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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro, Diritto sanitario, Pubblica amministrazione, Pubblico impiego Numero: 12030 | Data di udienza: 25 Novembre 2020

DIRITTO DEL LAVORO – Esperienza nel settore sanitario – Art. 3 del D.Lgs. n. 502 del 1992 s.m.i. – Mancanza requisiti soggettivi – DIRITTO SANITARIO – Direttore Amministrativo – Azienda sanitaria – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – PUBBLICO IMPIEGO – Nullità del contratto – Differenze retributive illegittime. (Massima e nota a sentenza a cura di Mattia Gasparro)


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: Lavoro
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Maggio 2021
Numero: 12030
Data di udienza: 25 Novembre 2020
Presidente: TRIA
Estensore: DI PAOLANTONIO


Premassima

DIRITTO DEL LAVORO – Esperienza nel settore sanitario – Art. 3 del D.Lgs. n. 502 del 1992 s.m.i. – Mancanza requisiti soggettivi – DIRITTO SANITARIO – Direttore Amministrativo – Azienda sanitaria – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – PUBBLICO IMPIEGO – Nullità del contratto – Differenze retributive illegittime. (Massima e nota a sentenza a cura di Mattia Gasparro)



Massima

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. LAVORO 6 maggio 2021 (Ud. 25/11/2020), Sentenza n.12030

DIRITTO DEL LAVORO – Esperienza nel settore sanitario – Art. 3 del D.Lgs. n. 502 del 1992 s.m.i. – Mancanza requisiti soggettivi – DIRITTO SANITARIO – Direttore Amministrativo – Azienda sanitaria – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – PUBBLICO IMPIEGO – Nullità del contratto – Differenze retributive illegittime.

L’art. 3, comma 7, del D.Lgs. n. 502 del 1992, come modificato dal D. Lgs. n. 517 del 1993, richiede, a pena di nullità del contratto, che l’incarico di direttore amministrativo dell’azienda sanitaria venga conferito a soggetto che in precedenza abbia svolto per almeno 5 anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in materia sanitaria. Quindi, all’esito della riformulazione apportata, si desume che il Legislatore, da un lato ha voluto rendere coincidenti le due figure dirigenziali (sanitario e amministrativo) quanto al settore di maturazione dell’esperienza pregressa, dall’altro ha voluto limitare quest’ultima al solo ambito sanitario, imprescindibile non per il solo direttore sanitario, ma anche per quello amministrativo, in relazione al quale la norma è formulata nei medesimi termini letterali.

(rigetta il ricorso avverso sentenza n.1689/2016 – CORTE D’APPELLO di CATANZARO, dep. 11/01/2017 R.G.N.1127/2014) Pres. TRIA, Rel. DI PAOLANTONIO, Ric. C.F.F. c. Azienda sanitaria provinciale di COSENZA


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. LAVORO 06/05/2021 (Ud. 25/11/2020), Sentenza n.12030

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE,

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 9014-2017 proposto da:
CEDOLIA F. F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO CRISCUOLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LOREDANA VELTRI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI COSENZA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL VIMINALE 38, presso il SINADI, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE CRISCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1689/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 11/01/2017 R.G.N.1127/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FABRIZIO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato SALVATORE CRISCI.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, previa riunione dei giudizi, ha riformato le sentenze n. 1628 del 2014 e n. 662 del 2015 con le quali il Tribunale di Cosenza aveva accolto le domande proposte da Flavio Francesco Cedolia nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza e aveva, con la prima decisione, dichiarato l’illegittimità della delibera n. 3201/2012 di revoca dell’incarico di direttore amministrativo e condannato l’Azienda al pagamento delle retribuzioni spettanti fino alla naturale scadenza del contratto; con l’altra accertato l’illegittimità dell’atto di annullamento in autotutela del conferimento dell’incarico, perché adottato quando già il rapporto era stato risolto a seguito di revoca.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che il contratto sottoscritto dalle parti fosse affetto da nullità perché il Cedolia non era in possesso dei requisiti soggettivi richiesti dall’art. 3 del d.lgs. n. 502/1992. Ha rilevato che l’esperienza quinquennale di direzione tecnica o amministrativa fatta valere dall’appellato non era stata maturata presso strutture sanitarie pubbliche o private di medie o grandi dimensioni, bensì alle dipendenze di società operanti in settori diversi da quello sanitario.

