BENI CULTURALI E AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO – Tutela del paesaggio – Lavori abusivi su beni dichiarati di notevole interesse pubblico – Art. 181, c.1°bis, lett.a), D.Lgs. n.42/2004 – Art. 44 lett.c) DPR n. 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Declaratoria di estinzione del reato per prescrizione – Conseguenze e limiti – Art. 131-bis cod. pen..
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 1 Febbraio 2016
Numero: 3857
Data di udienza: 4 Novembre 2015
Presidente: Franco
Estensore: Di Nicola
Premassima
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO – Tutela del paesaggio – Lavori abusivi su beni dichiarati di notevole interesse pubblico – Art. 181, c.1°bis, lett.a), D.Lgs. n.42/2004 – Art. 44 lett.c) DPR n. 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Declaratoria di estinzione del reato per prescrizione – Conseguenze e limiti – Art. 131-bis cod. pen..
Massima
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 01/02/2016 (Ud.04/11/2015) Sentenza n.3857SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 01/02/2016 (Ud.04/11/2015) Sentenza n.3857
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
– Salvestroni Mario, nato a Grosseto il 23-05-1950;
– Simi Sergio, nato a Gavorranno il 01-04-1956;
– Bigozzi Massimo, nato a Grosseto il 19-04-1957
– avverso la sentenza del 10-01-2014 della Corte di appello di Firenze;
– visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
– udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
– udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gioacchino Izzo che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi;
– uditi per i ricorrenti gli avvocati Arianna Agnese ed Andrea De Cesaris che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1. Mario Salvestroni, Sergio Simi e Massimo Bigozzi ricorrono per cassazione impugnando la sentenza emessa in data 10 gennaio 2014 dalla Corte di appello di Firenze che, per quanto qui interessa, ha confermato quella resa dalla tribunale di Grosseto nei confronti dei predetti ricorrenti, condannati alla pena di anni uno di reclusione per il reato previsto dall’articolo 181-bis, lettera a), decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 per avere il Salvestroni, amministratore unico della società Maremma Promozione S.r.l., quale esecutore materiale delle opere, Simi e Bigozzi, quali direttori dei lavori, realizzato in Marina di Grosseto presso lo stabilimento balneare denominato “Dolce Vita”, in area dichiarata di notevole interesse pubblico con decreto ministeriale del 21 marzo 1958, in difformità della prescritta autorizzazione rilasciata dall’autorità preposta alla tutela del vincolo (Autorizzazione paesaggistica n. 051087 del 23 febbraio 2005 e dal nulla osta della Soprintendenza dei beni culturali e ambientali dell’8 marzo 2005 n. 3232 e successive integrazioni) opere edili consistenti nella pavimentazione, appoggiata su letto di sabbia, con “betonelle compatte in calcestruzzo”, di aree previste “a verde-siepi”, “arenile”, “pagliolato in legno amovibile”, “pedana in legno” nonché nella realizzazione del parcheggio antistante lo stabilimento balneare con dislivello tra la quota 0,00 del fabbricato principale e l’accesso alla pubblica via di circa centimetri 37 anziché con profilo altimetrico piano. In Grosseto, accertato il 31 ottobre 2009.
2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza i ricorrenti articolano, con il medesimo atto attraverso due distinti ricorsi (uno per avv. De Cesaris e l’altro per avv. Agnese), i seguenti motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione e così come separatamente proposti dai difensori.
2.1. Con il ricorso per avv. De Cesaris sono stati proposti tre motivi di impugnazione.
2.1.1. Con il primo motivo i ricorrenti eccepiscono la nullità della sentenza per violazione di norma processuale (articolo 521 codice di procedura penale) stabilita a pena di nullità (articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale) per disapplicazione del principio di correlazione fra accusa espressa nella imputazione e sentenza. In ogni caso, deducono la mancanza, la contraddittorietà e la manifestazione illogicità della motivazione per travisamento della prova con particolare riferimento all’autorizzazione paesaggistica n. 05/87 del 23 febbraio 2005 con allegata la relazione tecnica (documenti versati in atti in data 21 giugno 2012 dai vigili urbani di Grosseto, a seguito dell’espressa ordinanza, in data 12 giugno 2012, del tribunale della medesima città di acquisizione dei predetti documenti ai sensi dell’articolo 507 del codice di procedura penale (articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale).
