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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 19196 | Data di udienza: 26 Febbraio 2019

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Ampliamento di un fabbricato – Concetto urbanistico di pertinenza – Giurisprudenza – Manufatto distinto e separato da quello principale – Asservimento – Fattispecie: costruzione di un nuovo vano in adiacenza alla preesistente abitazione – Permesso di costruire – Art. 3, 10, 36, 44, 45, 71 e ss. 83, 93, 95, d.P.R. 380/2001 (T.U.E.) – Costruzioni in zona sismica – Natura precaria o permanente dell’intervento e materiali utilizzati – Sicurezza e pubblica incolumità – Controllo preventivo da parte della P.A. – Necessità – Artt. 83 e 95 d.P.R. n. 380/2001 – Disciplina sismica – Applicazione a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica – Depositato allo sportello unico  "in sanatoria" degli elaborati progettuali – Effetti – Contravvenzione antisismica – Comunicazione richiesta dall’art. 93 T.U.E. – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Zona paesaggisticamente vincolata – Interventi che incidono sull’aspetto esteriore degli edifici – Natura di reato di pericolo – Effettivo pregiudizio per l’ambiente – Esclusione Art. 181 d.lgs. 42/2004 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nullità della notificazione del decreto di citazione o di inosservanza del termine – Rinnovo della notifica – Causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Applicabilità e limiti – Reato continuato o comportamento abituale.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Maggio 2019
Numero: 19196
Data di udienza: 26 Febbraio 2019
Presidente: RAMACCI
Estensore: REYNAUD


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Ampliamento di un fabbricato – Concetto urbanistico di pertinenza – Giurisprudenza – Manufatto distinto e separato da quello principale – Asservimento – Fattispecie: costruzione di un nuovo vano in adiacenza alla preesistente abitazione – Permesso di costruire – Art. 3, 10, 36, 44, 45, 71 e ss. 83, 93, 95, d.P.R. 380/2001 (T.U.E.) – Costruzioni in zona sismica – Natura precaria o permanente dell’intervento e materiali utilizzati – Sicurezza e pubblica incolumità – Controllo preventivo da parte della P.A. – Necessità – Artt. 83 e 95 d.P.R. n. 380/2001 – Disciplina sismica – Applicazione a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica – Depositato allo sportello unico  "in sanatoria" degli elaborati progettuali – Effetti – Contravvenzione antisismica – Comunicazione richiesta dall’art. 93 T.U.E. – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Zona paesaggisticamente vincolata – Interventi che incidono sull’aspetto esteriore degli edifici – Natura di reato di pericolo – Effettivo pregiudizio per l’ambiente – Esclusione Art. 181 d.lgs. 42/2004 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nullità della notificazione del decreto di citazione o di inosservanza del termine – Rinnovo della notifica – Causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Applicabilità e limiti – Reato continuato o comportamento abituale.



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 07/05/2019 (Ud. 26/02/2019), Sentenza n.19196


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Ampliamento di un fabbricato – Concetto urbanistico di pertinenza – Giurisprudenza – Manufatto distinto e separato da quello principale – Asservimento – Fattispecie: costruzione di un nuovo vano in adiacenza alla preesistente abitazione – Permesso di costruire – Art. 3, 10, 36, 44, 45, 71 e ss. 83, 93, 95, d.P.R. 380/2001 (T.U.E.).
 
