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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Pubblica amministrazione Numero: 19507 | Data di udienza: 26 Marzo 2013

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – RISARCIMENTO DEI DANNIProtezione civile – Obblighi del sindaco e responsabilità – C.d. organizzazione diffusa a carattere policentrico – C.d. tripartizione Legislativa ex L. n. 225/1992 – Fattispecie: eventi catastrofici verificatesi in Sarno – Protezione civile – Attività di coordinamento – Poteri e compiti del Sindaco – Autorità comunale di protezione civile – Poteri e compiti del Prefetto – Responsabilità – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità – Controllo sulla motivazione – Acquisizioni processuali e prospettazioni formulate dalle parti – Limiti – Art. 606 cod. proc. Pen. – Giudizio di rinvio a seguito di annullamento di una sentenza d’appello – Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale – Poteri del giudice – Concessione delle attenuanti generiche – Sussistenza di positivi elementi di giudizio –  Onere motivazionale e poteri del giudice.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Maggio 2013
Numero: 19507
Data di udienza: 26 Marzo 2013
Presidente: Fiale
Estensore: Ramacci


Premassima

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – RISARCIMENTO DEI DANNIProtezione civile – Obblighi del sindaco e responsabilità – C.d. organizzazione diffusa a carattere policentrico – C.d. tripartizione Legislativa ex L. n. 225/1992 – Fattispecie: eventi catastrofici verificatesi in Sarno – Protezione civile – Attività di coordinamento – Poteri e compiti del Sindaco – Autorità comunale di protezione civile – Poteri e compiti del Prefetto – Responsabilità – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità – Controllo sulla motivazione – Acquisizioni processuali e prospettazioni formulate dalle parti – Limiti – Art. 606 cod. proc. Pen. – Giudizio di rinvio a seguito di annullamento di una sentenza d’appello – Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale – Poteri del giudice – Concessione delle attenuanti generiche – Sussistenza di positivi elementi di giudizio –  Onere motivazionale e poteri del giudice.



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 07/05/2013 (Ud. 26/03/2013) Sentenza n. 19507

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – RISARCIMENTO DEI DANNI – Protezione civile – Obblighi del sindaco e responsabilità – C.d. organizzazione diffusa a carattere policentrico – C.d. tripartizione Legislativa ex L. n. 225/1992 – Fattispecie:  eventi catastrofici verificatesi in Sarno.
 
Il sistema della “c.d. organizzazione diffusa a carattere policentrico” (ex L. n.225/1992 e s.m.) ha il compito di assicurare il concorso di tutte le singole componenti della protezione civile, quindi, fa parte a pieno titolo anche il sindaco, il quale agisce sì come autorità comunale di protezione civile, ma non per questo resta estraneo al sistema cui lo vincolano specifici obblighi, quali, ad esempio, quello di informazione al prefetto (art. 15, comma 3) o di richiesta di intervento (art. 15, comma 4) o la possibilità di operare quale delegato ai sensi dell’art. 5, comma 4. Non è comunque pensabile che il necessario collegamento del sindaco con la complessa organizzazione della protezione civile venga meno se egli o uno degli altri soggetti coinvolti resti inerte ovvero se sia intervenuta altra autorità in ragione dell’entità del fenomeno calamitoso, poiché la individuazione di competenze concorrenti trova una evidente giustificazione non soltanto nella necessità di assicurare prontamente ogni intervento necessario, ma anche nella evidente difficoltà di classificare adeguatamente l’evento secondo la tripartizione operata dalla legge 225/1992 nell’immediatezza del suo verificarsi. Fattispecie relativa agli eventi catastrofici verificatesi in Sarno il 5 maggio 1998 con conseguente decesso di 137 persone.

(conferma sentenza n. 6233/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 20/12/2011) Pres. Fiale, Est. Ramacci, Ric. Basile
 
 
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Protezione civile – Attività di coordinamento – Poteri e compiti del Sindaco – Autorità comunale di protezione civile – Poteri e compiti del Prefetto – Responsabilità – Legge n. 225/1992 e s.m..
 
Al sindaco sono attribuite compiti di «autorità comunale di protezione civile» delineate dalla legge n. 225/1992 e s.m. che ne evidenzia la natura propria quale capo dell’amministrazione comunale e non più come ufficiale di governo e richiama il contenuto dell’art. 15, il quale stabilisce, al comma 3, che «al verificarsi dell’emergenza nell’ambito del territorio comunale, il sindaco assume la direzione e il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite e provvede agli interventi necessari dandone immediata comunicazione al prefetto e al Presidente della Giunta regionale» ed, al comma 4, che «quando la calamità naturale o l’evento non possono essere fronteggiati con i mezzi a disposizione del comune, il sindaco chiede l’intervento di altre forze e strutture al prefetto, che adotta i provvedimenti di competenza, coordinando i propri interventi con quelli dell’autorità comunale di protezione civile». Viene altresì posto l’accento sull’attività di coordinamento cui è chiamato il prefetto, rilevando che il riferimento della legge a tale specifica attività è indicativo della permanenza di un obbligo, in capo ad entrambi i soggetti, nell’ambito delle proprie responsabilità e competenze, di provvedere agli interventi necessari e che la permanenza di tali poteri ed obblighi per il sindaco «…non contrasta con l’attribuzione al prefetto di una posizione di garanzia dotata di maggiori poteri (anche straordinari) a lui attribuiti ed estesa all’ambito provinciale. Ciò che si vuoi dire è che, nell’ambito comunale, prefetto e sindaco continuano ad essere titolare di obblighi e poteri anche quando il prefetto sia stato informato dell’emergenza e sia concretamente intervenuto e pur se la posizione del prefetto sia da ritenere comunque sovraordinata rispetto a quella del sindaco».
 
(conferma sentenza n. 6233/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 20/12/2011) Pres. Fiale, Est. Ramacci, Ric. Basile
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità – Controllo sulla motivazione – Acquisizioni processuali e prospettazioni formulate dalle parti – Limiti – Art. 606 cod. proc. Pen..
 
Il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all’articolo 606 cod. proc. pen. dalla Legge 462006, Sez. III n. 12110, 19/3/2009; Sez. VI n. 23528, 6/7/2006; Sez. VI n. 14054, 20/4/2006; Sez. VI n. 10951, 29/3/2006). Si è altresì precisato che il vizio di motivazione ricorre nel caso in cui la stessa risulti inadeguata perché non consente di riscontrare agevolmente le scansioni e gli sviluppi critici che connotano la decisione riguardo a ciò che è stato oggetto di prova ovvero impedisce, per la sua intrinseca oscurità od incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti (Cass. Sez. VI n.7651, 25/2/2010). Ancor più efficacemente si è specificato come il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo della decisione impugnata sia circoscritto alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili con «atti del processo», specificamente indicati dal ricorrente, che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. IV n. 15801, 19/04/2010, Sez. VI n. 38698, 22/11/2006).
 
(conferma sentenza n. 6233/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 20/12/2011) Pres. Fiale, Est. Ramacci, Ric. Basile
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di rinvio a seguito di annullamento di una sentenza d’appello – Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale – Poteri del giudice.
 
Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di una sentenza d’appello, le parti non hanno alcun diritto incondizionato alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in quanto il giudice dispone in merito degli stessi poteri di quello la cui sentenza è stata annullata, cosicché è tenuto alla rinnovazione nel caso in cui la prova sia indispensabile per la decisione, con l’ulteriore condizione che sia anche rilevante (Cass. Sez. Il n. 35616, 27/09/2007; Sez. IV n. 30422, 10/8/2005; Sez. I n. 16786, 8/4/2004; Sez. Il n. 9533, 11/11/1995). Inoltre, dovendosi i poteri del giudice del rinvio conformarsi a quelli ordinariamente attribuiti al giudice la cui sentenza è stata annullata, poiché è quel giudizio a dover essere rinnovato a seguito dell’annullamento, la previsione di un incondizionato potere probatorio delle parti, in caso di «regressione» in appello, risulterebbe davvero eccentrica, sia sul piano del sistema (il giudizio di rinvio, infatti, si configurerebbe sempre, agli effetti del diritto alla prova, come se fosse un giudizio di primo grado), che sul versante degli equilibri processuali (qualsiasi decadenza dalla prova sarebbe inspiegabilmente rimossa) (Cass. Sez. Il n. 356162007).

