Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 28 Dicembre 2011
Numero: 48478
Data di udienza: 24 Novembre 2011
Presidente: Teresi
Estensore: Fiale
Premassima
* BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Realizzazione di opere edilizie in zona vincolata – Assenza dell’autorizzazione – Delitto paesaggistico – Presupposto della responsabilità penale – Art. 181 c. 1 bis, D.Lgs. n. 42/2004 – Art. 5 cod. pen. – DIRITTO URBANISTICO – Opera abusiva in zone di particolare interesse ambientale – Subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione – Fondamento – Art. 181, 2° c., D.Lgs. n. 42/2004 – Art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 – Abusivi edilizi – Causa estintiva per prescrizione – Data di completamento delle opere – Individuazione e onere della prova.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 dicembre 2011 (Ud. 24/11/2011), Sentenza n. 48478
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Realizzazione di opere edilizie in zona vincolata – Assenza dell’autorizzazione – Delitto paesaggistico – Presupposto della responsabilità penale – Art. 181 c. 1 bis, D.Lgs. n. 42/2004 – Art. 5 cod. pen..
La fattispecie di cui all’
art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. n. 42/2004 è punita a titolo di dolo generico. Quanto alla coscienza dell’antigiuridicità dell’azione, presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del soggetto agente, dell’effettivo contenuto precettino della norma e, secondo la sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale (in relazione alla previsione dell’art. 5 cod. pen.), va considerata quale limite alla responsabilità personale soltanto l’oggettiva impossibilità di conoscenza dei precetto (c.d. ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge penale). Nella specie (realizzazione di opere edilizie, in zona dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 14.2.1959, senza l’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo) l’imputato aveva il dovere di informarsi preventivamente (anche) circa l’eventuale assoggettamento a vincoli dell’area sulla quale andava a costruire e non ha dimostrato, invece, di avere assunto alcuna informazione al riguardo presso gli organi competenti.
(conferma sentenza n. 1583/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 24/09/2010) Pres. Teresi, Est. Fiale, Ric. Mancini
La legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva e tale principio, deve applicarsi all’ordine di rimessione in pristino già previsto dagli artt. 1 sexies della legge n. 431/1985 e 164 del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 (ed attualmente dall’
art. 181, 2° comma, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42), allorché si consideri che: la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso e quindi si riconnette al preminente interesse di giustizia sotteso all’esercizio stesso dell’azione penale. In relazione a tale peculiare sanzione la Corte Costituzionale ha affermato che essa costituisce un obbligo a carico del giudice – imposto per la più incisiva tutela di un interesse primario della collettività per la salvaguardia del valore ambientale presidiato dalla norma che lo prevede – e si colloca su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello dei poteri della Pubblica Amministrazione e delle valutazioni della stessa, configurandosi quale conseguenza necessaria sia dell’esigenza di recuperare l’integrità dell’interesse tutelato, sia del giudizio di disvalore che il legislatore ha dato all’attuazione di interventi modificativi del territorio in zone di particolare interesse ambientale (Corte Cost., sent. 20.7.1994, n. 318).
(conferma sentenza n. 1583/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 24/09/2010) Pres. Teresi, Est. Fiale, Ric. Mancini
DIRITTO URBANISTICO – Abusivi edilizi – Causa estintiva per prescrizione – Data di completamento delle opere – Individuazione e onere della prova.
In mancanza di diversa prova, che deve essere fornita dall’imputato, la data di completamento delle opere abusive si presume coincidente con quella in cui è stata contestata la violazione (Cass., Sez. III, 3.3.2005, Barbetta), gravando sull’imputato, che voglia giovarsi della causa estintiva della prescrizione, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di esecuzione dell’opera incriminata (Cass., Sez. III, 23.5.2000, Milazzo).
