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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro, Diritto processuale penale, 231 Numero: 25201 | Data di udienza: 12 Marzo 2014

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Responsabilità da reato degli enti – Fallimento della società – Sequestro preventivo finalizzato alla futura confisca – Legittimità – Vigilanza – Principio di legalità Casi di riduzione della sanzione pecuniaria e non applicazione delle sanzioni interdittive – Ricorso per cassazione – Riesame delle misure cautelari reali – Nozione di “violazione di legge” – Art. 325 c.p.p., c.1 – Totale mancanza di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente – Fallimento società – Estinzione dell’illecito amministrativo o delle sanzioni – Esclusione – Artt. 5, 6, 12, 17, 19, 53 D.Lgs. n. 231/2001 – Art. 24 Cost. e artt. 2740  e 2741 cod. civ..


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Giugno 2014
Numero: 25201
Data di udienza: 12 Marzo 2014
Presidente: Esposito
Estensore: Iasillo


Premassima

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Responsabilità da reato degli enti – Fallimento della società – Sequestro preventivo finalizzato alla futura confisca – Legittimità – Vigilanza – Principio di legalità Casi di riduzione della sanzione pecuniaria e non applicazione delle sanzioni interdittive – Ricorso per cassazione – Riesame delle misure cautelari reali – Nozione di “violazione di legge” – Art. 325 c.p.p., c.1 – Totale mancanza di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente – Fallimento società – Estinzione dell’illecito amministrativo o delle sanzioni – Esclusione – Artt. 5, 6, 12, 17, 19, 53 D.Lgs. n. 231/2001 – Art. 24 Cost. e artt. 2740  e 2741 cod. civ..



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 2^, 13 Giugno 2014 (C.c. 12/03/2014), Sentenza n. 25201
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Responsabilità da reato degli enti – Fallimento della società – Sequestro preventivo finalizzato alla futura confisca – Legittimità.
 
In tema di responsabilità da reato degli enti è escluso che il fallimento della società determini l’estinzione dell’illecito previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001 o delle sanzioni irrogate a seguito del suo accertamento (in motivazione la Corte, nell’annullare con rinvio la sentenza impugnata, ha precisato che l’instaurazione della procedura concorsuale non integra una situazione assimilabile a quella della morte dell’autore del reato, come invece sostenuto dal giudice del merito; Sez. 5, Sentenza n. 44824 del 26/09/2012 Cc. (dep. 15/11/2012) Rv. 253482). Infine, l’obbligatorietà della confisca nei casi previsti dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, conv. con modif. in L. 7 agosto 1992, n. 356, siccome stabilita non in funzione della intrinseca pericolosità delle cose da confiscare, ma soltanto del loro legame con chi abbia subito condanna per determinati delitti, non impedisce che, qualora dette cose, nell’ambito di procedimento penale per taluno di tali delitti, siano state oggetto di sequestro preventivo in vista appunto della loro assoggettabilità a confisca obbligatoria e sia quindi sopravvenuto il fallimento dell’imputato, il curatore del fallimento possa chiedere ed ottenere l’autorizzazione alla loro vendita ed alla conseguente distribuzione del ricavato ai creditori concorsuali, dandosi luogo anche in tal modo alla realizzazione della finalità perseguita dal legislatore, costituita dallo spossessamento del condannato, con l’avvertenza, peraltro, che il giudice, in tal caso, è tenuto a esercitare un più rigido e penetrante controllo onde acquisire la ragionevole certezza che i beni che sarebbero stati da confiscare non ritornino surrettiziamente in altro modo, attraverso prestanomi o con altri fraudolenti accorgimenti, nella diretta o indiretta disponibilità del condannato medesimo (Sez. 3, Sentenza n. 20443 del 02/02/2007 Cc. – dep. 25/05/2007 – Rv. 236846). Nella specie, alla luce dei principi di cui sopra la Corte conferma la piena legittimità del sequestro preventivo finalizzato alla futura confisca.
 
(conferma ordinanza del Tribunale di Bologna, in data 20/07/2013) Pres. Esposito, Rel. Iasillo, Ric. s.p.a. House Building
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Responsabilità amministrativa degli enti – Vigilanza – Principio di legalità Casi di riduzione della sanzione pecuniaria e non applicazione delle sanzioni interdittive – D.Lgs. n. 231/2001. 
 
