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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Fauna e Flora, Risarcimento del danno Numero: 27931 | Data di udienza: 12 Luglio 2022

FAUNA E FLORA – Fauna selvatica – Specie selvatiche protette – Dovere di custodia – Art. 2052 c.c. – RISARCIMENTO DEL DANNO – Azione di risarcimento – Danni cagionati dalla fauna selvatica – Competenza normativa in materia di patrimonio faunistico – Attività di tutela e gestione della fauna selvatica – L. n. 157 del 1992. (segnalazione e massima a cura di Gianluca Trenta)


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 23 Settembre 2022
Numero: 27931
Data di udienza: 12 Luglio 2022
Presidente: SCRIMA
Estensore: TATANGELO


Premassima

FAUNA E FLORA – Fauna selvatica – Specie selvatiche protette – Dovere di custodia – Art. 2052 c.c. – RISARCIMENTO DEL DANNO – Azione di risarcimento – Danni cagionati dalla fauna selvatica – Competenza normativa in materia di patrimonio faunistico – Attività di tutela e gestione della fauna selvatica – L. n. 157 del 1992. (segnalazione e massima a cura di Gianluca Trenta)



Massima

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. 6^, 23 settembre 2022 (Ud. 12/07/2022), Ordinanza n.27931

 

 

FAUNA E FLORA – Fauna selvatica – Specie selvatiche protette – Dovere di custodia – Art. 2052 c.c. – RISARCIMENTO DEL DANNO – Azione di risarcimento – Danni cagionati dalla fauna selvatica – Competenza normativa in materia di patrimonio faunistico – Attività di tutela e gestione della fauna selvatica – L. n. 157 del 1992.

Alla richiesta di risarcimento danni in seguito alla collisione di un’auto con un gruppo di cinghiali, i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema. Nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte da altri enti. La Regione può rivalersi nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno. Grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi.

(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, dep. 23/7/2020) Pres. SCRIMA, Rel. TATANGELO, Ric. M.T. c. Regione Toscana


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. 6^, 23/09/2022 (Ud. 12/07/2022), Ordinanza n.27931

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Omissis

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso proposto da (Omissis)

– ricorrente –

CONTRO

Regione Toscana (Omissis)

– controricorrenti –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, dep. 23/7/2020;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere dott. TATANGELO AUGUSTO;

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

C.B. e M.T., quest’ultima in proprio e quale genitore legale rappresentante della figlia minore L.M., hanno agito in giudizio nei confronti della Regione Toscana e della Provincia di Livorno per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito della collisione con un gruppo di cinghiali dell’autovettura di proprietà della C., condotta dalla M., con a bordo la L. in qualità di trasportata, avvenuta sulla (Omissis), in territorio del comune di (Omissis).

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Livorno (davanti al quale il giudizio era stato riassunto, a seguito di dichiarazione di incompetenza per valore del Giudice di Pace di Livorno, inizialmente adito).

La Corte di Appello di Firenze ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorrono la C.B. e la M.T. (quest’ultima in proprio e nella qualità sopra indicata), sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso la Regione Toscana.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altro ente intimato.

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Le ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis, comma 2, c.p.c..

1. E’ opportuno premettere che, in materia di danni causati dalla fauna selvatica, è stato di recente puntualizzato l’indirizzo di questa Corte con alcune pronunzie della Terza Sezione Civile (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7969 del 20/04/2020, Rv. 657572 – 01-02-03; Sez. 3, Sentenza n. 8384 del 29/04/2020; Sez. 3, Sentenza n. 8385 del 29/04/2020; conf., successivamente: Sez. 3, Ordinanza n. 13848 del 06/07/2020, Rv. 658298 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 20997 del 02/10/2020, Rv. 659153 – 01; nonché, non massimate: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18085 del 31/08/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18087 del 31/08/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19101 del 15/09/2020; Sez.. 6 – 3, Ordinanza n. 25466 del 12/11/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3023 del 09/02/2021; cfr. anche Sez. 3, Ordinanza n. 25280 del 11/11/2020), in cui sono stati affermati i seguenti principi di diritto:
“i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema”;
“nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno”.
“in materia di danni da fauna selvatica a norma dell’art. 2052 c.c., grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema – di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi”.

