In tema di nullità contrattuale, nel giudizio di appello e in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo. Infatti, il rilievo ex officio di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o di protezione – deve ritenersi consentito, sempreché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata ragione più liquida, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poiché tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale. Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare d’ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio; che il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne d’ufficio la sua nullità solo parziale, e, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione e dalle loro determinazioni espresse nel processo. In aggiunta a questo, il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità parziale del contratto deve rilevarne d’ufficio la nullità totale, e, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo attribuire efficacia, neppure parziale (fatto salvo il diverso fenomeno della conversione sostanziale), ad un negozio radicalmente nullo.
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Diritto ad un equo processo – Diritto ad un ricorso effettivo dinanzi a un giudice – Effettività della tutela dei diritti – Diritto dell’Unione europea – Principio di autonomia processuale – Principio di equivalenza – Principio del giusto processo.
In tema di diritto ad un equo processo e ad un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, il diritto dell’Unione europea rimette ai singoli Stati l’individuazione degli strumenti processuali per l’effettività della tutela dei diritti riconosciuti dall’Unione. Secondo la Corte di Giustizia, in mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la salvaguardia dei diritti dei soggetti dell’ordinamento, in forza del principio di autonomia processuale, a condizione tuttavia che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività). Non può dirsi quindi incompatibile con il diritto dell’Unione la normativa nazionale che scandisce regole e termini preclusivi per far valere un diritto nel giusto processo nel rispetto del contraddittorio, tanto più quando la domanda preclusa ben può essere fatta valere autonomamente in altra sede giudiziaria.
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Impugnazioni – Inammissibilità – Declinatoria di giurisdizione – Declaratoria di competenza – Potestas iudicandi – Interesse ad impugnare – Parte soccombente.
In materia di impugnazioni, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare. Conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata. Diverso è il caso in cui la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea. Tale pronuncia non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, che sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio decidendi, né contiene, quanto alla causa petendi alternativa o subordinata, un mero obiter dictum insuscettibile di trasformarsi nel giudicato.
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Modificazione della domande – Art. 183 cod. proc. civ. – Elementi oggettivi della domanda – Petitum – Causa petendi – Nuove domande – Riqualificazione giuridica.
In tema di modificazione della domande ammesse ex art. 183 cod. proc. civ., queste possono riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali suona fuor d’opera, non foss’altro che perché in questo caso lo ius variandi è stato esercitato ben oltre la soglia dell’art.183 cod. proc. civ. Parimenti evidente è che nella specie non si ha mera riqualificazione giuridica dei fatti, ma introduzione di nuovi elementi di fatto e nuove domande e deduzioni.
(rigetta il ricorso e conferma la sentenza n. 647/2019 – CORTE D’APPELLO DI ROMA dep. 30.1.2019), Pres. Valitutti, Est. Scotti, GECOP GENERALE COSTRUZIONI PROGETTAZIONI s.p.a. (avv. D’Angelo) c. ACEA s.p.a. (avv. Siracusano)
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. 1^, 19/04/2024 (Ud. 31/01/2024), Ordinanza n. 10650SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23020/2019 R.G. proposto da:
GECOP GENERALE COSTRUZIONI PROGETTAZIONI s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, via Giacomo Giri 3, presso lo studio dell’avvocato Maurilio D’Angelo (—) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Gloria Naticchioni (—)
– ricorrente –
CONTRO
ACEA s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, via Michele Mercati 51, presso lo studio dell’avvocato Alessandra Siracusano (—) che la rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 647/2019 depositata il 30.1.2019,
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31.1.2024 dal Consigliere Umberto Luigi Cesare Giuseppe Scotti.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 18.3.2013 la GE.CO.P. – Generale Costruzioni e Progettazioni s.p.a. (breviter: GECOP) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la ACEA ATO 2 s.p.a. per sentirla condannare in suo favore al pagamento della somma di € 1.059.000,00, o somma veriore, oltre accessori, a titolo di risarcimento dei danni maturati con riferimento al contratto di appalto inter partes del 21.12.2001, relativo ai lavori di completamento dell’adduttrice Nord Ovest dell’impianto di depurazione Roma Nord, conseguenti in particolare ai costi della sicurezza per le sei varianti progettuali adottate in corso di rapporto.
ACEA ATO 2 ha resistito in giudizio, eccependo l’inammissibilità della domanda per la mancata tempestiva iscrizione delle riserve.