(conferma sentenza n. 6233/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 20/12/2011) Pres. Fiale, Est. Ramacci, Ric. Basile
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Concessione delle attenuanti generiche – Sussistenza di positivi elementi di giudizio –  Onere motivazionale e poteri del giudice.
 
La concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicché deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Cass. Sez. III n. 19639, 24/5/2012). Riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (Cass. Sez. Il n. 3609, 1/2/2011; Sez. VI n. 34364, 23/9/2010), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. VI n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. VI n. 7707, 4 dicembre 2003).
 
(conferma sentenza n. 6233/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 20/12/2011) Pres. Fiale, Est. Ramacci, Ric. Basile


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 07/05/2013 (Ud. 26/03/2013) Sentenza n. 19507

SENTENZA

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. ALDO FIALE           – Presidente 
Dott. LUCA RAMACCI – Consigliere Rel.
Dott. ELISABETTA ROSI – Consigliere 
Dott. CHIARA GRAZIOSI – Consigliere
Dott. GASTONE ANDREAZZA – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da BASILE GERARDO N. IL 18/09/1949
PRES. CONS. DEI MINISTRI E MINISTERO DELL’INTERNO
avverso la sentenza n. 6233/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 20/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso alla cauzione per il risarcimento danni del Min.
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. // che ha concluso per l’annullamento senza rinvio limitatamente del min. Interno. Rigetto nel resto di tutti i ricorsi.
 
Uditi, per le parti civili, i seguenti difensori:
Avv. G. Mauriello del Foro di Nocera Inferiore, in sost. Avv. A. Giudice e Avv. A. Sarno entrambi del Foro di Nocera Inferiore
Avv. L. Ferrandino del Foro di Napoli
Avv. L. Barbato del Foro di Nola
Avv. G. Sparano del Foro di Salerno in sost. Avv. R. Viserta del Foro di Nocera Inferiore
Avv. M. Ciniglia del Foro di Nocera Inferiore in sost. Avv. G. Mancuso del Foro di Nocera Inferiore e Avv. G. Saccone del Foro di Avellino
Avv. F.P. Laudisio del Foro di Nocera Inferiore in sost. Avv. F. Matrone del Foro di Nocera Inferiore Avv. R. Rapalo del Foro di Napoli
 
Uditi, per i responsabili civili, i seguenti difensori
Avv. F. Lentini del Foro di Salerno per il Comune di Sarno
Avv. Stato F. Urbani Neri per Min. Interni e Pres. Cons. Ministri
 
Uditi, per l’imputato, i seguenti difensori:
Avv. G. Fusco del Foro di Napoli 
Avv. S. Sica del Foro di Salerno
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 20.12.2011, decidendo a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Quarta Sezione Penale di questa Corte (sentenza n. 16761, 3.5.2010) ed in riforma della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore del 3.6.2004, appellata dal Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale e dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Salerno, ha riconosciuto Gerardo RASILE responsabile del reato di cui agli artt. 113, 40 e 589, commi 1 e 3 cod. pen. perché, secondo l’imputazione, quale sindaco del Comune di Sarno, cagionava la morte di 137 persone in quanto, a fronte di eventi catastrofici, connessi a frane ed inondazioni con ripetuti fenomeni di «colata rapida» che interessarono, progressivamente, diverse frazioni del comune dalle ore 16,00 circa alle ore 24,00 circa del 5 maggio 1998 e, a causa del progressivo smottamento di parti del versante meridionale della dorsale montuosa sovrastante il territorio abitato di Sarno, cagionarono distruzione e seppellimento di abitazioni ed altri manufatti, con decesso delle persone che si trovavano in loco, per colpa generica e per la violazione del piano di protezione civile del comune di Sarno, approvato il 12 luglio 1995, della L. 22 febbraio 1992, n. 225, art. 15, commi 3 e 4, nonché della relativa direttiva applicativa del Presidente del consiglio dei ministri, dipartimento della protezione civile, del dicembre 1996, non valutava l’accaduto nella sua oggettiva gravità.
 
In particolare, sempre secondo la contestazione: non considerava la «mappa dei rischi» allegata al menzionato piano di protezione civile, nella quale quello derivante da alluvioni, frane e valanghe veniva ritenuto di «grado alto» e, quindi, degno della massima attenzione, con la indicazione degli adempimenti da attuarsi al verificarsi dell’emergenza; ometteva di dare tempestivamente il segnale di allarme alla popolazione, di disporre l’evacuazione delle persone residenti nelle zone a rischio, di convocare ed insediare tempestivamente il comitato locale per la protezione civile, di dare tempestivo e congruo allarme alla Prefettura di Salerno alla quale, anzi, fino alle ore 20,47, forniva notizie imprudentemente rassicuranti sull’emergenza in corso, suscettibili di non provocare l’adeguato allenamento degli organi competenti; forniva alla popolazione in pericolo notizie imprudentemente rassicuranti sulla emergenza in atto, diffondendo due appelli televisivi, trasmessi dall’emittente «Telenuova Pagani», con i quali invitava i cittadini a restare nelle proprie abitazioni, facendo così ritenere che la situazione fosse sotto controllo ed inesistente il pericolo; inoltre, a fronte di una precisa richiesta di evacuazione dei plessi ospedalieri di Sarno, in pericolo, avanzata dall’Autorità sanitaria competente, rifiutava tale evacuazione assumendo la insussistenza di pericolo per la vita dei pazienti.
 
2. Avverso tale pronuncia l’imputato ha proposto due distinti ricorsi per cassazione tramite due diversi difensori.
 
Ha proposto ricorso anche l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli nell’interesse del Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
 
I difensori di alcune parti civili (Avv.ti Giuseppe MAURIELLO, Antonio SARNO, Giuseppe SPARANO e Rodolfo VISERTA) hanno fatto pervenire mediante deposito in cancelleria, in data 4.3.2013 e 13.3.2013, alcune note difensive con le quali richiedono il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese.
 
3. Gerardo BASILE, con il primo dei ricorsi, a firma Avv. Silverio SICA, premesse alcune considerazioni sullo svolgimento del processo e richiamati i principi di diritto affermati nella sentenza della Quarta Sezione di questa Corte, deduce:
 
3.1 vizio di motivazione in relazione alla valutazione degli indicatori di pericolo che avrebbero dovuto porre l’imputato in condizione di prevedere l’evento.
Tra questi, viene individuata la pregressa conoscenza del fenomeno verificatosi da parte del mondo scientifico che la sentenza di primo grado ha escluso e che la Corte territoriale avrebbe erroneamente fondato su un’ordinanza del dipartimento della protezione civile, che non avrebbe alcuna valenza scientifica e sulle dichiarazioni del Prof. ORTOLANI, il cui contenuto sarebbe stato erroneamente valutato, trascurando l’ulteriore dato probatorio rappresentato dalla deposizione del Prof. BUDETTA. Sarebbe stato inoltre trascurato dai giudici del rinvio l’ulteriore elemento, significativo ai fini dell’esclusione della prevedibilità dell’evento e considerato dal primo giudice, concernente la velocità delle colate di fango che avrebbero reso eccezionale il fenomeno verificatosi.
 
3.2. vizio di motivazione in relazione alla prevedibilità dell’evento per l’esistenza di precedenti fenomeni dello stesso genere, esclusa dal giudice di prime cure in considerazione della loro non assimilabilità a quello esaminato e riconosciuta, invece, dalla Corte territoriale attribuendo erroneamente rilevanza al piano di protezione civile, rilevanza che sarebbe stata motivatamente esclusa dal Tribunale
 
3.3 vizio di motivazione in relazione al rilievo attribuito, alla circostanza, ritenuta insussistente, dello sviluppo integrale della città di Sarno al di sotto della montagna dalla quale aveva avuto origine il fenomeno disastroso.
 
3.4 vizio di motivazione con riferimento alla individuazione dell’evento meteorico rappresentato dalla pioggia come indicatore di pericolo e non come concausa dell’evento che, secondo le deposizioni testimoniali che la Corte di appello avrebbe decontestualizzato, risulterebbe di particolare entità e durata solo per il periodo dell’anno in cui si è verificato.
 
3.5. vizio di motivazione riguardo alla valutazione della specifica condotta del sindaco. Osserva, a tale proposito, il ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe considerato gli spostamenti del sindaco, la conoscenza degli eventi e tutta l’attività svolta nella giornata del 5 maggio 1998.
 
