DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – DIRITTO DEMANIALE – Opere stagionali realizzate sul demanio marittimo – Mancata rimozione e trasformazione in strutture permanenti in assenza del permesso di costruire – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Autorizzazione paesaggistica annuale – Art. 44, comma 1, lett. e), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – Giurisprudenza.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 4 Settembre 2018
Numero: 39677
Data di udienza: 6 Aprile 2018
Presidente: CAVALLO
Estensore: REYNAUD
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – DIRITTO DEMANIALE – Opere stagionali realizzate sul demanio marittimo – Mancata rimozione e trasformazione in strutture permanenti in assenza del permesso di costruire – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Autorizzazione paesaggistica annuale – Art. 44, comma 1, lett. e), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – Giurisprudenza.
Massima
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 04/09/2018 (Ud. 06/04/2018), Sentenza n.39677SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 04/09/2018 (Ud. 06/04/2018), Sentenza n.39677
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE,
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Dallamotta Leonardo, nato a Venezia;
avverso la sentenza del 05/12/2016 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione;
udito il difensore dell’imputato, avv. Stefano Chiariatti, che ha concluso chiedendo accogliersi le conclusioni del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 dicembre 2016, la Corte d’appello di Lecce, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Lecceil 19 maggio 2015, riteneva Leonardo Dallamotta colpevole dei reati di cui all’art. 44, comma 1, lett. e), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e, ritenuto tra gli stessi il vincolo della continuazione, lo condannava alle pene di legge. La Corte riteneva la sussistenza dei reati, esclusi invece dal primo giudice, sul rilievo che, al termine della stagione estiva, il concessionario Dallamotta non aveva rimosso le opere autorizzate con un permesso di costruire stagionale e realizzate sul demanio marittimo, in tal modo trasformando dette strutture in permanenti in assenza del permesso di costruire non stagionale (rilasciato soltanto il 17 maggio 2012) e dell’autorizzazione paesaggistica annuale (poi rilasciata il 13 dicembre 2011).
2. Avverso la sentenza di appello, hanno proposto ricorso, nell’interesse dell’imputato, i suoi difensori, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3. Con il primo motivo si deducono violazione degli artt. 44, comma 1, lett. e), d.P.R. 380 del 2001 e 181 d.lgs. 42 del 2004, inosservanza della potestà legislativa in materia e vizio di motivazione, osservando che il ricorrente aveva sin dal 2007 il permesso di costruire relativamente ad opere precarie – rilasciato a seguito di conferenza di servizi e quindi in esito ad autorizzazione paesaggistica – che gli consentiva il mantenimento stagionale delle strutture e che il provvedimento faceva salve "le disposizioni in deroga previste dalla vigente legge regionale". In forza dell’art. 11, commi 4-ter e 4-quater legge Regione Puglia n. 17/2006 e ss. mm. ii., le strutture precarie funzionali all’attività turistica autorizzate stagionalmente potevano essere mantenute per tutto l’anno e il fatto che le opere non fossero state rimosse al termine della stagione non consentiva di ritenerle trasformate in opere inamovibili per sostenere l’inapplicabilità della citata normativa regionale, ciò che la Corte di cassazione avrebbe stabilito in una precedente sentenza del 2009 resa su ricorso del Dallamotta con riferimento alla medesima contestazione di reati, riferita a periodo precedente.
4. Con il secondo motivo, si deduce violazione del’art. 5 cod. pen. (come modificato dalla sent. Corte cost. n. 364 del 1988) e vizio di motivazione per non essere stata comunque ritenuta la buona fede del ricorrente, fondata sulle richiamate previsioni di cui all’art. 11 della legge Reg. Puglia 17/2006, come modificata dalla legge Reg. Puglia n. 24/2008, nonché sulla citata sentenza (di annullamento della condanna, senza rinvio) resa dalla Corte di cassazione nel 2009 e sulla sent. T.A.R. Puglia – sez. di Lecce n. 903 del giugno 2011 con cui era stato annullato il diniego all’autorizzazione paesaggistica annuale. Tutto ciò, deduce il ricorrente, avrebbe dovuto indurre a pronunciare una sentenza di assoluzione quantomeno per difetto dell’elemento soggettivo.
5. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 552, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per l’imprecisione del capo di imputazione, nel quale le opere oggetto di contestazione sono genericamente indicate come "strutture".
