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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Appalti, Danno ambientale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 20214 | Data di udienza: 18 Maggio 2017

APPALTI – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Errori del progettista – Errori di progettazione e direzione dei lavori – Responsabilità l’appaltatore se realizza un progetto altrui – RISARCIMENTO DEL DANNO – Responsabilità dell’impresa appaltatrice per danni a una struttura edilizia realizzata in modo non corretto.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 21 Agosto 2017
Numero: 20214
Data di udienza: 18 Maggio 2017
Presidente: MANNA
Estensore: LOMBARDO


Premassima

APPALTI – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Errori del progettista – Errori di progettazione e direzione dei lavori – Responsabilità l’appaltatore se realizza un progetto altrui – RISARCIMENTO DEL DANNO – Responsabilità dell’impresa appaltatrice per danni a una struttura edilizia realizzata in modo non corretto.



Massima

 

 

 
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez.2^, 21/08/2017 (ud. 18/05/2017), Ordinanza n.20214 
 
 
APPALTI – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Errori del progettista – Errori di progettazione e direzione dei lavori – Responsabilità l’appaltatore se realizza un progetto altrui – RISARCIMENTO DEL DANNO – Responsabilità dell’impresa appaltatrice per danni a una struttura edilizia realizzata in modo non corretto.
 
L’appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell’arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente, cosicché la responsabilità dell’appaltatore, con il conseguente obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori, ove egli, accortosi del vizio, non lo abbia tempestivamente denunziato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto (Cass., Sez. 2, n. 8813 del 30/05/2003; Sez. 2, n. 8016 del 21/05/2012; Sez. 2, n. 23665 del 21/11/2016; Sez. 2, n. 1981 del 02/02/2016). Sicché, in queste ipotesi, non sussiste un concorso di colpa tra committente e appaltatore, ma responsabilità diretta dell’appaltatore.
 
 (riforma sentenza n. 704/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, dep.30/05/2013) Pres. MANNA, Rel. LOMBARDO, Ric. Pontoglio Bina e altri

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez.2^ del 21/08/2017 (ud. 18/05/2017), Ordinanza n.20214

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez.2^ del 21/08/2017 (ud. 18/05/2017), Ordinanza n.20214 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
ORDINANZA
 
sul ricorso 21109-2013 proposto da:
 
PONTOGLIO BINA MARCO GIACOMO PNTMCG77H15B157B, RUCCO DI CLARA BERTANI SAS, PONTOGLIO BINA LUDOVICO CARLO PNTLVC75L21B157A, elettivamente domiciliati in ROMA,
P.ZZA G. MAZZINI 8, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA CRIMI che li rappresenta e difende  unitamente all’avvocato GIUSEPPE CRIMI;
 – ricorrenti – 
contro
 
 
PAVONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DE CAROLIS UGO 101, presso lo studio dell’avvocato FULVIO FRANCUCCI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SAVINO MARULLI; 
– controricorrente – 
 
avverso la sentenza n. 704/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 30/05/2013;
 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/05/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.
 
Rilevato che:
 
– la vicenda oggetto del giudizio trae origine dal contratto di appalto col quale la società Rucco s.a.s. di Bertani Clara, nonché i fratelli Pontoglio Bina Ludovico Carlo e Pontoglio Bina Marco Giacomo affidarono alla società Pavoni s.p.a. i lavori di costruzione di un immobile (comprendente 18 alloggi) in Salò;
 
– i committenti proposero opposizione ai decreti ingiuntivi con i quali venne loro intimato il pagamento di corrispettivi in favore della società Pavoni, eccependo vizi delle opere eseguite e ritardi nella consegna, per i quali chiesero la condanna della Pavoni al risarcimento del danno;
 
– a conclusione dei giudizi di merito, la Corte di Appello di Brescia confermò la sentenza di primo grado con la quale furono revocati i decreti ingiuntivi opposti, furono accertati i rispettivi debiti e, compensate le opposte voci di credito, fu pronunciata condanna dei committenti in solido a corrispondere all’appaltatrice società Pavoni la somma di euro 181.626,18;
 
– avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione la società Rucco s.a.s. di Bertani Clara, Pontoglio Bina Ludovico Carlo e Pontoglio Bina Marco Giacomo sulla base di cinque motivi;
 