(conferma sentenza n. 1583/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 24/09/2010) Pres. Teresi, Est. Fiale, Ric. Mancini
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 dicembre 2011 (Ud. 24/11/2011), Sentenza n. 48478
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALFREDO TERESI – Presidente
Dott. ALDO FIALE – Rel. Consigliere
Dott. SILVIO AMORESANO – Consigliere
Dott. SANTI GAllARA – Consigliere
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso proposto da MANCINI MARCO N. IL 24/01/1964
– avverso la sentenza n. 1583/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 24/09/2010
– visti gli atti, la sentenza e il ricorso
– udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE
– Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Nicla Lettieri che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 24.9.2010, confermava la sentenza 19.11.2008 del Tribunale di Grosseto – Sezione distaccata di Orbetello, che aveva affermato la responsabilità penale di Mancini Marco in ordine ai reati di cui:
– agli artt. 633 e 639bis cod. pen., per avere invaso arbitrariamente terreno pubblico, realizzandovi opere edilizie abusive;
– all’
art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 (per avere realizzato, senza il necessario permesso di costruire, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, opere edilizie consistite nell’ampliamento di un preesistente fabbricato abusivo, nonché nell’installazione di due prefabbricati in lamiera su piattaforme in cemento e di una cisterna di raccolta delle acque piovane);
– all’
art. 181, comma 1bis, D.Lgs. n. 42/2004 (per avere realizzato le opere edilizie anzidette, in zona dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 14.2.1959, senza l’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo – acc. in Orbetello, località Ansedonia, il 28 febbraio ed il 5 marzo 2007, con lavori in corso al momento dell’accertamento)
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, ritenuta la continuazione tra tutti i reati ex art. 81 cpv. cod. pen., lo aveva condannato alla pena complessiva di mesi 10 di reclusione, ordinando la rimessione in pristino dello stato dei luoghi e concedendo il beneficio della sospensione condizionale subordinato all’effettivo ripristino entro tre mesi dalla formazione del giudicato.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del Mancini, il quale – sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione – ha eccepito:
– la insussistenza del delitto di cui agli artt. 633 e 639bis cod. pen., in quanto il terreno sul quale sono state realizzate le opere descritte nei capi di imputazione aveva formato oggetto di concessione demaniale rilasciata negli anni ’60 alla madre dell’imputato (Palmira Martellini): dopo il decesso della signora Martellini, nell’ anno 2003, il figlio era subentrato nella concessione demaniale ai sensi dell’art. 46 cod. nav. e, nell’anno 2006 (data di scadenza della concessione medesima), aveva presentato istanza di rinnovo a suo nome, accolta il 9 settembre 2009;
– la intervenuta prescrizione della contravvenzione di cui all’
art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 relativa alla installazione dei due prefabbricati in lamiera e della cisterna di raccolta delle acque piovane, in considerazione della “assenza di elementi certi in ordine alla datazione” di tali opere;
– la insussistenza della contravvenzione di cui all’
art. 44, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001 relativa al contestato ampliamento di un edificio abusivo, poiché non sarebbe stato realizzato alcun ampliamento, essendosi l’imputato limitato a ripristinare (attraverso un intervento di restauro e risanamento conservativo) due muri perimetrali preesistenti crollati nel febbraio del 2007 a causa di eventi atmosferici;
– la illegittimità della disposta subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
1. I giudici del merito legittimamente hanno riconosciuto la sussistenza del delitto di cui agli artt. 633 e 639bis cod. pen., essendo stato accertato che il Mancini ha realizzato su un’area demaniale opere abusive, occupando illegittimamente quell’area e mantenendone senza titolo il possesso in modo corrispondente all’esercizio di un diritto reale di godimento.
Inconferente è il richiamo difensivo all’art. 46 cod. nav., in quanto il 3° comma di tale norma stabilisce che “in caso di morte del concessionario gli eredi subentrano nel godimento della concessione, ma devono chiederne la conferma entro sei mesi, sotto pena di decadenza”. Nella vicenda in esame risulta che la concessionaria Martellini era deceduta nell’anno 2003 mentre il Mancini chiese la conferma del provvedimento concessorio soltanto tre anni dopo e successivamente alla realizzazione delle contestate opere edilizie abusive.
2. La doglianza riferita alla qualificazione giuridica dell’intervento edilizio sul fabbricato preesistente è manifestamente infondata.
In relazione a tale fabbricato è stato accertato che la signora Martellini aveva presentato istanza di condono edilizio ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724/1994; tale istanza era stata rigettata dal Comune di Orbetello (previo diniego anche dell’autorizzazione paesaggistica) con provvedimento del 30.4.2002, impugnato davanti al giudice amministrativo con ricorso tuttora pendente.
Il Mancini aveva poi inoltrato una D.I. A. per il solo rifacimento del tetto in eternit. Detti lavori, però, non sono stati realizzati e si è proceduto, invece, alla demolizione e ricostruzione di una parte dell’edificio originario (oltre che alla realizzazione di altri manufatti), senza che per tali opere sia stato esperito alcun procedimento abilitativo edilizio e sia stata richiesta la prescritta autorizzazione paesaggistica.
Correttamente, a fronte di un’attività demolitoria e di ricostruzione ampliativa, i giudici del merito hanno escluso che le opere realizzate possano ricondursi alle nozioni di “restauro e risanamento conservativo”, configurandosi una vera e propria “ristrutturazione”.