6. Con il quarto motivo si eccepisce la prescrizione dei reati, accertati nel marzo 2011, che non sarebbero permanenti, ma istantanei con effetti permanenti, dovendosi comunque i reati considerarsi decorsi cinque anni dal rilascio del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica annuale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Nella giurisprudenza di questa Corte è pacifico che integra il reato di cui all’art. 44, comma primo, lett. b) o c) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la mancata rimozione, alla scadenza del termine previsto nell’autorizzazione "in precario", di un manufatto installato per soddisfare esigenze stagionali (Sez. 3, n. 23645 del 12/05/2011, Frassica, Rv. 250484). Per altro verso – con riguardo al giudizio sulla correlazione tra accusae sentenza – vi è piena equivalenza ai fini della contestazione dei reati previsti dagli artt. 44, lett. e), d.P.R. 380 del 2001 e 181 D.Lgs. n. 42 del 2004, tra la condotta di colui che edifica un manufatto in contrasto con le norme urbanistiche e paesaggistiche e colui che, realizzando un’opera di tipo precario compatibile con il territorio per un limitato periodo di tempo, non la rimuove in spregio delle indicazioni dell’autorità amministrativa (Sez. 3, n. 50620 del 18/06/2014, Urso e a., Rv. 261915).
Nel caso di specie non è controverso che all’epoca dei fatti (accertati il 23 marzo 2011) l’imputato avesse ottenuto il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica per il mantenimento stagionale delle opere, dal 1 ° aprile al 30 ottobre di ogni anno, sicché, non avendole rimosse al 30 ottobre 2010, sul piano oggettivo sono integrati i reati urbanistico e paesaggistico oggetto di contestazione.
1.1. A diversa conclusione non può giungersi sulla scorta delle disposizioni di legge regionale invocate in ricorso.
Quanto all’art. 11, comma 4 bis, della l.r. Puglia 23 giugno 2006, n. 17, quale introdotto dall’art. 42, l. r. 16 aprile 2007, n. 10 – a norma del quale «il mantenimento per l’intero anno delle strutture precarie e amovibili di facile rimozione, funzionali all’attività turistico-ricreativa e già autorizzate per il mantenimento stagionale, è consentito anche in deroga ai vincoli previsti dalle normative in materia di tutela territoriale, paesaggistica, ambientale e idrogeologica») – ne è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale con sent. Corte cost. 23-27/06/2008, n. 232 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.. Nella citata sentenza si legge che, diversamente da quanto previsto dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, «la norma sottoposta a scrutinio… consente il mantenimento delle opere precarie in questione, oltre il periodo autorizzato in relazione alla durata della stagione balneare, in mancanza della necessaria positiva valutazione di compatibilità paesaggistica. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la tutela ambientale e paesaggistica, la quale ha ad oggetto un bene complesso ed unitario, che costituisce un valore primario ed assoluto, rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 367 del 2007 e n. 182 del 2006). Ciò, se non esclude la possibilità che leggi regionali, emanate nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., o di quella residuale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., possano assumere tra i propri scopi anche indirette finalità di tutela ambientale (sentenza n. 232 del 2005), non consente, tuttavia, che le stesse introducano deroghe agli istituti di protezione ambientale uniformi, validi in tutto il territorio nazionale, nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica»(Corte cost., sent. n. 232 del 2008).
La successiva l.r. 2 ottobre 2008, n. 24, nell’inserire nel citato art. 11 l.r. 17 del 2006 i commi 4-ter, 4-quater, 4-quinquies e nel prevedere che, a parziale modifica del P.U.T.T. (Piano Urbanistico Territoriale Tematico) del paesaggio in allora vigente, «tutte le strutture funzionali all’attività balneare, purché di facile amovibilità, possono essere mantenute per l’intero anno» (comma 4-ter), potendo la rimozione avvenire «alla scadenza dell’atto concessorio, se non rinnovato» (comma 4-quater), all’evidente fine di conformarsi ai principi affermati dalla Corte costituzionale quanto ai rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale in materia, ha significativamente previsto che «i soggetti interessati devono munirsi preventivamente del nulla-osta dell’autorità competente in materia» (comma 4-quinquies). Tale ultima disposizione, a cui il ricorrente neppure accenna, limitandosi a richiamare le due precedenti, chiarisce l’irrilevanza di queste ultime rispetto alla soluzione della questione controversa (cfr., in termini, Sez. 3, 28/03/2017, n. 30188, Resta, non massimata; Sez. 3,
09/10/2012, dep. 2013, n. 15023, Ponzo, non massimata).
