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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Associazioni e comitati, Beni culturali ed ambientali, Danno ambientale, Diritto processuale penale, Legittimazione processuale Numero: 21016 | Data di udienza: 25 Gennaio 2011

 BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Tutela paesaggistica di fiumi e torrenti – Iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche – Necessità – Esclusione – Art. 1, lett. c), L. n. 431/1985 (attualmente art. 142, c.1 ° – lett. c, D.Lgs. n. 42/2004) – Principi fissati dalla legge statale e disposizioni regionali – Tutela “minimale” e prescrizioni ampliative del vincolo paesaggistico – L. n. 1497/1939 – Art. 117 Cost. – Fattispecie: L.R.Puglia 11.5.1990, n. 30 – DANNO AMBIENTALE – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Danno non patrimoniale – Risarcimento – C.d. “danno-conseguenza” e “danno-evento” – Legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste – Azioni risarcitorie per danno ambientale – Costituzione di parte civile “iure proprio” nel processo – (art. 9, c. 3, D.Lgs. n. 267/2000, abrogato dall’art. 318 D.Lgs. n. 152/2006) – Art. 2043 cod. civ. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ignoranza della legge penale – C.d. “dovere di informazione” – Contestazione di un reato permanente – Elemento del perdurare della condotta antigiuridica compresa nell’imputazione – Principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza – Mutamento del fatto – Trasformazione radicale e condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione – Divieto del “ne bis in idem” – Art. 649 c.p.p. – Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici – Accertamenti implicanti valutazioni – Rilevanza – Art. 479 cod. pen.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 26 Maggio 2011
Numero: 21016
Data di udienza: 25 Gennaio 2011
Presidente: Petti
Estensore: Fiale


Premassima

 BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Tutela paesaggistica di fiumi e torrenti – Iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche – Necessità – Esclusione – Art. 1, lett. c), L. n. 431/1985 (attualmente art. 142, c.1 ° – lett. c, D.Lgs. n. 42/2004) – Principi fissati dalla legge statale e disposizioni regionali – Tutela “minimale” e prescrizioni ampliative del vincolo paesaggistico – L. n. 1497/1939 – Art. 117 Cost. – Fattispecie: L.R.Puglia 11.5.1990, n. 30 – DANNO AMBIENTALE – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Danno non patrimoniale – Risarcimento – C.d. “danno-conseguenza” e “danno-evento” – Legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste – Azioni risarcitorie per danno ambientale – Costituzione di parte civile “iure proprio” nel processo – (art. 9, c. 3, D.Lgs. n. 267/2000, abrogato dall’art. 318 D.Lgs. n. 152/2006) – Art. 2043 cod. civ. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ignoranza della legge penale – C.d. “dovere di informazione” – Contestazione di un reato permanente – Elemento del perdurare della condotta antigiuridica compresa nell’imputazione – Principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza – Mutamento del fatto – Trasformazione radicale e condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione – Divieto del “ne bis in idem” – Art. 649 c.p.p. – Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici – Accertamenti implicanti valutazioni – Rilevanza – Art. 479 cod. pen.



Massima

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 26/05/2011 (Ud. 25/01/2011) Sentenza n. 21016
 
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Tutela paesaggistica di fiumi e torrenti – Iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche – Necessità – Esclusione – Art. 1, lett. c), L. n. 431/1985 (attualmente art. 142, c.1 ° – lett. c, D.Lgs. n. 42/2004).
 
Dall’interpretazione letterale, logica e sistematica dell’art. 1, lett. c), della legge n. 431/1985 (ed attualmente dell’art. 142, comma 1 ° – lett. c, del D.Lgs. n. 42/2004) si evince che i fiumi e i torrenti sono ex se soggetti a tutela paesaggistica, a prescindere dall’iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche. Tale iscrizione ha efficacia costitutiva del vincolo solo per i corsi d’acqua diversi dai fiumi e dai torrenti in quanto acque fluenti di minore dimensioni e importanza (C. Stato, sez. IV, 17.7.2002, n. 3990).
 
(conferma sentenza n. 1312/2005 CORTE APPELLO di LECCE, del 13/11/2008) Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Pelloni ed altri
 
 
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Principi fissati dalla legge statale e disposizioni regionali – Tutela “minimale” e prescrizioni ampliative del vincolo paesaggistico – L. n. 431/1985 – T.U. n. 42/2004 – L. n. 1497/1939 – Art. 117 Cost. – Fattispecie: L.R.Puglia 11.5.1990, n. 30.
 
Le disposizioni di cui al D.L. n. 312/1985, convertito nella legge n. 431/1985, (oggi T.U. n. 42/2004) “costituiscono norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica” (art. 2 della legge n. 431), sicché esse impongono un limite espresso al potere legislativo regionale concorrente nelle materie di cui all’art. 117 della Costituzione (Corte Cost.: nn. 35/1957, 105/1957, 44/1967 e 120/1969). Le norme della legge Galasso, pertanto, non possono essere modificate da disposizioni regionali successive, le quali, se contrastassero con i principi fissati da detta legge statale, sarebbero viziati da illegittimità costituzionale e, sempre secondo l’insegnamento del Giudice delle leggi, la possibilità per il legislatore regionale di modificare le previsioni della legge Galasso deve ritenersi limitata alle sole prescrizioni ampliative del vincolo paesaggistico, essendo esclusa la possibilità di intaccare, con legge o provvedimento regionale, la tutela “minimale” preordinata dalla legge n. 431/1985.
 
(conferma sentenza n. 1312/2005 CORTE APPELLO di LECCE, del 13/11/2008) Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Pelloni ed altri
 
 
DANNO AMBIENTALE – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Danno non patrimoniale – Risarcimento – C.d. “danno-conseguenza” e “danno-evento” – Legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste.
 
Il danno non patrimoniale costituisce “danno-conseguenza” e non già “danno-evento” (Cass., Sez. Unite civ., 11.11.2008, n. 26972), sicché esso non si connette, come una specie di pena privata, al mero accertamento della compressione formale del bene ambiente. Pertanto, le associazioni ambientaliste, sono legittimate a costituirsi parte civile quando perseguano un interesse non caratterizzato da un mero collegamento con quello pubblico, bensì concretizzatosi in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo: in tal caso l’interesse all’ambiente cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato.

(conferma sentenza n. 1312/2005 CORTE APPELLO di LECCE, del 13/11/2008) Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Pelloni ed altri
 
 
LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Associazioni ambientaliste – Azioni risarcitorie per danno ambientale – Costituzione di parte civile “iure proprio” nel processo – (art. 9, c. 3, D.Lgs. n. 267/2000, abrogato dall’art. 318 D.Lgs. n. 152/2006) – Art. 2043 cod. civ..
 
Le associazioni ambientaliste – pure dopo l’abrogazione delle previsioni di legge che le autorizzavano a proporre, in caso di inerzia degli enti territoriali, le azioni risarcitorie per danno ambientale (art. 9, comma 3, del D.Lgs. n. 267/2000, abrogato dall’art. 318 del D.Lgs. n. 152/2006) – sono legittimate alla costituzione di parte civile “iure proprio” nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all’ambiente e possono richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale patito dal sodalizio a causa del degrado ambientale, in virtù del principio fondamentale in tema di nocumento ingiusto risarcibile enucleabile dall’art. 2043 cod. civ. (vedi Cass., sez.111: 16.4.2010, n. 14828; 11.5.2009, n 19883).
 
(conferma sentenza n. 1312/2005 CORTE APPELLO di LECCE, del 13/11/2008) Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Pelloni ed altri
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ignoranza della legge penale – C.d. “dovere di informazione”.
 