In ogni caso, i lavori edilizi che riguardano manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati – anche se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie del restauro e o risanamento conservativo ovvero a quella della ristrutturazione – non possono essere legittimamente eseguiti né autorizzati, in quanto ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera alla quale ineriscono (vedi Cass., Sez. III: 20.1.2009, n. 2112, Pizzolante; 19.1.2009, n. 1810, P.M. in proc. Cardito; 19.4.2006, n. 21490).
Quanto alla coscienza dell’antigiuridicità dell’azione, va rilevato che presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del soggetto agente, dell’effettivo contenuto precettino della norma e, secondo la sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale (in relazione alla previsione dell’art. 5 cod. pen.), va considerata quale limite alla responsabilità personale soltanto l’oggettiva impossibilità di conoscenza dei precetto (c.d. ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge penale).
Nella fattispecie in esame l’imputato aveva il dovere di informarsi preventivamente (anche) circa l’eventuale assoggettamento a vincoli dell’area sulla quale andava a costruire e non ha dimostrato, invece, di avere assunto alcuna informazione al riguardo presso gli organi competenti.
Né si configura un errore su norma extrapenale, che abbia cagionato un errore sul fatto costituente il reato (ex art. 47, comma 3, cod. pen.), poiché l’imputato – il quale ben poteva avere una esatta conoscenza del
D.Lgs. n. 42/2004 e che tale corretta conoscenza era obbligato ad acquisire – non ha prospettato di avere commesso alcun errore sull’interpretazione delle disposizioni di detto testo normativo, né ha addotto di avere erroneamente creduto di realizzare un fatto diverso da quello vietato.
Egli semplicemente ha posto in essere un’attività edilizia senza richiedere l’autorizzazione all’autorità amministrativa preposta alla tutela del vincolo (autorizzazione che avrebbe dovuto richiedere anche qualora detta attività edificatoria avesse riguardato un bene sottoposto a tutela paesaggistica ex lege e non con provvedimento puntuale dell’amministrazione).
Deve concludersi, pertanto, che non vi sono dubbi circa la diretta volizione del comportamento illecito e non si rinvengono elementi idonei a configurare l’errore sul precetto di cui all’art. 5 cod. pen. ovvero l’errore su norma extrapenale ex art. 47, comma 3, dello stesso codice.
4. Le contravvenzioni non sono prescritte, perché:
– il manufatto ampliativo realizzato ex novo era ancora in corso di costruzione alla data
dell’accertamento, privo di intonaco esterno e solo parzialmente intonacato all’interno;
– quanto agli altri manufatti, va ribadito l’orientamento di questa Corte secondo il quale, in mancanza di diversa prova, che deve essere fornita dall’imputato, la data di completamento delle opere abusive si presume coincidente con quella in cui è stata contestata la violazione (Cass., Sez. III, 3.3.2005, Barbetta), gravando sull’imputato, che voglia giovarsi della causa estintiva della prescrizione, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di esecuzione dell’opera incriminata (Cass., Sez. III, 23.5.2000, Milazzo).
5. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema – con la sentenza 3.2.1997, n. 714, ric. Luongo – hanno affermato la legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva e tale principio, a maggior ragione, deve applicarsi all’ordine di rimessione in pristino già previsto dagli artt.1 sexies della legge n. 431/1985 e 164 del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 (ed attualmente dall’
art. 181, 2° comma, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42), allorché si consideri che:
– è sicuramente possibile l’utilizzazione del disposto dell’art. 165 cod. pen., rivolto a rafforzare il ravvedimento del condannato, poiché la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, ben può comportare “conseguenze dannose o pericolose”;
– la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso e quindi si riconnette al preminente interesse di giustizia sotteso all’esercizio stesso dell’azione penale;
– in relazione a tale peculiare sanzione la Corte Costituzionale ha affermato che essa costituisce un obbligo a carico del giudice – imposto per la più incisiva tutela di un interesse primario della collettività per la salvaguardia del valore ambientale presidiato dalla norma che lo prevede – e si colloca su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello dei poteri della Pubblica Amministrazione e delle valutazioni della stessa, configurandosi quale conseguenza necessaria sia dell’esigenza di recuperare l’integrità dell’interesse tutelato, sia del giudizio di disvalore che il legislatore ha dato all’attuazione di interventi modificativi del territorio in zone di particolare interesse ambientale (Corte Cost., sent. 20.7.1994, n. 318).
6. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
ROMA, 24.11.2011