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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 45943 | Data di udienza: 28 Marzo 2017

RIFIUTI – Smaltimento non autorizzato di rifiuti frantumando inerti da demolizione – Operazioni di livellamento – Natura di deposito temporaneo – Esclusione – Artt. 183 e 256 D. Lgs n.152/2006DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità – Controllo sulla motivazione – Limiti – Art. 606, 1°c., lett.e), cod. proc. pen. – Giurisprudenza.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Ottobre 2017
Numero: 45943
Data di udienza: 28 Marzo 2017
Presidente: RAMACCI
Estensore: CIRIELLO


Premassima

RIFIUTI – Smaltimento non autorizzato di rifiuti frantumando inerti da demolizione – Operazioni di livellamento – Natura di deposito temporaneo – Esclusione – Artt. 183 e 256 D. Lgs n.152/2006DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità – Controllo sulla motivazione – Limiti – Art. 606, 1°c., lett.e), cod. proc. pen. – Giurisprudenza.



Massima

 

 
 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 06/10/2017, (Ud. 28/03/2017) Sentenza n.45943


RIFIUTI – Smaltimento non autorizzato di rifiuti frantumando inerti da demolizione – Operazioni di livellamento – Natura di deposito temporaneo – Esclusione – Artt. 183 e 256 D. Lgs n.152/2006.
 
Il reato di cui all’art. 256 del D. Lgs 152/2006, si integra anche quando si effettua attività, non autorizzata, di smaltimento rifiuti frantumando inerti da demolizione e provvedendo al loro spianamento e livellamento al suolo. Nella specie, è stato escluso che a tale modalità di deposito dei materiali sia attribuibile la natura di deposito temporaneo, di cui all’articolo 183 lettera bb) D. Lgs n.152/2006, dal momento che essi furono livellati e frantumati con attività certamente irrazionali per un loro successivo smaltimento (che avrebbe richiesto di tenere tali materiali ben separati, al fine suddetto).


DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità – Controllo sulla motivazione – Limiti – Art. 606, 1°c., lett.e), cod. proc. pen. – Giurisprudenza.
 
Il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa dell’art. 606, primo comma, lettera e), cod. proc. pen., al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; sez. 6, 20 aprile 2006, n.14054; sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096; sez. 3, 13 febbraio 2013, n. 28116).
 
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza del 25/05/2015 TRIBUNALE di UDINE) Pres. RAMACCI, Rel. CIRIELLO, Ric. Fenos
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 06/10/2017, (Ud. 28/03/2017) Sentenza n.45943

SENTENZA

 

 

 
 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 06/10/2017, (Ud. 28/03/2017) Sentenza n.45943
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da FENOS DANIELA nato il 13/11/1949 a TORREANO;
 
avverso la sentenza del 25/05/2015 del TRIBUNALE di UDINE;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/03/2017, la relazione svolta dal Consigliere ANTONELLA CIRIELLO;
 
Udito il Procuratore Generale in persona del STEFANO TOCCI;
 
che ha concluso per il rigetto del ricorso; 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1.- Il Tribunale di Udine con sentenza del 25.05.2015, per quanto qui rileva, condannava l’odierna imputata alla pena di euro 2.000 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, per il reato, di cui all’art. 256 del D. Lgs 152/2006, per avere, in qualità di proprietaria di un immobile, sito nel comune di Torreano, effettuato attività non autorizzata di smaltimento rifiuti, frantumando inerti da demolizione e provvedendo al loro spianamento e livellamento al suolo (in Torreano 06.05.2013).
 
2.Avverso tale sentenza l’imputata ha proposto, tramite il proprio difensore di fiducia, ricorso per Cassazione, deducendo sei motivi di doglianza e chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.
 
2.1. Con il primo motivo di ricorso l’imputato lamenta la violazione dell’art. 183, lett. b), n. 2, del D. Lgs. 152/2006. Il Tribunale di Udine avrebbe, infatti, erroneamente interpretato i fatti di causa, ritenendo l’operazione di livellamento preordinata allo smaltimento del materiale in loco per il "ritombamento" di una porzione di terreno adiacente all’edificio. Il giudice, a parere della difesa, pertanto, avrebbe condannato senza tenere in considerazione che l’art. 183, lett. b), n. 2., del decreto in esame, consente al titolare dell’immobile, che procede alla ristrutturazione o alla costruzione, di depositare temporaneamente le macerie prodotte sul suolo, risultando irrilevanti le modalità di raggruppamento delle stesse.
 