Sostengono i ricorrenti che la Corte d’appello – sul rilievo difensivo cerca il fatto che l’autorizzazione paesistica rilasciata nel febbraio 2005 non facesse alcun riferimento alle prescrizioni inerenti al tipo di pavimentazione da eseguire, prescrizioni imposte solo successivamente nell’autorizzazione dirigenziale rilasciata nel luglio 2006, e solo per finalità idrogeologica – ha osservato che l’autorizzazione in questione (n. 05/87) fu rilasciata con riferimento al progetto ed alla relazione tecnica sul progetto di variante che prevedeva l’esecuzione della pavimentazione del parcheggio, del fronte porticato e del fronte cabine in materiale permeabile e dei camminamenti al mare e dell’incombro del bar sulla spiaggia con pedane in legno appoggiate direttamente sulla spiaggia, oltre ad un profilo altimetrico piano, dando atto che tali indicazioni erano state fatte proprie e puntualizzate nelle prescrizioni dell’autorizzazione successivamente rilasciata ai fini idrogeologici, ma già costituivano oggetto dell’autorizzazione paesistica, con ciò stesso anche dando atto che i rilievi fattuali e documentali esposti nell’atto di impugnazione fossero corretti, tanto da essere stati recepiti nella motivazione della sentenza impugnata, e dando infine atto che le prescrizioni si riferivano al solo vincolo idrogeologico.
Tuttavia la Corte territoriale ha ritenuto che l’autorizzazione con prescrizioni al solo fine idrogeologico del 2006 si riferisse all’autorizzazione numero 05/87 del 2005 ed ha ritenuto che in ogni caso gli imputati avessero realizzato opere in difformità dall’autorizzazione, in quanto nella relazione allegata a tale autorizzazione si evidenziava “l’esecuzione della pavimentazione del parcheggio, del fronte porticato e del fronte cabina e materiale permeabile e dei camminamenti al mare e dell’ingombro del bar sulla spiaggia con pedane in legno appoggiate direttamente sulla spiaggia, oltre ad un profilo altimetrico piano”, incorrendo nella violazione del principio di correlazione tra condanna e fatto contestato: (1) sia perché si addebita la difformità delle opere rispetto ad una autorizzazione sbagliata, in quanto le prescrizioni espresse nel capo di imputazione si riferiscono all’autorizzazione n. 05/87 e non l’autorizzazione n. 06/216 alla quale il giudice d’appello si è riferito per convalidare l’intervenuta condanna e (2) sia perché il fatto per il quale gli imputati erano stati condannati sarebbe risultato radicalmente diverso da quello contestato; infatti nel capo di imputazione si addebita agli imputati che la difformità consisterebbe nell’aver realizzato “Pavimentazione, appoggiata sul letto di sabbia, con “betonelle compatte in cetcestruzzo”, di aree previste “a verde-siepi”, “arenile”, “pagliolato in legno amovibile”, “pedana in legno” mentre la Corte d’appello ha condannato gli imputati per aver realizzato opere in difformità rispetto all’autorizzazione che consistevano “nell’esecuzione della pavimentazione del parcheggio, del fronte porticato e del fronte cabine in materiale permeabile e dei camminamenti al mare e dell’incombro del bar sulla spiaggia con pedane di legno appoggiate direttamente sulla spiaggia, oltre ad un profilo altimetrico piano”.
Ne consegue come sia evidente la differenza tra i due fatti contestati in quanto, nel caso di specie, la Corte di appello, per la prima volta nella sentenza, avrebbe mutato radicalmente il fatto addebitato agli imputati, che sarebbe del tutto diverso da quello oggetto dell’imputazione, derivando da ciò, con tutta evidenza, la violazione del diritto di difesa in quanto gli imputati, se il fatto ipotizzato dalla Corte fosse stato ritualmente contestato, avrebbero potuto agevolmente dimostrare di aver regolarmente ottemperato all’autorizzazione 05/87, nel senso cioè che il materiale usato nell’esecuzione della pavimentazione del parcheggio, del fronte porticato ed del fronte cabine era permeabile; e che nei camminamenti al mare e che nell’incombro del bar sulla spiaggia erano state utilizzate pedane di legno appoggiate direttamente sulla spiaggia, oltre ad un profilo altimetrico piano.