La responsabilità amministrativa degli enti, mira a sollecitare l’adozione e la vigilanza sul rispetto di standard doverosi di condotta idonei a prevenire i reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente, con un’evidente distorsione dei meccanismi ordinari di concorrenza, che devono svolgersi nel rispetto del principio di legalità. Non casualmente tra i casi di riduzione della sanzione pecuniaria previsti dal D.Lgs. n. 231/2001, art. 12 si colloca anche il fatto che l’autore abbia commesso il reato nel proprio preminente interesse e l’ente non ne abbia ricavato vantaggio o abbia ricavato un vantaggio minimo. Nella stessa prospettiva rientrano l’art. 17, che prevede una causa di non applicazione delle sanzioni interdittive, quando l’ente, tra l’altro, abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca (comma 1, lett. c), e l’art. 19, che disciplina la confisca obbligatoria del profitto del reato (comma 1) o di somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente. In definitiva, la finalità preventiva e sanzionatoria perseguita dal legislatore si traduce in meccanismi che colpiscono anche l’utilità ritratta dal patrimonio dell’ente, con l’obiettivo di scoraggiare soluzioni di calcolo preventivo del costo dell’illecito nella valutazione economica delle conseguenze delle condotte da adottare. In questa prospettiva, si comprende anche la ragione del privilegio attribuito dall’art. 27 al credito dello Stato derivanti dagli illeciti amministrativi dell’ente.
 
(conferma ordinanza del Tribunale di Bologna, in data 20/07/2013) Pres. Esposito, Rel. Iasillo, Ric. s.p.a. House Building
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Riesame delle misure cautelari reali – Nozione di “violazione di legge” – Art. 325 c.p.p., c.1 – Totale mancanza di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente.
 
In tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la totale mancanza di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità o la incompletezza di motivazione le quali non possono denunciarsi nel giudizio di legittimità nemmeno tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), posto che questo richiede la “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità” della motivazione” (Sez. 5, Sentenza n. 8434 del 11/01/2007 Cc. – dep. 28/02/2007 – Rv. 236255; 
Sez. U, Sentenza n. 25932 del 29/05/2008 Cc. – dep. 26/06/2008 – Rv. 239692).
 
(conferma ordinanza del Tribunale di Bologna, in data 20/07/2013) Pres. Esposito, Rel. Iasillo, Ric. s.p.a. House Building
 
 
DIRITTO DEL LAVORO – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Responsabilità da reato degli enti – Fallimento società – Estinzione dell’illecito amministrativo o delle sanzioni – Esclusione – Artt. 5, 6, 12, 17, 19, 53 D.Lgs. n. 231/2001 – art. 24 Cost. e artt. 2740  e 2741 cod. civ..
 
In tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della società non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo dipendente da reato previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001 o delle sanzioni irrogate a seguito del suo accertamento (Sez. 5, Sentenza n. 4335 del 16/11/2012 Ud. – dep. 29/01/2013 – Rv. 254326; contra Cass. Sez. 5, n. 44824 del 26/09/2012, Magiste International s.a.). 
 
(conferma ordinanza del Tribunale di Bologna, in data 20/07/2013) Pres. Esposito, Rel. Iasillo, Ric. s.p.a. House Building

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 2^, 13 Giugno 2014 (C.c. 12/03/2014), Sentenza n. 25201

SENTENZA

 

 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. ESPOSITO Antonio – Presidente
Dott. PRESTIPINO Antonio – Consigliere
Dott. IASILLO Adriano – Consigliere Rel.
Dott. RAGO Geppino – Consigliere 
Dott. VERGA Giovanna – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente:
 
Sentenza
 
sul ricorso proposto da:
Avvocati Palieri Carlo Enrico e Costantino Giorgio, difensori di fiducia della s.p.a. House Building in persona del curatore fallimentare dott. F.A.;
Avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna, in data 20/07/2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano Iasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Massimo Galli, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Uditi gli Avvocati Palieri Carlo Enrico e Costantino Giorgio difensori di fiducia della s.p.a. House Building in persona del curatore fallimentare dott. F.A. – che depositano motivi aggiunti e concludono per l’accoglimento del ricorso.
 