All’epoca dell’accertamento, di fatti, il ricorrente non aveva ancora ottenuto l’autorizzazione paesaggistica per il mantenimento annuale delle strutture (rilasciata soltanto il 13 dicembre 2011) ed il conseguente permesso di costruire annuale (emesso il 17 maggio 2012), sicché, per quanto sopra osservato, la mancata rimozione delle opere al termine della stagione – imposta dai provvedimenti a durata stagionale in allora posseduti – ha sul piano oggettivo determinato l’integrazione dei reati ascritti.
2. E’ del pari manifestamente infondato, oltre che generico, il terzo motivo di ricorso.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, non sussiste alcuna incertezza sull’imputazione, quando il fatto sia contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa, non essendo necessaria una indicazione assolutamente dettagliata dell’imputazione stessa (Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014, dep. 2015, B. e aa., Rv. 264877; Sez. 5, n. 6335 del 18/10/2013, dep. 2014, Rv. 258948); la contestazione, inoltre, non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l’imputato in condizione di conoscere in modo ampio l’addebito (Sez. 2, n. 2741 del 11/12/2015, dep. 2016, Ferrante, Rv. 265825; Sez. 2, n. 36438 del 21/07/2015, Bilotta e aa., Rv. 264772). Non solo il ricorrente non deduce di non essere stato in grado di esercitare pienamente il diritto di difesa (sicché l’impugnazione sarebbe appunto generica), ma dalla narrativa del ricorso si ricava come egli fosse perfettamente a conoscenza delle opere la cui abusiva realizzazione era stata contestata, sicché, peraltro, nulla impediva di poter da parte sua richiedere – e da parte del giudice valutare – se ricorressero gli estremi per poter fare applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. o ritenere addirittura l’inoffensività del fatto.
3. Il secondo motivo di ricorso non può invece dirsi manifestamente infondato.
La sentenza impugnata non si sofferma effettivamente in alcun modo sull’elemento soggettivo dei reati ascritti, benché, in primo grado, l’imputato fosse stato assolto, avendo il tribunale ritenuto che per le peculiarità della fattispecie (caratterizzata dal possesso di autorizzazioni stagionali, dalla amovibilità delle strutture e dal loro scarso impatto ambientale, dalla brevità del periodo invernale di illegittimo mantenimento) l’ipotesi in questione fosse estranea a quella del penalmente rilevante. Se agli elementi considerati (pur erroneamente) dal tribunale per giungere a tale conclusione si aggiunge l’obiettiva incertezza determinata dal susseguirsi delle leggi regionali di cui si è dato conto al §. 1 – aggravata dal tenore della Circ. Reg. Puglia – Servizio Demanio e Patrimonio del 16 ottobre 2008, richiamata in ricorso – e, con specifico riguardo alla posizione del ricorrente, il fatto che egli fosse stato assolto dai medesimi reati qui sub iudice accertati nell’anno 2005 con sent. Cass. 24/03/2009 n. 25962 (di annullamento senza rinvio della sentenza di condanna emessa in appello, in riforma alla sentenza di assoluzione resa in primo grado, con la formula perché il fatto non sussiste), doveva in effetti essere quantomeno esaminato il tema dell’elemento soggettivo per verificare se nella specie ricorresse l’invocata ignoranza inevitabile della legge penale, scusabile ai sensi dell’art. 5 cod. pen. nella versione risultante dalla declaratoria d’illegittimità costituzionale adottata con sent. Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364. In forza di tale pronuncia, l’orientamento ondivago del legislatore regionale, delle strutture amministrative regionali, degli stessi organi giudiziari è, di fatti, elemento da cui potrebbe ricavarsi l’ignoranza scusabile della legge penale, ciò che anche la giurisprudenza di questa Corte ha successivamente ritenuto (quanto alla rilevanza della prassi amministrativa, v. Sez. 3, n. 35314 del 20/05/2016, Oggero, Rv. 268000; quanto alla rilevanza degli orientamenti giurisprudenziali, v. Sez. 3, n. 4951del17/12/1999, dep. 2000, De Nunzio, Rv. 216561).
4. Non essendo, dunque, inammissibile il ricorso, quantomeno con riguardo al secondo motivo, in accoglimento del quarto motivo deve riconoscersi che – decorso il quinquennio dall’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica e del permesso costruire annuale nelle date più sopra indicate e non risultando cause di sospensione del corso della prescrizione – i reati si sono estinti per prescrizione, ciò che comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, non sussistendo evidenti elementi che consentano di adottare una più favorevole sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché reati sono estinti per prescrizione.
Così deciso il 6 aprile 2018.