L’ignoranza della legge penale è incolpevole e scusa l’autore dell’illecito solo qualora egli abbia assolto con diligenza al c.d. “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione in materia (Cass., Sez. Unite, 18.7.1994, n. 8154).

(conferma sentenza n. 1312/2005 CORTE APPELLO di LECCE, del 13/11/2008) Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Pelloni ed altri
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Contestazione di un reato permanente – Elemento del perdurare della condotta antigiuridica compresa nell’imputazione. 
 
Nella contestazione di un reato permanente, per l’intrinseca natura del fatto che enuncia, l’interessato è chiamato a difendersi nel processo (in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo), oltre che in ordine alla parte già realizzata della fattispecie criminosa, anche in ordine a quella successiva ricompresa nell’intero sviluppo della stessa ed emergente dall’istruttoria dibattimentale, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta illecita formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell’azione penale [Cass., Sez. Unite: 26.11 .1994, n. 11930 e 21.10.1998, n. 11021].

(conferma sentenza n. 1312/2005 CORTE APPELLO di LECCE, del 13/11/2008) Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Pelloni ed altri
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza – Mutamento del fatto – Trasformazione radicale e condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.
 
Con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l ‘ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione” e “… vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione”. (Cass. Sezioni Unite – sentenza n.16 del 22.10.1996, ric. Di Francesco).

(conferma sentenza n. 1312/2005 CORTE APPELLO di LECCE, del 13/11/2008) Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Pelloni ed altri
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Divieto del “ne bis in idem” – Art. 649 c.p.p..
 
Il divieto del “ne bis in idem”, stabilito dall’art. 649 c.p.p., postilla una preclusione derivante dal giudicato formatosi “per lo stesso fatto e per la stessa persona” e l’identità del fatto sussiste soltanto quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.
 
(conferma sentenza n. 1312/2005 CORTE APPELLO di LECCE, del 13/11/2008) Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Pelloni ed altri
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici – Accertamenti implicanti valutazioni – Rilevanza – Art. 479 cod. pen..
 
In tema di falso ideologico, può dirsi falso l’enunciato valutativo che sia fondato su premesse contenenti false attestazioni (Cass., Sez. V, 18.3.1999, n. 3552, Andronico). Ma anche gli atti che attestano i risultati degli accertamenti compiuti da un pubblico ufficiale possono integrare il delitto di falsità ideologica, ex art. 479 cod. pen., non avendo rilevo il fatto che si tratti di accertamenti implicanti valutazioni, dal momento che anche la valutazione, quando rappresenti falsamente la realtà, può essere falsa (vedi Cass., Sez. V, 31.1.2000, n. 1004, Moro).
 
(conferma sentenza n. 1312/2005 CORTE APPELLO di LECCE, del 13/11/2008) Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Pelloni ed altri
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 26/05/2011 (Ud. 25/01/2011) Sentenza n. 21016

SENTENZA

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. CIRO PETTI – Presidente
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI – Consigliere
Dott. MARIO GENTILE – Consigliere
Dott. ALDO FIALE – Consigliere
Dott. ELISABETTA ROSI – Consiglieri
 
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da:
 
1) PELLONI ADA N. ../../..
2) CARRIERO FRANCO N. ../../..
3) CATALDI GIUSEPPE N. ../../..
4) DE MASI PARIDE N. ../../..
5) FASANO FLAVIO N. ../../..
 
avverso la sentenza n. 1312/2005 CORTE APPELLO di LECCE, del 13/11/2008
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita PUBBLICA UDIENZA del 25/01/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vito D’Ambrosio che ha concluso per il rigetto dei ricorsi
Uditi i difensori avv.ti Luigi Covella, Angelo Pallara, Massimo Manfreda, Francesca Conte e Ernesto Sticchi Damiani i quali hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 13.11.2008, in parziale riforma della sentenza 25.2.2005 del Tribunale collegiale di quella città:
A) ribadiva l’affermazione della responsabilità penale:
– di Pelloni Ada (rappresentante legale della costruttrice s.p.a. “Praia del Sole”), Carriera Franco (direttore dei lavori), Cataldi Giuseppe (dirigente del servizio gestione del territorio del Comune di Gallipoli), De Masi Antonio Paride (rappresentante legale della s.r.l. “Italtecnica”, esecutrice dei lavori) e Fasano Flavio (sindaco pro-tempore del Comune di Gallipoli) in ordine ai reati di cui agli artt. 20, lett. c), legge n. 47/1985 e 163 D.Lgs. n. 490/1999 [ritenuti permanenti alla data della sentenza di primo grado]:
a) per avere rispettivamente consentito la realizzazione e realizzato – in località “Li Foggi” del Comune di Gallipoli, in area sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico, inserita nella fascia di 300 metri dal limite del demanio marittimo e di 200 metri dall’argine di un corso d’acqua pubblico denominato “fosso dei Sammari” – un insediamento turistico comprensivo di n. 386 posti tenda, di n. 2 fabbricati destinati a servizi per campeggio, di n. 164 bungalows, di un fabbricato destinato a supermercato, di un fabbricato destinato a ristorante e bar, il tutto in assenza della concessione edilizia e della prescritta autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, dovendo ritenersi illegittimi tutti gli assensi amministrativi riferibili al Comune di Gallipoli, perché rilasciati in violazione del vincolo di inedificabilità previsto dalla legge regionale n. 30/1990 e dalla normativa statale sulla tutela dei vincoli ambientali;
b) nonché per avere comunque realizzato gli interventi medesimi in totale difformità dalla concessione edilizia n. 4691/1990 ed in violazione delle prescrizioni contenute nel nulla-onta paesaggistico rilasciato dalla Giunta regionale in data 6.7.1990 e ribadite nel nulla-osta comunale n. 67/1998, in quanto i suddetti interventi: non rispettavano i requisiti tipologici e costruttivi (strutture mobili e/o semifisse) previsti dalla legge regionale n. 35/1979 e dal relativo regolamento; non si caratterizzavano per facilità di smontaggio (al fine di evitare insediamenti di carattere permanente); non poggiavano “semplicemente” sulla piazzola di base, ma si inserivano stabilmente su un terreno, già naturalmente paludoso e coperto da canneti e da vegetazione palustre, trasformato invece, previa “colmata”, in area idonea a consentire l’insediamento permanente del campeggio;
– nonché di Cataldi Giuseppe (dirigente del servizio gestione del territorio del Comune di Gallipoli) anche in ordine al reato di cui all’art. 479 cod. pen., per avere attestato falsamente, nel nulla-osta paesaggistico n. 67/1998 rilasciato il 9.10.1998, che la situazione dei luoghi non era modificata rispetto all’epoca in cui era stato rilasciato il primo nulla-osta regionale, sicché “il progettato campeggio, per la minimalità degli interventi che lo caratterizzano e per l’attenzione che viene riservata agli elementi naturalistici, non risulta in alcun modo aggressivo, meno che mai sotto il profilo panoramico, nei confronti delle aree contermini, ivi compreso il canale “dei Sammari”, risultando in contrario ben inserito nel contesto dei luoghi”;
B) dichiarava estinti, per intervenuta prescrizione, la contravvenzione di cui all’ari 734 cod. pen., ascritta a tutti gli imputati, ed il delitto di cui all’art. 323 dello stesso codice ascritto al solo Cataldi;
C) rideterminava le pene nella misura ritenuta di giustizia, confermando la concessione dei doppi benefici di legge per tutti gli imputati;
D) confermava l’ordine di demolizione delle opere abusive con ripristino dello stato dei luoghi anteriore alla loro realizzazione, nonché la subordinazione, per la sola Pelloni, del concesso beneficio della sospensione condizionale alla effettiva demolizione integrale e riflessione in pristino entro sei mesi dalla formazione del giudicato;
E) confermava le statuizioni risarcitone in favore della costituita parte civile “Legambiente – Comitato regionale pugliese”, essendo stati liquidati i danni, dal primo giudice, in euro 70.000,00 con statuizione provvisoriamente esecutiva.
 