3. Il giudice d’appello ha evidenziato che la violazione della norma imperativa di legge rendeva illegittima la scelta del soggetto al quale conferire l’incarico dirigenziale e improduttivo di effetti il contratto stipulato, giacché il legislatore, per mezzo della disposizione inderogabile, aveva inteso assicurare il corretto funzionamento delle aziende sanitarie e limitare la discrezionalità attribuita al direttore generale nella individuazione dei suoi collaboratori.

4. Per la cassazione della sentenza Flavio Francesco Cedolia ha proposto ricorso affidato ad un’unica censura, alla quale ha replicato con tempestivo controricorso l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza.

5. Entrambe le parti hanno depositato una prima memoria ex art. 378 cod. proc. civ. in vista dell’udienza pubblica dell’Il marzo 2020, rinviata d’ufficio, ed hanno rinnovato il deposito dopo la fissazione della nuova udienza di discussione della causa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso denuncia con un unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502/1992 nonché dell’art. 12 delle preleggi e rileva, in sintesi, che ha errato la Corte territoriale nell’escludere il possesso dei requisiti indicati dalla disposizione indicata in rubrica, perché la norma, nel richiedere una «qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione», valorizza l’attività prestata presso qualsivoglia «ente» e richiede la ricorrenza di ulteriori condizioni solo per la direzione tecnica ed amministrativa delle «strutture». Il ricorrente evidenzia che allorquando l’aggettivo è preceduto da due sostantivi, di cui uno di genere maschile e l’altro di genere femminile, le regole grammaticali impongono di concordare l’attributo al maschile plurale, se lo si vuole riferire ad entrambi i sostantivi, sicché nella specie il tenore letterale induce necessariamente ad escludere che il legislatore abbia voluto estendere anche agli enti i requisiti richiesti per le sole strutture. Aggiunge che in tal senso la norma è stata interpretata da altre aziende sanitarie e sostiene che ad integrare il requisito soggettivo richiesto dal richiamato art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502/1992 era sufficiente l’esperienza maturata in qualità di direttore generale di Fincalabra nonché di amministratore delegato della s.p.a. Siracusa Risorse e di altre società miste.

2. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza.

Nello storico di lite si è evidenziato che la Corte territoriale, previa riunione dei giudizi, ha ritenuto sufficiente per rigettare tutte le domande proposte dal Cedolia l’assenza del requisito richiesto dall’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502/1992.

Il motivo censura in modo specifico l’unica ratio decidendi della pronuncia, confutandola con argomenti di diritto e non di fatto, sicché nessun giudicato interno è configurabile nella fattispecie.

2.1. Non è poi sostenibile che il Cedolia non abbia interesse all’impugnazione, a fronte di una pronuncia di integrale rigetto di tutte le domande.

Da tempo questa Corte ha affermato che l’interesse all’impugnazione, manifestazione del più generale principio dell’interesse ad agire, va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e viene, pertanto, a collegarsi alla soccombenza, anche parziale, nel precedente giudizio (cfr. fra le tante Cass. n. 13395/2018, Cass. n. 594/2016, Cass. S.U. n. 24470/2013) sicché, mentre va escluso nei casi in cui l’impugnazione si riferisca unicamente alla motivazione della sentenza gravata, della quale si domanda solo la correzione (Cass. n. 6894/2015), deve essere ritenuto sussistente ogniqualvolta il gravame sia volto ad impedire il passaggio in giudicato della decisione sfavorevole per la parte e sia ravvisabile un’utilità per l’impugnante, conseguente alla rimozione della pronuncia ( Cass. S.U. n. 12637/2008). Detta utilità è senz’altro ravvisabile nella fattispecie posto che solo l’esclusione della nullità del contratto, dichiarata dalla Corte territoriale, potrebbe consentire l’accoglimento della domanda volta ad ottenere il pagamento delle retribuzioni che sarebbero state corrisposte sino alla scadenza naturale del rapporto.

