RIFIUTI – Configurabilità del reato di gestione abusiva di rifiuti – Natura non occasionale del trasporto – Elementi significativi – Condotta integrante il reato ex art. 256 T.U.A. – Natura di reato istantaneo – Artt.256 e 318-bis d.lgs. 152/2006 – Giurisprudenza – Illecita gestione -Trasporto non autorizzato di rifiuti – Sentenza di condanna – Confisca obbligatoria del mezzo – Art. 318-bis e applicabilità della speciale procedura estintiva – Effetti – Requisito della insussistenza del danno o pericolo concreto – Procedibilità dell’azione penale – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di legittimità – Mancata assunzione di una prova decisiva e richiesta di ammissione – Limiti.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Dicembre 2019
Numero: 49718
Data di udienza: 25 Novembre 2019
Presidente: LAPALORCIA
Estensore: RAMACCI
Premassima
RIFIUTI – Configurabilità del reato di gestione abusiva di rifiuti – Natura non occasionale del trasporto – Elementi significativi – Condotta integrante il reato ex art. 256 T.U.A. – Natura di reato istantaneo – Artt.256 e 318-bis d.lgs. 152/2006 – Giurisprudenza – Illecita gestione -Trasporto non autorizzato di rifiuti – Sentenza di condanna – Confisca obbligatoria del mezzo – Art. 318-bis e applicabilità della speciale procedura estintiva – Effetti – Requisito della insussistenza del danno o pericolo concreto – Procedibilità dell’azione penale – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di legittimità – Mancata assunzione di una prova decisiva e richiesta di ammissione – Limiti.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 06/12/2019 (Ud. 25/09/2019), Sentenza n.49718
RIFIUTI – Configurabilità del reato di gestione abusiva di rifiuti – Natura non occasionale del trasporto – Elementi significativi – Condotta integrante il reato ex art. 256 T.U.A. – Natura di reato istantaneo – Artt. 256 e 318-bis d.lgs. 152/2006 – Giurisprudenza.
Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 256, comma 1, d.lgs. 152 6, la condotta in esso sanzionata è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa, che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità. Occasionalità, da escludersi in ragione dell’esistenza di una minima organizzazione dell’attività, del quantitativo dei rifiuti gestiti, della predisposizione di un veicolo adeguato e funzionale al loro trasporto, dello svolgimento in più occasioni delle operazioni preliminari di raccolta, raggruppamento e cernita dei soli metalli, della successiva vendita e del fine di profitto perseguito dall’imputato (Sez. 3, n. 5716 del 7/1/2016, P.M. in proc. lsoardi). Inoltre, nel caso dell’art. 256, comma 1, d.lgs. 152 6, trattandosi di reato istantaneo, è sufficiente anche una sola condotta integrante una delle ipotesi alternative previste dalla norma, potendosi tuttavia escludere l’occasionalità della condotta da dati significativi, quali l’ingente quantità di rifiuti, denotanti lo svolgimento di un’attività implicante un “minimum” di organizzazione necessaria alla preliminare raccolta e cernita dei materiali (Sez. 3, n. 8193 del 11/2/2016, P.M. in proc. Revello). Sicché, oltre agli elementi significativi precedentemente indicati per individuare la natura non occasionale dell’attività di trasporto, vanno considerati, anche alternativamente, altri dati univocamente sintomatici, quali, ad esempio, la provenienza del rifiuto da una determinata attività imprenditoriale esercitata da colui che effettua o dispone l’abusiva gestione, la eterogeneità dei rifiuti gestiti, la loro quantità, le caratteristiche del rifiuto quando risultino indicative di precedenti attività preliminari, quali prelievo, raggruppamento, cernita, deposito (Sez. 3, n. 36819 del 4/7/2017, Ricevuti).
RIFIUTI – Illecita gestione – Trasporto non autorizzato di rifiuti – Sentenza di condanna – Confisca obbligatoria del mezzo.
Il trasporto di rifiuti rientra tra le attività di gestione, come espressamente previsto dall’art. 183, lett. n) d.lgs. 152 6 e la sua effettuazione in assenza di valido titolo abilitativo configura un’ipotesi di illecita gestione, sanzionata dall’art. 256 d.lgs. 152/06. Sicché, alla sentenza di condanna per tale reato (o a quella emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.) consegue, come stabilito dall’art. 259, ultimo comma, d.lgs. 152/06, la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto.