In materia di reati edilizi, l’ampliamento di un fabbricato preesistente non può considerarsi pertinenza, ma parte integrante dell’edificio e privo di autonomia rispetto ad esso, perché, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato (Sez. 3, n. 4139/2018). La pertinenza, richiede che si tratti di un manufatto distinto e separato da quello principale a cui è asservito, essendovi in caso contrario ampliamento dell’edificio che, laddove avvenga «all’esterno della sagoma esistente» è da considerarsi intervento di nuova costruzione ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.1), T.U.E., assoggettato a permesso di costruire ai sensi del successivo art. 10, comma 1, lett. a). Per questo la giurisprudenza ha sempre ritenuto necessario detto provvedimento (o la previgente concessione edilizia) nel caso, ad es., di trasformazione di balconi in verande (Sez. 3, n. 1483 del 03/12/2013, dep. 2014, Summa), di tettoie realizzate sul lastrico solare (Sez. 3, n. 21351/2010, Savino), di porticato addossato ad un fabbricato (Sez. 3, n. 33657/2006, Rossi). Nella specie,  l’ampliamento dell’edificio residenziale in questione con costruzione di un nuovo vano in adiacenza alla preesistente abitazione – vano che al momento del sopralluogo era destinato a cucina – esclude la possibilità di invocare il concetto urbanistico di pertinenza.
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Costruzioni in zona sismica – Natura precaria o permanente dell’intervento e materiali utilizzati – Sicurezza e pubblica incolumità – Controllo preventivo da parte della P.A. – Necessità – Artt. 83 e 95 d.P.R. n. 380/2001 – Disciplina sismica – Applicazione a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica.
 
Le disposizioni previste dagli artt. 83 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 si applicano a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica, la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità e per le quali si rende pertanto necessario il controllo preventivo da parte della P.A., a prescindere dai materiali utilizzati e dalle relative strutture, nonché dalla natura precaria o permanente dell’intervento (Sez. 3, n. 9126/2017, Aliberti). La sentenza impugnata, poi, richiama il corretto principio secondo cui il reato di omessa denuncia lavori in zona sismica, previsto dall’art. 93, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è configurabile anche in caso di esecuzione di opere in zona inclusa tra quelle a basso indice sismico, atteso che l’art. 83, comma secondo, del citato decreto, non pone alcuna distinzione in merito alle categorie delle zone medesime (Sez. 3, n. 30651 del 20/12/2016, dep. 2017, Rubini e a., Rv. 270233; Sez. 3, n. 22312 del 15/02/2011, Morini, Rv. 250369).
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi in zona sismica – Depositato allo sportello unico  "in sanatoria" degli elaborati progettuali – Effetti – Contravvenzione antisismica – Comunicazione richiesta dall’art. 93 T.U.E.
 
Il deposito allo sportello unico "in sanatoria" degli elaborati progettuali non estingue la contravvenzione antisismica, che punisce l’omesso deposito preventivo di detti elaborati in quanto l’effetto estintivo è limitato dall’art. 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 alle sole contravvenzioni urbanistiche (Sez. 3, n. 11271 del 17/02/2010, Braccolino e aa., Rv. 246462; il principio è stato di recente ritenuto estensibile anche ai reati previsti dagli artt. 71 ss. d.P.R. 380 del 2001 per la violazione della disciplina delle opere in conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica: Sez. 3, n. 54707 del 13/11/2018, Cardella).
 
 
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Zona paesaggisticamente vincolata – Interventi che incidono sull’aspetto esteriore degli edifici – Natura di reato di pericolo – Effettivo pregiudizio per l’ambiente – Esclusione Art. 181 d.lgs. 42/2004.
 
Il reato di pericolo previsto dall’art. 181 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l’ambiente, essendo sufficiente l’esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato (Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Murgia; Sez. 3, n. 6299 del 15/01/2013, Simeon e a.), tali certamente essendo gli interventi che incidano sull’aspetto esteriore degli edifici (Sez. 3, del 21/06/2011, Fanciulli).
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nullità della notificazione del decreto di citazione o di inosservanza del termine – Rinnovo della notifica.
 
E’ principio di diritto da tempo consolidato quello giusta il quale, nel caso di nullità della notificazione del decreto di citazione o di inosservanza del termine stabilito dall’art. 552, comma 3, cod. proc. pen., il giudice del dibattimento deve provvedere egli stesso a rinnovare la notifica, e non può disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero con un provvedimento che, determinando una indebita regressione del processo, si configurerebbe come abnorme (Sez. U, n. 28807 del 29/05/2002, Manca; più di recente, ex multis: Sez. 3, n. 28779 del 16/05/2018, Ingrassia).
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Applicabilità e limiti – Reato continuato o comportamento abituale.
 