– la società Pavoni s.p.a. ha resistito con controricorso;
 
– la parte ricorrente ha depositato memoria;
 
Considerato che:
 
– il primo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 112 cod. proc. civ. e 1408 cod. civ., per avere la Corte territoriale condannato in solido tutti gli originari committenti al pagamento di quanto liquidato in favore della Pavoni, senza considerare l’avvenuta cessione del contratto dalla Rucco – relativamente alla sua quota di committenza – in favore dei fratelli Pontoglio e l’efficacia della cessione nei confronti dell’appaltatrice, che non aveva dichiarato di non voler liberare la cedente) è inammissibile, sia perché trattasi di censura nuova, non dedotta nel giudizio di appello (la questione non risulta dalla sentenza impugnata, né i ricorrenti hanno riprodotto alcun motivo di gravame sul punto), sia perché i ricorrenti prospettano come cessione di contratto un asserito accordo tutto interno alla parte committente, sia – in ogni caso – perché i ricorrenti neppure allegano che la Pavoni abbia acconsentito, ex art. 1406 e segg. cod. civ., alla pretesa cessione di contratto;
 
– il secondo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale escluso, come sarebbe attestato dal primo S.A.L., che il contratto prevedesse ribassi e per avere ritenuto che il prezzo concordato non fosse comprensivo di IVA) è inammissibile, in quanto: 1) non coglie la ratio decidendi, che riguarda l’interpretazione del contratto di appalto, e non del primo S.A.L.; 2) non attinge l’interpretazione del contratto stipulato tra le parti (in ordine alla quale la Corte territoriale ha motivato in modo non apparente né manifestamente illogico, anche alla luce della deposizione del teste Pollini, consulente di entrambe le parti: cfr. pp. p. 7-10 della sentenza impugnata), né denuncia la violazione dei canoni legali di interpretazione degli atti negoziali, sollecitando anzi un’interpretazione alternativa del contratto inter partes stipulato; 3) deduce la questione della simulazione del S.A.L., che, per un verso, è nuova, non risultando essere stata dedotta nel giudizio di appello, e, per altro verso, è inconducente, in quanto il thema decidendum non è la simulazione del S.A.L., ma la sua attendibilità o meno ai fini del riconoscimento dello sconto sul prezzo;
 
– il terzo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto non provato il preteso versamento alla Pavoni di somme in contanti nell’anno 2001 senza rilascio di ricevuta) è inammissibile, sia perché si risolve in una censura di merito relativa all’accertamento dei fatti compiuto sulla base delle prove acquisite (con particolare riferimento alla valutazione dei testi escussi), che è insindacabile in sede di legittimità, sia perché risulta generico in relazione ai documenti richiamati (quietanze);
 
– il quarto motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., in relazione alla quantificazione dei vizi esistenti nelle opere eseguite e alla considerazione della maggiori opere realizzate) è fondato, avendo erroneamente la Corte territoriale ritenuto la sussistenza di un “concorso di colpa” tra committente ed appaltatore in ordine ai vizi delle opere eseguite per il fatto che tali vizi «dipendono anche dalla direzione dei lavori e/o da scelte della committenza» (p. 14 della sentenza impugnata), dovendo al contrario ritenersi – secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi – che l’appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell’arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente, cosicché la responsabilità dell’appaltatore, con il conseguente obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori, ove egli, accortosi del vizio, non lo abbia tempestivamente denunziato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto (Cass., Sez. 2, n. 8813 del 30/05/2003; Sez. 2, n. 8016 del 21/05/2012; Sez. 2, n. 23665 del 21/11/2016; Sez. 2, n. 1981 del 02/02/2016);
 
– il quinto motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., con riferimento all’accertamento della data di consegna dei lavori e del relativo ritardo) è inammissibile, in quanto si risolve in una censura di merito relativa all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove, non proponibile in sede di legittimità;
 
– la memoria depositata dal difensore non offre argomenti nuovi rispetto ai motivi di ricorso formulati, essendo meramente reiterativa degli stessi;
 
– in definitiva, va accolto il quarto motivo di ricorso, vanno rigettati gli altri, va cassata la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia, che provvederà anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità;
 
P. Q. M.
 
accoglie il quarto motivo, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia.
 
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 18 maggio 2017. 
 

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