Avverso la sentenza della Corte di appello hanno proposto separati ricorsi i difensori dei condannati, sotto i profili dell’erronea applicazione della legge penale e della contraddittorietà della motivazione.
 
In particolare:
Con motivi comuni a pii ricorsi é stato eccepito che:
– illegittimamente, all’udienza. 5.11.2004 del giudizio di primo grado, a fronte della contestazione della “permanenza” delle contravvenzioni effettuata dal P.M., il Tribunale non aveva concesso i richiesti termini a difesa. Dalla documentazione prodotta, inoltre, emergerebbe che tutte le opere sarebbero state portate a compimento entro il mese di ottobre del 2001 ed in ogni caso il sequestro del cantiere, disposto nel giugno del 2000, avrebbe fatto cessare la permanenza;
– erroneamente il “fosso dei Sammari” sarebbe stato incluso tra le aree protette ai sensi della legge n. 431/1985, trattandosi invece soltanto di un canale di bonifica non assoggettato a tutela paesaggistica, sicché il nulla-osta n. 67/1998 sarebbe conforme a legge;
– la tipologia del campeggio, per come in concreto realizzata, corrisponderebbe ai requisiti fissati dalla legge n. 11/1999 della Regione Puglia, che ha eliminato la figura della “strutturo mobile semi-fissa” già prevista dalla legge regionale n. 35/1979;
– incongruamente sarebbe stata esclusa la applicabilità alla vicenda in esame della disposizione eccettuativa di cui al 2° comma dell’art. 2 della legge regionale n. 30/1990 (esonero dal vincolo paesaggistico temporaneo di inedificabilità assoluta), in quanto le opere sono state realizzate in zona compresa in un “Piano per gli insediamenti turistici all’aperto” approvato il 26.11.1987 e da considerarsi “piano attuativo”;
– la costituzione di parte civile del Comitato regionale pugliese di Legambiente dovrebbe considerarsi illegittima, trattandosi di organismo che non sarebbe titolare di un diritto risarcitorio autonomamente tutelabile. Priva di motivazione, inoltre, sarebbe la quantificazione del danno liquidato in favore di detta parte civile.
Per la Pelloni ed il Carriera (rispettivamente committente e direttore dei lavori) è stato inoltre eccepito che:
– erroneamente ed in violazione della pertinente normativa regionale si sarebbe proceduto alla individuazione della zona di demanio marittimo inedificabile;
Nell’interesse del De Masi (esecutore dei lavori) si lamenta:
– la nullità dell’interrogatorio al quale egli é stato sottoposto il 22.7.2002, per violazione dell’art. 65 c.p.p., non essendogli stati contestati gli elementi di prova a suo carico;
– la violazione del principio del “ne bis in idem” sostanziale, in relazione alla sentenza emessa dal Pretore di Gallipoli in data 1.4.1994, pure se nei confronti di altri imputati;
– la erronea esclusione dell’errore scusabile ai sensi dell’art. 5 cod. pen.;
– la mancata decurtazione della parte di pena riferibile alla contravvenzione di cui all’art. 734 cod. pen., dichiarata prescritta nel secondo grado di giudizio;
– la prescrizione delle contravvenzioni.
 
Per il Cataldi (dirigente del servizio gestione del territorio del Comune di Gallipoli) é stato prospettato:
– la legittimità sia delle proroghe concesse alla concessione edilizia originaria sia del nulla-osta paesaggistico n. 67/1998 da lui rilasciato;
– la insussistenza del delitto dì falso contestatogli in relazione a tale nulla-osta paesaggistico, poiché lo stesso era “integralmente sovrapponibile a quello in precedenza rilasciato dalla Giunta regionale della Puglia sul medesimo identico progetto”.
La zona dell’intervento, all’epoca del rilascio di detto provvedimento, “era pacificamente da ritenersi area di cantiere”, sicché egli aveva affermato in buona fede la identità della rappresentazione dei luoghi effettuata dalla società interessata rispetto a quella che aveva
costituito oggetto della precedente valutazione regionale;
– la inesistenza, a suo carico, di un obbligo giuridico di impedire l’evento;
– la incongruità della connessione di statuizioni civili ai reati che la Corte di merito ha dichiarato prescritti (art. 734 cod. pen. e art. 323 cod. pen. per il quale egli era stato pure ritenuto colpevole in primo grado) e che, invece, sarebbero assolutamente inesistenti.
 
Le doglianze svolte nell’interesse del sindaco Fasano attengono, infine, alle prospettazioni di:
– violazione dell’art. 521 c.p.p., in quanto la Corte di merito avrebbe introdotto per la prima volta il tema della propria cooperazione colposa con la società costruttrice, laddove il giudice di primo grado aveva fatto invece riferimento al concorso di persone ex art. 110 cod. pen.;
– la propria estraneità alla proroga del 14.2.1997, concessa dal vice-sindaco Abate allorquando le opere non erano state ancora realizzate materialmente;
– la legittimità della proroga da lui rilasciata il 9.2.1995 e delle concessioni rilasciate in sanatoria il 12.7.1996.
Il difensore del De Mari – con “motivi aggiunti e memoria” depositati il 5.1.2011 – ha ribadito l’eccezione di intervenuta prescrizione delle contravvenzioni, assumendo che la parte dei lavori eseguiti dalla società rappresentata dal proprio assistito sarebbe stata ultimata nell’anno 2000.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
 
I ricorsi devono essere rigettati, perché tutte le doglianze in essi rispettivamente svolte sono infondate.
 