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di "comportamento abituale", ostativa al riconoscimento del beneficio
 
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 12/03/2018 – CORTE DI APPELLO DI LECCE) Pres. RAMACCI, Rel. REYNAUD, Ric. Greco
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 07/05/2019 (Ud. 26/02/2019), Sentenza n.19196

SENTENZA

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 07/05/2019 (Ud. 26/02/2019), Sentenza n.19196
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis 
  
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da Greco Giorgina, nata a Nardò;
 
avverso la sentenza del 12/03/2018 della Corte di appello di Lecce;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud; 
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberta Maria Barberini, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
 
udito per la ricorrente l’avv. Attilio Taverniti in sostituzione dell’avv. Corrado Vecchio, che ha concluso chiedendo accogliersi le conclusioni del ricorso ed in via subordinata dichiararsi la prescrizione del reato.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 12 marzo 2018, la Corte d’appello di Lecce, accogliendo parzialmente il gravame proposto dal pubblico ministero e respingendo quello proposto dall’imputata, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato Giorgina Greco anche per il reato di abuso edilizio ex art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 380 del 2001 (d’ora in avanti, T.U.E.) – per il quale il primo giudice aveva invece riconosciuto la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto – e ha quindi rideterminato la pena complessivamente inflitta in relazione alle contravvenzioni di cui all’art. 181 d.lgs. 42 del 2004 e 93 T.U.E. per le quali era intervenuta condanna già in primo grado.
 
2. Avverso la sentenza di primo grado ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
 
3. Con il primo motivo si lamentano inosservanza di norme processuali e difetto di motivazione per non essere stata accolta l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio per il dibattimento di primo grado, con conseguente restituzione degli atti al pubblico ministero, benché il decreto non contenesse le generalità del difensore di fiducia e non fosse stato al medesimo notificato. Si lamenta, inoltre, che a detta udienza non si sarebbe potuta compiere attività processuale, come l’ammissione dei testi dell’accusa e la loro citazione per la successiva udienza.
 
4. Con il secondo motivo si deducono la violazione degli artt. 36 e 45 T.U.E. ed il vizio di motivazione per non essere stata revocata l’ordinanza di sospensione del processo (e del corso della prescrizione) disposta a fronte di un’istanza di sanatoria dichiarata irricevibile dalla p.a. e per non essere stata invece prorogata la sospensione, nuovamente disposta a seguito di ulteriore, corretta istanza, dopo il decorso del termine di sessanta giorni dalla presentazione della medesima, pur a fronte di un parere favorevole all’accoglimento.
 
5. Con il terzo motivo si lamentano violazione dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., mancata assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione, per non essere stata accolta l’istanza di rinnovazione istruttoria in grado d’appello rispetto all’assunzione di una prova testimoniale a discarico ammessa in primo grado e poi immotivatamente revocata. 
 
6. Con il quarto motivo si deducono violazione degli artt. 3, comma 1, lett. e.6, 93 e 95 T.U.E., 181 d.lgs. 42/2004, 11 L. reg. n. 13/2008 e 51 R.E.T. della Regione Puglia, nonché vizio di motivazione, per non essere stata qualificata l’opera realizzata come serra bioclimatica ovvero quale pertinenza, riconoscendo pertanto la non necessità del permesso di costruire o, comunque, confermando l’assoluzione per particolare tenuità del fatto resa in primo grado.
 
