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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 40074 | Data di udienza: 19 Settembre 2019

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistico-edilizi – Opere accessorie e complementari e superfetazioni successive – Carattere abusivo dell’originaria costruzione – Abusiva prosecuzione delle opere – Inesistenza di un titolo – Ordine di demolizione – Restitutio in integrum dello stato dei luoghi – Art. 31, c.9, D.P.R. n. 380/2001 (T.U.E.) – Giurisprudenza.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 1 Ottobre 2019
Numero: 40074
Data di udienza: 19 Settembre 2019
Presidente: DI NICOLA
Estensore: REYNAUD


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistico-edilizi – Opere accessorie e complementari e superfetazioni successive – Carattere abusivo dell’originaria costruzione – Abusiva prosecuzione delle opere – Inesistenza di un titolo – Ordine di demolizione – Restitutio in integrum dello stato dei luoghi – Art. 31, c.9, D.P.R. n. 380/2001 (T.U.E.) – Giurisprudenza.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 01/10/2019 (Ud. 19/09/2019), Sentenza n.40074

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistico-edilizi – Opere accessorie e complementari e superfetazioni successive – Carattere abusivo dell’originaria costruzione – Abusiva prosecuzione delle opere – Inesistenza di un titolo – Ordine di demolizione – Restitutio in integrum dello stato dei luoghi – Art. 31, c.9, D.P.R. n. 380/2001 (T.U.E.) – Giurisprudenza.

In materia urbanistica, a prescindere dall’inesistenza di un titolo che disponga la demolizione delle opere abusive successivamente eseguite, quando queste non siano fisicamente separate dall’originaria opera di cui è stata ingiunta la demolizione, vale il principio secondo cui l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, riguarda l’edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all’esercizio dell’azione penale e/o alla condanna, atteso che l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di “restitutio in integrum” dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell’originaria costruzione (Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep. 2017, Molinari, relativa ad un caso in cui il giudice dell’esecuzione, con provvedimento ritenuto legittimo, aveva respinto la richiesta, formulata dal proprietario del piano primo di un edificio, di revoca o modifica dell’ordine di demolizione del piano terreno, disposto con sentenza nei confronti del responsabile dell’abuso; Sez. 3, n. 21797 del 27/04/2011, Apuzzo, concernente un’ipotesi in cui sul manufatto abusivo erano stati eseguiti interventi che ne avevano determinato ulteriori aumenti volumetrici; Sez. 3, n. 2872 del 11/12/2008, dep. 2009, Corimbi).

(dich. inammissibile il ricorso avverso ordinanza del 02/01/2019 del TRIBUNALE DI NAPOLI) Pres. DI NICOLA, Rel. REYNAUD , Ric.Cesarano


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 01/10/2019 (Ud. 19/09/2019), Sentenza n.40074

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da Cesarano Gennaro, nato a Monte di Procida;

avverso l’ordinanza del 02/01/2019 del TRIBUNALE DI NAPOLI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

sentita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con ordinanza del 2 Gennaio 2019, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza presentata da Gennaro Cesarano volta ad ottenere la revoca e/o la sospensione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo impartito, ex art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (T.U.E.) con sentenza Pret. Napoli 21 aprile 1998 (irrevocabile l’11 Luglio 1998).

2. Avverso detta ordinanza, nell’interesse dell’istante, ha proposto ricorso il suo difensore, deducendo, con unico motivo, la violazione degli artt. 81 cod. pen., 171 cod. proc. pen. e 31, comma 9, d.P.R. 380/2001 e vizio di motivazione per erronea ricostruzione del fatto.

Il ricorrente lamenta che l’ordinanza impugnata abbia erroneamente trascurato che l’ordine di demolizione posto in esecuzione era stato revocato dalla sent. C. appello Napoli n. 471/2006, che, decidendo il gravame proposto contro la sent. Trib. Napoli – sez. dist. Pozzuoli n. 362/2005, relativa a reati urbanistico-edilizi contestati al Cesarano per l’abusiva prosecuzione delle opere sul medesimo manufatto, ne aveva accertato l’intervenuta prescrizione, revocando l’ordine di demolizione e ordinando la restituzione dell’immobile all’avente diritto.