Dopo l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, in sede di precisazione delle conclusioni, GECOP ha proposto domanda di dichiarazione di nullità parziale del contratto di appalto con riferimento agli atti di impegno che le erano stati fatti sottoscrivere all’esito di perizie di variante, denunciando il loro contrasto con le norme imperative in materia di immodificabilità dei prezzi e con il principio comunitario di immodificabilità dell’offerta dopo l’aggiudicazione e ha chiesto a tale titolo la condanna di ACEA ATO 2 al pagamento di € 2.700.000,00.
Il Tribunale ha ritenuto tali domande successive inammissibili perché tardive; ha ritenuto altresì inammissibile la domanda originaria, in difetto di tempestiva iscrizione delle riserve in contabilità; ha compensato per metà le spese di lite, gravando GECOP dell’altra metà, e ha ripartito fra le parti quelle di consulenza tecnica (c.t.u.).
2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello GECOP, a cui ha resistito ACEA s.p.a., quale mandataria di ACEA ATO 2.
La Corte di appello di Roma con sentenza del 30.1.2019 ha respinto l’appello, gravando l’appellante delle spese del grado.
3. La Corte di appello:
a) ha osservato che la richiesta di pronuncia di parziale nullità dell’appalto si basava su di una circostanza fattuale mai allegata dalla GECOP, ossia l’assunta applicazione di prezzi diversi da quelli previsti dall’art.19 del capitolato speciale, emersa in sede di c.t.u., comunque non riconducibile allo schema della nullità ma semmai a quello dell’inadempimento contrattuale;
b) ha rimarcato la non applicabilità ratione temporis dell’art. 26, comma 5, del d.lgs. 81 del 2008;
c) ha ribadito anche con riferimento alla lamentata «truffa» contrattuale in punto prezzi, l’inammissibilità della doglianza attorea;
d) ha puntualizzato che in atto di citazione era stata prospettata una violazione delle regole contrattuali in tema di costi della sicurezza e non già la violazione del canone di buona fede oggettiva o un abuso di diritto potestativo;
e) ha escluso la specificità delle censure mosse dall’appellante alla statuizione di inammissibilità della domanda nuova;
f) ha confermato l’applicabilità dell’istituto della riserva d’appalto anche alle pretese in tema di costi della sicurezza.
4. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 29.7.2019 ha proposto ricorso per cassazione GECOP, svolgendo otto motivi.
Con atto notificato il 7.10.2019 ha proposto controricorso ACEA s.p.a., quale mandataria di ACEA ATO 2, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., la ricorrente, con riferimento alla statuita inammissibilità per difetto di specificità dei motivi di appello n.1,3 e 6, denuncia nullità della sentenza, violazione dell’art.342 cod.proc.civ., dell’art.111, comma 6, Cost. e dell’art.132, comma 2, n.4, cod.proc.civ.
La ricorrente lamenta inoltre la contrarietà della sentenza al canone di effettività del rimedio con conseguente violazione dell’art.47 della Carta europea dei diritti fondamentali e degli artt.6 e 13 della CEDU.
6. La Corte di appello ha ritenuto del tutto fuori segno il primo motivo di appello rispetto alla ratio decidendi della sentenza di primo grado in punto inammissibilità della domanda nuova.
Con esso la GECOP aveva chiesto alla Corte di attivarsi officiosamente per rilevare la nullità del contratto di appalto nella parte relativa ai corrispettivi degli atti di sottomissione sottoscritti in occasione delle varianti progettuali e la conseguente erroneità della sentenza di primo grado, per non aver rilevato il vizio genetico dei contratti. La Corte di appello ha ritenuto che il terzo motivo di appello non lambisse minimamente la questione essenziale, ossia la novità delle circostanze poste a base delle domande nuove formulate. Con il terzo motivo GECOP aveva chiesto alla Corte di attivarsi officiosamente per rilevare la nullità del contratto di appalto nella parte relativa ai corrispettivi degli atti di sottomissione sottoscritti in occasione delle varianti progettuali, per la configurabilità di una truffa contrattuale con illiceità della causa e frode alla legge.
Infine il sesto motivo, con il quale la ricorrente si era lamentata della violazione degli artt.101, comma 2, cod.proc.civ. 1421 cod.civ., 183 cod.proc.civ., 99 e 112 cod.proc.civ., è stato stigmatizzato per difetto di specificità, risolvendosi in un «florilegio» giurisprudenziale in tema di rilievo officioso delle nullità.
7. Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello, come prima il Tribunale, hanno giudicato correttamente inammissibile la domanda nuova, proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, dopo il maturare della preclusioni assertive e istruttorie, con la quale GECOP, sul presupposto di una conoscenza acquisita in corso di causa tramite le operazioni peritali, aveva chiesto di dichiarare la nullità del contratto di appalto nella parte relativa ai corrispettivi degli atti di sottomissione sottoscritti in occasione delle varianti progettuali, e di condannare ACEA ATO 2 a pagare le prestazioni eseguite secondo i corretti corrispettivi contrattuali, sostituiti d’imperio a quelli pattuiti.
Davvero difficile risulta negare che in tal modo la ricorrente abbia introdotto tardivamente in giudizio ben due nuove domande, l’una diretta ad ottenere una declaratoria di nullità parziale del contratto, con rimodellazione sostitutiva delle clausole, e l’altra di condanna al pagamento degli importi conseguenti, l’una e l’altra mai prima dedotte in giudizio, e per giunta basate su fatti costitutivi anch’essi mai prima dedotti in giudizio.
8. La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte viene invocata fuor d’opera dalla ricorrente.
Le sentenze gemelle n.26242 e 26243 del 13.11.2014 hanno insegnato che nel giudizio di appello e in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo; che il rilievo ex officio di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o di protezione – deve ritenersi consentito, sempreché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata ragione più liquida, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poiché tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale; che il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio; che il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale, e, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione e dalle loro determinazioni espresse nel processo; che il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità parziale del contratto deve rilevarne di ufficio la nullità totale, e, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo attribuire efficacia, neppure parziale (fatto salvo il diverso fenomeno della conversione sostanziale), ad un negozio radicalmente nullo.
9. Nella fattispecie GECOP non aveva proposto alcuna domanda di nullità del contratto e al contrario aveva agito per il suo adempimento, pretendendo il pagamento di somme che assumeva esserle dovute a titolo di costi di sicurezza.
La pretesa nullità parziale degli atti di sottomissione, modificativi del contratto di appalto, poteva semmai rilevare in via di eccezione, alla stregua della giurisprudenza sopra ricordata, potendo la nullità essere rilevata d’ufficio, ma non certamente giustificare l’introduzione di altre domande, estranee al thema decidendum e perfettamente suscettibili di essere fatte valere aliunde. Infatti il principio dell’esame officioso delle cause di nullità del contratto in sede di domande dirette a ottenerne l’adempimento o a conseguire il risarcimento per l’inadempimento si collega alla natura di presupposto che il contratto riveste per l’azione esperita.
In questo caso la ricorrente pretende di far valere un diverso principio che le consentirebbe di ampliare il thema decidendum con una domanda di nullità e con pretese consequenziali, del tutto disancorate dalla domanda originaria che essa aveva proposto e che invece sulla validità del contratto si basava.
Ancora di recente le Sezioni Unite hanno ribadito che il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione – e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia – trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c. (Sez. U , n. 7294 del 22.3.2017).
Il punto è tuttavia che la ricorrente ha chiesto di accertare la nullità del contratto non già per difendersi da una domanda sullo stesso basata, ma per ampliare la cognizione a una domanda nuova che scaturiva dalla pretesa nullità. Bene hanno chiarito le Sezioni Unite che «allorquando il giudice di primo grado abbia deciso su pretese che suppongono la validità ed efficacia di un rapporto contrattuale oggetto delle allegazioni introdotte nella controversia, senza che né le parti abbiano discusso né lo stesso giudice abbia prospettato ed esaminato la questione relativa a quella validità ed efficacia, si deve ritenere che la proposizione dell’appello sul riconoscimento della pretesa, poiché tra i fatti costitutivi della stessa per come riconosciuta da primo giudice vi è il contratto, implichi che la questione della sua nullità sia soggetta al potere di rilevazione d’ufficio del giudice, integrando un’eccezione c.d. in senso lato, relativa ad un fatto già allegato in primo grado.»
In questo caso, invece, la ricorrente, che aveva agito sul presupposto della validità del contratto ha chiesto di rilevarne la nullità a tutt’altro fine, e cioè solo per introdurre una nuova domanda mentre la domanda originaria avrebbe semmai potuto soffrire pregiudizio dalla segnalata ragione di nullità.