1. La ricostruzione fattuale della vicenda
 
– Il 26.11.1987 la Regione Puglia approvò in via definitiva, anche ai sensi della legge regionale n. 35 del 20.6.1979, il Piano per gli insediamenti turistici all’aperto lungo la fascia costiera del Comune di Gallipoli, anche in variante del P.R.G. vigente, stabilendo in sede di approvazione che la variante avrebbe dovuto trovare esecuzione nel rispetto della normativa regionale vigente ed in particolare dell’allegato A) al Regolamento regionale n. 1 del 21.7.1980, da considerarsi alla stregua di norme tecniche di attuazione della variante stessa, che doveva essere attuata mediante concessioni edilizie previa sottoposizione dei progetti alle procedure autorizzative di cui alla legge statale n. 1497/1939.
– In data 8.6.1989 la s.p.a. “Praia del Sole” presentò il progetto definitivo per il rilascio di concessione edilizia riferita alla realizzazione di un campeggio in località “Li Poggi” del Comune di Gallipoli, e vennero quindi acquisiti i pareri favorevoli dell’ufficiale sanitario e della commissione edilizia comunale.
– In data 25.7.1989 la s.p.a. “Praia del Sole” richiese al Comune – in considerazione della destinazione turistica dell’insediamento programmato e visti i gravi inconvenienti di carattere igienico esistenti in quella zona e dovuti alla presenza di insetti ed alla vegetazione palustre – una autorizzazione “per la sistemazione del terreno … ai fini del risanamento igienico-sanitario, con opere di natura agricola finalizzate alla estirpazione del canneto e relativa compattazione del piano di risulta con materiale di riporto”: l’autorizzazione venne rilasciata il 28.7.1989.
– In data 6.11.1989 la Giunta regionale rilasciò nulla-osta idrogeologico, subordinato alla condizione che “lo scorrimento e smaltimento delle acque superficiali siano disciplinati in modo da non arrecare danno alla consistenza del suolo”.
– In data 6.7.1990 la Giunta regionale rilasciò nulla-osta paesaggistico, subordinato alle condizioni:
* “che gli allestimenti previsti per gli ospiti sprovvisti di mezzo autonomo di pernottamento abbiano i requisiti tipologici e costruttivi (strutture mobili e/o semifisse) previsti dalla legge regionale n. 35/1979 e relativo regolamento; in tal senso le strutture portanti devono essere caratterizzate da facilità di smontaggio al fine di evitare insediamenti a carattere permanente e pertanto l’intera cellula dovrà risultare semplicemente poggiata alla piazzola di base”;
* “che, con riferimento alla porzione di area posizionata a ridosso del litorale, “al fine di salvaguardare gli elementi paesistici di tipo naturale presenti nella zona d’intervento, sia conservato integralmente il cordone dunale con la relativa vegetazione, evitando qualsiasi opera che modifichi sostanzialmente l’attuale conformazione dello stato dei luoghi. Nel caso di presenza del cordone dunale e relativa vegetazione, la zona destinata a piazzale per tende dovrà essere adeguatamente arretrata”.
– In data 8.10.1990 il Ministero dei beni culturali confermò il nulla-osta paesaggistico rilasciato dalla Giunta regionale.
– In data 11.10.1990 il sindaco Fasano rilasciò alla s.p.a. “Praia del Sole” la concessione edilizia n. 4691, ponendo, quali prescrizioni speciali della stessa, quelle già poste dalla Giunta regionale con il nulla-osta paesaggistico del 6.7.1990 (dianzi trascritte).
– La Procura della Repubblica di Lecce, in data 29.11.1990, dispose il sequestro preventivo delle aree che erano state oggetto dell’autorizzazione rilasciata il 28.7.1989, riguardante “la esecuzione di lavori di natura agricola finalizzati alla estirpazione del canneto e relativa compattazione del piano di risulta con materiale di riporto”: detti lavori, infatti, secondo quanto comunicato dal Ministero per i beni culturali ed ambientali, venivano eseguiti in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica.
Lo stesso Ministero comunicò che di tali lavori non era stata fatta menzione nella richiesta di nulla-osta paesaggistico per la realizzazione del campeggio ed invitò la Regione a revocare detto nulla-osta.
– Il Pretore di Lecce – Sezione distaccata di Gallipoli, con sentenza dell’1.4.1994, affermò la responsabilità penale dell’amministratore pro-tempore della s.p.a. “Praia del Sole”, dell’esecutore delle opere e di un amministratore comunale (tutte persone diverse dagli attuali ricorrenti) – in relazione al reato di cui all’ari. 20, lett. c), della legge n. 47/1985 per i lavori eseguiti a seguito del rilascio dell’autorizzazione del 28.7.1989, ed in quel processo il Comune di Gallipoli si costituì parte civile avendo come difensore l’avvocato Flavio Fasano.
– Dopo la restituzione dei terreni sequestrati (disposta il 22.11.1994) lo stesso avvocato Fasano, divenuto frattanto sindaco, concesse alla s.p.a. “Praia del Sole” la proroga di due anni del termine di efficacia della concessione edilizia n. 4691/1990: il relativo provvedimento, del 9.2.1995, evidenziò che (secondo l’assunto della sentenza pretorile) le opere già realizzate dovevano ritenersi “in regola ai fini amministrativi” a seguito del rilascio della concessione edilizia n. 4691 e del nulla-osta paesaggistico per la realizzazione del campeggio.
– La s.p.a. “Praia del Sole” presentò poi n. 8 distinte istanze con cui richiese il rilascio di concessioni in sanatoria per opere edilizie illegittimamente realizzate ed il sindaco Fasano, in data 12.7.1996, concesse i richiesti provvedimenti sananti, omettendo di pronunciarsi soltanto in relazione alle opere di sistemazione del terreno oggetto della concessione edilizia n. 4691 dell’ 11.10.1990, sul presupposto che la sanatoria richiesta doveva considerarsi già assorbita nel menzionato provvedimento concessorio.
– Il vice sindaco Abate, poi, con provvedimento del 14.2.1997, concesse un’ulteriore proroga di 18 mesi (fino al 9 agosto 1998) del termine di efficacia della concessione edilizia n. 4691/1990.
– La s.p.a. “Praia del Sole” chiese all’Assessorato all’urbanistica della Regione Puglia il rinnovo del nulla-osta paesaggistico emesso il 6.7.1990 e l’Assessorato, con nota del 23.3.1998, trasmise l’istanza al competente Comune di Gallipoli, evidenziando che:
* la richiesta doveva considerarsi avere ad oggetto il rilascio di un nuovo nulla-osta e non il rinnovo del precedente:
* le opere realizzande “sembrano ricadere (sia pure parzialmente) nelle immediate adiacente del corso d’acqua pubblico denominato fosso dei Sammari (di cui al RD. 7.4.1904, pubblicato nella G.U. n. 106 del 16.7.1904), [sicché] si reputa necessario procedere in sede comunale a più puntuali accertamenti al fine di valutare se ricorrono o meno i presupposti di cui all’art. 1 della legge regionale 11.5.1990, n. 30 e successive modifiche e proroghe. La predetta legge vieta, infatti, ogni modificazione dell’assetto del territorio nonché qualsiasi opera edilizia nella fascia dei 200 metri al piede degli argini dei corsi d’acqua classificati pubblici”.
– Il Cataldi, quale dirigente dell’ufficio tecnico comunale, (dopo avere acquisito un parere dell’ufficio legale) concesse, in data 9.10.1998, il richiesto ulteriore nulla-osta paesaggistico (n. 67/1998), in cui vennero riprodotte le medesime prescrizioni contenute nel nulla-osta precedente e venne specificato che:
* il nulla-asta in questione, pur dovendo intendersi come “nuovo” rispetto a quello già rilasciato dalla Giunta regionale in data 6.7.1990, costituiva comunque “un provvedimento di sostanziale rinnovo di nulla-osta, in presenza di identica situazione giuridico fattuale, a fronte della quale non sono emerse, all’esito di adeguata istruttoria, circostanze che non consentono di uniformarsi a quanto già assentito” in precedenza dalla stessa Regione;
* a seguito del parere legale acquisito, sulla zona in oggetto non poteva ritenersi sussistente il vincolo di inedificabilità assoluta di cui alla legge regionale n. 30/1990 al quale l’Assessorato regionale aveva fatto riferimento;
*  “in ogni caso, il progettato campeggio, per la minimalità degli interventi che lo caratterizzano
* per l’attenzione che viene riservata agli elementi naturalistici, non risulta in alcun modo aggressivo, meno che mai sotto il profilo panoramico, nei confronti delle aree contermini, ivi compreso il citato canale “dei Seminari”, risultando in contrario ben inserito nel contesto dei luoghi”.
– I lavori di realizzazione del campeggio erano in corso nel novembre del 2004 (epoca in cui non erano ancora ultimati, ad esempio, i passaggi sul canale e le strade interne) e, nel settembre del 2006, era stata realizzata solo una parte delle opere autorizzate, tanto che con DIA n. 68/2006 venne notificata al Comune l’esecuzione di interventi di completamento correlati alla concessione edilizia originaria (piazzole di sosta per campers e tende).
 