RIFIUTI – Art. 318-bis e applicabilità della speciale procedura estintiva – Effetti – Requisito della insussistenza del danno o pericolo concreto – Procedibilità dell’azione penale.
L’art. 318-bis, limita l’applicazione della procedura alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal d.lgs. 152 6 che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette. Si tratta, dunque, di casi di minore rilievo. Tale procedura non è affatto obbligatoria, sicché, la disciplina di cui agli artt. 318-bis e ss. d.lgs. 152/06 trova, inoltre, un ulteriore limite nella condizione, espressamente imposta, della insussistenza del danno o pericolo concreto, ribadendo che gli art. 318-bis e ss. d.lgs. 152/06 non stabiliscono che l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria impartiscano obbligatoriamente una prescrizione per consentire al contravventore l’estinzione del reato e l’eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta l’improcedibilità dell’azione penale.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di legittimità – Mancata assunzione di una prova decisiva e richiesta di ammissione – Limiti.
Nel giudizio di legittimità la mancata assunzione di una prova decisiva può essere dedotta solo con riferimento ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a mente dell’art. 495, secondo comma cod. proc. pen., mentre non può essere validamente invocata quando il mezzo di prova sia stato sollecitato invitando il giudice di merito all’esercizio dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato valutato come non necessario ai fini della decisione
(rigetta i ricorsi avverso sentenza del 18/02/2019 del TRIBUNALE di ALESSANDRIA) Pres. LAPALORCIA, Rel. RAMACCI, Ric. Fulle ed altro
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 06/12/2019 (Ud. 25/09/2019), Sentenza n.49718SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
FULLE nata a BRONI;
CASAGRANDE nato a TORTONA;
avverso la sentenza del 18/02/2019 del TRIBUNALE di ALESSANDRIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ROBERTA MARIA BARBERINI
Il P.G. conclude: annullamento senza rinvio relativamente alla confisca. Inammissibilità nel resto.
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Alessandria, con sentenza del 18 febbraio 2019 ha affermato la responsabilità penale di FULLE e CASAGRANDE, condannando entrambi alla pena dell’ammenda, per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 256, comma 1, lett. a) d.lgs. 152/2006, perché, in concorso tra loro, la prima quale conducente di un furgone “Fiat Scudo” di sua proprietà, su cui si trovava come passeggero il secondo, figlio convivente, che che la coadiuvava, effettuavano l’attività non autorizzata di raccolta e di trasporto per il successivo commercio e/o smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi (5 bombole del gas vetuste, reti metalliche, nonché altri rottami di ferro), in assenza del prescritto titolo abilitativo, al fine di un loro successivo smaltimento e/o commercio (fatto commesso in Serravalle Scrivia il 18 marzo 2014).
Il tribunale disponeva, altresì, la confisca del mezzo.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono distinti ricorsi per cassazione entrambi a firma del comune difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. FULLE, con un primo motivo di ricorso deduce la mancata assunzione di una prova decisiva ed il vizio di motivazione, rilevando che il giudice, nel ricostruire gli eventi, avrebbe omesso di indicare validi riferimenti spazio-temporali a sostegno di quanto affermato e che, inoltre, pur dando conto del fatto che gli imputati erano stati visti mente si intrattenevano con una persona (tale Camillon), avrebbe illogicamente ritenuto non necessario sentire il predetto circa i fatti ai quali aveva assistito.
Aggiunge, inoltre, che agli imputati sarebbe stata negata la possibilità di ricorrere alla procedura estintiva di cui all’art.318-bis d.lgs. 152/2006 perché non messi a conoscenza della stessa dagli accertatori, osservando che nonostante l’espressa richiesta della difesa di rimessione in termini, il tribunale nulla avrebbe disposto.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo del tutto inadeguato ed insufficiente in riferimento ai plurimi precedenti penali ritenuti ostativi.
4. Con un terzo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, osservando che il Tribunale non avrebbe fornito adeguata indicazione dei criteri adottati.
5. Con il quarto motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione alla disposta confisca, osservando come, nel caso specifico, il furgone non potesse essere considerato quale cosa indispensabile per l’esecuzione del reato contestato, mancando conseguentemente il requisito della pericolosità sociale della cosa che costituisce presupposto per la misura ablativa.