2. Sebbene il collegio intenda dare continuità a tali principi di diritto, occorre rilevare che non solo la decisione impugnata è espressamente fondata sul contrario principio in base al quale i danni provocati dalla fauna selvatica sono risarcibili esclusivamente sulla base delle disposizioni generali in tema di condotta colposa lesiva, cioè ai sensi dell’art. 2043 c.c., non quindi ai sensi dell’art. 2052 c.c. (o sulla base di altre ipotesi di speciale imputazione della responsabilità stessa), ma addirittura che, come espressamente chiarito nella pronuncia di secondo grado (cfr. pagg. 7 e 8 della decisione impugnata), le stesse attrici avevano specificamente invocato esclusivamente l’indicato titolo generale di responsabilità, a fondamento delle domande proposte nei confronti degli enti convenuti, escludendo anzi esplicitamente l’applicabilità di quello speciale di cui all’art. 2052 c.c..

In particolare, emerge dagli atti che il giudice di primo grado, senza in alcun modo operare alcuna riqualificazione della domanda avanzata dalle attrici ai sensi dell’art. 2043 c.c., l’aveva rigettata, limitandosi ad affermare il difetto di legittimazione passiva degli enti convenuti.

Neanche in sede di appello, peraltro, le attrici avevano modificato il titolo di attribuzione della responsabilità civile invocato a sostegno delle loro domande, confermando quindi l’originaria impostazione della loro prospettazione, fondata sull’allegazione di una responsabilità per colpa delle amministrazioni convenute esclusivamente ai sensi dell’art. 2043 c.c.. La corte di appello ha poi espressamente affermato di condividere tale impostazione e, sulla base di essa, ha applicato il conseguente principio di diritto per cui la responsabilità per i danni provocati alla circolazione stradale dagli animali selvatici spetta all’ente dotato dei poteri di gestione della strada in cui si verifica il sinistro (escludendo, quindi, la responsabilità degli enti convenuti nel presente giudizio, dal momento che tali poteri di gestione spettavano alla Provincia di Firenze, non evocata).

Le ricorrenti non contestano, nella presente sede, che il titolo di responsabilità che esse stesse avevano invocato a fondamento delle domande proposte fosse esclusivamente quello generale di cui all’art. 2043 c.c. e non quello speciale di cui all’art. 2052 c.c. e/o quello di cui all’art. 2051 c.c. (il che, del resto, trova piena conferma nel contenuto dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado e di quello di appello). Con il presente ricorso, esse deducono invece la violazione, da parte dei giudici di merito, degli artt. 205:1 e 2052 c.c., sostenendo, nella sostanza, che questi ultimi avrebbero potuto e dovuto riqualificare di ufficio la domanda da loro proposta, sebbene la stessa fosse stata avanzata dichiaratamente ai sensi dell’art. 2043 c.c. (e, anzi, addirittura sull’assunto espresso dell’inapplicabilità alla fattispecie dello stesso art. 2052 c.c.), in quanto i fatti dedotti a suo fondamento avrebbero comunque potuto, a loro avviso, essere inquadrati anche nell’ambito delle previsioni di cui alle indicate disposizioni speciali.

Denunziano infatti, con il primo motivo del ricorso, la “violazione dell’art. 2052 c. c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.” e, con il secondo, la “violazione dell’art. 2051 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.o.c.”.

3. Orbene, oltre ad essere pacifico ed evidente che la questione di diritto della eventuale applicabilità alla fattispecie dei criteri speciali di imputazione della responsabilità di cui agli artt. 2051 e 2052 c.c. non è mai stata sollevata nel corso del giudizio di merito, si deve rilevare che nel ricorso, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non vi è neanche un adeguato e specifico richiamo al contenuto dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, che consenta di verificare se effettivamente fossero stati in quella sede dedol:ti tutti i fatti costitutivi delle fattispecie di attribuzione della responsabilità di cui agli artt. 2051 e 2052 c.c., né risulta che tali fatti siano stati in concreto accertati o, quanto meno, possano considerarsi pacifici, in quanto non contestati.

Di conseguenza (sebbene il Collegio, diversamente da quanto indicato nella proposta del relatore, non ritenga sussistere un giudicato interno sul punto), le censure proposte nella presente sede finiscono per risolversi nella prospettazione di una questione giuridica nuova, che richiede accertamenti di fatto, il che non è consentito nel giudizio di legittimità (giurisprudenza pacifica di questa Corte: cfr., ex multis: Cass., Sez. 6 5, Ordinanza n. 32804 del 13/12/2019, Rv. 656036 – 01: “qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa”; conf.: Sez. 2, Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019, Rv. 652251 – 02; Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018, Rv. 649332 – 01; Sez. L, Sentenza n. 20518 del 28/07/2008, Rv. 604230 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28480 del 22/12/2005, Rv. 585743 – 01).