7. Con il quinto motivo si lamentano violazione degli artt. 93 e 95 T.U.E., 181 d.lgs. 42/2004, nonché vizio di motivazione per essere stati riconosciuti il reato paesaggistico e la violazione della disciplina sismica nonostante il piccolissimo manufatto (di 8 mq.) non avesse alterato il paesaggio e rientrasse in quelle opere minori per le quali la disciplina regionale considera sufficiente l’attestazione d’irrilevanza sismica da parte di un tecnico qualificato (senza tener peraltro conto, anche ai fini estintivi del reato, del fatto che in grado di appello era stato documentato il successivo deposito della pratica sismica presso il competente sportello unico).
 
8. Con il sesto motivo si deduce vizio di motivazione per aver la sentenza ritenuto accertata la responsabilità penale dell’imputata benché ella non fosse proprietaria dell’immobile abusivo e non ne fosse stato accertato il ruolo di committente, illogicamente desunto dalla sottoscrizione dell’istanza di rilascio del permesso di sanatoria (peraltro sottoscritta anche dalla proprietaria).
 
9. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamentano violazione della legge penale e mancanza di motivazione, per un verso, con riguardo al mancato rilievo dell’intervenuta prescrizione dei reati già all momento della pronuncia della sentenza d’appello e, per altro verso, in relazione alla mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. 

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il ricorso è inammissibile con riguardo a tutti i numerosi motivi proposti, per lo più riproduttivi di doglianze già correttamente esaminate e disattese dal giudice d’appello, senza che siano proposte nuove ed argomentate critiche alla decisione impugnata.
 
2. Venendo ai singoli motivi, il primo è manifestamente infondato ed in parte generico.
 
E’ principio di diritto da tempo consolidato quello giusta il quale, nel caso di nullità della notificazione del decreto di citazione o di inosservanza del termine stabilito dall’art. 552, comma 3, cod. proc. pen., il giudice del dibattimento deve provvedere egli stesso a rinnovare la notifica, e non può disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero con un provvedimento che, determinando una indebita regressione del processo, si configurerebbe come abnorme (Sez. U, n. 28807 del 29/05/2002, Manca, Rv. 221999; più di recente, ex multis: Sez. 3, n. 28779 del 16/05/2018, Ingrassia, Rv. 273059; Sez. 1, n. 39575 del 27/06/2014, Usai, Rv. 260905; Sez. 1, n. 5477 del 13/01/2010, Mofrh, Rv. 246056). 
 
Avendo rilevato la nullità del decreto di citazione a giudizio per mancata notifica dello stesso al difensore di fiducia, all’udienza dell’8 maggio 2015 il giudice di primo grado ha correttamente disposto la rinnovazione della notifica del decreto nei riguardi del difensore – oltreché dell’imputata – ed il medesimo, nonostante l’erronea indicazione del nome di battesimo (Emanuele, anziché Emanuela), è comparso all’udienza, così sanando tale mera irregolarità, che non dà neppure origine a nullità, giusta la previsione di cui all’art. 555, comma 2, cod. proc. pen., ove, con riguardo alle indicazioni di cui alla lett. a del comma precedente, si prevede tale conseguenza processuale soltanto nel caso di incerta identificazione dell’imputato.
 
Le altre doglianze sono generiche, posto che all’udienza dell’8 maggio 2015 non risulta essere stata compiuta effettiva attività processuale lesiva del diritto di difesa o, comunque, integratrice di ipotesi di nullità processuale, peraltro non specificamente dedotte e argomentate.
 
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato e reitera le medesime doglianze già correttamente esaminate e disattese dalla sentenza impugnata, che ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il combinato disposto degli artt. 45, comma 1, e 36 T.U.E. prevede la sospensione dell’azione penale limitatamente ad un procedimento amministrativo destinato a concludersi nel termine massimo di sessanta giorni (cfr. Sez. U, n. 4154 del 27/03/1992, Passerotti, Rv. 190245; ‘ più di recente, Sez. U, n. 15427 del 31/03/2016, Cavallo, Rv. 267042, in motivazione; Sez. 3, n. 24245 del 24/03/2010, Chiariello, Rv. 247692; Sez.. 3, n. 22823 del 26/02/2003, Barbieri, Rv. 225293).
 
