Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Acqua - Inquinamento idrico,
Danno ambientale,
Diritto processuale penale,
Pubblica amministrazione
Numero: 28360 |
Data di udienza: 26 Maggio 2017
* ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Attività di pulitura impianti – Sversamento di reflui inquinante – Assenza di autorizzazione amministrativa – DANNO AMBIENTALE – Risarcimento del danno – Fattispecie: sversamento nel fiume Tevere di residui con elevatissima concentrazione di etanolo nelle acque campionate, reflui provenienti da lavorazione aziendale (distilleria) – Art. 137 c.1 d.lgs 152/2006 – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Danneggiamento su cose esposte alla pubblica fede o su beni destinati al pubblico servizio e utilità – Ipotesi autonome di reato – Artt. 635, c.2, n. 3, in relazione all’art. 625 n.7 cod. pen. e s.m..
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Giugno 2017
Numero: 28360
Data di udienza: 26 Maggio 2017
Presidente: FIANDANESE
Estensore: DE SANTIS
Premassima
* ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Attività di pulitura impianti – Sversamento di reflui inquinante – Assenza di autorizzazione amministrativa – DANNO AMBIENTALE – Risarcimento del danno – Fattispecie: sversamento nel fiume Tevere di residui con elevatissima concentrazione di etanolo nelle acque campionate, reflui provenienti da lavorazione aziendale (distilleria) – Art. 137 c.1 d.lgs 152/2006 – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Danneggiamento su cose esposte alla pubblica fede o su beni destinati al pubblico servizio e utilità – Ipotesi autonome di reato – Artt. 635, c.2, n. 3, in relazione all’art. 625 n.7 cod. pen. e s.m..
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 2^ 07/06/2017 (Ud. 26/05/2017) Sentenza n.28360
CODICE DELL’AMBIENTE – ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Attività di pulitura impianti – Sversamento di reflui inquinante – Assenza di autorizzazione amministrativa – DANNO AMBIENTALE – Risarcimento del danno – Fattispecie: sversamento nel fiume Tevere di residui con elevatissima concentrazione di etanolo nelle acque campionate, reflui provenienti da lavorazione aziendale (distilleria) – Art. 137 c.1 d.lgs 152/2006.
Il reato di cui all’art. 137 comma 1 d.lgs 152/2006, è di evidente natura dolosa per effetto della consapevolezza dell’agente circa l’assenza di autorizzazione amministrativa, e costituisce l’antefatto giuridico da cui è stato desunto in termini di consequenzialità logica la previsione che allo sversamento potessero ricollegarsi effetti nocivi per l’attiguo corso d’acqua in considerazione della natura delle sostanze smaltite (etanolo) e la correlata accettazione del rischio. Sicché, è da escludersi l’accidentalità dello sversamento inquinante nei casi di attività di pulitura degli impianti a conclusione del ciclo produttivo. Siffatto apprezzamento non confligge con il requisito psicologico della condotta ove si tenga conto della rilevanza in relazione alla fattispecie di danneggiamento anche del dolo eventuale che si configura quando l’agente si sia rappresentato, come probabile o possibile, anche un evento diverso da quello voluto e, ciò nonostante, abbia agito ugualmente accettando il rischio del suo verificarsi.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Danneggiamento su cose esposte alla pubblica fede o su beni destinati al pubblico servizio e utilità – Ipotesi autonome di reato – Artt. 635, c.2, n. 3, in relazione all’art. 625 n.7 cod. pen. e s.m..