10. Ben vero, la modificazione della domanda, consentita dall’art. 183, comma 6, c.p.c., può riguardare uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, per ciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (Sez. U, n. 12310 del 15.6.2015; Sez. U, n. 22404 del 13.9.2018; Sez. 3 , n. 4031 del 16.2.2021; Sez. 3, n. 30455 del 2.11.2023). Nella specie, tuttavia, la domanda di nullità parziale è stata proposta nella udienza di precisazione delle conclusioni (sentenza di appello, p. 4), e dunque al di fuori del termini preclusivi.
11. La motivazione non è affatto apparente e permette perfettamente di seguire il percorso logico e giuridico che ha determinato la decisione, sicché l’art.132, comma 2, n.4, cod.proc.civ. non è stato violato.
12. La contrarietà della sentenza al canone di effettività del rimedio con conseguente violazione dell’art.47 della Carta europea dei diritti fondamentali e degli artt.6 e 13 della CEDU è prospettata in modo del tutto generico e meramente consequenziale.
Il principio di effettività assicura a ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, e che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge.
Le Sezioni Unite (n.1996 del 24.1.2022) hanno recentemente ribadito che il diritto dell’Unione europea, in base alla chiara interpretazione costantemente resa della Corte di Giustizia, rimette ai singoli Stati l’individuazione degli strumenti processuali per l’effettività della tutela dei diritti riconosciuti dall’Unione. Secondo la Corte di Giustizia, in mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la salvaguardia dei diritti dei soggetti dell’ordinamento, in forza del principio di autonomia processuale, a condizione tuttavia che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività). (da ultimo, Corte giustizia UE, sez. I, 19.3.2020, n. 564). Non può dirsi quindi incompatibile con il diritto dell’Unione la normativa nazionale che scandisce regole e termini preclusivi per far valere un diritto nel giusto processo nel rispetto del contraddittorio, tanto più quando la domanda preclusa ben può essere fatta valere autonomamente in altra sede giudiziaria.
13. In ogni caso appare valida l’ulteriore obiezione, argomentata dal Procuratore Generale secondo cui i motivi di appello proposti da GECOP non spiegavano efficacemente quale nullità avrebbe colpito il negozio, posto che non emergeva quale sarebbe stato il vizio genetico del contratto, o delle sue varianti in corso d’opera. Infatti, al di là di un generico richiamo a norme imperative, pur analiticamente elencate, non era affatto chiaro dove e in che modo il contratto di appalto sarebbe entrato in contrasto con tali norme imperative sì da provocarne la nullità, anche solo parziale. Tanto è vero che è la stessa ricorrente a parlare non di testo contrattuale contrastante con norme imperative, ma di disapplicazione dei prezzi di contratto da parte della committente (pag. 15 ricorso). Con ciò confermando di avere svolto una doglianza di inadempimento, solo dissimulata dietro la denuncia di invalidità genetica, come esattamente rilevato dalla sentenza di primo grado e come non efficacemente smentito con l’atto di appello.
14. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art.134, comma 6, del d.p.r. 554/1999, dell’art.10, comma 2, del d.m. 145/2000, degli artt.101 e 102 TFUE, degli artt.1421,1418, 1419, comma 2, e 1339 cod.civ.
15. Il motivo, proposto per il caso che non sia ritenuta – come non è ritenuta – l’apparenza della motivazione resa dalla Corte di appello sui motivi di appello primo, terzo e sesto, lamenta l’erroneità della decisione in ordine al denunciato vizio di invalidità contrattuale.
La censura è inammissibile perché inconferente rispetto alla fondamentale ratio decidendi nel senso della inammissibilità delle domande nuove introdotte tardivamente da GECOP.
16. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt.1343 e 1344, 1421,1419, comma 2, 1339 cod.civ. e 640 c.p.
17. Il motivo, proposto per il caso che non sia ritenuta – come non è ritenuta – l’apparenza della motivazione resa dalla Corte di appello sul terzo motivo di appello in tema di truffa contrattuale, lamenta l’erroneità della decisione in ordine al denunciato vizio di invalidità contrattuale.