Altrettanto corretta è valutazione della Corte territoriale circa il fatto che, disposta tale sospensione – che la legge impone – la stessa non doveva (né poteva) certo essere ex post revocata in funzione della decisione sfavorevole all’interessato resa dall’autorità comunale, quale che ne fosse la ragione e, dunque, anche se, come nella specie accaduto, l’istanza era stata dichiarata irricevibile.
 
4. Le stesse conclusioni valgono per il terzo motivo, avendo la Corte territoriale confermato la superfluità dell’esame del teste (o consulente) Alemanno, già ritenuta dal giudice di primo grado, e avendo ancor prima rilevato – senza che la ricorrente contesti la circostanza – che a fronte della revoca dell’ordinanza ammissiva della prova la difesa nulla aveva eccepito all’udienza. Al proposito va infatti ricordato che, anche laddove la revoca dell’ordinanza amnnissiva di testi della difesa sia avvenuta in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, il consolidato orientamento di questa Corte è nel senso che si produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (Sez. 6, n. 53823 del 05/10/2017, D. M. Rv. 271732; Sez. 5, n. 2511 del 24/11/2016, dep. 2017, Mignogna e a., Rv. 269050; Sez. 5, n. 51522 del 30/09/2013, Abatelli e a., Rv. 257891).
 
Del tutto generica, poi, è la doglianza circa la decisività della prova non ammessa. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, di fatti, è decisiva quella prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323; Sez. 2, n. 21884 del 20/03/2013, Cabras, Rv. 255817). In ricorso non si allegano le ragioni per le quali dovrebbe ritenersi la decisività della prova nel senso indicato, segnalandosi, genericamente, come il teste Alemanno sarebbe stato informato sulla conformazione dei luoghi prima dell’abuso ed in concomitanza con la realizzazione degli stessi, circostanza all’evidenza non decisa con riguardo ad alcuno dei profili di doglianza dedotti.
 
5. Il quarto motivo è generico e manifestamente infondato.
 
5.1. Quanto al primo aspetto, esso reitera pedissequamente le doglianze avanzate con l’appello e correttamente e motivatamente disattese dalla sentenza impugnata, senza confrontarsi con le argomentazioni spese. Al riguardo, va qui ribadito che la mancanza di specificità dell’impugnazione è causa di inammissibilità che ricorre non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
 
5.2. Ciò premesso, osserva il Collegio che, nell’escludere che potesse trattarsi di pertinenza, la sentenza richiama e correttamente applica il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, in materia di reati edilizi, l’ampliamento di un fabbricato preesistente non può considerarsi pertinenza, ma parte integrante dell’edificio e privo di autonomia rispetto ad esso, perché, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato (Sez. 3, n. 4139 del 13/12/2017, dep. 2018, Rv. 272077; Sez. 3, n. 20349 del 16/03/2010, Catania, Rv. 247108; Sez. 3, n. 28504 del 29/05/2007, Rossi, Rv. 237138). La pertinenza –  cioè – richiede che si tratti di un manufatto distinto e separato da quello principale a cui è asservito, essendovi in caso contrario ampliamento dell’edificio che, laddove avvenga «all’esterno della sagoma esistente» è da considerarsi intervento di nuova costruzione ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.1), T.U.E., assoggettato a permesso di costruire ai sensi del successivo art. 10, comma 1, lett. a). Per questo la giurisprudenza ha sempre ritenuto necessario detto provvedimento (o la previgente concessione edilizia) nel caso, ad es., di trasformazione di balconi in verande (Sez. 3, n. 1483 del 03/12/2013, dep. 2014, Summa, Rv. 258295; Sez. 3, n. 35011 del 26/04/2007, Camarda, Rv. 237532; Sez. 3, n. 45588 del 28/10/2004, D’Aurelio, Rv. 230419), di tettoie realizzate sul lastrico solare (Sez. 3, n. 21351 del 06/05/2010, Savino, Rv. 247628; Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele, Rv. 232363), di porticato addossato ad un fabbricato (Sez. 3, n. 33657 del 12/07/2006, Rossi, Rv. 235382; Sez. 3, n. 8521 del 17/03/2000, Capone, Rv. 217363; Sez. 3, n. 7613 del 06/05/1994, Petrillo, Rv. 198409). Nessun dubbio, pertanto, che l’ampliamento dell’edificio residenziale in questione con costruzione di un nuovo vano in adiacenza alla preesistente abitazione – vano che al momento del sopralluogo era destinato a cucina – escluda la possibilità di invocare il concetto urbanistico di pertinenza.
 
