DIRITTO SANITARIO – Reato di commercio o somministrazione di medicinali guasti – Mera detenzione per la somministrazione – Esposizione a pericolo del bene giuridico – Tentativo – Consapevolezza del guasto o della imperfezione del medicinale – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Correlazione fra imputazione e sentenza – Mutamento del fatto – Trasformazione radicale – Mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale. (massima a cura di Francesco Camplani)
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 1^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 5 Maggio 2022
Numero: 18002
Data di udienza: 22 Febbraio 2022
Presidente: BONI
Estensore: RENOLDI
Premassima
DIRITTO SANITARIO – Reato di commercio o somministrazione di medicinali guasti – Mera detenzione per la somministrazione – Esposizione a pericolo del bene giuridico – Tentativo – Consapevolezza del guasto o della imperfezione del medicinale – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Correlazione fra imputazione e sentenza – Mutamento del fatto – Trasformazione radicale – Mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale. (massima a cura di Francesco Camplani)
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.1^, 5 maggio 2022 (Ud. 22/02/2022), Sentenza n.18002
DIRITTO SANITARIO – Reato di commercio o somministrazione di medicinali guasti – Mera detenzione per la somministrazione – Esposizione a pericolo del bene giuridico – Tentativo – Consapevolezza del guasto o della imperfezione del medicinale.
Ai fini dell’accertamento della idoneità e direzione non equivoca degli atti è necessario verificare, innanzitutto, quale sia il proposito criminoso dell’agente, onde stabilire, in seconda battuta, la capacità della condotta di determinare l’esposizione a pericolo del bene giuridico, in particolare, per quanto qui di rilievo, il grado di sviluppo della condotta, tale da poter esprimere, in termini oggettivi, la proiezione verso il risultato offensivo. Nella specie, in relazione al reato di commercio o somministrazione di medicinali guasti, la mera detenzione per la somministrazione, alla luce dei principi di legalità e tassatività della norma penale, può integrare unicamente l’ipotesi del tentativo ove essa configuri atto idoneo diretto in modo non equivoco alla somministrazione e sia accompagnata dalla consapevolezza del guasto o della imperfezione del medicinale.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Correlazione fra imputazione e sentenza – Mutamento del fatto – Trasformazione radicale – Mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale.
In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa e dovendo la violazione stimarsi come del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione. Nella specie, deve escludersi che la qualificazione in termini di delitto tentato di una fattispecie contestata come consumata possa configurare la prospettata violazione processuale, non ravvisandosi alcuna trasformazione radicale nella descrizione del fatto, né alcun vulnus ai diritti di difesa, pienamente esplicatasi nell’arco dei due gradi di giudizio.
(annulla parzialmente ordinanza della CORTE DI APPELLO DI BARI del 21/6/2021) Pres. BONI, Rel. RENOLDI, Ric. Ciuchea
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.1^, 05/05/2022 (Ud. 22/02/2022), Sentenza n.18002SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Ciuchea Alina Mihaela, nata il xxx in Botosani (Romania),
avverso l’ordinanza della CORTE DI APPELLO DI BARI in data 21/6/2021;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
letta la requisitoria scritta presentata ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Stefano Tocci, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 2454/21 in data 21/6/2021, la Corte di appello di Bari confermò la sentenza del Tribunale di Bari in data 27/1/2020, emessa all’esito di giudizio abbreviato, con la quale Alina Mihaela Ciuchea era stata condannata, con la diminuente del rito, alla pena, condizionalmente sospesa, di due mesi di reclusione e di 80,00 euro di multa in quanto riconosciuta colpevole del delitto di cui agli artt. 56, 443 cod. pen., così riqualificata l’originaria contestazione, per avere, in concorso con il Direttore sanitario del presidio di riabilitazione denominato “Padre Pio”, con sede in Capurso, in qualità di infermiera professionale presso il medesimo, detenuto per la successiva somministrazione, all’interno dello stesso presidio, 17 confezioni di medicinali di vario genere, scaduti di validità; fatto accertato in Capurso in data 1/1/2016.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la stessa Ciuchea per mezzo del difensore di fiducia, avv. Rosavio Greco, deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 56 cod. pen. in relazione all’art. 443 cod. pen. e ai criteri di imputazione soggettiva della condotta ai sensi degli artt. 42 e 43, primo comma, primo capoverso, cod. pen.
Sotto un primo profilo, difetterebbe, nella specie, il requisito della univocità degli atti diretti alla commissione del delitto, essendo stata la responsabilità dell’imputata costruita sull’omesso controllo delle scadenze dei farmaci con il
pericolo che essi fossero somministrati in conseguenza della omessa vigilanza, espressione di culpa in vigilando, laddove il delitto previsto dall’art. 443 cod. pen. avrebbe, invece, natura ontologicamente dolosa. Invero, l’avere ritenuto che l’imputata fosse responsabile in quanto «nella sua posizione di coordinatrice infermieristica e di caposala» e non perché ella avesse posto in essere atti diretti in modo non equivoco «alla successiva ed effettiva somministrazione» violerebbe i criteri di imputazione soggettiva regolati dagli artt. 42 e 43, primo comma, primo capoverso, cod. pen.