Ciò avrebbe comportato un’anticipazione dell’ambito temporale entro il quale avrebbe dovuto procedersi all’evacuazione della popolazione, individuata come condotta alternativa lecita esigibile dall’agente modello, cui si aggiungerebbe la evidente contraddizione rappresentata dall’aver indicato il fenomeno come «non eccezionale» nella sua fase iniziale, collocabile nello stesso arco temporale.
 
Aggiunge che, avuto riguardo al dato cronologico, fino al momento in cui si sarebbe potuto procedere all’evacuazione il sindaco era a conoscenza di quanto già verificatosi soltanto in due zone del paese (Via Bracigliano e Viale Margherita) ed avrebbe pertanto dovuto porre in essere la condotta esigibile in soli 30 minuti.
 
3.6. vizio di motivazione in relazione alla mancata verifica, indicata come necessaria nella sentenza di annullamento della Quarta Sezione Penale di questa Corte, circa i percorsi seguiti dalle colate che la decisione di primo grado aveva invece individuato, precisando che i flussi di fango non avevano seguito il tracciato naturale costituito dal proprio canale di frana, ma erano fuoriusciti diramandosi secondo le caratteristiche morfologiche della montagna.
 
3.7. vizio di motivazione riguardo alla individuazione delle zone a rischio, che la sentenza impugnata grado avrebbe indicato da effettuarsi secondo un criterio logico, mentre il Tribunale si era riferito ad un criterio tecnico, individuazione che, in ogni caso, il sindaco non sarebbe stato in grado di attuare stante il repentino svolgimento degli eventi e la conoscenza di soltanto due tra i molteplici fenomeni verificatisi.
 
3.8. vizio di motivazione in relazione alla individuazione delle strade percorribili ai fini dell’evacuazione, che la Corte territoriale effettua sulla base dei dati contenuti nella decisione di primo grado, ma senza considerare che il Tribunale aveva escluso la utilizzabilità delle strade per l’aggravarsi della situazione, il sopraggiungere dell’oscurità e le sempre più frequenti sospensioni dell’erogazione dell’energia elettrica, in quanto la sentenza impugnata ha anticipato l’ambito temporale entro il quale avrebbe dovuto essere effettuata l’evacuazione.
 
3.9. vizio di motivazione con riferimento alla insufficiente confutazione delle argomentazioni svolte dal primo giudice riguardo alla oggettiva impraticabilità dell’evacuazione, che la Corte territoriale avrebbe liquidato in modo semplicistico con richiami alla presenza delle forze dell’ordine sul posto, alla possibilità di utilizzo di megafoni o della televisione per allertare la popolazione, ma senza considerare l’ulteriore elemento, valorizzato dal Tribunale, del possibile panico e omettendo anche di apprezzare la tempistica.
 
3.10. violazione dell’art. 627, comma 2 cod. proc. pen. con riferimento al diniego, opposto dalla Corte di appello, alla richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento avanzata dalla difesa e diretta all’espletamento di una perizia tecnica finalizzata all’accertamento della prevedibilità dell’evento sulla base di criteri scientifici e storici, della natura e delle dimensioni di analoghi eventi storicamente verificatisi e ritenuta rilevante.
 
3.11. violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. laddove la Corte territoriale ha escluso la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per accertare se le colate di fango avessero seguito i tracciati già percorsi in passato, gli andamenti dei corsi d’acqua esistenti o altre forme di incanalamento naturale, ovvero se le colate siano scese dalla montagna senza seguire un percorso già definito e ciò in quanto detta verifica era stata indicata come necessaria nella stessa sentenza di annullamento.
 
3.12. violazione di legge in relazione agli artt. 627, comma. 3 e 628, comma 2 cod. proc. pen. in quanto la Corte di appello avrebbe dovuto, secondo quanto indicato nella sentenza di annullamento, procedere alla rivalutazione del materiale probatorio acquisito nei precedenti giudizi, mentre il difensore avrebbe accertato, tramite propri delegati, che presso la cancelleria della Corte di appello di Napoli gran parte degli atti processuali di rilevante valore probatorio risultavano ancora chiusi da carta di imballaggio recante il timbro della Corte di cassazione.
 
4. Con il secondo dei ricorsi, a firma Avv. Giuseppe Fusco, il BASILE, premettendo la questione concernente l’effettivo riesame del materiale probatorio di cui tratta il dodicesimo motivo del ricorso precedentemente illustrato, deduce:
 
4.1. vizio dì motivazione in relazione al mancato esame di tutte le risultanze dibattimentali anche per indisponibilità del materiale probatorio, perché non trasmesso o non disponibile al momento della decisione e prima o perché rimasto in contenitori sigillati, rilevando che «la confusione riscontrata nella raccolta, conservazione e disponibilità, da parte dei giudici, delle carte processuali può aver inciso sulla conoscenza completa e ragionata degli atti, quanto meno di quelli essenziali, che avrebbe imposto una doverosa lettura e discussione collegiale, anzi sopratutto in sede collegiale».
 
4.2. insufficienza o contraddittorietà della motivazione, in quanto la valutazione delle emergenze probatorie richiamate nella sentenza impugnata sarebbe caratterizzata da sommarietà ed incompletezza. A tale proposito evidenzia la divisione dell’accaduto in tre fasi temporali, la verifica della prevedibilità degli eventi, effettuata nei termini già ricordati nell’illustrare il primo ricorso, osservando che la valutazione effettuata dalla Corte del merito evidenzia la non disponibilità del materiale o l’impossibilità di esaminarlo per le già indicate modalità di deposito e conservazione.
 
4.3. vizio di motivazione in relazione al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, nei termini già indicati con riferimento all’undicesimo motivo del ricorso precedentemente illustrato.
 
4.4 vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso di considerare positivi elementi di valutazione.
 
5, L’Avvocatura distrettuale dello Stato deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che la decisione impugnata risulterebbe contraddittoria ed in contrasto con quanto statuito nella sentenza di rinvio laddove, dopo aver sviluppato un percorso argomentativo conclusosi con l’affermazione di penale responsabilità del sindaco per i fatti contestati, avrebbe assiomaticamente riconosciuto la responsabilità civile, in solido con il Comune di Sarno, anche del Ministero dell’Interno e della Presidenza del Consiglio.
 
Richiamate le conclusioni della sentenza di annullamento in tema di competenze del Sindaco e del Prefetto in presenza di eventi calamitosi, rileva che, in ragione di quanto affermato, finché il prefetto non abbia assunto, anche di fatto, la direzione delle operazioni, il sindaco, nell’ambito del territorio comunale, mantiene integri tutti i poteri e gli obblighi derivanti dalla qualità di autorità locale di protezione civile, cosicché, avuto riguardo alla ricostruzione della vicenda operata dai giudici del merito, la sentenza impugnata non spiegherebbe in base a quali ragioni è stata accolta a domanda risarcitoria nei confronti delle amministrazioni statali.
 
Osserva inoltre, con riferimento alla posizione della Presidenza del Consiglio dei ministri, che la stessa interviene nella gestione di situazioni emergenziali posteriormente alla dichiarazione di emergenza ai sensi dell’art. 5, comma 1 L. n.225\1992, cosicché non sarebbero ad essa imputabili fatti antecedenti alla declaratoria dello stato di emergenza.
 
Formula, infine, istanza di sospensione dell’esecuzione della condanna civile ai sensi dell’art. 612 cod. proc. pen.
 
Analoga istanza viene formulata dall’amministrazione comunale di Sarno in considerazione dell’incidenza rilevante sul patrimonio comunale delle somme delle somme da versare alle parti civili a titolo di provvisionale.
 
Tutti insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
6. I ricorsi presentati nell’interesse di Gerardo RASILE sono infondati.
 
Pare opportuno ricordare, preliminarmente, quali siano i principi di diritto fissati dalla Quarta Sezione Penale di questa Corte nella sentenza di annullamento.
 