5.3. Quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, che il giudice di primo grado aveva in particolare ancorato alla circostanza che il manufatto potesse essere considerato quale serra bioclimatica disciplinata dalle norme regionali, la sentenza impugnata ha ribaltato tale giudizio escludendone la correttezza per l’assorbente ragione che il locale non aveva almeno il 50% di superficie vetrata. La ricorrente si limita a confutare l’asserzione sostenendo che l’erroneità di valutazione perché smentita da "un attento esame degli elaborati planimetrici". Trascura la ricorrente di considerare, tuttavia, che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia possibile dedurre nel giudizio di legittimità il 1:ravisamento del fatto (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099). Alla Corte di cassazione, invero, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). E’ invece deducibile il vizio di travisamento della prova, che ricorre quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva (Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Il vizio deve tuttavia risultare dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti processuali specificamente indicati nei motivi di gravame ed è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio travisato od omesso (Sez. 6, n. 5146/2015 del 16/01/2014, Del Gaudio e a., Rv. 258774). 
 
Quanto al primo dei cennati profili, il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere coerente e logica rispetto agli elementi di prova in essa rappresentati ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. 
 
Sotto il secondo profilo, la motivazione non deve risultare incompatibile con altri atti del processo indicati in modo specifico ed esaustivo dal ricorrente nei motivi del suo ricorso (c.d. autosufficienza), in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr. Sez. 2, n. 38800 del 01/10/2008, Gagliardo e a., Rv. 241449). Il generico richiamo ad un "attento esame degli elaborati planimetrici" – neppure allegati al ricorso – non soddisfa, all’evidenza, questi parametri.
 
Non essendo, dunque, censurabile tale valutazione, il giudizio sulla non particolare tenuità del fatto compiuto dal giudice di merito non è sindacabile in questa sede.
 
6. Del pari manifestamente infondato è il quinto motivo, sotto entrambi i profili dedotti.
 
6.1. Quanto alla sussistenza del reato paesaggistico, deve richiamarsi il consolidato principio secondo cui il reato di pericolo previsto dall’art. 181 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l’ambiente, essendo sufficiente l’esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato (Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Murgia, Rv. 263289; Sez. 3, n. 6299 del 15/01/2013, Simeon e a., Rv. 254493), tali certamente essendo gli interventi che incidano sull’aspetto esteriore degli edifici (Sez. 3, del 21/06/2011, Fanciulli, RV. 251244), come avvenuto con l’ampliamento effettuato nel caso di specie.
 
