Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto urbanistico - edilizia,
Pubblica amministrazione
Numero: 50161 |
Data di udienza: 28 Settembre 2018
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Rilascio di titoli abilitativi edilizi – Regolarità dei procedimenti amministrativi – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Verifica di atti della pubblica amministrazione – Insindacabilità in sede di legittimità – Art. 44, lett. b) d. P R. n.380/2001.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Novembre 2018
Numero: 50161
Data di udienza: 28 Settembre 2018
Presidente: DI NICOLA
Estensore: RAMACCI
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Rilascio di titoli abilitativi edilizi – Regolarità dei procedimenti amministrativi – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Verifica di atti della pubblica amministrazione – Insindacabilità in sede di legittimità – Art. 44, lett. b) d. P R. n.380/2001.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 07/11/2018 (Ud. 28/09/2018), Sentenza n.50161
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Rilascio di titoli abilitativi edilizi – Regolarità dei procedimenti amministrativi – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Verifica di atti della pubblica amministrazione – Insindacabilità in sede di legittimità – Art. 44, lett. b) d. P R. n.380/2001.
L’accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi per il rilascio di titoli abilitativi edilizi è sostanzialmente riservata al giudice di merito, poiché presuppone necessariamente la verifica di atti della pubblica amministrazione, mentre il controllo in sede di legittimità concerne la correttezza giuridica dell’accertamento di merito sul punto. Deve peraltro tenersi conto della natura sommaria del giudizio cautelare, la quale impedisce una esaustiva verifica della regolarità dei procedimenti amministrativi, in quanto l’accertamento dell’esistenza del fumus dei reati è fondato sulle prospettazioni della pubblica accusa, che non appaiano errate sul piano giuridico ovvero non siano contraddette in modo inconfutabile dalla difesa. Pertanto, è insindacabile, in sede di legittimità, la regolarità dei procedimenti amministrativi seguiti per il rilascio di titoli abilitativi edilizi, essendo altresì precluso alla Corte di cassazione procedere all’accertamento di eventuali errori di fatto commessi in sede di merito nel verificare detta regolarità (Sez. 3, n. 20571 del 28/4/2010, Alberti).
(dich. inammissibile il ricorso avverso ordinanza del 10/05/2018 – TRIB. LIBERTA’ di LATINA) Pres. DI NICOLA, Rel. RAMACCI, Ric. Marasca
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 07/11/2018 (Ud. 28/09/2018), Sentenza n.50161
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 07/11/2018 (Ud. 28/09/2018), Sentenza n.50161
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE,
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da MARASCAFABIO nato a TERRACINA;
avverso l’ordinanza del 10/05/2018 del TRIB. LIBERTA’di LATINA;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;
lette/sentite le conclusioni del PG CIRO ANGELILLIS
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso
udito il difensore
Il difensore presente, al termine del proprio intervento, si riporta ai motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Latina, con ordinanza del 10/5/2018 ha rigettato, diversamente qualificando la condotta originariamente contestata in quella di cui all’articolo 44, lett. b) d. P R. 380/2001, il ricorso presentato nell’interesse di Fabio MARASCA avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 19/4/2018 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale ed avente ad oggetto una struttura coperta di superficie pari a mq 1188,20 ed un portico di circa mq 297,05 ubicati in comune di Priverno e ricadenti all’interno della Zona D, Sottozona D2 per attività produttive esistenti.
Dette opere erano realizzate previa demolizione di 5 edifici preesistenti a destinazione mista, per un volume di complessivi mc 881,745 accorpati nella nuova struttura con incremento di superficie e delocalizzati su una diversa area di sedime.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce l’illegittimità dell’ordinanza impugnata per violazione di legge, rilevando che, per le opere in sequestro, era stato rilasciato permesso di costruire numero 9940, con il quale veniva autorizzato un intervento di demolizione e ricostruzione con delocalizzazione di diversi fabbricati produttivi, beneficiando, nel contempo, di un ampliamento pari al 35% consentito dalla legge regionale n. 21/2009 (c.d. piano casa) in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali vigenti ed adottati.