Svolgimento del processo
 
Il G.I.P. del Tribunale di Bologna, con decreto del 04/05/2012 e successiva integrazione del 18.05.2012, dispose il sequestro preventivo, anche nella forma per equivalente, nei confronti della s.p.a. House Building di danaro, titoli, valori, beni mobili e immobili fino alla corrispondenza del profitto dei reati di cui ai capi di imputazione Q ed R pari a complessivi Euro 37.780.637,30.
 
Avverso tale provvedimento la s.p.a. House Building propose istanza di riesame. Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 23/06/2012, accolse la predetta istanza di riesame e, quindi, annullò il decreto di sequestro del 04.05.2012 e successiva integrazione del 18.05.2012.
 
Ricorse per Cassazione il Procuratore della Repubblica di Bologna che con due distinti motivi denunciò la violazione di legge – in relazione all’art. 321 c.p.p., D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 5 e 6 – per avere il Collegio del riesame immotivatamente escluso – pure con travisamento delle prove – che M.A., Z.M. e Mo.Cl. (tutti con incarichi dirigenziali nella s.p.a.
 
House Building) avessero commesso il reato di formazione fittizia del capitale sociale anche nell’interesse della stessa società ovvero a vantaggio della medesima, essendo stata artificiosamente aumentata la sua affidabilità nei confronti dei terzi; nonchè per avere erroneamente trascurato che – a norma del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6, comma 5, – è sempre disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche per equivalente. 
 
Questa Suprema Corte – con sentenza della Sesta Sezione penale del 22.05.2013 n. 24559 – accolse il ricorso del Procuratore della Repubblica e pertanto annullò l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Bologna. In particolare, nella sentenza, si ricorda che in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche e delle società l’espressione normativa “l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o suo vantaggio” (D.Lgs. n. 231 del 2001,art. 5), non contiene un’endiadi, perchè i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse “a monte” per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell’illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato “ex ante”, sicchè l’interesse ed il vantaggio sono in concorso reale (Sez. 2, Sentenza n. 3615 del 20/12/2005 Cc. – dep. 30/01/2006 – Rv. 232957). 
 
Si sottolinea, poi, nella sentenza che la responsabilità della persona giuridica non è affatto esclusa nel caso in cui l’ente abbia avuto un interesse concorrente con chi – in posizione qualificata nella sua organizzazione – abbia commesso il reato presupposto (nel caso di specie aggiotaggio, di cui all’art. 2637 c.c.). 
 
Pertanto, afferma questa Corte, anche se il M., lo Z. e il Mo. abbiano avuto di mira il conseguimento di benefici personali (consistenti nell’artificioso incremento tanto del capitale sociale, passato da 2.300.000 a 36.780.000 Euro, quanto del patrimonio netto, fatto crescere da 2.370.676 a 50.939.627 Euro) appare frutto di un’erronea applicazione della norma in esame l’aver affermato che l’accertato fittizio aumento del capitale sociale e del patrimonio, attuato mediante le innanzi descritte operazioni aggiotaggio, non fosse stato realizzato anche nell’interesse ovvero in vantaggio della medesima House Building. 
 
In particolare nella sentenza si specifica che non è corretto far coincidere l’interesse oggettivo con le soggettive intenzioni e rappresentazioni dell’agente, poichè quel requisito finirebbe per essere ingiustificatamente identificato con il dolo specifico che riguarda la sfera soggettiva dell’autore del reato presupposto e non l’ente.La corte evidenzia che dagli elementi di prova acquisiti – evidenziati nel decreto genetico della misura e analiticamente richiamati nel ricorso – era risultato che quell’incremento del capitale e del patrimonio aveva determinato un aumento dell’affidabilità della medesima compagine sociale nei confronti dei terzi e una sensibile moltiplicazione del valore delle azioni della società che si stava accingendo ad essere quotata in borsa. 
 