2.2. Con il secondo motivo di ricorso ha lamentato la violazione o falsa applicazione dell’art. 256 del d.lgs. 152/2006 nel quale non sono contemplate fattispecie analoghe a quella contestata all’imputata. In particolare, la condotta contestata non integrerebbe una attività di smaltimento giacchè la condotta di "spianamento" delle macerie presenti in loco, in attesa del conferimento in discarica, non rientrerebbe, ad avviso della difesa, nella elencazione di condotte di cui all’allegato B, alla parte IV del d.lgs. 152/2006
 
2.3. Con il terzo motivo di ricorso ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 192, comma 2, c.p.p., per avere il Giudice di prime cure affermato l’esistenza dell’attività di smaltimento rifiuti sulla base della non necessità di frantumare gli inerti e di livellarli; della non credibilità dell’assunto in base al quale il livellamento e la frantumazione trovasse la sua giustificazione nella necessità di avere spazio per la manovra di mezzi agricoli ricoverati nell’edificio; dell’intenzionalità dell’imputata di utilizzare gli inerti per completare il ritombamento, pervenendo così all’affermazione della responsabilità sulla base di elementi indiziari che, tuttavia, nella prospettazione difensiva non sarebbero gravi in quanto non attendibili e convincenti, né precisi e concordanti, ma superabili con le argomentazioni della difesa (in particolare non emergendo la dispersione dei materiali dalla circostanza che il maresciallo Levis immediatamente li individuò all’atto dell’intervento sui luoghi, che il materiale fu frantumato all’atto del livellamento per fare spazio di manovra e non prima come presunto dal giudice, dal fatto che non vi fosse prova che il materiale fosse destinato all’utilizzo per riempire la depressione lungo il confine con la particella 321 dove si stava realizzando il muro a scogliera).
 
2.4. Con il quarto motivo di ricorso ha contestato la motivazione per manifesta illogicità, carenza e contraddittorietà, anche in relazione all’art. 192 c.p.p..
 
Il giudice della sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto essere una mera considerazione personale dei testi l’affermazione secondo cui gli inerti fossero stati solo temporaneamente depositati i prossimità del tombino, in attesa della ultimazione dei lavori di demolizione, per poi essere portati in discarica laddove invece si trattava di affermazioni frutto di una conoscenza diretta dei fatti di causa; avrebbe, altresì, illogicamente ritenuto sufficiente lo spazio nel cortile per il deposito del materiale, senza tener conto della planimetria depositata; avrebbe, infine, senza il supporto di alcun elemento probatorio, ritenuto che l’imputata avesse intenzione di utilizzare il materiale depositato per colmare la depressione formatasi con la realizzazione di un muro eseguito a confine di un’altra particella.
 
2.5. Con il quinto motivo di ricorso ha dedotto la mancanza di motivazione o illogicità della motivazione nella parte in cui il Tribunale ha condannato l’imputata senza considerare le deposizioni dei testi dalle quali emergerebbe l’autonomia della scelta degli stessi di livellare il materiale, senza alcun coinvolgimento della Fenos, la quale non ne era a conoscenza.
 
La decisione impugnata si sarebbe limitata ad affermare apoditticamente la non credibilità di quanto riferito, non attribuendo alcuna rilevanza alla circostanza che l’imputata non avesse avuto alcun ruolo nel processo decisionale di livellamento dei rifiuti, affermandone, pertanto, la responsabilità, solo sulla scorta della sua qualità di committente dei lavori.
 