In tema di danneggiamento sussiste continuità normativa tra la fattispecie aggravata di cui all’art. 635, comma secondo, n. 3, in relazione all’art. 625 n. 7 cod. pen. – quanto al fatto commesso su cose esposte alla pubblica fede o su beni destinati al pubblico servizio e utilità – e la nuova formulazione dell’art. 635 cod. pen., introdotta dall’art. 2, comma primo, lett. i) D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, in quanto, immutati gli altri elementi del fatto tipico, detta circostanza aggravante, pur costituendo ora elemento costitutivo del reato, rientra nel modello legale del tipo di illecito con riferimento sia alla previgente che all’attuale formulazione della norma (Sez. 3, n. 15460 del 10/02/2016 Ingegneri). Il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, con l’art. 2, comma 1, lettera I) ha, infatti, riformulato l’art. 635 cod. pen. prevedendo al secondo comma ipotesi autonome di reato e disponendo che, alla stessa pena prevista dal primo comma, soggiace chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili le categorie di beni già individuate nella precedente formulazione della norma. Deve, dunque, concludersi per la perdurante illiceità del fatto originariamente contestato al ricorrente in quanto l’attuale configurazione ha elevato talune circostanze aggravanti (nel caso specifico, l’aver commesso il fatto su beni esposti per necessità alla pubblica fede nonché destinati a pubblica utilità ) ad elementi costitutivi del reato (art. 635, comma 2, cod. pen.), disegnando un modello che riassume in sè, seppur in un rimodulato assetto giuridico, i profili qualificanti del reato. Fattispecie: danneggiamento aggravato in relazione allo sversamento nel fiume Tevere di residui della lavorazione aziendale che avevano determinato il deterioramento delle acque e la moria di varie specie ittiche.
(conferma sentenza emessa della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA in data 11/4/2016) Pres. FIANDANESE, Rel. DE SANTIS, Ric. Di Sarno
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 2^ 07/06/2017 (Ud. 26/05/2017) Sentenza n.28360
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 2^ 07/06/2017 (Ud. 26/05/2017) Sentenza n.28360
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da DI SARNOIRMA n. a Napoli il 15/10/1960;
avverso la sentenza emessa della Corte d’Appello di Perugia in data 11/4/2016;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 26/5/2017 la relazione fatta dal Consigliere Anna Maria De Santis;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dott. Luigi Cuomo , che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza resa in data 6/5/2015 il Tribunale di Perugia dichiarava Di Sarno Irma, amministratore unico della Distilleria Di Lorenzo srl, colpevole del delitto di danneggiamento aggravato in relazione allo sversamento nel fiume Tevere di residui della lavorazione aziendale che avevano determinato il deterioramento delle acque e la moria di varie specie ittiche, e la condannava alla pena di mesi quattro di reclusione nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile "Legambiente Umbria", liquidato in euro 15mila;accordava, inoltre, all’imputata il beneficio della sospensione condizionale subordinato al pagamento della somma liquidata .
Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Perugia riduceva il danno liquidato in favore della parte civile ad euro 10mila e confermava nel resto.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputata a mezzo del difensore, deducendo:
2.1 la violazione ed erronea applicazione degli artt. 125 comma 3, 192 comma 2, 546 comma 1 lett. e cod.proc.pen. in relazione all’art. 606 comma 1 lett. e) in quanto il giudizio di responsabilità della Di Sarno consegue ad una lettura inadeguata di confusi dati indiziari e all’immotivata pretermissione dei rilievi del consulente tecnico della difesa;
2.2 la violazione ed errata applicazione dell’art. 635 cpv cod.pen con riguardo all’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato e correlato vizio della motivazione. Assume il difensore che la Corte territoriale, a fronte di specifica doglianza che revocava in dubbio la volontarietà dello sversamento di etanolo, ha reso una motivazione contraddittoria che collega l’evento dannoso alle procedure di ripulitura della struttura produttiva, con ciò escludendo volontarietà e consapevolezza della condotta rimproverata all’imputata;
2.3 la violazione ed erronea applicazione del d.lgs 7 /2016 nella parte modificativa dell’art. 635 cod.pen. in considerazione dell’insussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie novellata. Secondo la ricorrente la condotta contestata non avrebbe attuale rilevanza penale, non risultando oggetto di contestazione la circostanza ex art. 625 n. 7 cod.pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Logicamente prioritaria è la questione posta dal terzo motivo circa i rapporti tra la fattispecie di cui all’art. 635 cpv n. 3 previgente e l’attuale formulazione del delitto.