Poiché la contestazione oggetto del secondo procedimento si riferiva all’opera nella sua interezza quale terminata in data 11 maggio 1999, la revoca dell’ordine di demolizione doveva necessariamente riguardare anche quelle – parziali e di non rilevante entità – eseguite sino al 23 gennaio 1997 e fatte oggetto di giudizio nel procedimento concluso con la citata sent. Pret. Napoli posta oggi in esecuzione, a nulla rilevando che l’ordine di demolizione fosse in tale sentenza stato impartito nei confronti del Comune di Monte di Procida e che i fatti contestati nei due procedimenti siano stati qualificati, nell’ordinanza impugnata, come reati autonomi costituendi espressione di un unico disegno criminoso.
Non essendovi stata condanna, la Corte d’appello aveva correttamente revocato la sanzione amministrativa dell’ordine di demolizione, la cui applicazione rientra nell’esclusiva competenza comunale, che aveva peraltro ingiunto la demolizione dell’intero manufatto con ordinanza del 26 maggio 1999.

3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

L’ordinanza impugnata dà atto che l’ordine di demolizione di cui trattasi è quello impartito con la citata sentenza di applicazione pena Pret. Napoli n. 210/1998 – divenuta irrevocabile – e che, a prescindere dal riferimento operato in dispositivo al Comune di Monte di Procida, come anche si comprende dal tenore della motivazione, la sanzione ripristinatoria era stata innanzitutto disposta nei confronti dell’imputato.

Il ricorrente non contesta tale ricostruzione, limitandosi a sostenere che quella statuizione era stata revocata dalla sentenza d’appello conclusiva del giudizio successivamente radicato per i reati urbanistico-edilizi commessi dallo stesso Cesarano proseguendo e ultimando le opere abusive oggetto di quel primo procedimento.

L’ordinanza impugnata, disattendendo l’identica questione già sollevata nel giudizio di merito, ha tuttavia escluso la fondatezza di quell’assunto, osservando come l’ordine di demolizione revocato dalla Corte d’appello fosse quello riferito alle opere abusive oggetto di quel giudizio, vale a dire le opere effettuate sul medesimo manufatto dopo il 23 gennaio 1997 (fatto giudicato nel primo procedimento), accertate nell’aprile 1997 e nel settembre 1998 e proseguite sino all’il maggio 1999.

Diversamente da quanto opina il ricorrente, la ricostruzione operata dall’ordinanza impugnata è indubbiamente corretta: la sent. C. Appello Napoli n. 471/2006 (che il ricorrente allega) non menzione l’ordine di demolizione impartito con la sent. Pret. Napoli n. 210/1998 e, trattandosi di reati indubbiamente diversi, l’impossibilità di disporre la demolizione delle opere abusivamente realizzate dopo il 23 gennaio 1997 per la prescrizione dei relativi reati ovviamente non travolge la statuizione contenuta nella sentenza qui posta in esecuzione, concernente reato non prescritto e correttamente all’epoca applicata da una sentenza poi passata in giudicato.

Semmai, potrebbe essere vero il contrario, poiché, a prescindere dall’inesistenza di un titolo che disponga la demolizione delle opere abusive successivamente eseguite, quando queste non siano fisicamente separate dall’originaria opera di cui è stata ingiunta la demolizione, vale il principio secondo cui l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, riguarda l’edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all’esercizio dell’azione penale e/o alla condanna, atteso che l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di “restitutio in integrum” dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell’originaria costruzione (Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep. 2017, Molinari, Rv. 268831, relativa ad un caso in cui il giudice dell’esecuzione, con provvedimento ritenuto legittimo da questa Corte, aveva respinto la richiesta, formulata dal proprietario del piano primo di un edificio, di revoca o modifica dell’ordine di demolizione del piano terreno, disposto con sentenza nei confronti del responsabile dell’abuso; Sez. 3, n. 21797 del 27/04/2011, Apuzzo, Rv. 250389, concernente un’ipotesi in cui sul manufatto abusivo erano stati eseguiti interventi che ne avevano determinato ulteriori aumenti volumetrici; Sez. 3, n. 2872 del 11/12/2008, dep. 2009, Corimbi, Rv. 242163).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il relativo ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento di un somma in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 19 Settembre 2019.

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