6.1 Stabiliva la menzionata sentenza che il giudice del rinvio avrebbe dovuto procedere alla rivalutazione del materiale probatorio, adeguando la motivazione in modo da evitare i vizi in cui la sentenza annullata era incorsa, alla luce dei seguenti principi giuridici:
 
1) Nel sistema delineato dalla L. 24 febbraio 1992, n. 225 (istituzione del servizio nazionale della protezione civile) al sindaco, quale autorità locale di protezione civile e nell’ambito del territorio comunale, compete la gestione dell’emergenza provocata da eventi naturali o connessi con l’attività dell’uomo, di calamità naturali o catastrofi; se questi eventi non possono essere fronteggiati con i mezzi a disposizione del comune, il sindaco chiede l’intervento di altri mezzi e strutture al prefetto che adotta i provvedimenti di competenza coordinandoli con quelli del sindaco, le cui attribuzioni hanno natura concorrente (e non residuale) con quelle del prefetto che ne ha la direzione.
 
2) Nel caso di eventi calamitosi che non possono essere fronteggiati con i mezzi a disposizione del comune – e fino a quando il prefetto non abbia concretamente e di fatto assunto la direzione dei servizi di emergenza – il sindaco mantiene integri i suoi poteri e gli obblighi di gestione dell’emergenza ed in particolare quelli di allenamento ed evacuazione delle popolazioni che si trovino nelle zone a rischio indipendentemente dall’esistenza di una situazione di urgenza (la cui esclusione da parte del giudice di merito è stata, nella specie, ritenuta manifestamente illogica).
 
3) Nella causalità attiva l’evento è oggettivamente addebitabile a chi l’abbia cagionato (o abbia contribuito a cagionarlo), indipendentemente dalla circostanza che l’agente sia titolare di una posizione di garanzia; titolarità che rileva esclusivamente nella causalità omissiva ed è finalizzata ad individuare la persona fisica che aveva l’obbligo giuridico di impedire l’evento.
 
4) Il giudizio di prevedibilità dell’evento dannoso – necessario perché possa ritenersi integrato l’elemento soggettivo del reato sia nel caso di colpa generica che in quello di colpa specifica – va compiuto, nel caso di eventi naturali o di calamità che si sviluppino progressivamente, tenendo conto della natura e delle dimensioni di eventi analoghi storicamente già verificatisi ma valutando altresì se possa essere esclusa la possibilità che questi eventi possano avere dimensioni e caratteristiche più gravi o addirittura catastrofiche.
 
5) Il giudizio di prevedibilità dell’evento dannoso va compiuto con l’utilizzazione del criterio dell’agente modello (homo ejusdem professionis et condicionis) quale agente ideale in grado di svolgere al meglio il compito affidatogli; in questo giudizio si deve tener conto non solo di quanto l’agente concreto ha percepito ma altresì di quanto l’agente modello avrebbe dovuto percepire valutando anche le possibilità di aggravamento di un evento dannoso in atto che non possano essere ragionevolmente escluse.
 
6) La prevedibilità dell’evento dannoso, ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato, va compiuto utilizzando anche le leggi scientifiche pertinenti, se esistenti; in mancanza di leggi scientifiche che consentano di conoscere preventivamente lo sviluppo di eventi naturali calamitosi l’accertamento della prevedibilità dell’evento va compiuto in relazione alla verifica della concreta possibilità che un evento dannoso possa verificarsi e non secondo criteri di elevata credibilità razionale (che riguardano esclusivamente l’accertamento della causalità) ferma restando la distinzione con il principio di precauzione che prescinde dalla concretezza del rischio.
 
7) L’addebito soggettivo dell’evento richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (cd. comportamento alternativo lecito) non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato.
 
7. A tali principi ritiene il Collegio si sia adeguata la Corte territoriale, come meglio si dirà in seguito, ma alla sentenza impugnata sono state mosse le censure dianzi ricordate che, tuttavia, per la loro formulazione, risultano prive di fondamento.
 
Invero, entrambi i ricorsi dell’imputato sono articolati con numerosi riferimenti a dati fattuali e, sostanzialmente, propongono una lettura alternativa del compendio probatorio effettuata, nella maggior parte dei casi, attraverso il confronto tra i contenuti della sentenza di primo grado e quella impugnata, manifestando, in pratica, preferenza per le soluzioni interpretative prospettate dal primo giudice, pur sostenendo che il giudice del rinvio avrebbe omesso di confutare adeguatamente la decisione assolutoria di primo grado.
 
Tale operazione viene peraltro compiuta, per lo più, attraverso l’estrapolazione e l’esame comparativo di singoli brani dell’uno e dell’altro provvedimento i quali, così enucleati dall’intero contesto del discorso argomentativo sviluppato dai giudici del merito, vengono ad assumere un significato diverso da quello che si avrebbe attraverso una valutazione globale e unitaria.
 
7.1 Invero, l’ambito di operatività dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. è stato compiutamente delineato dalla giurisprudenza di questa Corte.
 
Tale consolidata giurisprudenza è infatti orientata nel senso di ritenere che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all’articolo 606 cod. proc. pen. dalla Legge 46\2006, Sez. III n. 12110, 19 marzo 2009; Sez. VI n. 23528, 6 luglio 2006; Sez. VI n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. VI n. 10951, 29 marzo 2006).
 
Si è altresì precisato che il vizio di motivazione ricorre nel caso in cui la stessa risulti inadeguata perché non consente di riscontrare agevolmente le scansioni e gli sviluppi critici che connotano la decisione riguardo a ciò che è stato oggetto di prova ovvero impedisce, per la sua intrinseca oscurità od incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti (Sez. VI n.7651, 25 febbraio 2010).
 
Ancor più efficacemente si è specificato come il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo della decisione impugnata sia circoscritto alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili con «atti del processo», specificamente indicati dal ricorrente, che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. IV n. 15801, 19 aprile 2010, Sez. VI n. 38698, 22 novembre 2006).
 
7.2 Nel caso in esame il giudice del rinvio risulta, in ogni caso, aver comunque sviluppato un percorso argomentativo del tutto coerente e logico, tenendo ben presente quanto indicato nella sentenza di annullamento.
 
8. Con riferimento al ricorso a firma Avv. SICA si osserva, pertanto, quanto segue.
 
8.1 Con riferimento alla questione della prevedibilità dell’evento, oggetto di critica nel primo motivo di ricorso, deve rilevarsi che la sentenza di annullamento aveva fornito inequivocabili indicazioni sul punto, rilevando come, nel giudizio di prevedibilità, deve tenersi conto dell’esperienza del passato, senza tuttavia trascurare le possibilità di evoluzione del fenomeno, ipotizzando quindi «la più distruttiva ipotesi che potesse verificarsi o che il fenomeno disastroso poteva comportare».
 
Riguardo alla mancanza di conoscenza del fenomeno da parte della comunità scientifica, la stessa sentenza rileva come tale circostanza, valorizzata dal primo giudice e riproposta in ricorso, non costituisce una giustificazione quanto, piuttosto, una conferma dell’addebito soggettivo, in quanto la mancata conoscenza di un fenomeno accresce le esigenze di specifica cautela, non potendosi escludere, attraverso una valutazione ex ante, fondata su conoscenze scientifiche affidabili, effetti maggiormente distruttivi.
 
Viene altresì posto in evidenza che i giudici del merito avevano in precedenza del tutto ignorato o, comunque sottovalutato, l’ulteriore circostanza della qualificazione del Comune di Sarno come zona ad alto rischio di frane e di valanghe nel piano comunale di protezione civile del 1995.
 
Di tali circostanze ha doverosamente tenuto conto il giudice del rinvio, dando atto, attraverso un nuovo esame degli elementi a disposizione, della circostanza che il fenomeno era ben noto in Campania, sotto il profilo scientifico, in ragione delle specifiche caratteristiche del territorio.
 
Operano i giudici, in questa parte della motivazione, un richiamo alla situazione generale che giustifica, pertanto, il riferimento a documenti, quale l’ordinanza del Dipartimento della Protezione Civile, non riguardanti specificamente il Comune di Sarno, di cui viene fatta menzione in ricorso.
 
Subito dopo, tuttavia, viene presa in esame la specifica situazione di quel comune, attraverso il richiamo non solo alle dichiarazioni degli esperti e di altri testimoni escussi nel corso dell’istruzione dibattimentale, anche con riferimento al fenomeno delle «colate rapide», pervenendo alla conclusione che il fenomeno verificatosi era ben noto non solo alla comunità scientifica, ma anche alla popolazione del luogo.
 