La sesta Sezione di Questa Corte rileva, poi, nell’ordinanza impugnata un’altra evidente violazione di legge poichè il Tribunale ha annullato il decreto di sequestro preventivo e ha, conseguentemente ordinato la restituzione di quanto già sottoposto a vincolo, omettendo di considerare che la misura cautelare reale era stata disposta dal G.I.P. anche perchè i falsi valori che avevano incrementato il patrimonio della House Building per un importo di Euro 37.780.637,30 dovevano essere qualificati come profitto del reato di aggiotaggio, tratto dalla stessa società; profitto che come tale è sempre confiscabile sia ex art. 2461 c.c. sia D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 6, comma 5, anche laddove dovesse essere esclusa la responsabilità amministrativa dell’ente. A tal proposito nella sentenza si ricorda che in tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, la confisca del profitto del reato prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 9 e 19 si configura come sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell’ente, e si differenzia da quella configurata dall’art. 6, comma 5, medesimo decreto, applicabile solo nel caso difetti la responsabilità della persona giuridica, la quale costituisce invece uno strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell’ente (Sez. U, Sentenza n. 26654 del 27/03/2008 Cc. – dep. 02/07/2008 – Rv. 239925).
 
In data 20.07.2013 il Tribunale di Bologna – nel giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento disposto con la sentenza di questa Corte sopra citata – confermò il decreto di sequestro preventivo emesso a carico della s.p.a. House Building dal G.I.P. del Tribunale di Bologna in data 04.05.2012 e successiva integrazione del 18.05.2012.
 
Avverso tale ordinanza ricorrono i difensori della s.p.a. House Building a mezzo del curatore dottor F.A. deducendo, con il primo motivo, la nullità dell’impugnata ordinanza per la violazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 19 e 53 perchè il ritenuto profitto della predetta società confiscabile avendo riguardo al presupposto reato di aggiotaggio (art. 2637 c.c.) è, in realtà, inesistente. In particolare i difensori della predetta società ricorrente ribadiscono la differenza esistente tra interesse e vantaggio – di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5, criteri “imputativi” dell’an della responsabilità – e il profitto (che costituisce l’oggetto della “sanzione”) che è una specie – più ristretta e specificata – della più ampia categoria del vantaggio; in poche parole se il profitto costituisce sempre un vantaggio per l’ente non tutti i vantaggi conseguiti dall’ente costituiscono un profitto. 
 
I difensori della ricorrente società evidenziano quindi:
le caratteristiche che deve rivestire il profitto (deve essere evento; possedere una necessaria “materialità” quantificabile sia nell’an che nel quantum;
essere conseguenza diretta dell’illecito);
la definizione del profitto che si ricava dalla sentenza “Impregilo” (Sez. U, Sentenza n. 26654 del 27/03/2008 Cc. – dep. 02/07/2008 – Rv. 239924) che deve assumere un “indiscutibile carattere economico/patrimoniale” e avere “una correlazione diretta con il reato”. 
 
Si evidenzia, poi, nel ricorso che sempre seguendo il dictum della predetta sentenza “Impregilo”, non per tutti i reati è possibile ravvisare un profitto così come “nella rigorosa stretta accezione fissata” nella predetta sentenza. I difensori della società ricorrente dopo aver esaminato il reato presupposto aggiotaggio e posto in rilievo che per tale figura di reato già astrattamente è difficile ipotizzare un profitto immediatamente riconducibile alla commissione del reato, nel caso concreto manca anche un qualsiasi beneficio comunque percepito (tratto) dall’ente anche in assenza di una sua responsabilità.
 
I difensori della ricorrente società con il secondo motivo deducono la violazione di legge per l’inosservanza dell’art. 24 Cost. e artt. 2740  e 2741 cod. civ..In particolare sottolineano che il Tribunale non ha tenuto conto che nel frattempo la società ricorrente è stata ammessa al concordato preventivo; orbene tenendo conto che la funzione della confisca è quella di evitare “che l’autore del reato rimanga in possesso di beni di valore equivalente al profitto” è evidente che nel caso di specie si sanzionano solo i creditori terzi estranei al reato e alla conseguente responsabilità. Quindi dopo aver effettuato un’analisi delle fonti e i principi fissati da questa Corte sia in sede civile sia in sede penale i difensori della ricorrente concludono che non si può nel caso di specie procedere alla confisca senza tener conto dei crediti vantati nei confronti dell’ente colpito dalla misura ablativa e dell’affidamento incolpevole e della buona fede dei creditori e dei terzi.
 