2.1.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità nella motivazione per travisamento della prova, con particolare riferimento alla comunicazione di notizia di reato del Corpo di polizia municipale del 5 novembre 2009 n. prot. 904 del 2009, prodotta agli atti del procedimento come l’affoliazione dai numeri 33 a 41 all’interno del fascicolo denominato “atti esito di indagini” e con l’affoliazione dibattimentale da numero 19 al numero 101; nonché con riferimento all’autorizzazione paesaggistica n. 05/87 del 23 febbraio 2005 con allegata la relazione tecnica (articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale).
Analizzati gli atti di causa, anche a seguito delle integrazioni probatorie effettuate dal tribunale, i ricorrenti sostengono che da nessuna parte si rileva che il profilo altimetrico dovesse essere piano, essendo innaturale il contrario perché, dovendo essere le mattonelle appoggiate direttamente sulla sabbia, il profilo doveva seguire quello naturale della duna sabbiosa e non poteva certo essere modificato con opere esterne per renderlo piano. In altre parole, il fatto contestato non corrispondeva ad alcun abuso paesaggistico, perché le opere realizzate non erano in alcun modo difformi rispetto all’autorizzazione paesaggistica; non vi era quindi alcun obbligo di realizzare un “profilo altimetrico piano”, ed anzi sarebbe stato un abuso livellare il profilo altimetrico per renderlo piano, essendo i ricorrenti unicamente onerati di appoggiare le mattonelle sulla sabbia ed utilizzare materiale permeabile. Ne consegue che la Corte di appello, nella sentenza impugnata, ha posto a fondamento della decisione un chiaro travisamento della prova (costituita dall’autorizzazione paesaggistica numero 05/87 del 23 febbraio 2005 in collegamento alla relazione) che, così travisata, erroneamente è stata citata dalla stessa Corte d’appello nella sentenza quale presupposto del reato.
2.1.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’eventuale configurabilità ed applicazione dell’ipotesi di cui all‘articolo 44 lettera c) del DPR 6 giugno 2001, n. 380 con conseguente estinzione del reato per intervenuta prescrizione in relazione all’articolo 609, comma 2, codice di procedura penale.
Assumono i ricorrenti che, siccome le prescrizioni previste riguardavano il vincolo idrogeologico e non quello paesaggistico, l’ipotesi contestata doveva essere quella di quell’articolo 44, comma 1, lettera e), del d.p.r. 380 del 2001 e non quella dell’articolo 181, comma 1 bis, lettera a), d.lgs. n. 42 del 2004 con la conseguente maturata prescrizione, che quindi dovrà essere dichiarata.
2.2. Con il ricorso per avv. Agnese sono stati parimenti proposti tre motivi di impugnazione.
2.2.1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’articolo 181 comma 1 bis decreto legislativo n. 42 del 2004 laddove si ritiene che l’uso di betonelle dello stesso tipo di quelle previste nell’autorizzazione per la pavimentazione dello stabilimento costituiscano una modifica concreta del paesaggio e una violazione del permesso di costruire indicando che il luogo era stato dichiarato di particolare interesse pubblico, senza tuttavia precisare la zona esatta e facendo riferimento al decreto ministeriale 21 marzo 1958 che era istitutivo del vincolo paesaggistico e idrogeologico, ma non dichiarava la zona interessata come di particolare interesse pubblico in quanto la procedura per pervenire a tale dichiarazione è stabilita da decreto legislativo 42 del 2004 e di conseguenza il provvedimento finale doveva quindi essere necessariamente emanato in epoca successiva al 2004. Peraltro, si deduce la violazione dell’articolo 6 Cedu sull’equo processo, in quanto per la prima volta in sentenza è stato affermato che la zona era di particolare interesse pubblico, senza che i testimoni ne avessero fatto menzione, senza acquisire il provvedimento che dichiarava la zona di particolare interesse pubblico e non consentendo agli imputati di valutare la prova in contraddittorio.
2.2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la contraddittorietà della motivazione laddove si assume integrato il reato di pericolo ambientale per l’allagamento della casa di un vicino posta all’esterno dello stabilimento balneare, mentre le opere erano state eseguite all’interno dello stesso. Tale assunto violerebbe altresì gli articoli 40 e 41 del codice penale in tema di nesso di causalità materiale oltre all’articolo 192, comma 2, codice di procedura penale in tema di prova. Si assume che la motivazione della sentenza ha omesso di rispondere sulla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale di esperire perizia tecnica onde verificare che, rispetto all’autorizzazione rilasciata, le opere erano conformi e che non vi era il nesso di causalità tra l’allagamento all’esterno dello stabilimento ed in particolare la casa del vicino e la realizzazione dei lavori eseguiti nello stabilimento.