Sotto altro aspetto, si deduce che la Corte barese avrebbe individuato, a carico di Ciuchea, un obbligo, derivante dalla sua posizione di coordinatrice infermieristica e di caposala, di «esercitare in prima persona un assiduo controllo dei farmaci che, sempre sotto la sua responsabilità, in base ovviamente alle prescrizioni del personale medico, erano destinati ad essere somministrati agli assistiti»; obbligo che sarebbe stato violato, con una responsabilità da omissione di controllo dalla quale la Corte territoriale avrebbe fatto discendere, in via residuale, la tesi del dolo eventuale, avendo ella accettato «il rischio concreto e grave che ai degenti fossero somministrati farmaci scaduti da tempi diversi» (pag. 14). Tuttavia, il dolo eventuale sarebbe ontologicamente incompatibile con la direzione univoca degli atti compiuti nel tentativo, presupponente il dolo diretto.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 521, comma 1, cod. proc. pen. in relazione all’art. 6, comma 3, lett. b), Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e all’art. 111, terzo comma, Cost. per avere il primo Giudice riqualificato la originaria imputazione di cui all’art. 443 cod. pen. secondo lo schema del delitto tentato e, dunque, «a sorpresa», posto che il tentativo presenterebbe, sia nell’elemento materiale che nell’elemento psicologico, tipizzazioni ontologicamente differenti da quelle contemplate nella forma consumata. Il Tribunale, dunque, avrebbe dovuto preventivamente rendere edotte le parti circa la possibilità della diversa qualificazione, nel rispetto dell’art. 6, comma 3, lett. b), Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della garanzia del giusto processo ex art. 111 Cost.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, deve essere accolto per quanto di ragione.
2. Muovendo, secondo l’ordine logico, dall’analisi del secondo motivo di doglianza, le considerazioni difensive in esso sviluppate appaiono manifestamente infondate.
Invero, costituisce principio giurisprudenziale consolidato che in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa e dovendo la violazione stimarsi come del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051- 01). Ne consegue che, così come deve ritenersi esclusa ogni immutazione del fatto nella qualificazione, come consumata, di una fattispecie contestata nella forma tentata (Sez. 5, n. 44862 del 6/10/2014, Moldovan, Rv. 261286 – 01), così deve escludersi, a fortiori, che la qualificazione in termini di delitto tentato di una fattispecie contestata come consumata possa configurare la prospettata violazione processuale, non ravvisandosi alcuna trasformazione radicale nella descrizione del fatto, né alcun vulnus ai diritti di difesa, pienamente esplicatasi nell’arco dei due gradi di giudizio.
3. Il primo motivo è, invece, parzialmente fondato.
3.1. Va premesso che l’art. 443 cod. pen., rubricato «commercio o somministrazione di medicinali guasti», punisce il fatto di colui il quale «detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti». Benché un primo orientamento consideri le nozioni di «commercio e somministrazione» come un’endiadi e ritenga, pertanto, equivalenti la detenzione per il commercio e la detenzione per la somministrazione di medicinali guasti, siccome entrambe idonee a porre in pericolo il bene tutelato dalla norma incriminatrice (così Sez. 1, n. 7311 del 21/12/2015, dep. 2016, Marziani, non massimata; Sez. F, n. 39051 del 28/8/2008, Saponara, Rv. 241154 – 01; Sez. 1, n. 27923 del 19/5/2004, Moschella, Rv. 228803 – 01; Sez. 1, n. 7476 del 5/5/1994, Coturri, Rv. 198366 – 01; Sez. 4, n. 11040 del 9/10/1987, Renzicchi, Rv. 176871 – 01), altro indirizzo, qui condiviso, ritiene invece che la detenzione per la somministrazione di farmaci scaduti non integri l’ipotesi consumata. Ciò in ragione del tenore testuale della previsione, che fa riferimento «alla detenzione per il commercio, alla messa in commercio ed alla somministrazione» di tali medicinali, di tal che la mera detenzione per la somministrazione, alla luce dei principi di legalità e tassatività della norma penale, può integrare unicamente l’ipotesi del tentativo ove essa configuri atto idoneo diretto in modo non equivoco alla somministrazione e sia accompagnata dalla consapevolezza del guasto o della imperfezione del medicinale (cosi Sez. 1, n. 24704 del 26/2/2015, Appio, Rv. 263923-01; Sez. 4, n. 9359 del 30/6/2000, Marzorati, Rv. 216931-01; Sez. 1, n. 3198 del 12/1/1999, Camoirano, Rv. 212633-01; Sez. 1, n. 999 del 17/12/1997, dep. 1998, Barbiera, Rv. 209684-01; Sez. 1, n. 4140 del 10/2/1995, Sciutto, Rv. 200793-01).