3. Peraltro il ricorso, seppure ammissibile, è infondato.

Questa Corte ha già affermato che la norma, con la quale il legislatore ha richiesto requisiti di specifica esperienza professionale per il soggetto chiamato a ricoprire l’incarico di direttore amministrativo della ASL, ha carattere imperativo sicché la violazione della stessa determina la nullità del contratto stipulato dall’azienda con persona priva dei necessari requisiti soggettivi. E’ stato precisato al riguardo che la disposizione persegue la finalità di assicurare alla struttura sanitaria pubblica dirigenti di vertice di comprovata esperienza e capacità e, pertanto, solo la sanzione della nullità può essere ritenuta idonea ad assicurare effettività alla prescrizione legale (Cass. n. 16281/2005).

Il principio, condiviso dal Collegio, deve essere qui ribadito perché lo stesso si armonizza con l’orientamento, più generale, formatosi in tema di nullità virtuale, ravvisata dalle Sezioni Unite di questa Corte a fronte di norme inderogabili che « in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto» (Cass. S.U. n. 26724/2007).

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto assorbente rispetto ad ogni altro profilo l’assenza del requisito richiesto dall’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502/1992, dalla quale ha fatto discendere la nullità del contratto stipulato dalle parti.

4. Parimenti condivisibile è la sentenza impugnata nella parte in cui ritiene che solo l’esperienza di direzione tecnica o amministrativa maturata nel settore sanitario legittimi il conferimento dell’incarico, precluso a soggetti che quella esperienza abbiano acquisito in altri campi.

L’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502/1992 nella sua versione originaria prevedeva, per quel che in questa sede rileva, che «Il direttore amministrativo ed il direttore sanitario sono assunti con provvedimento motivato dal direttore generale Il direttore sanitario è un medico in possesso della idoneità nazionale di cui all’art. 17 che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione. Il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture pubbliche o private di media o grande dimensione».

La disposizione, quindi, era chiara nel differenziare, quanto all’esperienza, il requisito soggettivo richiesto rispettivamente al direttore sanitario ed a quello amministrativo perché solo per quest’ultimo il legislatore aveva ritenuto di non dovere inserire alcuna specificazione in merito al settore di maturazione dell’esperienza stessa.

4.1. Con il d.lgs. n. 517/1993, art. 4, comma 1, lett. e), la disposizione è stata riformulata nella parte che qui interessa e, quanto alla natura degli enti e delle strutture in precedenza diretti, si è utilizzata per entrambe le dirigenze la medesima dizione ed è stata richiesta, per il direttore sanitario, la «direzione tecnico-sanitaria» e per quello amministrativo la «direzione tecnica o amministrativa» ma sempre in «enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione» ( il testo riformulato è, infatti, del seguente tenore: Il direttore sanitario è un medico in possesso della idoneità nazionale di cui all’ art. 17 che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione. …..II direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione).

In tutte le successive versioni dell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502/1992 quest’ultimo inciso è rimasto immutato sia per il direttore sanitario che per quello amministrativo, sicché, a fini interpretativi, rileva anche l’art. 2 del d.P.R. n. 484/1997 con il quale il legislatore, nell’adottare il regolamento per l’accesso alla direzione sanitaria aziendale, ha precisato che «per enti o strutture sanitarie di media o grande dimensione, si intendono:
a) le unità sanitarie locali, le aziende ospedaliere, i Policlinici universitari, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico; gli enti ed istituti di cui all’articolo 4, commi 12 e 13, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni; i dipartimenti, le divisioni, i servizi e gli uffici, che svolgono attività d’interesse sanitario, del Ministero della sanità, delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano, dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali; le strutture sanitarie complesse dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, Istituto nazionale previdenza sociale e degli enti pubblici che svolgono attività sanitaria;
b) le case di cura private con un numero di posti letto non inferiore a duecentocinquanta; le strutture ed i servizi sanitari di istituzioni ed aziende private che impiegano in attività sanitarie un numero di dipendenti appartenenti alle categorie professionali del ruolo sanitario non inferiore a trecento.».

4.2. Dalla comparazione fra i due testi normativi, quello originario e quello risultante all’esito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 517/1993, si desume che il legislatore, a partire dalla data di entrata in vigore di quest’ultimo decreto, da un lato ha voluto rendere coincidenti le due figure dirigenziali quanto al settore di maturazione dell’esperienza pregressa, dall’altro ha voluto limitare quest’ultima al solo ambito sanitario, imprescindibile, come è intuitivo, non per il solo direttore sanitario, ma anche per quello amministrativo, in relazione al quale la norma è formulata nei medesimi termini letterali.