2.2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano il travisamento della prova, che si tradurrebbe in un vizio di motivazione della sentenza, laddove si assume che il materiale utilizzato nella realizzazione dello stabilimento non fosse permeabile e che ciò violasse il vincolo idrogeologico, mentre dagli atti risulta che il tipo di pavimentazione era autorizzata ed in particolare che le betonelle garantivano la permeabilità nel sottosuolo, come da certificazioni rilasciate dalla ditta produttrice e come risulta dalla relazione tecnica dell’attestazione di conformità per la realizzazione di opere di sistemazione esterna.
2.3. Con motivi aggiunti chiesta l’applicazione dell’art. 131 bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.
Ad essi, tuttavia, non consegue il rigetto della proposta impugnazione perché, in presenza di un rapporto giudico processuale validamente costituito, è nel frattempo maturata una causa estintiva del reato (prescrizione).
2. La Corte d’appello, con logica ed adeguata motivazione, ha affermato che l’allagamento di una vasta area contigua allo stabilimento balneare è stato efficacemente dimostrato dalle fotografie in atti (prova documentale), oltre che dalle dichiarazioni del teste Podda (prova storica), rendendo ciò pacifico il fatto che, nella pavimentazione dell’area interna allo stabilimento balneare, erano state utilizzate mattonelle impermeabili, come del resto era stato dimostrato e direttamente accertato dalla polizia giudiziaria (deposizione testimoniale Marrata). D’altra parte, in caso contrario, l’acqua piovana sarebbe stata drenata dalla sabbia sottostante (peraltro trattandosi di un lido non era neppure ipotizzabile la presenza di una eventuale superficie impermeabile sottostante) e comunque la Corte del merito ha osservato che, negli anni precedenti l’esecuzione dei lavori, non si era verificato alcun problema di allagamento (come desumibile dalle dichiarazioni e dagli esposti del Podda). Sulla base di tali emergenze, la Corte d’appello è pervenuta alla logica conclusione di ritenere che il tipo di materiale utilizzato nella realizzazione dello stabilimento non fosse, con invece doveva essere secondo le prescrizioni ambientali, permeabile.
Quanto alla doglianza circa il fatto che l’autorizzazione paesistica rilasciata nel febbraio 2005 non facesse alcun riferimento alle prescrizioni inerenti al tipo di pavimentazione da eseguire (imposte solo successivamente nell’autorizzazione dirigenziale rilasciata nel luglio 2006 e solo per finalità idrogeologiche), la Corte territoriale ha osservato che l’autorizzazione in questione (numero 05/87) era stata rilasciata con riferimento al progetto ed alla relazione tecnica sul progetto di variante che prevedeva l’esecuzione della pavimentazione del parcheggio, del fronte porticato e del fronte cabine in materia permeabile nonché dei camminamenti al mare e dell’ingombro del bar sulla spiaggia con pedane di legno appoggiate direttamente sulla spiaggia, oltre ad un profilo altimetrico piano. È vero che tali indicazioni sono state fatte proprie e puntualizzate nelle prescrizioni dell’autorizzazione successivamente rilasciata a fini idrogeologici, ma esse già costituivano oggetto dell’autorizzazione paesistica.
Quanto all’effettività del dislivello fra la quota del parcheggio dello stabilimento e l’accesso alla pubblica via, la prova testimoniale (Marrata) ha evidenziato che, nel sopralluogo del 30 ottobre 2009, fu accertata una pendenza di 37 cm tra la superficie del parcheggio dello stabilimento ( +34) ed il piano della strada pubblica (-3), specificando, a fronte delle eccezioni difensive, che le ~ le misurazioni tecniche non erano state eseguite sulla sabbia (superficie ovviamente soggetta a modificazione e non piana), ma sull’area pavimentata (quale il parcheggio), rilevandosi in tal modo una difformità rispetto al progetto assentite. Peraltro, la Corte distrettuale ha chiarito che, nella comunicazione della notizia di reato acquisita, si rilevava altresì che anche la quota del marciapiede circostante l’abitazione della Podda si trovava a -3 cm, così dimostrando come anche siffatta difformità avesse concorso a cagionare l’allagamento, risultando invece del tutto irrilevante, ai fini della decisione, se essa fosse o meno compatibile con il locale del regolamento edilizio.