Alla stregua di tale ricostruzione fattuale, gli imputati – secondo i giudici del merito – hanno posto in essere una serie di interventi edilizi finalizzati alla realizzazione del campeggio in oggetto:
– in violazione del vincolo di inedificabilità assoluta posto dalla legge regionale n. 30/1990;
– in violazione del vincolo di inedificabilità relativa di cui alla legge n. 431/1985, atteso che la trasformazione del territorio sarebbe avvenuta in violazione delle prescrizioni imposte già nel nulla-osta regionale del 1990 e riprodotte in quello successivamente rilasciato dal dirigente dell’ufficio tecnico comunale nel 1998 con particolare riferimento alla costruzione dei bungalows;
– sulla base di una serie di atti e provvedimenti illegittimi, perché emessi in violazione dei vincoli dianzi indicati.
 
2. Le questioni concernenti la individuazione del vincolo paesaggistico
 
In più ricorsi viene sottoposta all’esame di questa Corte la questione riguardante la individuazione della esistenza, nella zona interessata dalla realizzazione del campeggio, di un vincolo paesaggistico e la esatta qualificazione del vincolo paesaggistico eventualmente esistente.
 
Va rilevato, in proposito, che la legge n. 431/1985 individuò per la prima volta alcune categorie di beni ambientali sottoposti a vincolo paesaggistico in via generale (per una presunzione iuris et de iure della rilevanza dell’interesse paesaggistico di essi), con una disposizione che consisteva nella loro elencazione (in modo del tutto analogo a quanto oggi prevede l’art. 142 del T.U. n. 42/2004) e nell’assoggettamento al regime vincolistico di cui alla legge n. 1497 del 1939.
In tale elencazione rientravano (ed attualmente rientrano):
a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia anche per i terreni elevati sul mare;
…………………
c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d’acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici approvato con r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna.
I vincoli generali – riferiti a beni tutelati per legge in virtù di loro caratteristiche oggettive – avevano ed hanno efficacia immediata “fino all’approvazione dei piani paesaggistici” e tale efficacia non era e non è sospensivamente condizionata a detta approvazione.
Nella vicenda in esame i giudici del merito hanno accertato che l’intervento di realizzazione del campeggio si estende in parte al territorio costiero compreso nella fascia di 300 metri dal mare ed in altra parte al territorio ricompreso nella fascia di 200 metri dal piede del corso d’acqua denominato “fosso dei Sammari”.
 
Lo stesso art.1 della legge n. 431/1985 stabiliva che i vincoli paesaggistici generali in essa previsti non si applicavano “alle zone A e B e – limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione – alle altre zone, come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, e, nei Comuni sprovvisti di tali strumenti, ai centri edificati perimetrati ai sensi dell’art. 18 della legge 22.10.1971, n.865”.
 
La legge della Regione Puglia 11.5.1990, n. 30:
– all’art. 1 disponeva che “Fino all’approvazione, ai sensi della legge regionale 31.5.1980, n. 56 del P. U. T.T. (Piano urbanistico territoriale tematico) del paesaggio e dei beni ambientali, quale piano paesistico territoriale, con specifica considerazione dei valori paesaggistici ed ambientali, previsto dall’art. 1-bis della legge 8.8.1985, n. 431, e dei relativi piani preesistici delle diverse aree sub regionali individuate dal P. U.T. T. e, comunque, non oltre la data del 31 dicembre 1990 [prorogata fino al 31.12.1998 con le leggi regionali nn. 2/1991, 7/1992, 10/1994, 16/1995, 33/1995, 9/1996, 2/97, 2/1998], è vietata omoni modificazione dell assetto del territorio nonché qualsiasi opera edilizia nelle seguenti aree:
a) territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dal confine del demanio marittimo o dal ciglio più elevato sul mare;
c) territori compresi nella fascia di 200 metri dal piede degli argini dei fiumi, torrenti e corsi d’acqua classificati pubblici ai sensi del t.u. sulle acque ed impianti elettrici approvato con r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 e successive integrazioni, nonché dal ciglio più elevato delle gravine o lame”;
– all’art. 2 (come modificato dalla legge regionale 11.2.1991, n. 2 ed anteriormente alle ulteriori modificazioni apportate dalla legge regionale 9.8.1993, n. 14), quale eccezione all’anzidetto divieto di cui all’art. 1, prevedeva che “L’attività edilizia e relative opere di urbanizzazione nei territori costieri di cui al precedente punto l è consentita nelle zone A) e B) previste dagli strumenti urbanistici. Nelle zone C), nelle aree destinate ad insediamenti turistici, artigianali ed industriali sono consentiti gli interventi previsti in strumenti urbanistici esecutivi (piani particolareggiati o piani di lottizzazione) adottati alla data del 6 giugno 1990 a condizione che le aree interessate risultino incluse nei programmi pluriennali di attuazione (P.P.A.) approvati alla stessa data ” (comma 2);
“la realizzazione di tutte le opere è comunque subordinata al rilascio del nulla-osta previsto dall’ara 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, ove le relative aree sono soggette al vincolo paesaggistico di cui alla stessa legge” (comma 6);
– l’art. 2, 2° comma, della legge regionale n. 30/1990, nella sua formulazione originaria, consentiva nelle zone C) gli interventi previsti in strumenti urbanistici esecutivi che risultassero “approvati” alla data del 6 giugno 1990;
– la legge regionale 11.2.1991, n. 2 è intervenuta sulla previsione anzidetta, ammettendo nelle stesse zone C) gli interventi edilizi previsti in strumenti urbanistici esecutivi “adottati” alla data del 6 giugno 1990, a condizione che le aree interessate risultassero incluse nei programmi pluriennali di attuazione (P.P.A.) approvati alla stessa data;
– una modifica ulteriore è stata apportata dalla legge regionale 9.8.1993, n. 14, la quale ha ammesso nelle stesse zone C) gli interventi edilizi previsti in strumenti urbanistici esecutivi “formalmente e regolarmente presentati” alla data del 6 giugno 1990, a condizione che le aree interessate risultassero incluse nei programmi pluriennali di attuazione (P.P.A.) approvati alla stessa data e con obbligo di sottoposizione a “preventivo parere del C.U.R. (Comitato urbanistico regionale), per l’accertamento di non contrasto con le esigenze di tutela delle aree di particolare interesse ambientale paesaggistico”.
 
In ogni caso, comunque, la stessa legge regionale n. 30/1990, anche in seguito alle modifiche ad essa successivamente apportate, introduce – ex art. 1 ter della legge statale n. 431/1985 – vincoli di inurrodificabilità assoluti, esplicitamente funzionalizzati ad impedire modificazioni territoriali in vista della redazione “del P.U.T.T. (piano urbanistico territoriale tematico) del paesaggio e dei beni ambientali, quale piano paesistico territoriale, con specifica considerazione dei valori paresaggistici ed ambientali, previsto dall ‘art. 1 bis della legge 8.8.1985, n. 431, e dei relativi piani paesistici delle diverse aree sub regionali individuate dal P.U.T.T.” e disciplina le deroghe soltanto a vincoli siffatti ma non al vincolo c.d. relativo, previsto dalla legge Galasso e dalla stessa legge regionale confermato, che prescrive il necessario consenso della P.A. per la verifica della compatibilità paesistico-ambientale (vedi, sul punto, Cass., Sez. III: 26.3.2001, n. 11716, Matarrese ed altri; 21.1.1997, Volpe ed altri).
 