Osserva che le opere, diversamente da quanto argomentato dal Tribunale, sarebbero conformi a quanto autorizzato e che nel permesso di costruire, per mero errore materiale, si richiama, nella parte motiva, l’art. 3, comma 1, lett. e) e comma 5 della legge regionale 21/2009 anziché l’art. 4, comma 1, lett. b) della stessa legge, ma che tale erronea indicazione, tuttavia, non sarebbe motivo di illegittimità del titolo edilizio rilasciato.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce che, dall’esame degli atti, sarebbe insussistente la ritenuta illegittimità del titolo abilitativo rilasciato ed il carattere abusivo dei manufatti in corso di costruzione.
Richiama, a tale proposito, i contenuti del permesso di costruire.
4. Con un terzo motivo di ricorso assume che il Tribunale avrebbe errato nel considerare l’intervento edilizio come ristrutturazione con demolizione e ricostruzione e che tale intervento sarebbe conforme anche a quanto specificato con la circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 7 agosto 2003 n. 4174, i cui contenuti riassume.
Specifica, inoltre, che il permesso di costruire rilasciato comporterebbe un intervento di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria degli edifici preesistenti regolarmente assentiti o sanati che avrebbero consentito l’accorpamento di diversi edifici in un unico corpo di fabbrica, mediante la cosiddetta ristrutturazione ricostruttiva, in conformità alle residue norme di PRG, avendo egli modificato l’area di sedime adeguandosi alle sole disposizioni contenute nella strumentazione urbanistica vigente per quanto attiene allineamenti, distanze e distacchi ed integrando lo standard di verde e parcheggio derivato dal conseguente incremento del carico urbanistico connesso all’intervento, aggiungendo soltanto l’ampliamento di mq 308,61 consentito dal piano casa della regione Lazio ai sensi della legge regionale 21/2009.
5. Con un quarto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione della legge regionale 21/2009 e dell’articolo 3, comma 1, lett. d) d.P.R. 380/2001, osservando che la motivazione che sorregge l’atto impugnato sarebbe errata, in quanto non sussisterebbe alcun ampliamento di costruzioni preesistenti, perché le stesse sono state oggetto di demolizione.
Quanto realizzato, inoltre, non potrebbe essere ricondotto nell’ambito delle opere di ristrutturazione edilizia, essendo estranee alla categoria la demolizione di più edifici con ricostruzioni su altra area di sedime.
Aggiunge che l’intervento, nel suo complesso, sarebbe inquadrabile correttamente nell’art. 4, comma 1, lett. b) della legge regionale citata e non anche nell’art. 3, comma 1, lett, e) e comma 5 come erroneamente indicato, ma senza conseguenze effettive, nel permesso di costruire.
Aggiunge che, alla luce di entrambe le norme, le opere realizzate rispetterebbero comunque quanto stabilito nel permesso di costruire.
6. Con un quinto motivo di ricorso lamenta l’insussistenza delle esigenze cautelari, osservando che il Tribunale avrebbe erroneamente considerato un inesistente aggravio del carico urbanistico.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Occorre preliminarmente ricordare che questa Corte non ha accesso agli atti del procedimento, cosicché si palesano del tutto inconferenti i richiami a provvedimenti amministrativi ed altri documenti effettuati in ricorso.
In ragione di tale circoscritta cognizione, una ricostruzione sommaria della vicenda processuale può essere effettuata solo attraverso l’esame dei limitati contenuti del provvedimento impugnato e del ricorso, dai quali si ricava che la misura reale era stata applicata ipotizzando originariamente il reato di cui all’art. 44, lett. b) d.PR. 380\01, ma il fatto è stato diversamente qualificato dal GIP come lottizzazione abusiva, per poi essere
nuovamente ricondotto, nell’ordinanza impugnata, nella meno grave ipotesi oggetto della prima provvisoria incolpazione, che, tuttavia, né il ricorrente né, tanto meno, il Tribunale, hanno ritenuto di dover testualmente riprodurre.
3. L’ordinanza impugnata specifica che le opere in sequestro erano conseguenti alla demolizione di cinque edifici preesistenti a destinazione mista, poi accorpati nella nuova struttura con incremento di superficie e delocalizzati su una diversa area di sedime.
A tale ricostruzione dei fatti, riportata nell’impugnato provvedimento, il ricorrente oppone le argomentazioni in precedenza sintetizzate, lamentando, innanzi tutto, la errata valutazione della sussistenza del fumus dei reati da parte dei giudici del riesame.
In particolare, la questione prospettata all’attenzione del Collegio attiene, in primo luogo, alla validità ed efficacia del titolo abilitativo ed alla corrispondenza dell’intervento edilizio a quanto autorizzato ed alle disposizioni di legge applicate. Le censure sul punto vengono sviluppate nei primi guattro motivi di ricorso che possono, pertanto, essere unitariamente analizzati.
