E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo).
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 03/11/2016 (ud. 05/10/2016) Sentenza n.46168
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
MELE PIETRO, n. 12/09/1944 a Lizzano
avverso la sentenza della Corte d’appello di POTENZA in data 17/09/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P. Fimiani, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 17/09/2015, depositata in data 9/11/2015, la Corte d’appello di POTENZA confermava la sentenza del tribunale di MATERA del 24/09/2013, che lo aveva condannato alla pena di 2 mesi di arresto ed € 500,00 di ammenda per il reato di cui all’
art. 175, co. 1, d. lgs. n. 42 del 2004, per aver eseguito abusivamente ricerche archeologiche in data 29/10/2011.
2. Ha proposto personalmente ricorso MELE PIETRO, impugnando la sentenza predetta con cui deduce un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe confermato la responsabilità penale dell’imputato per il sol fatto di essere stato colto in zona sottoposta a vincolo storico archeologico in quanto trovato in possesso di un metal detector, di una zappetta e di una pinza, oltre che di una bustina contenente dei funghi; l’attività penalmente perseguita non è il semplice trovarsi nei luoghi indicati o la generica ricerca di cose, ma la ricerca di quelle cose indicate nell’art. 10 del decreto Urbani, ossia oggetti di interesse storico archeologico; si sarebbe quindi fatto discendere dal possesso momentaneo degli oggetti sopra descritti la sussistenza del reato; tuttavia, si sostiene, la mera presunzione che tali mezzi fossero atti alla ricerca di reperti non può essere posto a fondamento di una sentenza di condanna, poiché una simile anticipazione della soglia di punibilità sarebbe in palese contrasto con lo spirito della legge, che punisce espressamente il perpetrarsi di delitti specifici e non la detenzione di oggetti non vietati dalla legge penale; La condanna si fonderebbe su una mera presunzione, peraltro illogica in quanto contrastante con il dato di fatto che detta attività illecita sarebbe stata compiuta in un orario, le 11 del mattino, in zona assai frequentata perché venatoria.
In secondo luogo, infine, si censura la sentenza per aver motivato il diniego delle attenuanti generiche fondandolo sui precedenti specifici del ricorrente, senza tuttavia tener conto che proprio la presenza di precedenti penali scoraggia il compimenti di attività analoghe in quelle condizioni spazio temporali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è generico e manifestamente infondato.
4. Ed invero, il ricorrente non si confronta con le argomentazioni della Corte d’appello spese a sostegno della conferma dell’affermazioni di responsabilità, prestando quindi il fianco alle censure di genericità dell’impugnazione. E’, infatti, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
I giudici della Corte d’appello hanno infatti ritenuto di dover confermare l’affermazione di responsabilità per il reato in esame in quanto l’imputato venne trovato in possesso di quegli oggetti, tra cui un metal detector di cui egli tentò di disfarsi alla vista dell’agente operante, attrezzo che era stato visto appoggiato vicino ad un mucchio di pietre e davanti ai piedi dell’imputato; la consapevolezza e la volontà di svolgere la attività di ricerca illecita, è stata ritenuta sussistente dai giudici d’appello in ragione della presenza dell’imputato in zona sottoposta a vincolo storico archeologico, in cui erano stati ritrovati numerosi reperti; infine, la Corte territoriale esclude la fondatezza della tesi difensiva secondo cui il ricorrente si fosse trovato in loco per cercare funghi, non essendo giustificabile in ragione del possesso del metal detector (attrezzo incompatibile con la ricerca di funghi ma compatibile ed, anzi, necessario per la ricerca di reperti archeologici), del comportamento tenuto quando egli si era visto scoperto (tentativo di disfarsi del metal detector) e in ragione anche del precedente specifico, ciò che conduceva i giudici di appello ad escludere che vi fosse incertezza in ordine alla finalità dell’imputato di ricercare reperti archeologici.
5. Al cospetto di tale apparato argomentativo coerente con la ricostruzione in fatto della vicenda e del tutto immune da vizi logici, il ricorrente oppone censura che si denotano, come detto per la loro genericità e, in ultima analisi, puramente contestative e in fatto, laddove il ricorrente tenta ancora una volta di fornire una spiegazione alternativa della sua presenza in loco in quanto intento solo a cercare funghi come dimostrato dal sacchetto contenente funghi, così invitando questa Corte a svolgere apprezzamenti fattuali del tutto inibiti in questa sede di legittimità. Del resto, osserva il Collegio, la soluzione cui è pervenuta la Corte d’appello risulta anche giuridicamente corretta, atteso che l’
art. 175 del D. Lgs. n. 42 del 2004, sotto la rubrica “Violazioni in materia di ricerche archeologiche”, punisce per quanto qui di interesse alla lett. a) la condotta di “chiunque esegue ricerche archeologiche o, in genere, opere per il ritrovamento di cose indicate all’Articolo 10 senza concessione, ovvero non osserva le prescrizioni date dall’amministrazione”. La norma riprende integralmente la fattispecie già contemplata dall’art. 124, D. Lgs. n. 490 del 1999, a proposito della quale la giurisprudenza di questa Sezione aveva avuto modo di affermare che la mera attività di ricerca di oggetti d’arte e antichità che ancora non siano stati individuati integrasse la contravvenzione di cui all’art. 124 citato che sanziona(va) le violazioni in materia di ricerche archeologiche (Sez. F, n. 34944 del 07/08/2003 – dep. 25/08/2003, Marcomeni ed altro, Rv. 228321, relativa a fattispecie nella quale gli imputati erano stati sorpresi a scavare in una zona di interesse archeologico). Ne discende, pertanto, che alla stregua degli elementi oggettivi emersi in sede dibattimentale la condotta del ricorrente rientra integralmente nella fattispecie incriminatrice di cui all’
art. 175, D. Lgs. n. 42 del 2004, configurabile anche in presenza di una mera attività di ricerca di oggetti d’arte e antichità che ancora non siano stati individuati, come nel caso di specie.
6. Manifestamente infondata è poi la residua doglianza difensiva afferente il diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avendo infatti chiarito i giudici di appello che correttamente il primo giudice aveva escluso la concepibilità dell’art. 62 bis c.p., in considerazione del precedente specifico. Trattasi di motivazione immune da vizi e giuridicamente corretta, laddove si consideri che nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favore voli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (v., tra le tante: Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 – dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244, relativa a fatti specie in cui questa Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
7. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di ( 2000,00 in favore della Cassadelle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 5 ottobre 2016