Le disposizioni di cui al D.L. n. 312/1985, convertito nella legge n. 431/1985, “costituiscono norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica” (art. 2 della legge n. 431), sicché esse impongono un limite espresso al potere legislativo regionale concorrente nelle materie di cui all’art. 117 della Costituzione (vedi Corte Cost.: nn. 35/1957, 105/1957, 44/1967 e 120/1969).
Le norme della legge Galasso, pertanto, non possono essere modificate da disposizioni regionali successive, le quali, se contrastassero con i principi fissati da detta legge statale, sarebbero viziati da illegittimità costituzionale e, sempre secondo l’insegnamento del Giudice delle leggi, la possibilità per il legislatore regionale di modificare le previsioni della legge Galasso deve ritenersi limitata alle sole prescrizioni ampliative del vincolo paesaggistico, essendo esclusa la possibilità di intaccare, con legge o provvedimento regionale, la tutela “minimale” preordinata dalla legge n. 431/1985 (vedi Corte Cost: n. 327/1990, in riferimento al piano paesistico della Regione Emilia Romagna, estendente all’intero territorio regionale il vincolo paesaggistico introdotto alla legge n. 431; nonché n. 110/1994, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, lett. a, della legge regionale del Piemonte n. 20 del 3.4.1989, estendente l’ambito delle zone di particolare interesse ambientale sottratte al vincolo paesaggistico).
 
La legge n. 30/1990 della Regione Puglia (e le successive modificazioni introdotte con le leggi regionali nn. 2/1991 e 14/1993) impone – come si é detto – misure di salvaguardia sostanzialmente ampliative della tutela “minimale” preordinata dalla legge n. 431/1985. Le deroghe si riferiscono a tale ampliamento del regime di immodificabilità assoluta e non all’imposizione del vincolo.
 
La giurisprudenza costante di questa Corte è orientata nel senso che l’esclusione del vincolo paesaggistico di cui all’art. 1 della legge n. 431/1985 é limitata sul piano temporale e non va estesa oltre le previsioni letterali di legge, sicché le zone di espansione edilizia di cui agli strumenti urbanistici comunali, ancorché parzialmente edificate, sono soggette a controllo paesaggistico per le ulteriori modificazioni qualora non siano state incluse in un programma pluriennale di attuazione vigente al momento dell’entrata in vigore della legge Galasso.
E, nella vicenda in esame, i giudici del merito hanno accertato che le aree interessate dall’intervento complessivo di realizzazione del campeggio, alla data del 6 settembre 1985 (data di entrata in vigore della legge n. 431/1985), non erano incluse in un programma pluriennale di attuazione (P.P.A.) né in uno strumento urbanistico esecutivo.
 
Per quanto riguarda il regime derogatorio posto dall’art. 2, 2° comma, della legge regionale n. 30/1990, il TAR. Puglia – Lecce, con la sentenza 20 maggio – 18 giugno 2009 (allegata al ricorso proposto nell’interesse di Pelloni e Carriero) – avendo ritenuto che il Piano per gli insediamenti turistici all’aperto lungo la fascia costiera approvato il 26.11.1987 sia “caratterizzato da un grado di dettaglio tale da poter essere parificato ad uno strumento urbanistico esecutivo” – ha rilevato che l’area in oggetto, con delibera. 4.10.1988, n. 250 della Giunta comunale, “é stata inserita nel II Piano pluriennale di attuazione, che in precedenza non la comprendeva” (trattasi del P.P.A. adottato con delibera del Consiglio comunale del 7.11.1986 ed approvato il 14.12.1987).
 
Il programma pluriennale di attuazione, però, deve essere adottato ed approvato dal Consiglio comunale, sicché esso non può essere modificato con deliberazione di Giunta.
Nella specie, deve ritenersi pertanto che, in seguito all’entrata in vigore della legge regionale 11.2.1991, n. 2, l’intervento per il quale erano stati rilasciati la concessione edilizia n. 4691/1990 ed il nulla osta paesaggistico regionale del 6.7.1990 divenne illegittimo, perché non legittimamente incluso in un programma pluriennale di attuazione vigente alla data dei 6 giugno 1990, e parte del territorio interessato dalla realizzazione del campeggio divenne sottoposto a vincolo di inedificabilità assoluta, non potendosi applicare la deroga di cui all’art. 2, 2° comma, della legge regionale n. 30/1990.
Nel febbraio del 1991, inoltre, come rilevato dal giudice di primo grado, la trasformazione del territorio già realizzata non aveva prodotto una irreversibile modificazione dello stesso per dimensioni e consistenza (alla stregua dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 23.4.1993, Gifuni), essendo state eseguite soltanto le opere di estirpazione dei canneti e di colmatura del suolo, sicché i titoli abilitati rilasciati nel 1990 cessarono di avere efficacia, a cagione della nuova disciplina normativa intervenuta, ed essi, in particolare, non potevano essere prorogati.
 
2.1 Il nulla-osta rilasciato dalla Giunta regionale in data 6.7.1990 imponeva poi le imprescindibili condizioni di cui si é dato conto dianzi (ribadite anche con la concessione edilizia n. 4691/1990) e dette condizioni non sono state rispettate essenzialmente perché i bungalows in concreto edificati (cioè gli allestimenti previsti per gli ospiti sprovvisti di mezzo autonomo di pernottamento) non hanno strutture portanti caratterizzate da facilità di smontaggio e non sono stati semplicemente appoggiati alle piazzole di base. Si tratta, invece, di veri e propri mini-appartamenti in cemento, aventi ciascuno superficie di 45 mq., stabilmente infissi al suolo a mezzo di fondazione in calcestruzzo armato, la cui realizzazione configura quell’insediamento a carattere permanente che il provvedimento autorizzativo espressamente escludeva ed intendeva evitare.
Anche il nulla-osta rilasciato dal Cataldi in data 9.10.1998 riproduceva le medesime prescrizioni contenute nel precedente omologo provvedimento regionale, esso inoltre si fondava sull’espresso presupposto della “presenza di una identica situazione giuridico fattuale” rispetto a quella valutata dalla Regione nel 1990, laddove invece quel funzionario aveva acquisito conoscenza diretta che sul terreno erano state realizzate opere di colmata che avevano stravolto la altimetria dei luoghi, innalzando il suolo di un metro e devastando le peculiari caratteristiche ambientali del sito fino a ridosso delle dune e del mare, sicché alla Regione la rappresentazione dei luoghi era stata effettuata in maniera travisata.
 
Irrilevante è la circostanza che la legge regionale 11.2.1999, n. 11 abbia modificato la disciplina delle strutture ricettive precedentemente regolata dalla legge regionale 20.6.1979, n. 35 (contestualmente abrogata), eliminando – a proposito dei “campeggi” – la figura delle “strutture sentisse” e prevedendo (all’art. 17) la possibilità di realizzazione di “unità abitatile fisse dotate di tutti servizi per ospitare turisti sprovvisti di mezzi di pernottamento autonomi”. Per tali unità abitative, infatti (il cui numero massimo non può essere superiore a 30 unità per ettaro e non può superare il 25% della ricettività complessiva del campeggio), sarebbe stato necessario il rilascio di apposita e nuova concessione edilizia, ai sensi del 2° comma del medesimo art. 17, nonché di specifica autorizzazione paesaggistica.

3. Il vincolo paesagitico sul territorio costiero
 
La legge 31.5.1980, n. 56 della Regione Puglia vietava qualsiasi opera di edificazione entro la fascia di 300 metri dal confine del demanio marittimo o dal ciglio più elevato sul mare (prevedendo un regime demgatorio “per gli strumenti urbanistici vigenti o adottati” alla data di entrata in vigore della legge medesima).
La Corte territoriale, sul punto, ha rilevato che negli atti di impugnazione non era posto alcun motivo di appello in relazione alle relative statuizioni della sentenza di primo grado, sicché le stesse dovevano essere “pacificamente confermate”.
Nel ricorso proposto nell’interesse di Pelloni e Carriero, si sostiene che:
a) la mancanza di confutazioni nei motivi di appello si spiegava in quanto nella fascia costiera era prevista soltanto la realizzazione di “360 posti tenda”, per i quali non era stata contestata alcuna illegittimità;
b) la disciplina applicabile è quella posta dalla successiva legge regionale n. 30/1990, che sicuramente consentiva di intervenire anche “a meno di 300 metri dal mare”.
Trattasi di doglianze infondate, tenuto conto che la contestazione ha riguardato l’intervento unitario, comprensivo anche dei posti tenda e della sistemazione degli spazi ad essi destinati, e che la legge regionale n. 30/1990 (come si è illustrato dianzi) non può essere interpretata nel senso dell’inesistenza del vincolo costiero nel territorio in oggetto.
 