6. Nel ricorso che lo riguarda, CASAGRANDE formula, nel primo motivo di ricorso, le medesime considerazioni svolte nell’impugnazione predisposta nell’interesse della coimputata, aggiungendo che non sarebbe emerso alcun elemento tale da stabilire una effettiva prestazione, da parte sua, di un contributo causale, materiale o morale alla commissione del fatto per cui è processo.
7. Nel secondo motivo di ricorso censura, con considerazioni analoghe a quelle già formulate dalla coimputata, il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
Entrambi insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono infondati.
2. Occorre rilevare, quanto al primo motivo di entrambi i ricorsi, che la sentenza impugnata ha posto adeguatamente in evidenza, senza alcuna contraddizione o manifesta illogicità, le ragioni per le quali ha ritenuto dimostrati i fatti oggetto di imputazione.
Richiamando il contenuto del verbale di sequestro, la documentazione fotografica e le dichiarazioni rese dall’ufficiale di polizia giudiziaria sentito come teste, il Tribunale afferma che l’istruzione dibattimentale aveva consentito di accertare come i verbalizzanti avessero direttamente constatato che gli imputati avevano provveduto al carico dei rifiuti sul mezzo di cui disponevano, lasciato in sosta su un’area adiacente la pubblica via, nei pressi di un terreno di proprietà di tale “Camillon”, con il quale avevano poi conversato.
A fronte di tale evenienza e considerando anche la eterogeneità del carico ed il quantitativo dei rifiuti trasportati, il giudice del merito ha ritenuto di poter escludere che si trattasse di rifiuti degli stessi imputati destinati ad essere abbandonati, evidenziando come, al contrario, si trattasse di materiali dismessi dal Camillon che si apprestavano a trasportare.
Per tali ragioni il Tribunale ha ritenuto superfluo escutere il Camillon come richiesto dalla difesa.
3. Va rilevato che, in assenza di ulteriori specificazioni da parte dei ricorrenti, sembra che il predetto non sia stato indicato nella lista testi della difesa e che la sua escussione sia stata sollecitata al giudice del merito, quale nuova prova, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen.
Occorre osservare, a tale proposito, che nel giudizio di legittimità la mancata assunzione di una prova decisiva può essere dedotta solo con riferimento ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a mente dell’art. 495, secondo comma cod. proc. pen., mentre non può essere validamente invocata quando il mezzo di prova sia stato sollecitato invitando il giudice di merito all’esercizio dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato valutato come non necessario ai fini della decisione (cfr. Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016 – dep. 31/01/2017, Fiaschetti e altro, Rv. 269270 e prec. conf.).
4. La condotta degli imputati è stata, inoltre, correttamente inquadrata nella fattispecie di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) d.lgs. 152/2006, dando conto di una serie di dati fattuali (quantità ed eterogeneità del carico che presuppone una preventiva raccolta e cernita, predisposizione di un mezzo apposito) tali da escludere la assoluta occasionalità della condotta, ritenuta, al contrario, integrante una “attività” che necessitava di uno specifico titolo abilitativo.
Quanto rilevato dal Tribunale si pone perfettamente in linea con quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di illecita gestione di rifiuti, segnatamente per ciò che riguarda l’attività di trasporto. Va a tale proposito ricordato come, riguardo al reato di cui all’art. 256, comma 1, d.lgs. 152\06, si sia chiarito che la condotta in esso sanzionata è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa, che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità (Sez. 3, n. 29992 del 24/6/2014, P.M. in proc. Lazzaro, Rv. 260266). Si è poi chiarito che, ai fini della configurabilità del reato di gestione abusiva di rifiuti, non rileva la qualifica soggettiva dell’agente, bensì la concreta attività posta in essere in assenza dei prescritti titoli abilitativi, che può essere svolta anche di fatto o in modo secondario, purché non sia caratterizzata da assoluta occasionalità, da escludersi in ragione dell’esistenza di una minima organizzazione dell’attività, del quantitativo dei rifiuti gestiti, della predisposizione di un veicolo adeguato e funzionale al loro trasporto, dello svolgimento in più occasioni delle operazioni preliminari di raccolta, raggruppamento e cernita dei soli metalli, della successiva vendita e del fine di profitto perseguito dall’imputato (Sez. 3, n. 5716 del 7/1/2016, P.M. in proc. lsoardi, Rv. 265836). Si è anche chiarito che, trattandosi, nel caso dell’art. 256, comma 1, d.lgs. 152\06, di reato istantaneo, è sufficiente anche una sola condotta integrante una delle ipotesi alternative previste dalla norma, potendosi tuttavia escludere l’occasionalità della condotta da dati significativi, quali l’ingente quantità di rifiuti, denotanti lo svolgimento di un’attività implicante un “minimum” di organizzazione necessaria alla preliminare raccolta e cernita dei materiali (Sez. 3, n. 8193 del 11/2/2016, P.M. in proc. Revello, Rv. 266305). Si è più recentemente osservato che oltre agli elementi significativi precedentemente indicati per individuare la natura non occasionale dell’attività di trasporto, vanno considerati, anche alternativamente, altri dati univocamente sintomatici, quali, ad esempio, la provenienza del rifiuto da una determinata attività imprenditoriale esercitata da colui che effettua o dispone l’abusiva gestione, la eterogeneità dei rifiuti gestiti, la loro quantità, le caratteristiche del rifiuto quando risultino indicative di precedenti attività preliminari, quali prelievo, raggruppamento, cernita, deposito (Sez. 3, n. 36819 del 4/7/2017, Ricevuti, Rv. 270995).
