Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Beni culturali ed ambientali,
Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 22153 |
Data di udienza: 21 Febbraio 2017
* BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Abusivo intervento su beni culturali – Esecuzione lavori senza autorizzazione – Reato comune di pericolo astratto o presunto – Consistenza e natura degli interventi – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380/2001 – Artt. 21, 169, 181 comma 1 d.lgs 42/2004 – Fattispecie – Giurisprudenza.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 8 Maggio 2017
Numero: 22153
Data di udienza: 21 Febbraio 2017
Presidente: FIALE
Estensore: Di Stasi
Premassima
* BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Abusivo intervento su beni culturali – Esecuzione lavori senza autorizzazione – Reato comune di pericolo astratto o presunto – Consistenza e natura degli interventi – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380/2001 – Artt. 21, 169, 181 comma 1 d.lgs 42/2004 – Fattispecie – Giurisprudenza.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 08/05/2017 (Ud. 21/02/2017) Sentenza n.22153
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Abusivo intervento su beni culturali – Esecuzione lavori senza autorizzazione – Reato comune di pericolo astratto o presunto – Consistenza e natura degli interventi – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380/2001 – Artt. 21, 169, 181 comma 1 d.lgs 42/2004 – Fattispecie – Giurisprudenza.
Il reato d’abusivo intervento su beni culturali di cui all’art. 169, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è un reato comune di pericolo astratto o presunto che può essere commesso da chiunque e si configura mediante l’esecuzione, senza l’autorizzazione del soprintendente ex art. 21, comma 4, del predetto decreto, di opere di qualunque genere, tra le quali va compreso qualsiasi manufatto, anche di limitata volumetria o a carattere precario, purchè idoneo ad arrecare pregiudizio al il bene tutelato che è esclusivamente l’interesse strumentale al preventivo controllo da parte dell’Autorità preposta alla tutela dei beni culturali (Sez.3, n.16744 del 04/03/2009; Sez.3, n.2733 del 26/11/1999, dep.07/03/2000). Il reato è, dunque, integrato dal compimento dei lavori e delle opere senza il preventivo controllo amministrativo, diretto ad evitare possibili pericoli e danni (Sez. 3, n. 6421 del 19/05/1993, Fiaschi; Sez. 3, n. 5834 del 10/02/1999, Buono) e si consuma anche se la condotta non produce concretamente una lesione del valore storico-artistico della res (Sez 3, n. 14446 del 11/11/1999, Mariani), sempre che non si tratti di interventi che, secondo una valutazione ex ante, siano talmente trascurabili, marginali e minimi da escludere, in radice, anche il solo pericolo astratto di una lesione dell’interesse protetto e, perciò, la necessità stessa della preventiva autorizzazione (Sez.3, n.47258 del 21/07/2016). Nella specie, la sentenza impugnata ha evidenziato come la consistenza e la natura degli interventi (realizzazione di tecnologico con posa dei relativi impianti in corso nonché di otto chiusini in calcestruzzo, di un armadio per contatori, di opere murarie e del tamponamento di alcune finestre, sbancamenti consistiti in movimenti di terra con rimozione di cespugli, arbusti e del fondo vegetale con scolturamento) non presentassero quel carattere di trascurabile incidenza sul valore storico-artistico della res che avrebbe potuto determinare il venire meno della tipicità del reato.
(conferma sentenza del 05/07 /2016 CORTE DI APPELLO DI MILANO) Pres. FIALE, Rel. DI STASI, Ric. Catoio ed altri
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 08/05/2017 (Ud. 21/02/2017) Sentenza n.22153
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 08/05/2017 (Ud. 21/02/2017) Sentenza n.22153
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
CATOIO VITO nato a Battipaglia il 05/01/1938;
SIRTORI LAURA GIUSEPPINA, nata a Cernusco sul Naviglio il 14/04/1976;
CATOIO ALBERTO, nato a Battipaglia il 04/10/1946;
avverso la sentenza del 05/07 /2016 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Paola Filippi, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5. 7.2016, la Corte di appello di Milano, a seguito di appello degli imputati, confermava la sentenza del 5.11.2015 del Tribunale di Milano, con la quale, pronunciando nei confronti di Catoio Vito, Sirtori Laura Giuseppina e Catoio Alberto, imputati dei reati di cui agli artt. 110 cod.pen. e 44 comma 1 lett.a) dpr n. 380/2001- artt. 110 cod.pen. e 169 comma 1 lett. a) d.lgs 42/2004, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dei predetti imputati per il reato di cui all’art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380/2001 in relazione all’art. 181 comma 1 d.lgs 42/2004 per essere lo stesso estinto a norma del comma 1 ter dello stesso art. 181 e li aveva dichiarati responsabili del reato di cui all’art. 169 d.lgs 42/2004 e, concesse le circostanze attenuanti generiche, condannati alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 600,00 di ammenda.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto personalmente ricorso per cassazione gli imputati, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deducono vizio di motivazione.