4. Il vincolo paesaggistico connesso al c.d. canale dei Serri
 
Dall’interpretazione letterale, logica e sistematica dell’art. 1, lett. c), della legge n. 431/1985 (ed attualmente dell’art. 142, comma 1 ° – lett. c, del D.Lgs. n. 42/2004) si evince che i fiumi e i torrenti sono ex se soggetti a tutela paesaggistica, a prescindere dall’iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche.
Tale iscrizione ha efficacia costitutiva del vincolo solo per i corsi d’acqua diversi dai fiumi e dai torrenti in quanto acque fluenti di minore dimensioni e importanza (vedi C. Stato, sez. IV, 17.7.2002, n. 3990).
Nella vicenda in oggetto il c.d. ‘fosso dei San mari’, pur non essendo fiume o torrente: – risulta inserito nell’elenco principale delle acque pubbliche della provincia di Lecce di cui al R.D. 7.4.1904, n. 2221;
– non esiste altro elenco che richiami direttamente il successivo R.D. 11.12.1933, n. 1775 (abrogato dall’art. 2 del D.P.R. 18.2.1999, n. 238 ma vigente all’epoca dei fatti), il cui art. 1, al secondo comma, stabiliva che le “acque pubbliche sono iscritte, a cura del Ministero dei lavori pubblici, distintamente per province, in elenchi da approvarsi per decreto reale, su proposta del Ministro dei lavori pubblici”;
– sono stati però approvati (rispettivamente il 7.12.1951 ed il 23.5.1978) due elenchi suppletivi che fanno riferimento sia al R.D. n. 2221/1904 sia al R.D. n. 1775/1933 e dal tenore degli stessi razionalmente i giudici del merito hanno dedotto che l’elenco principale delle acque pubbliche della provincia di Lecce, anche ai sensi del R.D. n. 1775/1933, sia quello già redatto ai sensi del R.D. n. 2221/1904 e successivamente integrato con gli elenchi suppletivi anzidetti.
 
5. La condotta del De Masi quale esecutore dei lavori
 
Nel ricorso proposto nell’interesse del De Masi si sostiene la tesi della non-punibilità sotto il profilo della ignoranza inevitabile, ai sensi dell’art. 5 cod. pen., come integrato dalla sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale.
 
Ineccepibili appaiono però, sul punto, le argomentazioni svolte dalla Corte di merito, secondo le quali l’ignoranza della legge penale è incolpevole e scusa l’autore dell’illecito solo qualora egli abbia assolto con diligenza al c.d. “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione in materia (vedi Cass., Sez. Unite, 18.7.1994, n. 8154). A tale obbligo – che è particolarmente rigoroso per coloro che svolgono professionalmente un’attività imprenditoriale edile – il ricorrente non ha dimostrato di avere dato puntuale adempimento.
 
6. I motivi riferiti nei ricorsi a pretesi vizi procedurali ed al trattamento sanzionatorio
 
6.1 Quanto alla eccepita nullità dell’interrogatorio reso dal De Masi in data 22.7.2002, per pretesa violazione dell’art. 65 c.p.p., la Corte territoriale ha evidenziato come, in concreto, l’indagato avesse piena conoscenza degli elementi di prova esistenti a suo carico (emergenti dalle informative 15 e 23 giugno della polizia municipale di Gallipoli e dalle consulenze tecniche svolte dall’ingegnere Vernaleone e dall’architetto Litti).
L’eccezione di nullità, inoltre, non venne proposta alla prima udienza di trattazione tenuta dal Tribunale.
 
6.2 All’udienza del 5.11.2004 il P.M. precisò il capo di imputazione formulato nel decreto di rinvio a giudizio, esplicitando espressamente che i reati contravvenzionali “permanenti” dovevano ritenersi ancora in corso.
I difensori di Pelloni, Carriero e De Masi chiesero “termini a difesa” ma questi vennero negati sul presupposto che, trattandosi di reati per loro natura permanenti, la contestazione formulata con il semplice richiamo alla data di accertamento dell’illecito esclude Ia necessità dell’ulteriore contestazione dei successivi momenti di protrazione della permanenza.
A fronte dell’eccezione di nullità ex art. 522 c.p.p., formulata con i motivi di appello, la Corte territoriale ha condiviso le argomentazioni svolte dal Tribunale, rilevando che “nel capo di imputazione era lasciata aperta la contestazione della permanenza”, sicché la precisazione effettuata dal P.M. in udienza (quanto alla collocazione temporale della attività di edificazione) non aveva inciso sulla correlazione tra accusa e sentenza e, ricollegandosi alle emergenze dibattimentali già acquisite, si era posta come mera constatazione di una protrazione della condotta edificatoria illecita sulla quale le parti avevano ampiamente dedotto nel pieno esercizio del diritto di difesa.
Trattasi di argomentazioni non censurabili, in quanto la contestazione di un reato permanente, per l’intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l’elemento del perdurare della condotta antigiuridica e, qualora il P.M. si sia originariamente limitato ad indicare soltanto la data iniziale (o la data dell’accertamento) – senza procedere ad individuare specificamente nel tempo il momento terminale – la permanenza intesa come dato della realtà deve ritenersi compresa nell’imputazione, sicché l’interessato è chiamato a difendersi nel processo (in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo), oltre che in ordine alla parte già realizzata della fattispecie criminosa, anche in ordine a quella successiva ricompresa nell’intero sviluppo della stessa ed emergente dall’istruttoria dibattimentale, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta illecita formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell’azione penale [vedi Cass., Sez. Unite: 26.11 .1994, n. 11930 e 21.10.1998, n. 11021].
 
6.3 Nella ricostruzione delle condotte tenute dal sindaco Fasano non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 521 c.p.p.
 
Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, il principio della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza non va inteso in senso rigorosamente formale o meccanicistico ma, conformemente al suo scopo ed alla sua funzione, in senso realistico e sostanziale.
La verifica dell’osservanza di detto principio non può esaurirsi, quindi, in un pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza, ma va condotta sulla base della possibilità assicurata all’imputato di difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto, sicché deve escludersene la violazione ogni volta che non sia ravvisabile pregiudizio delle possibilità di compiuta difesa.
Le Sezioni Unite – con la sentenza n.16 del 22.10.1996, ric. Di Francesco – hanno affermato, in particolare, che “con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l ‘ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione” e “… vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione”.
Nella specie, i contenuti essenziali degli addebiti mossi al Fasano risultano riferiti, nel capo di imputazione, alla adozione di provvedimenti amministrativi specificamente indicati, considerati illegittimi per violazione di disposizioni di legge riguardanti l’edificazione in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, ed i giudici del merito non hanno fondato le pronunzie di condanna sulla valutazione di condotte ulteriori e diverse rispetto a quelle contestate. Non è ravvisabile, pertanto, alcuna immutazione sostanziale dell’addebito, in relazione al quale l’imputato ha avuto piena possibilità di difendersi.

6.4 Con argomentazioni corrette e’ stata esclusa la prospettata violazione sostanziale del principio del “ne bis in idem” di cui all’art. 649 c.p.p., in relazione alla sentenza emessa dal Pretore di Gallipoli l’1.4.1994.
 