La motivazione risulta, pertanto, ineccepibile sul punto e quanto appena indicato evidenzia in modo lampante come il sistema, utilizzato in ricorso, dell’estrapolazione dei contenuti dei singoli provvedimenti ed il loro confronto con richiami a dati fattuali e atti del procedimento inaccessibili a questa Corte sia errato e fuorviante.
 
9. Tali caratteristiche presentano, come si è già detto, anche i successivi motivi.
 
La Corte territoriale ha preso puntualmente in esame la circostanza concernente l’esistenza di quattro eventi significativi in precedenza verificatisi, che vengono compiutamente analizzati ed il piano di protezione civile, procedendo ad una loro valutazione oggetto di critica nel secondo motivo di  ricorso ponendo in evidenza il contrasto tra le conclusioni che vengono tratte e quelle prospettate dal primo giudice, senza tuttavia considerare che il rilievo di tali circostanze e l’errata valutazione che ne aveva dato il Tribunale erano state oggetto di critica nella sentenza di annullamento, come si è detto in precedenza, poiché, in tale sentenza, il ragionamento della Corte di appello di Salerno, secondo la quale i fenomeni che si erano verificati negli anni precedenti non avevano mai assunto caratteristiche simili a quelle del fenomeno del 5 maggio 1998 sia per dimensioni che per velocità della colata, viene indicato come premessa al successivo sviluppo della motivazione sulla prevedibilità dell’evento.
 
Va ulteriormente rilevato che i due motivi di ricorso appena esaminati prescindono totalmente dal considerare quanto evidenziato nella sentenza di annullamento ed in precedenza ricordato, sul criterio di valutazione della prevedibilità dell’evento e, segnatamente, nella parte in cui viene fatto riferimento alla considerazione che deve essere prestata alle situazioni pregresse ed alle possibilità di una evoluzione in peggio dei fenomeni già riscontrati.
 
Se, infatti, si considera tale aspetto, le argomentazioni critiche sviluppate in ricorso appaiono vuote di contenuti oltre che infondate.
 
10. Ciò vale anche per quanto prospettato nel terzo e quarto motivo di ricorso, laddove si censurano i riferimenti della Corte territoriale alla posizione del paese colpito dalla disastrosa frana e l’incidenza delle precipitazioni meteoriche nella causazione dell’evento.
 
Si assume, infatti, che la sentenza impugnata avrebbe, nel primo caso, erroneamente attribuito all’abitato di Sarno una posizione («sotto la montagna») che in realtà non avrebbe e che la pioggia, nel giorno in cui si verificò la frana ed in quelli precedenti, sarebbe una concausa e non anche un indicatore di pericolo e la sua eccezionalità avrebbe rilievo esclusivamente con riferimento alla stagione e non anche all’intensità del fenomeno.
 
E’ evidente che tali aspetti della vicenda, se si considera quanto evidenziato nella sentenza di annullamento, sono del tutto marginali e non spostano minimamente i termini della questione, essendo la prevedibilità dell’evento già dimostrata dagli ulteriori dati fattuali che la Corte del merito ha in precedenza valorizzato secondo le indicazioni del giudice di legittimità.
 
Si tratta, inoltre, di questioni che la Corte di appello ha affrontato nell’ambito di un discorso più ampio, entro il quale possono essere valutate attribuendo loro il reale significato.
 
10.1 Ed infatti la posizione dell’abitato di Sarno viene menzionata dopo aver considerato la situazione generale del territorio anche con riferimento ai comuni vicini e per distinguerlo da questi, mentre il riferimento alla pioggia è effettuato osservando come gli studiosi escussi avessero evidenziato l’incidenza di tale fenomeno meteorico nella causazione dell’evento franoso, dato fattuale peraltro evidente, se si considera la conformazione del territorio indicata dai giudici del merito, caratterizzata dalla forte pendenza dei versanti e dal loro assetto geologico, costituito da materiali leggeri di origine vulcanica (ceneri e pomici); che detti eventi meteorici erano stati presi in esame anche nella «mappa dei rischi» del piano della protezione civile del 1995 e che la pioggia cadeva da circa due giorni, cosicché, anche in considerazione del fatto che proprio la pioggia era stata causa anche dei precedenti eventi verificatasi nella zona, tale dato era certamente degno di maggiore considerazione, specie dopo il verificarsi delle prime colate.
 
Tale analisi, inoltre, viene condotta dalla Corte territoriale con costanti riferimenti alle diverse valutazioni del giudice di prime cure, che vengono puntualmente confutate.
 
Nessuna contraddizione o manifesta illogicità può dunque rilevarsi sul punto, perché il complessivo corpo argomentativo della sentenza impugnata non viene minimamente intaccata dalle censure del ricorrente.
 
11. Anche il quinto motivo di ricorso si risolve nella contestazione delle conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale sulla base di una personale rielaborazione dei fatti, finalizzata a sostenere che la effettiva percezione del fenomeno disastroso in atto andrebbe collocata in un momento diverso da quello individuato nel provvedimento impugnato, anche in questo caso senza tener conto di ciò che la sentenza di annullamento aveva già rilevato sul punto censurando le conclusioni dei primi giudici.
 
Era stato infatti rilevato che la sentenza poi annullata e quella di primo grado avevano erroneamente collocato intorno alle ore 20,00 del 5 maggio 1998 il momento in cui risultava evidente che ciò che stava accadendo aveva forza devastante ben superiore rispetto agli eventi già in precedenza verificatesi.
 
Attraverso un’analisi dettagliata della sequenza degli avvenimenti ricostruita dai giudici del merito viene, dunque, rilevato che già alle ore 16,00 di quel giorno esistevano elementi di conoscenza tali da far ritenere una ben più grave evoluzione del fenomeno, osservando, conseguentemente, che, a quell’ora, l’evoluzione peggiorativa dell’evento non solo era divenuta maggiormente prevedibile ma, addirittura, era in atto e, pertanto, il giudizio di non prevedibilità cui erano pervenuti i giudici di merito doveva ritenersi manifestamente illogico e contraddittorio perché contrastante irrimediabilmente con quanto accertato dagli stessi giudici.
 
11.1 Di tale conclusione ha opportunamente tenuto conto la sentenza impugnata, che pure dedica alcune pagine alla ricostruzione della sequenza degli accadimenti, rilevando che l’ampia diffusione del fenomeno, la sua maggiore estensione rilevabile dalla pluralità delle colate, la presenza di rumori provenienti dalla montagna e noti ai cittadini per aver accompagnato gli eventi precedentemente verificatisi, le condizioni meteorologiche avverse persistenti ed il fatto che già nel pomeriggio il fango aveva raggiunto alcune abitazioni o travolto persone, rendendo necessari alcuni sgomberi, erano tutti elementi chiaramente sintomatici di uno sviluppo disastroso del fenomeno in atto.
 
All’esito di tale valutazione, effettuata senza incorrere in illogicità o palesi contraddizioni, la Corte territoriale individua tra le 16,00 e le 17,30 il momento di effettiva prevedibilità degli eventi più catastrofici.
 
11.2 La sentenza impugnata tiene anche conto del comportamento mantenuto dal Sindaco, nonché dei suoi spostamenti, esplicitamente valutati in senso negativo laddove viene stigmatizzata la condotta «improntata ad impreparazione e superficialità» anche sulla base della deposizione di un teste (Prof. SORVINO), il quale aveva posto in evidenza come il sindaco avesse errato nello spostarsi sul territorio per effettuare sopralluoghi di competenza degli organi tecnici, anziché procedere all’attività, a lui spettante, di coordinamento e direzione.
 
12. Anche per quanto riguarda la questione, sollevata nel sesto motivo il ricorso e concernente i percorsi seguiti dalle colate di fango, deve rilevarsi che la stessa viene posta senza tenere conto tanto del più ampio discorso sviluppato sul punto nella sentenza di rinvio, quanto delle argomentazioni prospettate nella sentenza impugnata, procedendosi, anche in questo caso, all’estrapolazione di un singolo argomento dal contesto generale.
 
In realtà la sentenza di annullamento aveva trattato l’argomento nel valutare l’evitabilità degli eventi, il mancato allertamento della popolazione e la mancata evacuazione delle zone a rischio, aspetti rispetto ai quali individuava evidenti vizi della sentenza di merito sottoposta al vaglio di legittimità.
 
