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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Acqua - Inquinamento idrico Numero: 46152 | Data di udienza: 19 Luglio 2016

CODICE DELL’AMBIENTE – INQUINAMENTO IDRICO  – Scarico delle acque reflue industriali nella pubblica fognatura – Attività di trattamento superficiale di metalli (nichel e rame) – Superamento del valore limite fissato nella tabella 3 dell’allegato 5  – Art. 137 comma 5 d. L.vo n.152/2006 – Giurisprudenza – Fattispecie – ACQUA – Scarico di acque reflue industriali – Profilo soggettivo del reato “chiunque” – Responsabilità del titolare di un insediamento produttivo – Obbligo di diligenza intenso ed ampio – Accorgimenti operativi – Migliore tecnica disponibile.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 3 Novembre 2016
Numero: 46152
Data di udienza: 19 Luglio 2016
Presidente: ROSI
Estensore: Di Stasi


Premassima

CODICE DELL’AMBIENTE – INQUINAMENTO IDRICO  – Scarico delle acque reflue industriali nella pubblica fognatura – Attività di trattamento superficiale di metalli (nichel e rame) – Superamento del valore limite fissato nella tabella 3 dell’allegato 5  – Art. 137 comma 5 d. L.vo n.152/2006 – Giurisprudenza – Fattispecie – ACQUA – Scarico di acque reflue industriali – Profilo soggettivo del reato “chiunque” – Responsabilità del titolare di un insediamento produttivo – Obbligo di diligenza intenso ed ampio – Accorgimenti operativi – Migliore tecnica disponibile.



Massima

 



CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 03/11/2016 (ud. 19/07/2016) Sentenza n.46152




CODICE DELL’AMBIENTE – INQUINAMENTO IDRICO – ACQUA – Scarico delle acque reflue industriali nella pubblica fognatura – Attività di trattamento superficiale di metalli (nichel e rame) – Superamento del valore limite fissato nella tabella 3 dell’allegato 5  – Art. 137 comma 5 divo 152/2006 – Giurisprudenza – Fattispecie.
 
 
In tema di inquinamento idrico, l’art. 137, comma quinto, del D.Lgs. n. 152 del 2006, come modificato dalla legge n. 36 del 2010, prevede la sanzione penale esclusivamente nel caso in cui lo scarico avente ad oggetto acque reflue industriali riguardi una o più sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del d.lgs. n.152/2016, con superamento dei valori limite indicati nella tabella 3 (Sez. 3, n.19753 del 19/04/2011; Sez. 3, n.11884 del 21/02/2014). Nella specie, la circostanza che l’impresa non fosse dotata di scarichi industriali, in quanto i reflui industriali venivano raccolti in cisterne e conferiti a ditte specializzate per il trattamento e smaltimento come rifiuti, non rileva ai fini della configurabilità del reato contestato. Ciò che integra il reato è, infatti, l’immissione di acque provenienti da attività di tipo produttivo nella rete fognaria; tanto può avvenire, come nella specie, anche attraverso l’utilizzo di linee in cui dovrebbero confluire soltanto acque domestiche e pluviali.
 

INQUINAMENTO IDRICO – ACQUA – Scarico di acque reflue industriali – Profilo soggettivo del reato “chiunque” – Responsabilità del titolare di un insediamento produttivo – Obbligo di diligenza intenso ed ampio – Accorgimenti operativi – Migliore tecnica disponibile.
 
Il d.lgs. n. 152 del 2.006, art. 137, comma 5, punisce senza prevedere eccezioni, chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’Autorità competente (Cass. Sez.3, n.20873 del 2012). Nella specie, sotto il profilo soggettivo, il titolare di un insediamento produttivo ha un obbligo di diligenza particolarmente intenso ed ampio, che si concreta nell’onere di predisporre ogni misura preventiva, tecnica ed organizzativa atta a scongiurare l’evenienza di uno scarico extrabellare ovvero nell’onere di adottare tutti gli accorgimenti operativi consentiti dalla migliore tecnica disponibile al fine di evitare tale evento, analizzando diffusamente la condotta tenuta nel tempo dall’imputato e rilevandone la non rispondenza ad un siffatto obbligo di diligenza
 
 
(conferma sentenza del 23/06/2015 della CORTE DI APPELLO DI MILANO ) Pres. ROSI, Rel. DI STASI, Ric. Dell’Acqua
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 03/11/2016 (ud. 19/07/2016) Sentenza n.46152

SENTENZA

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 03/11/2016 (ud. 19/07/2016) Sentenza n.46152
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
– sul ricorso proposto da:
DELL’ACQUA PIETRO nato a Melegnano il 11/05/1948
– avverso la sentenza del 23/06/2015 della Corte di Appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
– udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
– udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Pasquale Fimiani che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
– udito per l’imputato l’avv. Andrea Perron Cabus, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso. 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 24.11.2014, il Tribunale di Milano dichiarava Dell’Acqua Pietro, quale legale rappresentante dell’impresa “Deltar co-depositlon srl” con sede in Peschiera Borromeo, responsabile del reato di cui all’art. 137 comma 5 d.L.vo n.152/2006, per aver effettuato lo scarico delle acque reflue industriali nella pubblica fognatura superando il valore limite fissato nella tabella 3 dell’allegato 5 alla parte terza del d.lvo 152/06 per le sostanze rame e nichel e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 6.000,00 di ammenda con pena sospesa.
 