Quella sentenza, infatti, è stata pronunciata nei confronti di soggetti diversi dagli attuali ricorrenti, i quali, nel giudizio in esame, non sono stati condannati per i c.d. lavori “di colmatura” e quei lavori, le cui modalità di esecuzione sono state verificate nel precedente giudizio, sono stati valutati quale mero presupposto delle successive condotte costituenti oggetto dell’ulteriore giudizio.
Il divieto del “ne bis in idem”, stabilito dall’art. 649 c.p.p., postilla una preclusione derivante dal giudicato formatosi “per lo stesso fatto e per la stessa persona” e l’identità del fatto sussiste soltanto quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.
 
6.5 in seguito alla declaratoria di prescrizione della contravvenzione di cui all’art. 734 cod. pen. (ascritta a tutti gli imputati) e del delitto di cui all’art. 323 cod. pen. (contestato al solo Cataldi), la Corte di merito ha rilevato che in primo grado non era stato calcolato alcun aumento per la continuazione in relazione alla contravvenzione di alterazione delle bellezze naturali e, quanto al Cataldi, ha proceduto a nuova ed autonoma determinazione della pena complessiva, parametrandola correttamente alla pena-base inflitta per il residuo delitto di falso (mentre il primo giudice aveva ritenuto più grave il delitto di abuso di ufficio) e non computando alcun aumento per il reato di cui all’art. 734 cod. pen.
 
7. L’eccezione di intervenuta prescrizione delle contravvenzioni
 
Le contravvenzioni di cui alla legge n. 47/1985 e al D.Lgs. n. 490/1999 non sono prescritte.
Trattandosi di reati permanenti e tenuto conto degli elementi di fatto evidenziati dalla Corte di merito alle pagg. 20 e 21 della sentenza impugnata che tale permanenza hanno ritenuto protratta “almeno fino a tutto il 2006”, il termine di prescrizione deve farsi decorrere dalla data della sentenza di primo grado (25.2.2005), sicché la scadenza di esso coinciderebbe con il 25.8.2009.
Va computata, però (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese) una sospensione del corso della prescrizione per complessivi anni 1, mesi 11 e giorni 28, in seguito a rinvii disposti su richiesta dei difensori [dal 4.7.2003 al 21.11.2003; dal 7.3.2007 al 26.9.2007; dal 17.3.2008 all’ 1.7.2008; dal 17.6.2010 al 25.1.2011 ] non per esigenze di acquisizione della prova né a causa del riconoscimento di termini a difesa.
D termine ultimo di prescrizione resta perciò fissato al 25.8.2011, non potendosi connettere alcuna rilevanza al provvedimento di sequestro disposto il 20 giugno e revocato il 10 luglio 2000.
L’assunto (prospettato soltanto con i “motivi aggiunti” depositati il 5.1.2011) secondo il quale la parte dei lavori eseguiti dalla società rappresentata dal De Masi sarebbe stata ultimata nell’anno 2000 inerisce a circostanze di fatto e, per la estrema genericità della sua formulazione, non consente il controllo di legittimità riservato a questa Corte.
 
8. Il delitto di falso ascritto al Cataldi
 
I giudici del mento, sul punto:
– hanno ampiamente illustrato le ragioni per le quali il nulla-osta paesaggistico n. 67/1998 deve considerarsi falso: non in ragione del suo contenuto valutativo in merito alla compatibilità dell’intervento con l’assetto del territorio e con il paesaggio; bensì in riferimento all’indicazione della circostanza di fatto della “non modificazione dell’area” rispetto all’epoca in cui era stato rilasciato il primo nulla-osta regionale;
– hanno minuziosamente spiegato, anche con riferimento all’elemento soggettivo del delitto, le ragioni per le quali il Cataldi era sicuramente a conoscenza delle (notevoli e tutt’altro che “minimali”) modificazioni territoriali frattanto intervenute (plurimi sopralluoghi effettuati personalmente; dubbi manifestati dagli uffici regionali sulla effettiva consistenza dello stato dei luoghi);
– si sono correttamente attenuti ai consolidati principi di diritto secondo i quali: a) può dirsi falso l’enunciato valutativo che sia fondato su premesse contenenti false attestazioni (Cass., Sez. V, 18.3.1999, n. 3552, Andronico); b) anche gli atti che attestano i risultati degli accertamenti compiuti da un pubblico ufficiale possono integrare il delitto di falsità ideologica, ex art. 479 cod. pen., non avendo rilevo il fatto che si tratti di accertamenti implicanti valutazioni, dal momento che anche la valutazione, quando rappresenti falsamente la realtà, può essere falsa (vedi Cass., Sez. V, 31.1.2000, n. 1004, Moro);
– non hanno ritenuto sussistente, a carico del Cataldi, un obbligo giuridico di impedire l’evento criminoso; ma hanno invece illustrato la sua concreta partecipazione alla causazione della illegittimità dell’edificazione.
 
9. La costituzione di parte civile del Comitato regionale pugliese di Legambiente e la liquidazione dei danni
 
Quanto alla costituzione di parte civile del Comitato regionale pugliese di Legambiente, nei ricorsi del Cataldi e del De Masi si lamenta che detto Comitato non potrebbe considerarsi “persona offesa” dai reati per i quali si é proceduto, trattandosi di un ente rappresentativo di interessi diffusi, legalmente riconosciuto, che avrebbe potuto costituirsi parte civile solo nei limiti e nei termini di cui agli artt. 91 e 92 c.p.p.
Va ribadita in proposito, invece, la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale le associazioni ambientaliste – pure dopo l’abrogazione delle previsioni di legge che le autorizzavano a proporre, in caso di inerzia degli enti territoriali, le azioni risarcitorie per danno ambientale (art. 9, comma 3, del D.Lgs. n. 267/2000, abrogato dall’art. 318 del D.Lgs. n 152/2006) – sono legittimate alla costituzione di parte civile “iure proprio” nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all’ambiente e possono richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale patito dal sodalizio a causa del degrado ambientale, in virtù del principio fondamentale in tema di nocumento ingiusto risarcibile enucleabile dall’art. 2043 cod. civ. (vedi Cass., sez.111: 16.4.2010, n. 14828; 11.5.2009, n 19883).
Le associazioni ambientaliste, dunque, sono legittimate a costituirsi parte civile quando (come nel caso in esame) perseguano un interesse non caratterizzato da un mero collegamento con quello pubblico, bensì concretizzatosi in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo: in tal caso l’interesse all’ambiente cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato.
Il Collegio condivide, inoltre, l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il danno non patrimoniale costituisce “danno-conseguenza” e non già “danno-evento” (Cass., Sez. Unite civ., 11.11.2008, n. 26972), sicché esso non si connette, come una specie di pena privata, al mero accertamento della compressione formale del bene ambiente.
Nella vicenda che ci occupa, peri, la Corte territoriale non ha affermato che la compromissione del bene ambiente costituisce di per sé danno non patrimoniale. Ha tenuto in conto, invece, facendo legittimo ricorso alla c.d. “prova presuntiva” (integrata da presunzioni logiche e fatti notori), il pregiudizio effettivamente arrecato all’immagine dell’associazione ambientalista (discredito derivante dalla frustrazione dei fini statutari perseguiti in loco e vanificazione delle attività svolte dall’ente per la valorizzazione e la tutela del sito anche attraverso la sensibilizzazione deIl’opinione pubblica a livello locale e nazionale).

10. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 
P.Q.M
 
La Corte Suprema di Cassazione,
visti gli arti. 607, 615 e 616 c.p.p.,
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. 
 
ROMA, 25 gennaio 2011
 

 

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