Si osservava, così, che i giudici avrebbero dovuto verificare se erano ragionevolmente prevedibili anche eventi più distruttivi rispetto a quelli già verificatisi e se l’evoluzione peggiorativa del fenomeno fosse già percepibile in base agli accadimenti manifestatisi intorno alle ore 16,00 e, in caso di risposta positiva, se fosse stata possibile l’evacuazione delle zone maggiormente a rischio previo allertamento della popolazione residente.
 
Veniva altresì precisato che non era stato chiarito quale fosse il numero effettivo dei residenti nelle zone a rischio che, nelle sentenze impugnate, non erano state neppure compiutamente individuate.
 
Si rilevava, inoltre, che, stante la conoscenza dei fenomeni precedentemente verificatisi, sebbene di minore rilievo, si rivelava indispensabile accertare se le colate di fango avessero seguito gli stessi percorsi del passato, gli andamenti dei corsi d’acqua esistenti o altre forme di incanalamento naturale ovvero se le colate fossero scese dalla montagna attraverso un nuovo e diverso percorso e ciò in quanto, nel primo caso, sarebbe stato possibile individuare le zone a rischio e procedere alla loro evacuazione, mentre nel secondo caso si sarebbe potuto porre problema di esigibilità della condotta salvifica in relazione alla ritenuta esistenza di una situazione di rischio che non poteva riguardare l’intero abitato di Sarno ma solo le zone astrattamente attingibili dalle colate.
 
Veniva poi dato atto che detta indagine mancava nella sentenza impugnata ed era solo accennata nella sentenza di primo grado ove, peraltro, si rinvenivano alcune precisazioni utili allo scopo indicato e di seguito specificate, che venivano qualificate come indicative della fondatezza delle critiche sul punto svolte dal Procuratore generale ricorrente, osservando che i giudici di merito, almeno in parte, avevano verificato che i percorsi delle colate di fango coincidevano con quelle degli anni precedenti e ciò rendeva necessario verificare la possibilità di evacuazione di queste zone tenendo conto delle caratteristiche di progressiva evoluzione del fenomeno e della disponibilità di mezzi umani, indicati come certamente non irrilevanti.
 
Si concludeva osservando che il giudice di merito avrebbe dovuto verificare, in base ai criteri indicati, se già alle ore 16,00 per l’agente modello di sindaco, si dovesse porre il problema dell’individuazione e dell’evacuazione delle zone a  rischio e, in relazione all’asserita inesigibilità di questa condotta, avrebbe dovuto indicare le ragioni ostative, che non possono essere quelle indicate nelle sentenza annullata e che facevano riferimento – in contraddizione con quanto accertato sull’evoluzione peggiorativa già riscontrabile alle ore 16,00 – ad un’esigenza che sorge solo dopo le ore 18,30 o addirittura dopo le ore 20.
 
12.1 Come è dunque evidente, si tratta di un ragionamento molto ampio e ben definito al quale la sentenza impugnata ha dato completo riscontro, come si evince dal complessivo sviluppo del percorso argomentativo seguito esaminato in precedenza e da ciò che si vedrà in seguito con riferimento alle ulteriori doglianze.
 
Invero la Corte territoriale ha chiaramente specificato l’orario in cui l’evoluzione catastrofica del fenomeno in atto era prevedibile da parte del sindaco e quali fossero gli elementi indicatori di tale prevedibilità. Analogamente, ha preso in considerazione l’aspetto relativo alla coincidenza dei percorsi seguiti dalle colate di fango rispetto agli accadimenti pregressi ed alla possibilità di individuazione delle zone a rischio da evacuare.
 
L’accertamento viene ancora una volta effettuato correttamente, evidenziando come le zone a rischio avrebbero dovuto essere individuate tra quelle interessate dalle prime colate di fango, poiché i luoghi colpiti dalle successive colate più distruttive erano proprio quelli che, nel primo pomeriggio, avevano visto invase dal fango strade e zone limitrofe, che i giudici puntualmente individuano.
 
Dette zone, si aggiunge, erano vicine ai valloni interessati, in passato, da fenomeni analoghi, che pure vengono indicati nel dettaglio, con riferimento a dati storici ed atti del procedimento.
 
13. L’articolato discorso giustificativo della Corte territoriale si sviluppa in seguito anche con riferimento alla possibilità di evacuazione delle zone così individuate, circostanza oggetto di censura nel settimo ed ottavo motivo di ricorso.
 
Anche in questo caso il ricorrente imposta la sua critica al provvedimento impugnato attraverso il mero confronto con brani della decisione di primo grado, peraltro facendo ricorso alla diversa scansione temporale degli accadimenti ritenuta erronea dalla sentenza di annullamento e da quella impugnata e di cui si è detto in precedenza.
 
13.1 Invero la Corte territoriale in modo articolato chiarisce, con puntuali argomentazioni in fatto, le ragioni per le quali le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale, secondo il quale l’evacuazione sarebbe stata complessa anche se fosse stata disposta tra le 16,00 e le 18,30, non dovevano ritenersi condivisibili.
 
Vengono così riesaminati i dati fattuali acquisiti nell’istruzione dibattimentale, analizzando anche l’aspetto concernente le condizioni di viabilità del territorio ed, in particolare, la percorribilità delle strade con veicoli e l’esistenza di percorsi alternativi a piedi.
 
14. Anche le possibili modalità di evacuazione vengono compiutamente esaminate, contrariamente a quanto affermato nel nono motivo di ricorso.
 
Si evidenzia, infatti, che se l’evacuazione fosse stata tempestivamente disposta e preceduta dall’allenamento della popolazione, che, come emerge in altre parti del provvedimento, era mancato, in quanto la cittadinanza era stata rassicurata sull’entità del fenomeno ed invitata a restare nelle case, non avrebbe trovato ostacolo neppure nel numero delle persone interessate dall’operazione, anche in considerazione delle forze disponibili sul territorio, che la stessa sentenza di annullamento aveva individuato come non irrilevanti, stante la presenza di Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Carabinieri, Corpo Forestale dello Stato e Vigili del Fuoco, osservando anche come gli appartenenti a detti corpi ­alcuni dei quali deceduti a seguito dell’evento calamitoso – si fossero spontaneamente attivati provvedendo da soli all’evacuazione di centinaia di persone.
 
Anche in questo caso il ragionamento prospettato dalla Corte territoriale va letto nel suo complesso e correlato con quanto già evidenziato nella sentenza di annullamento, non assumendo peraltro rilevanza il consueto confronto con la decisione del primo giudice effettuato in ricorso, per essere la contraddittorietà di quel provvedimento già censurata nella sentenza di annullamento.
 
In quest’ottica, pertanto, la sentenza impugnata risulta, ancora una volta, immune dai vizi denunciati.
 
15. Infondato risulta anche il decimo motivo di ricorso nel quale si ipotizza la violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. per non avere la Corte territoriale accolto la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’assunzione di una perizia, ritenuta rilevante per la decisione.
 
15.1 Deve osservarsi, a tale proposito, che la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte ritiene che nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di una sentenza d’appello, le parti non hanno alcun diritto incondizionato alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in quanto il giudice dispone in merito degli stessi poteri di quello la cui sentenza è stata annullata, cosicché è tenuto alla rinnovazione nel caso in cui la prova sia indispensabile per la decisione, con l’ulteriore condizione che sia anche rilevante (Sez. Il n. 35616, 27 settembre 2007; Sez. IV n. 30422, 10 agosto 2005; Sez. I n. 16786, 8 aprile 2004; Sez. Il n. 9533, 11 settembre 1995).
 
Si è peraltro osservato, in maniera del tutto convincente, che, dovendosi i poteri del giudice del rinvio conformarsi a quelli ordinariamente attribuiti al giudice la cui sentenza è stata annullata, poiché è quel giudizio a dover essere rinnovato a seguito dell’annullamento, la previsione di un incondizionato potere probatorio delle parti, in caso di «regressione» in appello, risulterebbe davvero eccentrica, sia sul piano del sistema (il giudizio di rinvio, infatti, si configurerebbe sempre, agli effetti del diritto alla prova, come se fosse un giudizio di primo grado), che sul versante degli equilibri processuali (qualsiasi decadenza dalla prova sarebbe inspiegabilmente rimossa) (così, testualmente, Sez. Il n. 35616\2007, cit.).
 