6.2. Del pari manifestamente infondata – e generica, rispetto alla corretta motivazione resa nella sentenza impugnata – è la doglianza circa la ritenuta responsabilità per la violazione delle disposizioni relative alle costruzioni in zona sismica. Secondo il consolidato orientamento, di fatti, le disposizioni previste dagli artt. 83 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 si applicano a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica, la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità e per le quali si rende pertanto necessario il controllo preventivo da parte della P.A., a prescindere dai materiali utilizzati e dalle relative strutture, nonché dalla natura precaria o permanente dell’intervento (Sez. 3, n. 9126 del 16/11/2016, dep. 2017, Aliberti, Rv. 269303; Sez. 3, n. 48950 del 04/11/2015, Baio, Rv. 266033; Sez. 3, n. 6591 del 24/11/2011, dep. 2012, D’Onofrio, Rv. 252441). La sentenza impugnata, poi, richiama il corretto principio secondo cui il reato di omessa denuncia lavori in zona sismica, previsto dall’art. 93, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è configurabile anche in caso di esecuzione di opere in zona inclusa tra quelle a basso indice sismico, atteso che l’art. 83, comma secondo, del citato decreto, non pone alcuna distinzione in merito alle categorie delle zone medesime (Sez. 3, n. 30651 del 20/12/2016, dep. 2017, Rubini e a., Rv. 270233; Sez. 3, n. 22312 del 15/02/2011, Morini, Rv. 250369).
 
Quanto al fatto che in data 6 marzo 2018 l’imputata ha depositato allo sportello unico la comunicazione richiesta dall’art. 93 T.U.E., va ribadito che il deposito "in sanatoria" degli elaborati progettuali non estingue la contravvenzione antisismica, che punisce l’omesso deposito preventivo di detti elaborati in quanto l’effetto estintivo è limitato dall’art. 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 alle sole contravvenzioni urbanistiche (Sez. 3, n. 11271 del 17/02/2010, Braccolino e aa., Rv. 246462; il principio è stato di recente ritenuto estensibile anche ai reati previsti dagli artt. 71 ss. d.P.R. 380 del 2001 per la violazione della disciplina delle opere in conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica: Sez. 3, n. 54707 del 13/11/2018, Cardella, Rv. 274212).
 
7. Manifestamente infondato e non deducibile in sede di legittimità è il sesto motivo.
 
Il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio", introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello, giacché la Corte è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e a., Rv. 270519; Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600).
 
Con una doppia decisione conforme i giudici di merito hanno ritenuto che l’imputata fosse stata committente delle opere abusive. La sentenza di primo grado, in particolare, rammenta come la stessa fosse stata indicata quale autrice dell’abuso dal confinante Giuseppe Paladini, il quale aveva redatto un esposto – acquisito agli atti con il consenso delle parti e dunque pienamente utilizzabile – in cui indicava come responsabile l’odierna ricorrente, alla quale egli aveva richiesto di rimuovere l’opera, ottenendone un rifiuto. Le sentenze danno inoltre atto che Giorgina Greco era proprietaria dell’immobile in continuità al quale era stata realizzata la nuova costruzione, immobile da lei abitato, fu presente al sopralluogo ed ebbe a presentare a suo nome le istanze volte ad ottenere la sanatoria dell’opera, così confermando il proprio personale e diretto interesse alla stessa ed al suo mantenimento. Che, poi, l’abuso insistesse su una particella di terreno di proprietà della sorella dell’imputata – la quale pure sottoscrisse l’istanza di sanatoria – o che nella sua realizzazione potesse essere coinvolto anche il coniuge della ricorrente (come da quest’ultima rappresentato nell’appello e nel ricorso) è irrilevante rispetto all’accertata responsabilità della stessa, trattandosi, semmai, di possibili concorrenti nei reati.
 