Anche questa censura è inammissibile perché inconferente rispetto alla fondamentale ratio decidendi nel senso della inammissibilità delle domande nuove introdotte tardivamente da GECOP. Tale statuizione non è inficiata dalla concorrenza di una pleonastica notazione ad abundantiam introdotta dalla Corte territoriale relativa al merito in ordine alla non configurabilità di una truffa contrattuale, spesa a pagina 6, ultimo capoverso della sentenza impugnata.
18. Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Sez. U, n. 3840 del 20.2.2007).
Infatti le affermazioni contenute nella motivazione della sentenza di appello impugnata con ricorso per cassazione, relative al merito della domanda azionata, devono ritenersi – qualora effettuate nella riconosciuta carenza di potere giurisdizionale – estranee all’unica ratio decidendi della sentenza, e, perciò, svolte ad abundantiam, con argomentazioni meramente ipotetiche e virtuali, che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare in sede di legittimità, con la conseguenza che gli eventuali motivi proposti al riguardo devono essere dichiarati inammissibili (Sez. U, n. 8087 del 2.4.2007; Sez. 2, n. 19754 del 27.9.2011; Sez. 1, n. 3927 del 12.3.2012; Sez. 2, n. 2736 del 5.2.2013,; Sez. 5, n. 27049 del 19.12.2014, ; Sez. L, n. 22380 del 22.10.2014; Sez. 5, n. 7838 del 17.4.2015; Sez. 2, n. 101 del 4.1.2017; Sez. 6 – 5, n. 30393 del 19.12.2017). Il principio è stato ulteriormente confermato anche
dalle Sezioni unite sia con la sentenza n. 24469 del 30.10.2013, sia con l’ordinanza n. 31024 del 27.11.2019.
Diverso è il caso in cui la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea; tale pronuncia non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, che sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio decidendi, né contiene, quanto alla causa petendi alternativa o subordinata, un mero obiter dictum insuscettibile di trasformarsi nel giudicato. Detta sentenza, invece, configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, cori il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso (Sez. 3, n. 10815 del 18.4.2019; conforme Sez. 3, n. 21490 del 7.11.2005).
19. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art.26, comma 5, d.lgs. 81 del 2008, agli artt.3 e 12 del d.lgs. 494 del 1996, agli artt.2, comma 2, lett.I) e 7 del d.p.r. 222 del 2003, nonché agli artt.1421,1419, comma 2, 1339 cod.civ.
20. La ricorrente appunta la censura sulla risposta data dalla Corte territoriale al suo secondo motivo di appello, con cui era stata invitata a rilevare officiosamente la nullità parziale del contratto nella parte relativa agli atti di sottomissione sottoscritti in occasione delle varianti per il mancato rispetto dell’obbligo di indicazione dei costi di sicurezza in violazione dell’art.26 del d.lgs. n.81 del 2008.
La Corte aveva risposto nel merito a pagina 6, sub § 3, osservando che la disciplina in questione si rivolgeva al datore di lavoro committente e comunque era entrata in vigore successivamente al contratto de quo.
La ricorrente sostiene che i predetti costi sono quelli derivanti dalla stima effettuata dalla stazione appaltante nel piano di sicurezza e coordinamento previsto dall’art.12 del d.lgs. 494 del 1996 e che la disciplina transitoria del d.lgs. 81 del 2008 ne prevedeva l’applicazione ai contratti in corso.
21. Lasciato in disparte il primo profilo di censura perché la nozione di datore di lavoro [art.2, lettera b)] ai fini dell’applicazione della legge va intesa come « il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.», la censura non è specifica e autosufficiente quanto al regime transitorio.
Effettivamente l’art.26, comma 5, del d.lgs. 81 del 2008, dispone che «Nei singoli contratti di subappalto, di appalto e di somministrazione, anche qualora in essere al momento della data di entrata in vigore del presente decreto, di cui agli articoli 1559, ad esclusione dei contratti di somministrazione di beni e servizi essenziali, 1655, 1656 e 1677 del codice civile, devono essere specificamente indicati a pena di nullità ai sensi dell’articolo 1418 del codice civile i costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni. I costi di cui primo periodo non sono soggetti a ribasso. Con riferimento ai contratti di cui al precedente periodo stipulati prima del 25 agosto 2007 i costi della sicurezza del lavoro devono essere indicati entro il 31 dicembre 2008, qualora gli stessi contratti siano ancora in corso a tale data. A tali dati possono accedere, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale» Per vero, il testo originario, prima delle modifiche apportate dal l’art.16 del d.lgs., 3.8.2009 n.106 recava « Nei singoli contratti di subappalto, di appalto e di somministrazione, anche qualora in essere al momento della data di entrata in vigore del presente decreto, di cui agli articoli 1559, ad esclusione dei contratti di somministrazione di beni e servizi essenziali, 1655, 1656 e 1677 del codice civile, devono essere specificamente indicati a pena di nullità ai sensi dell’articolo 1418 del codice civile i costi relativi alla sicurezza del lavoro con particolare riferimento a quelli propri connessi allo specifico appalto. Con riferimento ai contratti di cui al precedente periodo stipulati prima del 25 agosto 2007 i costi della sicurezza del lavoro devono essere indicati entro il 31 dicembre 2008, qualora gli stessi contratti siano ancora in corso a tale data. A tali dati possono accedere, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale.»