15.2 Nella fattispecie, la Corte territoriale ha respinto la richiesta di rinnovazione dibattimentale giustificando il diniego sul presupposto che gli accertamenti demandati dalla sentenza rescindente non richiedevano verifiche di tipo tecnico scientifico quanto, piuttosto, la valutazione dei dati emersi dalla pregressa istruzione dibattimentale.
 
La scelta risulta giuridicamente corretta ed adeguatamente motivata oltre che perfettamente allineata ai principi appena richiamati, considerata anche la natura eccezionale dell’istituto.
 
16. Quanto all’undicesimo motivo di ricorso, deve rilevarsi che la questione concernente i percorsi seguiti dalle colate di fango, che il ricorrente ritiene avrebbero dovuto essere oggetto dell’accertamento peritale negato, risulta, come si è già detto, risolta dalla Corte territoriale nel senso indicato trattando, precedentemente, del sesto motivo di ricorso, cosicché non si rileva la violazione della norma processuale denunciata.
 
16. Altrettanto infondato risulta, infine, il dodicesimo motivo di ricorso ove si assume, in sostanza, che la Corte di appello non avrebbe esaminato atti processuali di rilievo che, da verifiche effettuate dalla difesa, sarebbero risultati ancora avvolti nella carta da imballaggio.
 
Tale rilievo viene formulato riportando anche il testo delle istanze avanzate alla Corte di appello e la risposta fornita.
 
Osserva a tale proposito il Collegio che la questione non solo attiene a vicende successive al deposito della sentenza ed estranee al tema della decisione cui è chiamata questa Corte, ma risulta anche chiarita dalla risposta formulata dalla Corte di appello di Napoli alle istanze avanzate dalla difesa e testualmente riprodotta in ricorso, laddove si specifica che i «faldoni» contenenti gli atti del processo erano stati ripetutamente movimentati, maneggiati e trasmessi in visione all’Avvocatura dello Stato anche dopo il deposito della sentenza e che, al momento, alcuni allegati si presentavano avvolti in carta da imballaggio non sigillata.
 
Del resto, la cognizione degli atti da parte della Corte del merito risulta ampiamente dimostrata dal complessivo tenore della sentenza impugnata e dai puntuali riferimenti ai singoli atti che il pur articolato ricorso non ha minimamente intaccato.
 
18. A conclusioni analoghe deve pervenirsi con riferimento al ricorso a firma Avv. Giuseppe Fico.
 
18.1 Va rilevato che il primo, secondo e terzo motivo di ricorso sono basati su questioni sostanzialmente identiche a quelle trattate nell’esaminare l’altro ricorso presentato dall’imputato e concernenti l’effettivo e completo esame degli atti processuali da parte del giudice del rinvio, il vizio di motivazione in relazione alla rivalutazione del compendio probatorio ed il diniego della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, cosicché può semplicemente richiamarsi quanto precedentemente osservato.
 
18.2 Per ciò che attiene, invece, al Quarto motivo di ricorso, riguardante il diniego delle attenuanti generiche, pare opportuno ricordare che la concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicché deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. III n. 19639, 24 maggio 2012; Sez, I n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. VI n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. VI n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. I n. 4200, 7 maggio 1985).
 
Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. Il n. 3609, 1 febbraio 2011; Sez. VI n. 34364, 23 settembre 2010), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità,
neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. VI n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. VI n. 7707, 4 dicembre 2003).
 
18.3 Nella fattispecie, la Corte territoriale ha posto compiutamente in evidenza le ragioni del diniego, individuate nell’elevato grado di colpa, caratterizzato dal comportamento tenuto nel corso dell’evolversi degli eventi, della sua impreparazione in ragione delle competenze professionali di ingegnere e dalla mancata considerazione di un fenomeno che si stava manifestando in tutta la sua evidenza.
 
Si tratta, ad avviso del Collegio, di valutazione del tutto conforme ai principi appena ricordati che non presenta alcuna lacuna motivazionale.
 
19. A non diverse conclusioni deve poi pervenirsi con riferimento al ricorso proposto dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato.
 
19.1 Va preliminarmente osservato, a tale proposito, che il ruolo del sindaco e del prefetto nella gestione di eventi calamitosi, quali quello oggetto del presente procedimento, è stato individuato nella sentenza rescindente ed enucleato nei primi due principi formulati all’esito del giudizio ed in precedenza ricordati.
 
In particolare, nella sentenza viene analizzata la posizione del sindaco alla luce dell’organizzazione generale del Servizio Nazionale della protezione civile delineato dalla disciplina vigente all’epoca dei fatti e, segnatamente, della legge 24 febbraio 1992 che tale servizio istituiva.
 
Si osserva, dunque, che con l’entrata in vigore di tale legge la protezione civile si configura come «organizzazione autonoma con organi propri».
 
La sentenza richiama anche la tripartizione delle tipologie di eventi ai fini della protezione civile effettuata dall’art. 2 della legge 225/1992 individuando (sempre nella versione vigente all’epoca dei fatti):
a) eventi naturali o connessi con l’attività dell’uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;
b) eventi naturali o connessi con l’attività dell’uomo che per loro natura ed estensione comportano l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria;
c) calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.
 
19. 2 Viene ricordato anche come, in base all’art. 14, il prefetto sia l’organo che, al verificarsi delle emergenze previste dall’art. 2, lett. b) e c), assume la direzione e il coordinamento delle operazioni e «predispone il piano per fronteggiare l’emergenza su tutto il territorio della provincia e ne cura l’attuazione», agendo nelle diverse vesti di organo decentrato del ministero dell’interno, componente della protezione civile, delegato della presidenza del consiglio dei ministri ed organo decentrato che assume la direzione unitaria dei servizi di emergenza a livello provinciale, disponendo anche, in forza dell’art. 14, comma 3 del potere di ordinanza di cui all’art. 5 comma 2, quale delegato del presidente del consiglio dei ministri.
 
Il prefetto, inoltre, al verificarsi di uno degli eventi suddetti deve informare il dipartimento della protezione civile e gli altri organi previsti ed «assume la direzione unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale, coordinandoli con gli interventi dei sindaci dei comuni interessati» adottando «tutti i provvedimenti necessari ad assicurare i primi soccorsi» assumendo, così, in ambito provinciale, compiti fondamentali in materia di protezione civile.
 
19.3 Nell’esaminare poi la posizione del sindaco, la sentenza di annullamento ne ricorda le attribuzioni di «autorità comunale di protezione civile» delineate dalla legge 225/1992 che ne evidenzia la natura propria quale capo dell’amministrazione comunale e non più come ufficiale di governo e richiama il contenuto dell’art. 15, il quale stabilisce, al comma 3, che «al verificarsi dell’emergenza nell’ambito del territorio comunale, il sindaco assume la direzione e il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite e provvede agli interventi necessari dandone immediata comunicazione al prefetto e al Presidente della Giunta regionale» ed, al comma 4, che «quando la calamità naturale o l’evento non possono essere fronteggiati con i mezzi a disposizione del comune, il sindaco chiede l’intervento di altre forze e strutture al prefetto, che adotta i provvedimenti di competenza, coordinando i propri interventi con quelli dell’autorità comunale di protezione civile».
 
Viene altresì posto l’accento sull’attività di coordinamento cui è chiamato il prefetto, rilevando che il riferimento della legge a tale specifica attività è indicativo della permanenza di un obbligo, in capo ad entrambi i soggetti, nell’ambito delle proprie responsabilità e competenze, di provvedere agli interventi necessari e che la permanenza di tali poteri ed obblighi per il sindaco «…non contrasta con l’attribuzione al prefetto di una posizione di garanzia dotata di maggiori poteri (anche straordinari) a lui attribuiti ed estesa all’ambito provinciale. Ciò che si vuoi dire è che, nell’ambito comunale, prefetto e sindaco continuano ad essere titolare di obblighi e poteri anche quando il prefetto sia stato informato dell’emergenza e sia concretamente intervenuto e pur se la posizione del prefetto sia da ritenere comunque sovraordinata rispetto a quella del sindaco».
 
19. 4 A tali riferimenti si richiama anche la ricorrente Avvocatura dello Stato, la quale sostiene, però, sulla scorta della ripartizione delle competenze come sopra delineate e, segnatamente, dello specifico ruolo attribuito al sindaco, nonché in considerazione della mancata assunzione effettiva, da parte del prefetto, nella vicenda in esame, di iniziative di coordinamento, l’assenza di responsabilità rísarcitoria in capo ai rappresentati Ministero dell’Interno e Presidenza del Consiglio dei Ministri.
 