I difensori della ricorrente società con il terzo motivo deducono la violazione di legge per l’inosservanza dell’art. 24 Cost., art. 2740 c.c., art. 168, comma 1, L.F. e D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 53. In particolare i difensori compiono un ampio excursus sulla legislazione (penale, civile e antimafia) che regola la vicenda e precisano: che scopo del sequestro preventivo e di quello per equivalente è di evitare che la dispersione del patrimonio dell’imputato o del responsabile, in funzione dell’applicazione della confisca; che il Tribunale non ha preso in considerazione i compiti del Tribunale fallimentare e di tutti gli altri soggetti che intervengono nella procedura concorsuale; che non vi è alcuna norma che imponga la conservazione del sequestro di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 53; che non è possibile che i crediti di terzi in buona fede siano sacrificati alla pretesa punitiva dello Stato; che anche nella legge antimafia il profitto del reato è comunque destinato alla soddisfazione dei creditori; alla verifica dei crediti provvede in ogni caso il G.D. al fallimento nelle forme previste dall’art. 92 e ss. L.F.; l’eventuale residuo, fino a concorrenza con il valore oggetto di confisca, è attribuito alla Stato al fine di evitare che l’autore del reato rimanga in possesso di beni di valore equivalente al profitto.
 
I difensori della ricorrente società con il quarto motivo deducono la violazione di legge per l’inosservanza dell’art. 627 c.p.p., comma 3, e per l’inosservanza del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6, comma 5 e art. 53. Sottolineano, infatti, che il sequestro preventivo era possibile solo ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19 poichè lo stesso decreto richiama solo tale art. 19, art. 53 (richiamano anche la sentenza Impregilo di cui sopra); quindi non era possibile il sequestro preventivo D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 6, comma 5, ed essendo illegittimo andava revocato. Il Tribunale non l’ha fatto, ignorando anche il vincolo derivante dalla pronuncia della Corte di Cassazione.
 
I difensori della s.p.a. House Building concludono, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata ordinanza. 
 
I difensori della società ricorrente, come già sopra evidenziato, depositano motivi nuovi con i quali illustrano tutte le ragioni per le quali il ricorso deve essere accolto. 
 
In particolare evidenziano che il 01.08.2013 il Tribunale di Bologna ha dichiarato il fallimento della società ricorrente e che, conseguentemente, il P.M. il 28.01.2014 ha modificato gli addebiti contestando agli imputati i reati fallimentari ai sensi degli artt. 223 e seguenti dellalegge fallimentare.
 
Motivi della decisione
 
Il ricorso è infondato.
 
Come già rilevato all’inizio della motivazione della sentenza di questa Corte, in data 22.05.2013 – con la quale si annullava l’ordinanza del 23.06.2012 del Tribunale di Bologna – si deve tener ben presente che in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la totale mancanza di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità o la incompletezza di motivazione le quali non possono denunciarsi nel giudizio di legittimità nemmeno tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), posto che questo richiede la “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità” della motivazione” (Sez. 5, Sentenza n. 8434 del 11/01/2007 Cc. – dep. 28/02/2007 – Rv. 236255; Sez. U, Sentenza n. 25932 del 29/05/2008 Cc. – dep. 26/06/2008 – Rv. 239692).
 
Tanto premesso, per quanto riguarda il primo motivo di ricorso si deve rilevare che la ritenuta sussistenza del profitto costituisce una questione di fatto correttamente risolta dal Giudice di merito, in modo conforme ai principi di diritto di questa Suprema Corte contenuti nella sentenza di annullamento di cui sopra (il Tribunale alle pagine da 7 a 9 dell’impugnato provvedimento riporta testualmente tali principi di diritto; si vedano le pagine da 14 a 18 dell’ordinanza impugnata per quanto riguarda l’incensurabile motivazione sul ritenuto profitto).
 
Per quanto riguarda il secondo motivo si deve rilevare che a pagina 25 del ricorso si afferma: “il diritto positivo non è nel senso di un’assoluta e generale insensibilità del sequestro penale e della confisca sulle procedure concorsuali, nè in quella di una prevalenza, ancora assoluta e generale, di quest’ultime sulle misure ablative penali. La disciplina vigente rimette ad una valutazione di fatto la soluzione”. 
 
