Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Rifiuti
Numero: 4952 |
Data di udienza: 11 Ottobre 2018
RIFIUTI – Nozione di sottoprodotto – Sanza – Operazioni di asciugatura ed essiccazione – Riconducibilità nella categoria dei rifiuti – Normale pratica industriale – Esclusione – Attività di raccolta e gestione di rifiuti speciali non pericolosi – Artt. 183, 184 bis, 256, D. Lgs. n. 152/2006.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 1 Febbraio 2019
Numero: 4952
Data di udienza: 11 Ottobre 2018
Presidente: ROSI
Estensore: ANDREAZZA
Premassima
RIFIUTI – Nozione di sottoprodotto – Sanza – Operazioni di asciugatura ed essiccazione – Riconducibilità nella categoria dei rifiuti – Normale pratica industriale – Esclusione – Attività di raccolta e gestione di rifiuti speciali non pericolosi – Artt. 183, 184 bis, 256, D. Lgs. n. 152/2006.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 01/02/2019 (Ud. 11/10/2018), Sentenza n.4952
RIFIUTI – Nozione di sottoprodotto – Sanza – Operazioni di asciugatura ed essiccazione – Riconducibilità nella categoria dei rifiuti – Normale pratica industriale – Esclusione – Attività di raccolta e gestione di rifiuti speciali non pericolosi – Artt. 183, 184 bis, 256, D. Lgs. n. 152/2006.
Non rientrano nella nozione di sottoprodotto ex art. 184 bis del d.lgs. n. 152 del 2006 i materiali che non possono essere utilizzati direttamente dal produttore ma devono essere sottoposti ad una trasformazione preliminare. Sicché, il propedeutico procedimento di asciugatura ed essicazione della sansa, si connota in un trattamento diverso dalla normale pratica industriale con conseguente riconducibilità nella categoria dei rifiuti.
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 11/12/2014 – TRIBUNALE di ENNA) Pres. ROSI, Rel. ANDREAZZA, Ric. La Ferrara
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 01/02/2019 (Ud. 11/10/2018), Sentenza n.4952
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 01/02/2019 (Ud. 11/10/2018), Sentenza n.4952
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da LA FERRARA MAURIZIO nato a CALASCIBETTA;
avverso la sentenza del 11/12/2014 del TRIBUNALE di ENNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GASTONE ANDREAZZA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIULIO ROMANO che ha concluso chiedendo l’inammissibilita del ricorso;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Ferrara Maurizio ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Enna emessa in data 11/12/2014 di condanna per il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), del D. Lgs. n. 152 del 2006 perché realizzava un’attività di raccolta di rifiuti speciali non pericolosi, accumulando sanse umide di oliva, che, per la modalità di presentazione, non apparivano tali da potere essere qualificate come sottoprodotto, risultando in parte raccolte in sacchi di plastica ed in parte sparse a terra per essere asciugate, in mancanza di autorizzazione.
2. Con un primo motivo ha lamentato l’errata qualificazione giuridica della condotta dal momento che, a seguito dell’emanazione del D. Lgs. n. 205 del 2010, attuativo della direttiva 2008/98/CE, la sansa combustile avrebbe smesso di essere considerata rifiuto, definito alla lett. a) dell’art. 183 del D. Lgs. n. 152 del 2006 come qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi o abbia intenzione di disfarsi. Nel caso di specie, tuttavia, né La Ferrara né chi gli ha fornito la sansa avrebbero mai avuto intenzione di disfarsi della stessa posto che, anzi, qualora non sottoposta a sequestro, la stessa sarebbe stata sottoposta ad un processo di utilizzazione, come consentito ai sensi dell’art. 184-bis lett. b) del D. Lgs. n. 152 del 2006. Inoltre, il frantoio di provenienza della sansa, oggi dismesso, sarebbe stato di tipologia tradizionale a tre fasi e, pertanto, avrebbe realizzato un prodotto asciutto e compatto che non avrebbe necessitato di alcun ulteriore trattamento, né simile né diverso dalla pratica industriale. Lamenta, pertanto, che la sansa in deposito presso il magazzino avrebbe dovuto essere qualificata quale sottoprodotto e non come rifiuto; inoltre, anche il criterio di cui all’art. 184 bis lett. d) del D. Lgs. n. 152 del 2006 sarebbe stato soddisfatto atteso che la sansa in questione non comporterebbe impatti negativi, né sull’ambiente né sulla salute umana.
3. Con un secondo motivo ha contestato la ritenuta integrazione dell’elemento soggettivo giacché in sede penale non potrebbe non considerarsi l’effettiva pratica commerciale di diffusione delle caldaie a sansa e del commercio della stessa, anche se disoleata : non si potrebbe quindi minimamente ritenere di commettere un reato utilizzando la sansa, sostanzialmente asciutta, per alimentare l’impianto di riscaldamento. Lamenta, inoltre, che l’intero complesso delle norme in questione sarebbe incerto e tale da indurre in errore la maggior parte dei consociati.
4. Va anzitutto premesso che l’appello proposto deve essere convertito in ricorso per cassazione ex art. 568, comma 5, cod. proc. pen., stante l’inappellabilità della sentenza impugnata; infatti, secondo quanto affermato da Sez. U., n. 45371 del 30/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, come accaduto del resto nella specie, a norma dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l’esistenza di una "voluntas impugnationis", consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente.
5. Nel merito, il ricorso è inammissibile.
La sentenza impugnata, preso atto dei risultati dell’accertamento eseguito dal Corpo Forestale di Enna, dai quali è emerso che all’interno di un magazzino di proprietà dell’imputato erano custoditi circa duecento sacchetti da 25 chilogrammi l’uno contenenti sansa e ulteriori venti quintali sfusi sempre contenenti sansa, evidentemente asciugata o in attesa di essicazione, ha correttamente ritenuto la stessa quale rifiuto giacché non utilizzata direttamente dal produttore ma sottoposta a trasformazione preliminare e, dunque, non rientrante nella nozione di sottoprodotto ex art. 184 bis del d.lgs. n. 152 del 2006 (Sez. 3, n. 17863 del 16/03/2011, P.M. in proc. Ferrari, Rv. 250145).
A fronte di ciò il ricorrente, senza contestare i dati valorizzati dalla sentenza, ha sostanzialmente assunto come, tuttavia, già in fase di produzione la sansa fosse, in ragione della tipologia tradizionale a tre fasi del frantoio di provenienza, "asciutta e compatta" sì da non abbisognare di un ulteriore trattamento e sì da condurre a far escludere la applicabilità alla fattispecie del costante indirizzo di questa Corte che ha individuato nel procedimento di asciugatura ed essicazione della sansa un trattamento diverso dalla normale pratica industriale con conseguente riconducibilità appunto, nella categoria dei rifiuti (tra le altre, Sez. 3, n. 773 del 25/11/2009, Guerrieri, Rv. 245900).
Così facendo, però, il ricorrente ha invocato elementi fattuali non apprezzabili nella presente sede, esclusivamente deputata a considerare la adeguatezza e logicità della motivazione e la corretta applicazione delle norme di legge (elementi, entrambi, nella specie riscontrabili), con conseguente inammissibilità delle doglianze svolte.
6. Quanto al secondo motivo, lo stesso è parimenti inammissibile venendo, peraltro in termini del tutto generici, invocate, onde escludere l’elemento soggettivo del reato, considerazioni in realtà volte a richiedere il riconoscimento della natura scriminante della ignorantia legis in contrasto con il precetto normativo di cui all’art. 5 cod. pen..
7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso l’11 ottobre 2018