4.3. La tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui l’aggettivo sanitario andrebbe riferito alle sole strutture e non anche agli enti, non è quindi predicabile, innanzitutto perché la stessa disconosce ogni portata innovativa della modifica operata dal d.lgs. n. 517/1993.

Gli enti sanitari, infatti, erano all’evidenza ricompresi nel previgente testo della norma sicché la modifica, per essere utiliter data, non poteva che essere finalizzata a circoscrivere al solo ambito sanitario l’esperienza valorizzabile ai fini del conferimento dell’incarico.

4.4. D’altro canto, poiché, come già detto, nel testo normativo la medesima espressione «enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione» è utilizzata per il direttore amministrativo e per quello sanitario, non è pensabile che alla stessa possa essere attribuito un significato diverso a seconda della natura della dirigenza che viene in rilievo, sicché la limitazione al campo sanitario dell’esperienza pregressa va affermata in entrambi i casi, a fronte di testi sovrapponibili dal punto di vista letterale.

4.5. L’esegesi qui sostenuta, che valorizza l’intero testo dell’art. 3, comma 7, nonché la ratio della norma e della sua riformulazione, trova riscontro nei decreti legge succedutisi negli anni 1995/1996, mai convertiti, con i quali il potere esecutivo sollecitò il Parlamento a reintrodurre una maggiore flessibilità quanto alla nomina del direttore amministrativo (con i decreti legge nn. 320/1995, 411/1995, 511/1995, 36/1996, 178/1996, 299/1996, 377/1996 e 478/1996 si previde, infatti, di riformulare la disposizione nei termini che seguono «Il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti pubblici o privati o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione »), sollecitazione non raccolta dal legislatore che, invece, pur essendo successivamente intervenuto più volte a modificare il richiamato art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502/1992 ( il comma è stato modificato dall’articolo 2, comma 1 quinques, del d.l. n. 5831996, dall’articolo 3, comma 2, del d.lgs. n. 229/1999, dall’articolo 15, comma 13, lettera f-bis, del d.l. n. 95/2012 e, da ultimo dall’articolo 45, comma 1-quater, del d.l. n. 124/2019 convertito dalla L. n. 157/2019) ha sempre lasciato immutato il riferimento agli «enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione».

4.6. A fronte dei plurimi argomenti sopra valorizzati a fini interpretativi, non è sufficiente, per giustificare una diversa esegesi, richiamare la regola grammaticale che impone di concordare al maschile plurale l’aggettivo, se lo si vuole riferire a due soggetti di genere diverso.

Si tratta, infatti, di una regola che ammette eccezioni qualora, come nella fattispecie, il nome femminile sia contiguo all’aggettivo ed i nomi interessati dalla concordanza esprimano entità inanimate.

A prescindere da detto rilievo, va osservato che l’interpretazione della legge, da condurre nel rispetto dell’art. 12 delle preleggi, deve doverosamente arrestarsi al dato letterale nel solo caso in cui quest’ultimo sia sufficiente ad esprimere un significato chiaro ed univoco della disposizione, mentre occorre fare ricorso al criterio ermeneutico sussidiario della ricerca della mens legis allorquando la lettera della norma sia ambigua. Qualora, poi, l’elemento letterale e l’intenzione del legislatore, utilizzati singolarmente, si rivelino entrambi insufficienti a fini interpretativi, gli stessi acquistano a fini esegetici un ruolo paritetico, sì che il secondo funge da criterio comprimario di ermeneutica, idoneo ad ovviare all’equivocità della formulazione del testo da interpretare (in tal senso fra le più recenti Cass. n. 24165/2018). Nel caso di specie la regola grammaticale invocata dal ricorrente può, al più, ingenerare un margine di equivocità della disposizione, che si supera comparando il testo a quello previgente ed apprezzando le ragioni della modifica normativa.

4.7. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato perché la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto di seguito enunciato: « l’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502/1992, come riformulato dal d.lgs. n. 517/1993, richiede, a pena di nullità del contratto, che l’incarico di direttore amministrativo dell’azienda sanitaria venga conferito a soggetto che in precedenza abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in materia sanitaria».

4. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente nella misura indicata in dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 200,00 per esborsi ed C 6.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma ibis, se dovuto

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 25 novembre 2020

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