19.5 Tale assunto, ad avviso del Collegio, non può essere condiviso, poiché deve tenersi conto della struttura organizzativa del sistema della protezione civile come disciplinato dalla legge 225\1992 all’epoca dei fatti.
 
Esso viene infatti delineato con un assetto complesso che coinvolge, nell’attuazione delle finalità di tutela da eventi calamitosi, una pluralità di soggetti, che l’art. 1 individua nelle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, nelle regioni, nelle province, nei comuni, negli enti pubblici nazionali e territoriali ed in ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale, attribuendone il coordinamento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (o al Ministro delegato) il quale si avvale del Dipartimento della protezione civile.
 
La direzione ed il coordinamento delle attività di previsione, prevenzione e soccorso sono regolate dall’art. 4, mentre l’articolo 5 attribuisce il potere di ordinanza in presenza degli eventi di cui all’art. 2, lett. c), esercitabile anche mediante commissari delegati.
 
Una puntuale individuazione dei componenti del Servizio nazionale di protezione civile è poi effettuata dall’art. 6, commi 1 e 2, laddove è stabilito che «all’attuazione delle attività di protezione civile provvedono, secondo i rispettivi ordinamenti e le rispettive competenze, le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni e le comunità montane, e vi concorrono gli enti pubblici, gli istituti ed i gruppi di ricerca scientifica con finalità di protezione civile, nonché ogni altra istituzione ed organizzazione anche privata.
 
A tal fine le strutture nazionali e locali di protezione civile possono stipulare convenzioni con soggetti pubblici e privati» e che «concorrono, altresì, all’attività di protezione civile i cittadini ed i gruppi associati di volontariato civile, nonché gli ordini ed i collegi professionali».
 
Le competenze, a livello nazionale e locale, sono individuate nei successivi articoli.
 
19.6 Tale articolato complesso è stato efficacemente definito dalla Corte costituzionale (sent. 327, 30 ottobre 2003), come pure ricordato nella sentenza della Quarta Sezione di questa Corte, come «organizzazione diffusa a carattere policentrico».
 
La stessa Corte costituzionale (sent. 418, 9 novembre 1992) aveva in precedenza rilevato come la legge 225\1992 sia intervenuta senza modificare la ripartizione delle materie e delle competenze tra Stato e regioni, assicurando un’azione armonica e razionale dei vari soggetti coinvolti, prevedendone il coordinamento che, si osserva, non poteva che essere conferito al governo, in ragione dell’entità che potrebbe assumere un evento calamitoso, della difficoltà delle operazioni di soccorso e della necessità di una loro immediata attivazione, oltre che della complessità dell’apparato operativo da mobilitare. Lo scopo della legge, si aggiunge, è quello di assicurare il concorso di tutte le singole componenti della protezione civile.
 
19.7 Di tale complessa articolazione, come si è detto, fa parte a pieno titolo anche il sindaco, il quale agisce sì come autorità comunale di protezione civile, ma non per questo resta estraneo al sistema cui lo vincolano specifici obblighi, quali, ad esempio, quello di informazione al prefetto (art. 15, comma 3) o di richiesta di intervento (art. 15, comma 4) o la possibilità di operare quale delegato ai sensi dell’art. 5, comma 4.
 
Va peraltro rilevato come l’art. 15, comma 3 si limiti a stabilire che il sindaco assume la direzione ed il coordinamento dei servizi di soccorso ed assistenza alle popolazioni colpite e «provvede agli interventi necessari» senza ulteriori indicazioni, il che rende plausibile ritenere che tale attività egli ponga in essere facendo ricorso ai poteri attribuitigli da altre disposizioni di legge, sia quale capo dell’amministrazione comunale che in qualità di ufficiale di governo, come nel caso di adozione di provvedimenti contingibili ed urgenti ai sensi dell’art. 38, comma 2 d.lgs. 142\1990 vigente all’epoca dei fatti.
 
Va altresì considerato che il contenuto del d.P.R, 6 febbraio 1981 n. 66 «Regolamento di esecuzione della legge 8 dicembre 1970, n. 996, recante norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità. Protezione civile» il quale, deve ritenersi ancora vigente.
 
Come rilevato, infatti, nella sentenza rescindente, l’art.21 della legge 355\1992 dispone l’abrogazione di tutte le norme con essa non compatibili e tali non risultano, per quel che qui rileva, quelle contenute negli artt. 14 e 16 del menzionato d.P.R. E concernenti le attribuzioni del sindaco e del prefetto.
 
Quanto al primo, stabilisce l’art. 16 che il sindaco è organo locale di protezione civile, anche in questo caso, quale ufficiale del Governo.
 
Non è comunque pensabile che il necessario collegamento del sindaco con la complessa organizzazione della protezione civile venga meno se egli o uno degli altri soggetti coinvolti resti inerte ovvero se sia intervenuta altra autorità in ragione dell’entità del fenomeno calamitoso, poiché la individuazione di competenze concorrenti trova una evidente giustificazione non soltanto nella necessità di assicurare prontamente ogni intervento necessario, ma anche nella evidente difficoltà di classificare adeguatamente l’evento secondo la tripartizione operata dalla legge 225\1992 nell’immediatezza del suo verificarsi.
 
Del resto di tale necessità è dato conto nella sentenza rescindente, ove non manca un richiamo alle carenze della macchina organizzativa effettuato riportando alcuni dati fattuali valorizzati dai giudici del merito e che evidenziano come la prefettura di Salerno avesse dimostrato «una totale inefficienza e una complessiva disorganizzazione derivanti dall’incapacità di gestire l’emergenza e come i suoi interventi abbiano dimostrato la sostanziale impreparazione dei funzionari addetti». 
 
A conferma di tale assunto si ricordava la sequenza dei contatti intervenuti ed i comportamenti conseguentemente tenuti, osservando come la «situazione di sbandamento e di disorientamento nella prefettura» risultasse evidente dalla descrizione dell’attività del centro coordinamento soccorsi descritta dal Tribunale, il quale aveva posto in rilievo anche l’incompletezza dei documenti redatti successivamente sull’evolversi degli avvenimenti.
 
Tale stato di cose viene definito con termini non dissimili anche dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, ove la caotica e disorientata gestione dell’emergenza da parte della prefettura salernitana viene menzionata per meglio delineare le responsabilità del sindaco, pure chiaramente evidenziate.
 
Ne consegue che la condanna dei responsabili civili appare giuridicamente corretta in quanto tiene adeguatamente conto del ruolo e dei poteri del sindaco nel sistema della protezione civile nazionale come sopra delineato.
 
20. Resta da aggiungere che il riconoscimento della responsabilità in solido trova giustificazione nel comune interesse processuale.
 
Le questioni concernenti la sospensione dell’efficacia esecutiva delle statuizioni civili restano assorbite dalla decisione sul merito.
 
21. Tutti i ricorsi devono pertanto essere respinti, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
 
P.Q.M.
 
Rigetta i ricorsi di BASILE Gerardo e dei responsabili civili Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero degli interni e condanna i ricorrenti, in solido anche con l’Amministrazione Comunale di Sarno, alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili che liquida in complessivi euro 3.000,00 per le parti civili difese dall’Avv. RAPALO, euro 3.000,00 per le parti civili difese dall’Avv. MATRONE, euro 3.000,00 per le parti civili difese dall’Avv. MANCUSO; euro 3.000,00 per le parti civili difese dall’Avv. BARBATO, euro 5.200,00 per le parti civili difese dall’Avv. FERRANDINO; euro 6.000,00 per le parti civili difese dall’Avv. GIUDICE, euro 8.000,00 per le parti civili difese dall’Avv. LAUDISIO, euro 8.500,00 per le parti civili difese dall’Avv. SPARANO, euro 9.500,00 per le parti civili difese dall’Avv. VISERTA, euro 12.000,00 per le parti civili difese dall’Avv. SACCONE, euro 12.000,00 per le parti civili difese dall’Avv. MAURIELLO, euro 13.000,00 per le parti civili difese dall’Avv. SARNO, euro 13.000,00 per le parti civili difese dall’Avv. CINIGLIA, oltre ad accessori di legge.
 
Così deciso in data 26.3.2013
 
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 7 MAG 2013

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