Quanto sopra evidenziato è stato successivamente ribadito (Sez. 3, n. 31387 del 27/4/2018, Cherqaoui, non massimata; Sez. 3, n. 31396 del 11/5/2018, Halilovic, non massimata).
La sentenza impugnata, peraltro, chiarisce anche la posizione soggettiva di entrambi gli imputati, rilevando come la FULLE fosse proprietaria e conducente del mezzo utilizzato per il trasporto, mentre il CASAGRANDE l’aveva coadiuvata nel caricare il materiale del quale era perfettamente evidente la natura di rifiuto, ritenendo tale comportamento idoneo, quanto meno, a rafforzare il proposito criminoso della madre.
5. Parimenti infondata risulta, inoltre, la censura concernente la mancata applicazione della procedura estintiva di cui all’art. 318-bis e ss. d.lgs. 152/06.
La procedura estintiva richiamata in ricorso, prevista dalla Parte Sesta-bis del d.lgs. 152\06, introdotta con la legge 68\2015, consente, con modalità analoghe a quelle stabilite dalle disposizioni che regolano la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro (d.lgs. 19 dicembre 1994, n.758), di pervenire alla definizione delle contravvenzioni sanzionate dal d.lgs. 152\06 (artt. 318-bis — 318-octies).
Essa si pone, sostanzialmente, come un’alternativa all’oblazione, più vantaggiosa, almeno per quanto riguarda gli importi da versare. Il sistema delle prescrizioni, rispetto alla norme gemelle del d.lgs. 758\94, presenta, nell’art. 318-ter, alcuni adattamenti, evidentemente giustificati dalla particolarità della materia, attribuendo il potere di impartire prescrizioni non soltanto all’organo di vigilanza, ma anche alla polizia giudiziaria e stabilendo che la prescrizione sia «asseverata tecnicamente» dall’ente specializzato competente nella materia trattata.
L’art. 318-bis, in particolare, limita l’applicazione della procedura alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal d.lgs. 152\06 che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette. Si tratta, dunque, di casi di minore rilievo. Va peraltro rilevato, per quel che qui interessa, che tale procedura non è affatto obbligatoria, come già questa Corte ha avuto modo di precisare (Sez. 3, n. 38787 del 8/2/2018, De Tursi, non massimata) richiamando l’attenzione su quanto affermato, in altra decisione relativa alla disciplina antinfortunistica (Sez. 3, n. 7678 del 13/1/2017, Bonanno, Rv. 269140), ove si è stabilito, previo richiamo ai precedenti arresti, che l’omessa indicazione, da parte dell’organo di vigilanza, delle prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell’azione penale (la questione dell’applicabilità della speciale procedura estintiva è stata peraltro presa in considerazione, anche alla luce di quanto appena ricordato, con riferimento alle. condotte esaurite da Sez. 3, n. 36405 del 18/4/2019, Rossello non ancora massimata).
La obbligatorietà della speciale procedura in esame non può neppure rilevarsi dall’uso dell’indicativo presente da parte del legislatore nell’art. 318-ter d.lgs. 152/06 (“…impartisce al contravventore un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente…”) trattandosi di una mera scelta dello stile espositivo e ben potendosi in concreto verificare situazioni analoghe a quelle considerate nell’esaminare la simile procedura stabilita in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ad esempio quando l’organo di vigilanza si determini a non impartire alcuna prescrizione perché non vi è alcunché da regolarizzare o perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua.