Questa Corte ha precisato che in tema di danneggiamento sussiste continuità normativa tra la fattispecie aggravata di cui all’art. 635, comma secondo, n. 3, in relazione all’art. 625 n. 7 cod. pen. – quanto al fatto commesso su cose esposte alla pubblica fede o su beni destinati al pubblico servizio e utilità – e la nuova formulazione dell’art. 635 cod. pen., introdotta dall’art. 2, comma primo, lett. i) D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, in quanto, immutati gli altri elementi del fatto tipico, detta circostanza aggravante, pur costituendo ora elemento costitutivo del reato, rientra nel modello legale del tipo di illecito con riferimento sia alla previgente che all’attuale formulazione della norma (Sez. 3, n. 15460 del 10/02/2016 Ingegneri, Rv. 267824). Il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, con l’art. 2, comma 1, lettera I) ha, infatti, riformulato l’art. 635 cod. pen. prevedendo al secondo comma ipotesi autonome di reato e disponendo che, alla stessa pena prevista dal primo comma, soggiace chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili le categorie di beni già individuate nella precedente formulazione della norma. Deve, dunque, concludersi per la perdurante illiceità del fatto originariamente contestato al ricorrente in quanto l’attuale configurazione ha elevato talune circostanze aggravanti (nel caso specifico, l’aver commesso il fatto su beni esposti per necessità alla pubblica fede nonché destinati a pubblica utilità ) ad elementi costitutivi del reato (art. 635, comma 2, cod. pen.), disegnando un modello che riassume in sè, seppur in un rimodulato assetto giuridico, i profili qualificanti del reato.
Né ha pregio il rilievo difensivo che assume la mancata contestazione dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod.pen., espressamente richiamata nell’imputazione sub B) della rubrica e in fatto illustrata dalla descrizione della condotta.
4. Con riguardo al primo motivo, deve ribadirsi il costante insegnamento di legittimità alla cui stregua la piattaforma dei vizi della motivazione non può essere surrettiziamente estesa per effetto del richiamo alla violazione di norme che concernono la valutazione della prova e l’obbligo di argomentare la decisione. Si è al riguardo affermato che è inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità. (Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012, Cimini e altri, Rv. 254274).
Pertanto, le censure articolate nel primo motivo risultano utilmente scrutinabili con riguardo al solo profilo del vizio di motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e) e negli esatti limiti delimitati dalla disposizione. Deve rilevarsi in proposito che la sentenza impugnata ha disatteso il gravame difensivo in ordine alla ricorrenza della condotta materiale con una motivazione congrua e priva di patenti illogicità, richiamando gli esiti degli accertamenti tecnici attestanti l’elevatissima concentrazione di etanolo nelle acque campionate e la certa derivazione dell’inquinamento idrico da reflui provenienti dalla distilleria alla stregua dei rilievi eseguiti dagli esperti dell’Arpa e del Noe, pervenendo, quindi, alla reiezione delle doglianze difensive sulla scorta di un articolato e persuasivo scrutinio degli esiti processuali.
5. Con riguardo alla denunziata contraddittorietà della motivazione in punto di elemento soggettivo, la Corte territoriale ha escluso l’accidentalità dello sversamento inquinante, ricollegandolo invece alle attività di pulitura degli impianti a conclusione del ciclo produttivo. Orbene, siffatto apprezzamento non confligge con il requisito psicologico della condotta ove si tenga conto della rilevanza in relazione alla fattispecie di danneggiamento anche del dolo eventuale che si configura quando l’agente si sia rappresentato, come probabile o possibile, anche un evento diverso da quello voluto e, ciò nonostante, abbia agito ugualmente accettando il rischio del suo verificarsi. Nella specie la Di Sarno era imputata anche della contravvenzione ex art. 137 comma 1 d.lgs 152/2006, ascritta al capo A e dichiarata estinta dal Tribunale per maturata prescrizione, con riguardo all’abusivo scarico nel fiume Tevere di acque derivate dal processo di lavorazione industriale. Detto reato, di evidente natura dolosa per effetto della consapevolezza dell’agente circa l’assenza di autorizzazione amministrativa, costituisce l’antefatto giuridico da cui è stato desunto in termini di consequenzialità logica la previsione che allo sversamento potessero ricollegarsi effetti nocivi per l’attiguo corso d’acqua in considerazione della natura delle sostanze smaltite (etanolo) e la correlata accettazione del rischio.
6. L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione maturata nelle more del procedimento di legittimità (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 , D. L, Rv. 217266; Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013 , Ciaffoni, Rv.
256463; Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, Aiello e altro, Rv. 268966).
7.Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod.proc.pen.,la condanna della ricorrente alle spese processuali e alla sanzione pecuniaria precisata in dispostivo, non ravvisandosi ragioni d’esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro millecinquecento a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 26 maggio 2017