Quanto ai rilievi difensivi circa l’insussistenza di un concreto pregiudizio per il paesaggio in relazione all’impiego di un diverso tipo di mattonelle per la pavimentazione ed alla realizzazione di un dislivello minimo di pendenza, la Corte del merito ha precisato come l’assunto difensivo fosse di scarsa consistenza, posto che proprio le difformità rilevate erano state idonee a cagionare una modifica consistente (sia estetica che funzionale) del paesaggio, creando, seppur in modo discontinuo durante l’anno, ampie aree di allagamento nel lido e comunque creando il pericolo che ciò potesse verificarsi in ogni momento, pregiudizio che, in quanto derivante da un intervento edilizio non conforme all’autorizzazione paesistica, doveva comunque trovare tutela, atteso che la norma di cui all’articolo 181 comma 1-bis d.lgs. n. 42 del 2004 che non prevede necessariamente una modifica di volumi e superfici, né una mera modifica estetica.
Ne consegue che i motivi di ricorso (il secondo ed il terzo per avv. De Cesaris e il primo, parzialmente, il secondo ed il terzo per avv. Agnese) non scalfiscono minimamente gli approdi cui la Corte d’appello è giunta per ritenere, con motivazione congrua e priva di vizi logici, la configurabilità dei reati contestati, ivi compreso il delitto paesaggistico, essendo peraltro evidente il nesso eziologico tra gli abusi accertati e gli avvenuti allagamenti ed altrettanto evidente l’impossibilità di ritenere l’ipotesi del reato urbanistico al posto di quello paesaggistico.
3. Quanto alla doglianza, che costituisce una delle questioni sollevate con il pr~mo motivo d’impugnazione per avv. Agnese, circa l’inesistenza di provvedimenti dichiarativi del notevole interesse pubblico di aree all’interno delle quali i lavori sono stati eseguiti, essa è infondata avendo la Corte di cassazione affermato che, in tema di tutela del paesaggio, il delitto previsto dall’art. 181, comma primo bis, lett. a), D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è configurabile anche quando i lavori abusivi sono effettuati su beni paesaggistici dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emesso ai sensi delle disposizioni previgenti al d.lgs. n. 42 del 2004 (Sez. 3, n. 38677 del 03/06/2014, Liccardi, Rv. 260387).
Nel caso di specie, la dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della pineta litoranea detta del tombolo tra la via litoranea antica e la costa, sita nell’ambito del comune di Grosseto, dove è sita la zona interessata ai lavori di cui al capo d’imputazione è intervenuta con il decreto ministeriale 27 marzo 1958.
4. Tuttavia sia dalla sentenza di primo grado (pag. 3) e sia da quella d’appello (pag. 4) risulta che i lavori sono stati ultimati in data 14 giugno 2007 e ciò segna (non la data dell’accertamento del reato) il momento consumativo del reato paesaggistico (Sez. 3, n. 24690 del 18/02/2015, Mancini, Rv. 263926).
Ne consegue che, non essendo ricorsi affetti da una causa d’inammissibilità ed essendo stato quindi regolarmente instaurato il rapporto processuale, è nel frattempo maturata la prescrizione del reato.
L’infondatezza dei motivi di ricorso comportano la conferma delle statuizioni civili disposte nel corso del giudizio di merito.
5. Le doglianze di natura processuale (mancata rinnovazione istruttoria dibattimentale, violazione del principi odi correlazione tra accusa e sentenza), peraltro ampiamente infondate, sono assorbite dalla declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione perché, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità siffatti vizi in quanto il giudice del rinvio, in mancanza di cause di proscioglimento nel merito rilevabili ictu oculi ed in assenza di una espressa rinuncia alla prescrizione da parte dell’imputato, avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275; Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 22/02/1993, Marino ed altri, Rv. 192471).
6. E’ assorbita anche la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. sul rilievo che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. sia perché diverse sono le conseguenze che scaturiscono dai due istituti, sia perché il primo di essi estingue il reato, mentre il secondo lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialità storica e giuridica (Sez. 3, n. 27055 del 26/05/2015, Sorbara, Rv. 263885).
7. La sentenza impugnata va pertanto annulla senza rinvio essendo il reato estinto per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili disposte nel corso del giudizio di merito.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Confermate le statuizioni civili.
Così deciso il 04/11/2015