La disciplina di cui agli artt. 318-bis e ss. d.lgs. 152/06, inoltre, trova un ulteriore limite nella condizione, espressamente imposta, della insussistenza del danno o pericolo concreto di cui si è già detto. Va conseguentemente ribadito che gli art. 318-bis e ss. d.lgs. 152/06 non stabiliscono che l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria impartiscano obbligatoriamente una prescrizione per consentire al contravventore l’estinzione del reato e l’eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta l’improcedibilità dell’azione penale.
Ciò premesso, deve osservarsi che, nel caso di specie, gli imputati lamentano, semplicemente, di non essere stati messi a conoscenza della possibilità di accedere alla procedura estintiva dagli accertatori e la difesa ha chiesto al Tribunale, come emerge dalle conclusioni riportate in sentenza, semplicemente di “ritrasmettere gli atti all’autorità competente per violazione degli artt. 318 bis del Testo Unico n. 152/2006”.
Gli imputati non avevano alcun titolo per lamentare la mancata adozione della procedura, attesa la inesistenza di un obbligo specifico in capo agli accertatori di provvedervi, né, tanto meno, di informare i soggetti controllati della possibilità di farvi ricorso.
Costoro, inoltre, avrebbero ad esempio potuto, in caso di autonoma e spontanea regolarizzazione (che nella specie non risulta aver avuto luogo) richiedere comunque l’ammissione all’oblazione in misura ridotta (cfr. Sez. 3, n. 7678 del 13/1/2017, Bonanno, Rv. 269140, cit.).
Inoltre, va rilevato come la polizia giudiziaria che ha accertato la contravvenzione potrebbe avere omesso di impartire le prescrizioni anche all’esito di una negativa valutazione circa la insussistenza del danno o del pericolo di cui all’art. 318-bis che non era necessariamente tenuta ad esplicitare formalmente.
6. Quanto al secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di FULLE, deve rilevarsi che il giudice del merito, del tutto correttamente, ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, poiché egli non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego (v. Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244), ivi compresi i precedenti penali (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Pettinelli, Rv. 271269), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419; Sez. 6, Sentenza n. 7707 del 4/12/2003 (dep. 2004), Anaclerio, Rv. 229768).
7. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per quanto concerne il trattamento sanzionatorio, di cui trattano il terzo motivo di ricorso della FULLE ed il secondo motivo del CASAGRANDE.
Il Tribunale, previo richiamo ai criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen., ha applicato ad entrambi gli imputati la sola pena pecuniaria quantificandola in misura molto prossima al minimo in ragione della “modestia del fatto” e giustificando il lieve scostamento in ragione della quantità dei rifiuti trasportati e tali argomentazioni risultano del tutto sufficienti a giustificare il corretto esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena e dei criteri di valutazione fissati dalla richiamata disposizione, non essendo richiesto al giudice di procedere ad una analitica valutazione di ogni singolo elemento esaminato, ben potendo assolvere adeguatamente all’obbligo di motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto prevalente.
8. Per quanto riguarda, infine, la confisca di cui tratta il quarto motivo di ricorso della FULLE, occorre ricordare che il trasporto dei rifiuti rientra tra le attività di gestione, come espressamente previsto dall’art. 183, lett. n) d.lgs. 152\06 e la sua effettuazione in assenza di valido titolo abilitativo configura un’ipotesi di illecita gestione, sanzionata dall’art. 256 d.lgs. 152/06, come avvenuto nella fattispecie.
Alla sentenza di condanna per tale reato (o a quella emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.) consegue, come stabilito dall’art. 259, ultimo comma, d.lgs. 152/06, la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto.
Il giudice ha dunque correttamente disposto la confisca del mezzo di proprietà dell’imputata utilizzato per il trasporto dei rifiuti, perché in ogni caso applicabile in presenza di condanna, risultando quindi del tutto inconferente il laconico richiamo, effettuato peraltro nel solo dispositivo, all’art. 240, comma 1 cod. pen. e le relative argomentazioni svolte in ricorso con riferimento a tale disposizione erroneamente menzionata.
9. I ricorsi devono pertanto essere rigettati, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 25/9/2019