4. E’ opportuno chiarire in proposito che, come espressamente precisato nei precedenti già richiamati di questa Corte (ed invocati dalle ricorrenti a sostegno della presente impugnazione), con i quali si è affermata l’applicabilità dell’art. 2052 c.c. alle ipotesi di danni causati dalla fauna selvatica, “nel caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli ed animali selvatici (ipotesi invero statisticamente molto frequente, nel tipo di contenzioso in esame), non può ritenersi sufficiente – ai fini dell’applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c. c. – la sola dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata e neanche che si sia verificato l’impatto tra l’animale ed il veicolo, in quanto, poiché al danneggiato spetta di provare che la condotta dell’animale sia stata la “causa” del danno e poiché, ai sensi dell’art. 2054, comma 1, c. c., in caso di incidenti stradali il conducente del veicolo è comunque onerato della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, quest’ultimo – per ottenere l’integrale risarcimento del danno che allega di aver subito dovrà anche allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che la condotta dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno” (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7969 del 20/04/2020, in motivazione, al paragrafo 6.1).

E’ d’altronde evidente, anche in linea generale, che i fatti da accertare ai fini dell’affermazione della responsabilità civile generale per colpa di cui all’art. 2043 c.c. e quelli da accertare ai fini dell’affermazione della speciale ipotesi di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. sono diversi (e altrettanto è a dirsi con riguardo all’altro criterio speciale di imputazione della responsabilità di cui all’art:. 2051 c.c., che peraltro non può in nessun caso venire in rilievo con riguardo ai danni provocati dagli animali selvatici, avendo ad oggetto solo i danni provocati da cose).

Nella specie, il giudizio di merito ha avuto ad oggetto solo l’accertamento dei fatti rilevanti ai fini della attribuzione agli enti convenuti della responsabilità generale per colpa di cui all’art. 2043 c.c. (accertamento concluso in senso negativo, almeno con riguardo ai predetti enti), cioè i fatti dedotti dalle attrici a sostegno della loro domanda, fondata esclusivamente su tale disposizione.

Non può quindi condividersi, almeno in termini assoluti, l’assunto in diritto per cui, sulla base dei medesimi fatti accertati ai fini della valutazione del titolo di responsabilità di cui all’art. 2043 c.c., si potesse giungere ad affermare la responsabilità degli stessi enti convenuti anche in forza del criterio speciale di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c..

A tal fine, le ricorrenti avrebbero avuto quanto meno l’onere di richiamare nel ricorso, in modo espresso, puntuale e specifico, il preciso contenuto dell’atto introduttivo del giudizio (direttamente, mediante trascrizione dei passaggi rilevanti, ovvero indirettamente, mediante indicazione specifica degli stessi passaggi nell’ambito del relativo documento), onde consentire a questa Corte di valutare se le allegazioni in fatto in esso prospettate fossero tali da poter sostenere, in astratto, anche l’imputazione della responsabilità a carico degli enti convenuti ai sensi dell’art. 2052 c.c., nonché di richiamare gli atti del giudizio di merito dai quali potesse desumersi che tali allegazioni di fatto non fossero state contestate dalle controparti costituite, ovvero fossero state in qualche modo oggetto di accertamento in sede probatoria.

Ciò non è avvenuto, in violazione dell’art. 366, comma 1., n. 6, c.p.c., come già evidenziato nel p. 3. Lo stesso riferimento contenuto nel ricorso ai mezzi di prova articolati e non ammessi nel corso del giudizio di merito risulta formulato in termini del tutto generici, senza il preciso richiamo al contenuto ed all’oggetto degli stessi.

Il ricorso deve pertanto ritenersi inammissibile, in quanto le censure poste a suo fondamento riguardano questioni di diritto avanzate per la prima volta solo in sede di legittimità e implicanti la necessità di accertamenti di fatto.

P.Q.M.

Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione delle oggettive incertezze applicative e dei mutamenti di indirizzo nella giurisprudenza di questa stessa Corte, in ordine alle questioni di diritto in tema di responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R.n. 115 del 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dal L.n. 228 del 24 dicembre 2012 art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2022.

 
 

 

 

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