Con sentenza del 23.6.2015, la Corte di Appello di Milano in parziale riforma della sentenzadel Tribunale di Milano riduceva la pena inflitta a Dell’Acqua Pietro a mesi due di arresto ed euro 4.000,00 di ammenda concedendoall’imputato il beneficiodella non menzionee confermandonel resto.
 
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Dell’Acqua Pietro, per il tramite del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
 
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 137 comma 5 d.Lvo 152/2006.
 
Argomenta che la Corte territoriale, con ragionamento illogico, ha ritenuto che, poiché nel pozzetto di ispezione delle acque domestiche e pluviali sito all’interno dello stabilimento della “Deltar co-deposition srl” erano state rinvenute anche sostanze non riconducibili al metabolismo umano, ad attività domestiche e ad eventi atmosferici e che la Deltar esercitava attività produttiva, tali circostanze comprovavano che le sostanze rinvenute- nichel e rame- erano da qualificarsi come reflui industriali derivanti dal ciclo produttivo della Deltar. Tale motivazione contrasta con il principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui lo scarico è da qualificarsi refluo solo qualora risulti accertato uno stabile collegamento tra la sostanza ritenuta inquinante e il ciclo produttivo, in ordine alla cui sussistenza nel caso in esame la Corte territoriale aveva offerto una motivazione illogica e carente.
 
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 137 comma 5 dLvo 152/2006.
 
Argomenta che la Corte territoriale ha ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato per non aver la Deltar adottato tutte le misure e gli strumenti possibili al fine di evitare l’integrazione del reato contestato senza nulla motivare in ordine alla insufficienza delle misure predisposte dall’imputato limitandosi ad affermare in maniera apodittica una carenza organizzativa dell’impresa Deltar.
 
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
 
Va osservato che l‘art. 137, comma quinto, del D.Lgs. n. 152 del 2006, come modificato dalla legge n. 36 del 2010, prevede la sanzione penale esclusivamente nel caso in cui lo scarico avente ad oggetto acque reflue industriali riguardi una o più sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del citato d.lgs., con superamento dei valori limite indicati nella tabella 3 (Sez. 3, n.19753 del 19/04/2011, Rv.250338; Sez. 3, n.11884 del 21/02/2014,Rv.258704).
 
Nella specie, la Corte territoriale ha accertato che l’attività della ditta, di cui l’imputato era rappresentante legale, comprendeva attività di trattamento superficiale di metalli e soprattutto deposizione di nichel su particolari metalli, impiegando tra l’altro sostanze contenenti nichel e rame.
 
Le sostanze rinvenute nello scarico sono nichel e rame, e, quindi, sostanze ricomprese nella tabella 5) dell’allegato 5 alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 5.
 
E’, quindi, certa l’appartenenza del nichel e del rame all’attività dell’impresa di cui è legale rappresentante l’imputato e, quindi, la riconducibilità ad essa degli scarichi di cui alla contestazione.
 
Quanto alla individuazione dello scarico, la Corte territoriale ha accertato che nel sifone di allacciamento alla fognatura dove erano stati eseguiti i prelievi che hanno evidenziato la presenza di nichel e rame, confluivano due scarichi paralleli riconducibili all’azienda, uno riguardante le acque domestiche e l’altro quelle meteoriche.
 
La circostanza che l’impresa non fosse dotata di scarichi industriali, in quanto i reflui industriali venivano raccolti in cisterne e conferiti a ditte specializzate per il trattamento e smaltimento come rifiuti, non rileva ai fini della configurabilità del reato contestato.
 
Ciò che integra il reato è, infatti, l’immissione di acque provenienti da attività di tipo produttivo nella rete fognaria; tanto può avvenire, come nella specie, anche attraverso l’utilizzo di linee in cui dovrebbero confluire soltanto acque domestiche e pluviali. 
 
La censura, inoltre, con la quale si sostiene che l’immissione occasionale non può integrare il reato contestato è infondata.
 
E’ stato accertato, infatti, che l’immissione è stata riscontrata più volte, nell’arco di anni, ad intervalli di tempo più o meno ampi. Questa Corte, inoltre, ha affermato che il superamento dei limiti tabellari integra sempre e in ogni caso – non essendovi alcuna disposizione di legge in contrario – il reato contestato, quale che sia l’operazione che viene svolta attraverso il sistema di depurazione. Il d.lgs. n. 152 del 2.006, art. 137, comma 5, punisce, infatti, senza prevedere eccezioni, “chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’Autorità competente” (Sez.3, n.20873 del 2012, non mass.).
 
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
 
La Corte territoriale, sotto il profilo soggettivo, ha rilevato che il titolare di un insediamento produttivo ha un obbligo di diligenza particolarmente intenso ed ampio, che si concreta nell’onere di predisporre ogni misura preventiva, tecnica ed organizzativa atta a scongiurare l’evenienza di uno scarico extrabellare ovvero nell’onere di adottare tutti gli accorgimenti operativi consentiti dalla migliore tecnica disponibile al fine di evitare tale evento, analizzando diffusamente la condotta tenuta nel tempo dall’imputato e rilevandone la non rispondenza ad un siffatto obbligo di diligenza (pag. 6, 7).
 
Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
 
Il ricorrente, pertanto, pacificamente legale rappresentante della della “Deltar co-deposition srl”, in assenza di una espressa delega in ordine alla vigilanza del ciclo produttivo, non può che rispondere, a titolo di colpa, delle violazioni della normativa ambientale, derivanti dall’esercizio dell’attività aziendale.
 
3. Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
Così deciso il 19/07/2016
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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