Quindi è vero che la disciplina si applicava retroattivamente agli appalti stipulati prima dell’entrata in vigore del decreto (15.5.2008) e quanto agli appalti stipulati prima del 25.8.2007, come pacificamente è quello oggetto di causa, i costi della sicurezza dovevano essere indicati entro il 31.12.2008, se ancora in corso a tale data.
La ricorrente sostiene che il contratto era ancora in corso al 31.12.2008 perché le operazioni di collaudo si sono concluse il 30.10.2009.
La ricorrente tuttavia non indica quando le lavorazioni sono state ultimate e secondo la controricorrente ciò è avvenuto nel 2008 (pag.5; pag.18 controricorso). La sentenza impugnata assume che la disciplina del d.lgs. 81/2008 è successiva all’esecuzione dell’appalto.
La data rilevante è quella del 31.12.2008 e la ricorrente non indica la data finale delle lavorazioni posteriore a tale data. Per altro verso, il concetto di contratto di appalto in corso va riferito al contratto di appalto i cui lavori siano ancora in corso di esecuzione, alla stregua di una interpretazione funzionale e teleologica della norma, non avendo senso prevedere il conteggio di costi per la sicurezza in relazione a misure che non devono più essere applicate, quando resta solo da collaudare l’opera.
22. Anche a questo riguardo suona persuasivo il parere del Procuratore Generale, secondo il quale, per potersi parlare di applicazione della norma che concerne i costi della sicurezza sul lavoro anche ai contratti in corso al momento della sua entrata in vigore, occorre intendere per contratti in corso quelli in cui i lavori sono effettivamente ancora in essere, in quanto non avrebbe senso pretendere, ex post, a lavori conclusi, una previsione dei relativi costi contrattuali; si tratta, infatti, di norma che tende alla prevenzione degli infortuni ed è destinata, pertanto, ad operare solo su lavori ancora in essere al momento della sua applicazione; di conseguenza, il riferimento alla data dell’opus, che può essere posteriore anche di molto tempo alla data di conclusione dei lavori, è inconferente.
23. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 112, 113, 163, 189 e 345 cod.proc.civ.
La ricorrente fa leva sul fatto che nelle conclusioni originarie la somma richiesta di € 1.059.000,00 per costi di sicurezza, era stata accompagnata dalla riserva dell’accertamento in corso di causa di somma maggiore o minore e assume che ciò l’avrebbe legittimata a lamentare nell’ambito della stessa vicenda sostanziale la violazione degli obblighi di buona fede e l’abuso del diritto potestativo, quanto alla disapplicazione dei prezzi contrattuali consumata negli atti di sottomissione in occasione delle perizie di variante.
Si tratterebbe, a parere della ricorrente, di mera riqualificazione del fatto e non di mutatio libelli.
24. Giova al proposito richiamare quanto esposto supra con riferimento al primo motivo di ricorso nei § 7-11. È di tutta evidenza che la clausola di riserva quantitativa, quand’anche non di mero stile, atteneva alla pretesa originaria e non poteva legittimare l’introduzione di una domanda diversa per petitum e causa petendi.
L’invocazione del fondamentale precedente costituito da Sez.Un. 15.6.2015 n.12310, secondo il quale la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali suona fuor d’opera, non foss’altro che perché in questo caso lo ius variandi è stato esercitato ben oltre la soglia dell’art.183 cod.proc.civ..
Parimenti evidente è che nella specie non si ha mera riqualificazione giuridica dei fatti, ma introduzione di nuovi elementi di fatto e nuove domande e deduzioni.
25. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 112, 113, 163, 189 e 345 cod.proc.civ. nonché agli artt.2 Cost., 1175, 1375 cod.civ., 101 e 102 TFUE, all’art.3, comma 1, lett. a), della legge n. 297 del 1990, all’art.97 Cost., all’art.1 della legge 109 del 1994 e all’art.2 del d.lgs.163 del 2006.
26. Il motivo attiene al rigetto del quinto motivo di appello e al preteso abuso di posizione predominante da parte di ACEA per appropriarsi di utilità non riconosciutele dalla legge, fissando in maniera occulta condizioni economiche inique. La censura cade con il cadere dell’ammissibilità della domanda per le ragioni esposte con riferimento al primo motivo.
27. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 53 r.d. 350 del 1895, all’art.165 d.p.r. 554 del 1999 all’art.31, comma 2, d.m. 145 del 1999, all’art.1374 cod.civ.
Difetterebbero, secondo la ricorrente, tre fondamentali caratteristiche necessarie per ingenerare l’onere della riserva (richiesta di maggiori compensi, autoresponsabilità colpevole dell’appaltatore, finalità di render noti alla stazione appaltante tutti i fatti suscettibili di determinare un incremento di spesa). La ricorrente sostiene che erroneamente era stato ritenuto necessario da parte sua l’introduzione tempestiva delle riserve di appalto per la pretesa relativa ai costi della sicurezza, poiché la ricorrente non pretendeva maggiori costi, ma esigeva l’esatto adempimento del contratto, rivendicando quanto trovava piena legittimazione nell’accordo originario.
GECOP aggiunge che nella specie era stata la stazione appaltante a creare una apparenza contrattuale che occultava il fatto generatore della riserva.
In terzo luogo, l’Amministrazione era perfettamente a conoscenza della situazione reale.
28. Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte a cui il Collegio non vede ragione di non assicurare continuità.
Secondo tale indirizzo in tema di appalti di opere pubbliche, l’appaltatore, che invochi il rimborso dei maggiori costi sopportati per l’adozione delle misure previste dal piano di sicurezza, è tenuto ad iscriverne tempestiva riserva nel registro di contabilità o in altri appositi documenti contabili, nonché ad esporre, nel modo e nei termini indicati dalla legge, gli elementi atti ad individuare il titolo e l’ammontare della sua pretesa, e, infine, a confermare la riserva al momento della sottoscrizione del conto finale, trattandosi di fatti destinati ad incidere sull’opera commissionata e a tradursi nell’esecuzione di maggiori lavori; tanto più che l’onere di iscrivere le riserve secondo la disciplina pro tempore vigente ha carattere generale e comprende tutte le richieste e le ragioni giustificatrici idonee ad incidere sul compenso spettante all’imprenditore assolvendo una funzione a tutela della P.A. appaltante, che deve poter esercitare prontamente ogni verifica necessaria a valutare l’esistenza, o meno, di una propria obbligazione. (Sez. 1, n. 16367 del 17.7.2014).
Le considerazioni critiche della ricorrente non persuadono: la ricorrente pretende effettivamente la corresponsione di somme per maggiori costi, a suo dire dovuti; l’affermazione che fosse stata la stazione appaltante a creare una apparenza contrattuale che occultava il fatto generatore della riserva è indimostrata e in ogni caso irrilevante, visto che gli accordi sottoscritti non coprivano i costi richiesti; in difetto di iscrizione di riserve la stazione appaltante poteva legittimamente contare sul fatto che i costi non levitassero.
29. Con l’ottavo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’art.26, comma 5, d.lgs.81 del 2008 e all’art.1418 cod.civ. e falsa applicazione degli artt. 53 r.d. 350 del 1895, all’art.165 d.p.r. 554 del 1999, all’art.31, comma 2, d.m. 145 del 1999.
La ricorrente si riferisce al rigetto del suo ottavo motivo di appello con cui aveva fatto valere la inconciliabilità della riserva per i costi della sicurezza con la sanzione di nullità prevista per la loro mancata indicazione in contratto. Il motivo cade con il cadere del quarto motivo per le ragioni esposte supra nel § 20.
30. Per le ragioni esposte la Corte deve rigettare complessivamente il ricorso e condannare la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di € 7.000,00 per compensi, € 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione il 31/01/2024