8. Generico e manifestamente infondato è anche l’ultimo motivo di ricorso.
 
8.1. Quanto al ribaltamento del giudizio sulla non particolare tenuità del fatto, si richiama quanto sopra osservato sub §. 5.2., aggiungendosi – donde l’ulteriore profilo di genericità del ricorso – che la ricorrente trascura di osservare come, secondo il preferibile orientamento di questa Corte, più volte, e anche di recente, ribadito, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di "comportamento abituale", ostativa al riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 19159 del 29/03/2018, Fusaro, Rv. 273198; Sez. 6, n. 3353 del 13/12/2017, dep. 2018, Lesmo e a., Rv. 272123; Sez. 1, n. 55450 del 24/10/2017, Greco, Rv. 271904). Nel caso di specie – analogo a quello scrutinato nella citata sentenza Fusaro – l’abitualità della condotta va ravvisata tenendo conto della continuazione diacronica tra le condotte che integrano i singoli reati e della pluralità delle disposizioni di legge violate. Se, di fatti, tutti e tre i reati ritenuti nei confronti della ricorrente hanno in comune un elemento di condotta – vale a dire quello della realizzazione dell’opera – gli stessi divergono quanto ad altro elemento costitutivo, quello caratterizzante il disvalore rispetto ai diversi beni penalmente protetti (rispettivamente: l’omesso conseguimento del necessario permesso di costruire che non ha consentito all’autorità comunale di verificare la compatibilità urbanistica del manufatto con le previsioni di legge, piano e regolamento; il mancato ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica, che ha impedito la verifica da parte della Soprintendenza dell’impatto dell’opera sull’area vincolata; l’omessa denuncia dei lavori al compente Genio civile al fine di consentire i controlli sul rispetto dei canoni costruttivi nelle zone sismiche e la tutela della pubblica incolumità).
 
8.2. Quanto all’eccezione di prescrizione, posto che il fatto è stato contestato come commesso nel novembre 2012 e la circostanza non è contestata, dovendo, in favor rei, considerarsi quale dies a quo del termine di prescrizione il 1° novembre 2012, ed essendo stato il termine sospeso in relazione ai due rinvii del processo di primo effettuati, anche su richiesta della difesa, per la presentazione delle due istanze di sanatoria, lo stesso non era decorso alla data di pronuncia della sentenza d’appello. Ed invero, anche a voler computare la prima sospensione per soli giorni 60, come espressamente disposta dal giudice all’udienza del 15 luglio 2016, essendo invece certamente computabile per intero quanto al rinvio effettuato dal 25 novembre 2016 al 10 febbraio 2017 (cfr. Sez. U, n. 15427 del 31/03/2016, Cavallo, Rv. 267042), il processo di primo grado è stato sospeso quantomeno per giorni 137 e i reati non si sarebbero dunque prescritti prima del 17 marzo 2018. Trattandosi di rinvii in entrambi i casi richiesti dalla difesa (cfr. sentenza di primo grado, pag. 2), la sospensione opera ovviamente per tutti i reati oggetto di procedimento a prescindere dal fatto che l’istanza di sanatoria riguardava la sola contravvenzione urbanistica, essendo principio consolidato – riaffermato anche dalle Sezioni unite nella citata sentenza Cavallo, proprio con riguardo all’istanza di sanatoria di cui all’art. 36 T.U.E. – quello secondo cui, quando la sospensione sia prevista da una norma di legge, essa deve essere applicata all’intero procedimento, qualora il giudice di merito, riconoscendo il vincolo della continuazione, abbia proceduto unitariamente per varie ipotesi di reato, pur laddove sia dipesa da una causa riferibile a taluna soltanto delle imputazioni connesse (Sez. U, ord. n. 9080 del 09/06/1995, Luongo, Rv. 201861, relativa all’analoga causa di sospensione del procedimento prevista nel caso di presentazione di domanda di condono edilizio dall’art. 44 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, allorquando soltanto alcune delle imputazioni siano divenute estinguibili in base all’art. 38 della stessa legge; più di recente, Sez. 3, n. 46097 del 20/10/2009, Di Meglio e a., Rv. 245615).
 
8.3. Essendo tutti i motivi esaminati inammissibili, non può essere accolta neppure la subordinata richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza per la prescrizione maturata successivamente alla pronuncia in grado d’appello, giusta il consolidato principio secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 2001, D.L., Rv. 217266), ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463). 
 
9. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – trattandosi, come si è visto, della pressoché pedissequa reiterazione di doglianze già correttamente esaminate e disattese dal giudicie d’appello – consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00. 
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso il 26 febbraio 2019.

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