Inoltre nella sentenza di questa Corte citata a pagina 22 dalla ricorrente società (Sez. 1, Sentenza n. 21722 del 22/10/2010 -dep. 22 ottobre 2010 – Rv. 615432) si legge: “gli effetti del sequestro possono essere travolti da una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione. Dispone infatti l’art. 317 c.p.p. che gli effetti del sequestro cessano quando la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere non è più soggetta ad impugnazione, e che, in tal caso, il pubblico ministero è tenuto a curare la cancellazione della trascrizione del sequestro sugli immobili.
 
Da tale disposizione si evince che per tutta la durata del processo penale il sequestro ha carattere provvisorio e ne è provvisorio l’effetto e che soltanto la sentenza di condanna passata in giudicato, in quanto determina il permanere degli effetti del sequestro, fa sì che il sequestro stesso produca l’effetto definitivo di rendere privilegiato il credito per il pagamento delle obbligazioni civili derivanti da reato. Il riconoscimento definitivo del privilegio ed il positivo esercizio dello stesso sono, quindi, subordinati al verificarsi di un evento futuro ed incerto: la sentenza irrevocabile di condanna dell’imputato”. 
 
E nella successiva pagina 23 del ricorso si afferma “il credito corrispondente alla confisca, a cautela del quale può essere disposto il sequestro preventivo, in considerazione della sua natura e della sua funzione, non concorre con gli altri crediti nell’ambito delle procedure concorsuali, ma è destinato ad essere soddisfatto sull’eventuale residuo, al fine di evitare che l’autore del reato rimanga in possesso di beni di valore equivalente al profitto”.
 
Orbene seppure fosse condivisibile tutto ciò che espone la società ricorrente nel ricorso non si deve dimenticare: che nel caso di specie il decreto di sequestro è stato emesso prima dell’ammissione alla procedura concorsuale; che il sequestro è disposto a cautela del credito e che la confisca è la misura ablativa successiva; che in tale fase nulla si sa dell’esito della procedura concorsuale e, in particolare, se vi sia un residuo attivo o vi siano finti creditori dietro i quali si celano gli autori del reato. 
 
Quindi tutto ciò dovrà essere accertato solo dal Giudice di merito che alla fine del procedimento dovrà valutare se disporre la confisca (che, D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 19, è disposta con la sentenza di condanna) e il quantum della confisca stessa, tenendo conto anche di quanto emerge dalla procedura concorsuale (il curatore potrà far valere gli interessi della massa dei creditori all’interno del procedimento penale). 
 
Infatti l’art. 19 D.Lgs. precisa proprio che sono salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. Quindi è nel corso del processo penale che si possono 
far valere, attraverso il curatore, i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.
 
Non incide su quanto sopra il fatto che la società ricorrente sia stata dichiarata fallita. Invero, questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, che in tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della società non determina l’estinzione dell’illecito previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001 o delle sanzioni irrogate a seguito del suo accertamento (Sez. 5, Sentenza n. 4335 del 16/11/2012 Ud. – dep. 29/01/2013 – Rv. 254326).
 
Nella motivazione della sentenza sopra indicata si afferma che “il ricorso della curatela fallimentare è infondato. 
 
Con riferimento al primo motivo, va rilevato che questa Corte anche di recente ha disatteso la tesi secondo cui la dichiarazione di fallimento determina l’estinzione dell’illecito amministrativo dipendente da reato (Sez. 5, n. 44824 del 26/09/2012, Magiste International s.a.).
 