Il ricorrente indugia, in particolare, su una articolata trattazione degli aspetti concernenti la disciplina urbanistica cui te opere in sequestro sarebbero state soggette, concludendo per la legittimità dei permessi di costruire rilasciati.
4. Si ritiene opportuno ricordare, a tale proposito, come questa Corte abbia già avuto modo di osservare che l’accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi per il rilascio di titoli abilitativi edilizi è sostanzialmente riservata al giudice di merito, poiché presuppone necessariamente la verifica di atti della pubblica amministrazione, mentre il controllo in sede di legittimità concerne la correttezza giuridica dell’accertamento di merito sul punto. Deve peraltro tenersi conto della natura sommaria del giudizio cautelare, la quale impedisce una esaustiva verifica della regolarità dei procedimenti amministrativi, in quanto l’accertamento dell’esistenza del fumus dei reati è fondato sulle prospettazioni della pubblica accusa, che non appaiano errate sul piano giuridico ovvero non siano contraddette in modo inconfutabile dalla difesa. Si è conseguentemente affermato il principio secondo il quale è insindacabile, in sede di legittimità, la regolarità dei procedimenti amministrativi seguiti per il rilascio di titoli abilitativi edilizi, essendo altresì precluso alla Corte di cassazione procedere all’accertamento di eventuali errori di fatto commessi in sede di merito nel verificare detta regolarità (Sez. 3, n. 20571 del 28/4/2010, Alberti, Rv. 247189).
Si tratta di un principio che il Collegio condivide ed al quale intende assicurare continuità.
5. Date tali premesse, deve osservarsi che, in ogni caso, il Tribunale ha dato conto del fatto che il permesso di costruire per l’esecuzione dell’intervento oggetto di provvisoria incolpazione è stato rilasciato in applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. e) della legge regionale21\99 relativo ad "interventi di ampliamento degli edifici".
Il ricorrente assume, tuttavia, che il richiamo effettuato dall’amministrazione competente alla citata disposizione sarebbe erroneo e mera conseguenza di un refuso, intendendosi la stessa riferire all’art. 4, comma 1, lett. b) della medesima legge regionale.
Tale affermazione, però, risulta del tutto apodittica e confinata nell’ambito delle mere supposizioni e l’eventuale confutazione del contenuto del provvedimento abilitativo accertato in fatto dal giudici del riesame comporterebbe la disamina dei contenuti dell’atto abilitativo e la verifica della corrispondenza tra quanto autorizzato e quanto effettivamente realizzato, non consentita. come si è detto, in questa sede.
Il Tribunale, inoltre, evidenzia che le opere in questione non potevano essere legittimamente assentite ai sensi della disposizione richiamata nel permesso di costruire, in quanto tra quelle preesistenti figurava un edifico ricadente nella fascia di rispetto stradale ed una tettoia costruita in assenza di titolo abilitativo, ostandovi quindi il disposto dell’art. 2 della legge regionale, ove è stabilito che le disposizioni in essa contenute non si applicano agli edifici realizzati abusivamente nonché su quelli collocati nelle fasce di rispetto stradale.
I giudici del riesame hanno dunque effettuato un accertamento in fatto, fondato sui contenuti degli atti posti a loro disposizione.
A fronte di ciò, il ricorrente sviluppa un articolato percorso argomentativo fondato, però, su una diversa ricostruzione dei fatti attraverso un inammissibile richiamo ai contenuti degli atti processuali (consulenza tecnica, permesso di costruire).
Ne consegue che, entro i limiti di cognizione come in precedenza delineati, i giudici del riesame hanno, dunque, compiutamente analizzato la questione trattata e correttamente ritenuto la sussistenza del fumus del reato.
6. Per ciò che concerne, infine, il quinto motivo di ricorso, osserva il Collegio come, dalla semplice lettura dell’ordinanza impugnata, emerga chiaramente che i giudici del riesame non hanno fatto alcun riferimento, ai fini della valutazione delle esigenze cautelari, ad un possibile aggravio del carico urbanistico, avendo invece dato atto del fatto che le opere non risultavano ancora ultimate e che la misura cautelare applicata era finalizzata ad impedire la prosecuzione degli interventi in assenza di valido titolo abilitativo.
7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in data 28/9/2018