Argomentano che la sentenza impugnata sarebbe illogica e non avrebbe tenuto conto degli elementi tecnici indicati nei motivi di appello, che davano atto di come le opere contestare o non trovassero riscontro nelle risultanze dell’istruttoria dibattimentale (cunicolo tecnologico, movimenti di terra) o non richiedessero il previo rilascio di provvedimento autorizzativi (realizzazione dei pozzetti e degli scavi in genere).
Con il secondo motivo deducono violazione dell’art. 169 d.lgs 42/2004. Argomentano che il reato di cui all’art. 169 d.lgs 42/2004 è un reato di pericolo astratto o presunto, per la cui configurabilità in concreto occorre un minimo di idoneità offensiva della condotta posta in essere e che la motivazione espressa su tale aspetto dalla Corte territoriale sarebbe del tutto insufficiente.
Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Le censure sollevate dai ricorrenti, oltre che generiche e completamente disancorate dalla motivazione della sentenza impugnata, non tengono conto, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della modifica dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen, con la l. 46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (Sez. 6, n.752 del 18.12.2006; Sez. 2, n. 23419 del 2007, Vignaroli; Sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012).
I ricorrenti, invece, come risulta dallo stesso ricorso, propongo una rivisitazione del materiale probatorio e rilievi in fatto, preclusi in sededi legittimità.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Il reato d’abusivo intervento su beni culturali di cui all’art. 169, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è un reato comune di pericolo astratto o presunto che può essere commesso da chiunque e si configura mediante l’esecuzione, senza l’autorizzazione del soprintendente ex art. 21, comma 4, del predetto decreto, di opere di qualunque genere, tra le quali va compreso qualsiasi manufatto, anche di limitata volumetria o a carattere precario, purchè idoneo ad arrecare pregiudizio al il bene tutelato che è esclusivamente l’interesse strumentale al preventivo controllo da parte dell’Autorità preposta alla tutela dei beni culturali (Sez.3, n.16744 del 04/03/2009, Rv.243461; Sez.3, n.2733 del 26/11/1999, dep.07/03/2000, Rv.215868).
Il reato è, dunque, integrato dal compimento dei lavori e delle opere senza il preventivo controllo amministrativo, diretto ad evitare possibili pericoli e danni (Sez. 3, n. 6421 del 19/05/1993, Fiaschi, Rv. 195122; Sez. 3, n. 5834 del 10/02/1999, Buono, Rv. 213621) e si consuma anche se la condotta non produce concretamente una lesione del valore storico-artistico della res (Sez 3, n. 14446 del 11/11/1999, Mariani, Rv. 215112), sempre che non si tratti di interventi che, secondo una valutazione ex ante, siano talmente trascurabili, marginali e minimi da escludere, in radice, anche il solo pericolo astratto di una lesione dell’interesse protetto e, perciò, la necessità stessa della preventiva autorizzazione (Sez.3, n.47258 del 21/07/2016, Rv.268495).
Nella specie, la sentenza impugnata ha evidenziato come la consistenza e la natura degli interventi (realizzazione di tecnologico con posa dei relativi impianti in corso nonché di otto chiusini in calcestruzzo, di un armadio per contatori, di opere murarie e del tamponamento di alcune finestre, sbancamenti consistiti in movimenti di terra con rimozione di cespugli, arbusti e del fondo vegetale con scolturamento) non presentassero quel carattere di trascurabile incidenza sul valore storico-artistico della res che avrebbe potuto determinare il venire meno della tipicità del reato.
Trattasi di apprezzamento in fatto, rimesso al giudice di merito, congruamente e logicamente motivato, che si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità.
3. Consegue il rigetto del ricorso e, in base al disposto dell’art. 616 cod.proc.pen, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21/02/2017