Occorre muovere dal dato normativo che non contempla siffatta causa di estinzione. La soluzione è coerente con la premessa concettuale per cui il fallimento degli enti collettivi non è equiparabile, per ragioni strutturali e funzionali, alla morte, traducendosi piuttosto in una procedura concorsuale, che non determina giuridicamente l’estinzione del soggetto fallito e che è finalizzata al soddisfacimento dei creditori, cui può in astratto conseguire il ritorno in bonis. Ne discende che il silenzio del legislatore delegato nella sezione 2A del Capo 2 del D.Lgs. n. 231, dedicato alle vicende modificative, lungi dal dimostrare la volontà di sottrarre il fallimento alle cause che non estinguono la responsabilità amministrativa, si giustifica piuttosto col fatto che il fallimento non comporta una modifica soggettiva dell’ente e non è assimilabile in alcun modo alle fattispecie contemplate. Può anche aggiungersi che proprio tale diversità, giuridica ed economica, giustifica la soluzione normativa. La responsabilità amministrativa degli enti, infatti, mira a sollecitare l’adozione e la vigilanza sul rispetto di standard doverosi di condotta idonei a prevenire i reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente, con un’evidente distorsione dei meccanismi ordinari di concorrenza, che devono svolgersi nel rispetto del principio di legalità. Non casualmente tra i casi di riduzione della sanzione pecuniaria previsti dal D.Lgs. n. 231, art. 12 si colloca anche il fatto che l’autore abbia commesso il reato nel proprio preminente interesse e l’ente non ne abbia ricavato vantaggio o abbia ricavato un vantaggio minimo. 
 
Nella stessa prospettiva rientrano l’art. 17, che prevede una causa di non applicazione delle sanzioni interdittive, quando l’ente, tra l’altro, abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca (comma 1, lett. c), e l’art. 19, che disciplina la confisca obbligatoria del profitto del reato (comma 1) o di somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente. In definitiva, la finalità preventiva e sanzionatoria perseguita dal legislatore si traduce in meccanismi che colpiscono anche l’utilità ritratta dal patrimonio dell’ente, con l’obiettivo di scoraggiare soluzioni di calcolo preventivo del costo dell’illecito nella valutazione economica delle conseguenze delle condotte da adottare. In questa prospettiva, si comprende anche la ragione del privilegio attribuito dall’art. 27 al credito dello Stato derivanti dagli illeciti amministrativi dell’ente”.
 
Inoltre, questa Corte ha affermato che in tema di responsabilità da reato degli enti è escluso che il fallimento della società determini l’estinzione dell’illecito previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001 o delle sanzioni irrogate a seguito del suo accertamento (in motivazione la Corte, nell’annullare con rinvio la sentenza impugnata, ha precisato che l’instaurazione della procedura concorsuale non integra una situazione assimilabile a quella della morte dell’autore del reato, come invece sostenuto dal giudice del merito; Sez. 5, Sentenza n. 44824 del 26/09/2012 Cc. (dep. 15/11/2012) Rv. 253482). Infine, questa Corte ha affermato che l’obbligatorietà della confisca nei casi previsti dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, conv. con modif. in L. 7 agosto 1992, n. 356, siccome stabilita non in funzione della intrinseca pericolosità delle cose da confiscare, ma soltanto del loro legame con chi abbia subito condanna per determinati delitti, non impedisce che, qualora dette cose, nell’ambito di procedimento penale per taluno di tali delitti, siano state oggetto di sequestro preventivo in vista appunto della loro assoggettabilità a confisca obbligatoria e sia quindi sopravvenuto il fallimento dell’imputato, il curatore del fallimento possa chiedere ed ottenere l’autorizzazione alla loro vendita ed alla conseguente distribuzione del ricavato ai creditori concorsuali, dandosi luogo anche in tal modo alla realizzazione della finalità perseguita dal legislatore, costituita dallo spossessamelo del condannato, con l’avvertenza, peraltro, che il giudice, in tal caso, è tenuto a esercitare un più rigido e penetrante controllo onde acquisire la ragionevole certezza che i beni che sarebbero stati da confiscare non ritornino surrettiziamente in altro modo, attraverso prestanomi o con altri fraudolenti accorgimenti, nella diretta o indiretta disponibilità del condannato medesimo (Sez. 3, Sentenza n. 20443 del 02/02/2007 Cc. – dep. 25/05/2007 – Rv. 236846).
 
Orbene alla luce dei principi di cui sopra si ha la conferma della piena legittimità del sequestro preventivo finalizzato alla futura confisca. 
 