3.2. Sempre in premessa, va altresì ricordato che il delitto tentato ricorre, ai sensi dell’art. 56 cod. pen., nel caso in cui l’agente abbia posto in essere «atti idonei e diretti in modo non equivoco» a cagionare un determinato risultato offensivo, costituito, nel tentato omicidio, dalla morte di una persona. I due requisiti della «idoneità degli atti» e della «direzione non equivoca» degli atti vengono ricostruiti, dalla giurisprudenza di legittimità, secondo ormai consolidate coordinate sistematico-interpretative. La prima nozione rinvia alla capacità della condotta posta in essere dall’agente di realizzare il risultato tipico, costituito dal reato consumato; capacità che viene valutata alla stregua del paradigma della cd. prognosi postuma a base parziale. In altri termini, successivamente al mancato verificarsi della consumazione del reato voluto dall’agente, deve essere esperito un tipico giudizio controfattuale, realizzato riportando la sequenza criminosa al momento della estrinsecazione della condotta e ipotizzando se fosse probabile, in tale frangente, la verificazione del risultato tipico voluto, assumendo quale base del relativo giudizio il complesso delle circostanze conosciute o conoscibili dall’agente in quella fase dell’iter criminis (Sez. 1, n. 32851 del 10/6/2013, Ciancio Cateno, Rv. 256991-01; Sez. 2, n. 44148 del 7/7/2014, Guglielmino, Rv. 260855- 01; Sez. 2, n. 36311 del 12/7/2019, Raicevic, Rv. 277032-01). Quanto, poi, alla direzione non equivoca degli atti, una più risalente ipotesi interpretativa richiedeva la realizzazione di atti esecutivi, ossia di atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata, indicando la univocità degli atti non un parametro probatorio, ma un criterio di essenza e una caratteristica oggettiva della condotta (Sez. 1, n. 9411 del 7/1/2010, Musso, Rv. 246620-01; Sez. 1, n. 40058 del 24/9/2008, Cristello, Rv. 241649-01; Sez. 3, n. 16084 del 25/10/1978, Marotta, Rv. 140639-01).
Tuttavia, la giurisprudenza più recente ritiene che la nozione in parola postuli la realizzazione non già di atti esecutivi veri e propri, quanto piuttosto di quegli atti che, pur eventualmente classificabili come preparatori, facciano, comunque, fondatamente ritenere che l’agente, avendo maturato uno specifico proposito criminoso e avendo definitivamente approntato il relativo piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo (Sez. 2, n. 7 25264 del 10/3/2016, Colombo, Rv. 267006-01; Sez. 2, n. 40912 del 24/9/2015, Amatista, Rv. 264589-01; Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, D’Angelo, Rv. 254106-01); di tal che l’azione, in rapporto allo sviluppo raggiunto dall’iter criminis, abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato (Sez. 5, n. 36422 del 17/5/2011, Bellone, Rv. 250932-01; Sez. 2, n. 41649 del 5/11/2010, Vingiani, Rv. 248829-01), salvo che si verifichino eventi non prevedibili, indipendenti dalla volontà dello stesso agente, che ne impediscano la realizzazione (Sez. 5, n. 18981 del 22/2/2017, Macori, Rv. 269931-01).
3.3. Pertanto, ai fini dell’accertamento della idoneità e direzione non equivoca degli atti è necessario verificare, innanzitutto, quale sia il proposito criminoso dell’agente, onde stabilire, in seconda battuta, la capacità della condotta di determinare l’esposizione a pericolo del bene giuridico, in particolare, per quanto qui di rilievo, il grado di sviluppo della condotta, tale da poter esprimere, in termini oggettivi, la proiezione verso il risultato offensivo. In tale prospettiva, va, peraltro, ribadito che la consolidata giurisprudenza di legittimità esclude la compatibilità tra il requisito della direzione non equivoca degli atti, proprio del delitto tentato, e l’accettazione dell’evento, propria del dolo eventuale (tra le molte, Sez. 6, n. 14342 del 20/3/2012, R., Rv. 252565-01).
3.4. Nel caso qui esaminato, tuttavia, la motivazione delle sentenze di merito appare non conforme alla menzionata cornice di principio, essendo stata ipotizzata, in capo all’odierna ricorrente, l’esistenza «quantomeno» del dolo eventuale, ovvero la accettazione del «rischio concreto e grave che ai degenti fossero somministrati farmaci scaduti da tempi diversi» (v. pag. 14 della pronuncia di appello). E ovviamente tale vulnus del percorso motivazionale non consente, per le ragioni già evidenziate, nemmeno di verificare il profilo oggettivo della fattispecie tentata, con particolare riguardo alla direzione non equivoca degli atti; donde la necessità di un ulteriore sforzo motivazionale volto a superare la evidenziata aporia ricostruttiva.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto in relazione al profilo concernente la configurabilità dell’elemento soggettivo del delitto tentato, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente a tale profilo, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Bari. Nel resto, il ricorso deve essere, invece, dichiarato inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’elemento soggettivo del delitto contestato e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Bari.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in data 22/2/2022