2.6.- Con il sesto ed ultimo motivo la difesa deduce la violazione dell’art. 131 bis c.p. e la manifesta illogicità della motivazione per non avere la sentenza impugnata qualificato il fatto come di tenue entità nonostante la specifica richiesta della difesa Il giudicante, infatti, si sarebbe limitato semplicemente ad asserire l’impossibilità di applicare la norma de quo ai casi in cui si proceda per fatti che violino norme dettate in materia di salvaguardia dell’ambiente, con motivazione non conforme all’art. 133 c.p..
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3.- Il ricorso è inammissibile, perché basato su doglianze manifestamente infondate.
 
3.1. Dalla lettura dei motivi di ricorso emerge come la ricorrente, pur se formalmente rilevando vizi di motivazione e di violazione di legge (ossia allegando, tra l’altro, che materiali fossero depositati sullo spiazzo temporaneamente, che il loro deposito non integrasse la condotta penalmente rilevante di cui all’allegato B, parte IV del decreto 152/2006 in esame, che la versione dei fatti fornita di tesi della difesa dovesse essere ritenuta attendibile, che ricorrente fosse ignara delle opere attribuibili all’iniziativa degli operai in via autonoma etc) abbia sostanzialmente e inammissibilmente proposto una diversa valutazione dei fatti rispetto quella motivatamente e logicamente ritenuta dal giudice della sentenza impugnata.
 
Come è noto il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa dell’art. 606, primo comma, lettera e), cod. proc. pen., al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 cod. proc. pen. dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46: sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; sez. 6, 20 aprile 2006, n.14054; sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096; sez. 3, 13 febbraio 2013, n. 28116).
 
Anche con riferimento al caso in esame, dunque, il sindacato di questa Corte non può avere ad oggetto la ricostruzione dei fatti in quanto tale, ma solo evidenti errori motivazionali, contraddizioni, lacune che, tuttavia, non emergono.
 
La sentenza impugnata ha correttamente enucleato, nell’ambito del compendio probatorio, gli elementi ritenuti rilevanti ai fini dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato, evidenziandone motivatamente la decisività pervenendo ad una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente. Si tratta, peraltro, di rilievi che risultano in parte inammissibili, perché, pur essendo formalmente riferiti alla manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, sono in realtà diretti, come visto, a proporre in sede di legittimità ricostruzioni alternative del quadro probatorio.
 
3.1. In particolare, quanto al primo motivo di ricorso certamente deve escludersi, sulla base delle logiche argomentazioni della sentenza impugnata, che non possono che essere in questa sede confermate, che alle modalità di deposito dei materiali in oggetto si debba attribuire la natura di deposito temporaneo in relazione alla norma invocata di cui all’articolo 183 lettera bb), dal momento che essi, come correttamente evidenziato in motivazione, furono livellati e frantumati, con attività certamente irrazionali per un loro successivo smaltimento (che avrebbe richiesto di tenere tali materiali ben separati, al fine suddetto).
 
3.2. Del pari infondato è il secondo motivo dal momento che la mera attività di deposito è contemplata nell’allegato B, cui all’allegato B, parte IV del decreto 152/2006 in discorso (che prevede testualmente, tra le altre attività considerate "operazioni di smaltimento" il Deposito sul o nel suolo ad esempio "discarica". tanto che ad esso è riconducibile la condotta incriminata, come evidenziato dai giudici di merito.
 
3.3. Con il terzo e con il quarto motivo l’imputata propone una diversa valutazione dei fatti inammissibile, per i motivi esposti ampiamente sub 3, in questa sede non risultando irragionevole nè illogica manifestamente la motivazione della sentenza che anzi con argomenti condivisibili evidenzia che l’operazione di livellamento frantumazione dei detriti risulti incompatibile con la affermata necessità di recuperarli successivamente per smaltirli legittimamente.
 
3.4. Analogamente inammissibile è la censura relativa all’omessa qualificazione del fatto ai sensi dell’articolo 131 bis cod. pen., avendo la sentenza impugnata argomentato sul punto in ordine alla salvaguardia dell’ambiente ed in quanto con esso ci si limita a prospettare la non particolare gravità del fatto – elementi già presi in considerazione nella motivazione della sentenza impugnata ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio – senza sostanzialmente dedurre profili di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione rilevabili in sede di legittimità.
 
4.- Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
 
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00.

P.Q.M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2017. 
 
 
 
 
 

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