Confisca che, come già sopra detto, dovrà essere disposta dal Giudice di merito che alla fine del procedimento dovrà valutare se disporre la confisca (che D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 19 è disposta con la sentenza di condanna) e il quantum della confisca stessa, tenendo conto anche di quanto emerge dalla procedura concorsuale (il curatore potrà far valere gli interessi della massa dei creditori all’interno del procedimento penale). Infatti l’art. 19 D.Lgs. precisa proprio che sono salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. 
 
Quindi è nel corso del processo penale che si possono far valere, attraverso il curatore, i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. Allora, alla conclusione di tale ragionamento non si comprende quale sia il concreto interesse della società ricorrente.
 
Infatti, il disposto sequestro tutela ogni diritto e non inciderà negativamente sui terzi in buona fede i cui diritti saranno tutelati con la procedura sopra accennata.
 
Quanto sopra ha rilievo, anche, su quanto dedotto dalla difesa della società ricorrente con il terzo motivo. 
 
Invero si deve, preliminarmente, rilevare che nello stesso ricorso a pagina 31 si afferma: “il sequestro avrebbe ragione di essere conservato soltanto se, in base ad un accertamento di fatto relativo alla specifica proposta di concordato, vi sia il fondato timore di perdere la garanzia del credito..” “… Ma tale accertamento non è stato compiuto dal Tribunale del riesame”.
 
Orbene, come già rilevato, la società ricorrente dimentica che il sequestro è precedente all’ammissione alla procedura concorsuale e che dopo l’annullamento del Tribunale del sequestro preventivo – perchè non è configurabile la responsabilità della persona giuridica se il reato è stato commesso nell’esclusivo interesse dell’agente o di terzi – vi è stato il ricorso per Cassazione del P.M. sul punto e il conseguente annullamento dell’ordinanza.
 
Ebbene non risulta che al Tribunale – d’altronde anche nel ricorso i difensori si limitano ad affermare astratti principi senza dire a che punto è la procedura concorsuale quali e quanti sono i creditori, cosa hanno accertato i soggetti della procedura concorsuale – sia stata specificamente posta la questione del mancato accertamento di cui sopra; comunque il Tribunale doveva decidere sulla base di quanto stabilito da questa Corte e, in particolare, sul tema dell’interesse/vantaggio e del profitto dell’Ente.
 
La difesa della s.p.a. House Building insiste, poi, sulla mancanza dell’interesse/vantaggio e del profitto; per quanto riguarda la procedura concorsuale del concordato preventivo cita tale nuova circostanza in primo luogo per dimostrare la mancanza dell’interesse/vantaggio e del profitto e in secondo luogo perchè, a suo giudizio, la riqualificazione di alcuni reati (capi E, E bis E ter) non consentirebbe il mantenimento del sequestro non essendo tali reati inseriti nell’elenco dei reati presupposti per la configurabilità della responsabilità amministrativa. 
 
A tali questioni il Tribunale, come già evidenziato, ha ben risposto (tanto è vero che non costituiscono oggetto specifico del ricorso; si vedano le pagine dell’impugnata ordinanza da 14 a 18 per il profitto e 18 e 19 per la riqualificazione dei reati). 
 
Comunque si tratta di questioni di merito che tra l’altro sarebbero precluse ex art. 325 c.p.p. anche perchè non viene sottolineato alcun argomento concreto per il quale vi sia una totale omissione di motivazione.
 
Infine anche il quarto motivo di ricorso è infondato. 
 
Invero risulta pacifico (v. ad esempio pagina 2 della sentenza della Sez. 6^ del 22.05.2013) che il sequestro è stato eseguito D.Lgs. n. 231 del 2001, ex artt. 19, 25 ter e 53. Inoltre il Tribunale non parla mai del sequestro D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 6, comma 5: a riprova è sufficiente vedere le pagine 14, 17 e 18 dell’impugnato provvedimento. Di tale D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6, comma 5, ne parla invece la sentenza di annullamento di questa Corte alle pagine 5 e 6 che cita, anche, la sentenza delle Sezioni Unite “Fisia Italimpianti” s.p.a (Sez. U, Sentenza n. 26654 del 27/03/2008 Cc. – dep. 02/07/2008 – Rv. 239924). Quindi se anche il Tribunale ne avesse parlato si sarebbe attenuto al dictum della Cassazione.
 
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
 
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 marzo 2014.
 
Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2014
 
 
 
 

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