In tema di abusi paesaggistici, il principio di offensività opera in relazione alla attitudine della condotta posta in essere ad arrecare pregiudizio al bene protetto, in quanto la natura di reato di pericolo della violazione non richiede la causazione di un danno e l’incidenza della condotta medesima sull’assetto del territorio non viene meno neppure qualora venga attestata, dall’amministrazione competente, la compatibilità paesaggistica dell’intervento eseguito (Cass. ez. 3, n. 11048 del 18/02/2015 (dep. 16/03/2015), Murgia; Sez. 3, n. 6299 del 15/1/2013, Simeon).
L’individuazione della potenzialità lesiva degli interventi su i beni paesaggistici, deve essere effettuata mediante una valutazione ex ante, diretta ad accertare non già se vi sia stato un danno al paesaggio ed all’ambiente, bensì se il tipo di intervento fosse astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico tutelato e che, proprio per tali ragioni, è richiesta la preventiva valutazione da parte dell’ente preposto alla tutela del vincolo per ogni intervento, anche modesto e diverso da quelli contemplati dalla disciplina urbanistica ed edilizia. Sulla base di tali considerazioni si è giunti ad affermare che il reato paesaggistico è configurabile anche se la condotta consiste nell’esecuzione di interventi senza autorizzazione i cui effetti, per il mero decorso del tempo e senza l’azione dell’uomo, siano venuti meno, restituendo ai luoghi l’originario assetto (Cass. Sez. 3, n. 6299 del 15/1/2013, Simeon).
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 08/06/2016 (Ud. 18/05/2016) Sentenza n.23694
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 08/06/2016 (Ud. 18/05/2016) Sentenza n.23694
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso proposto da:
1. Tassara Nicoletta, nata a Terralba il 02/07/1970
2. Vigo Carlo Ignazio, nato a Oristano il 13/04/1965
– avverso la sentenza del 09/03/2015 della Corte d’Appello di Cagliari
– visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
– udita la relazione svolta dal consigliere Mauro Mocci;
– udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pasquale Fimiani, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione;
– udito per gli imputati l’avv. Temistocle Golemme, che ha concluso per il proscioglimento degli imputati ex
art. 129 c.p.p. o, in subordine, per l’annullamento senza rinvio per prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 giugno 2013 il giudice monocratico del Tribunale di Cagliari condannava Nicoletta Tassara e Carlo Ignazio Viga – reputandoli colpevoli del reato di cui all’
art. 181 comma 1 ° bis del D.Lvo n°42/04 – alla pena di anni uno di reclusione. Dichiarava non doversi procedere per il reato di cui all’
art. 44 lett. e) D.P.R. n. 380/2001, essendo lo stesso estinto per prescrizione.
Ai prevenuti era contestato di aver realizzato – la prima quale committente ed il secondo quale direttore dei lavori – una costruzione a destinazione totalmente residenziale, in difformità dalla concessione edilizia, in territorio all’interno del Parco Geominerario della Sardegna ed in assenza dell’autorizzazione paesaggistica.
2. Su gravame degli imputati, il 9 marzo 2015 la Corte d’Appello di Cagliari confermava integralmente la sentenza impugnata.
Affermava il giudice di secondo grado, con riguardo al delitto di cui all’
art. 181 bis D.L. 42/04, che non avrebbe potuto reputarsi maturata la prescrizione, considerati i due differimenti, per un totale di mesi sei e giorni diciassette, così da prorogare il termine fino al 6 aprile 2015. Nel merito, richiamava le rilevanti difformità accertate dai Forestali rispetto ai primi provvedimenti abilitativi, con particolare riguardo al mutamento di destinazione d’uso del locale progettualmente rappresentato come magazzino.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Mediante il primo motivo, i ricorrenti assumono la nullità della sentenza, in relazione al mancato riconoscimento dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Sostengono che il rinvio richiesto concordemente dalle parti (dall’ll giugno 2012 al 15 ottobre 2012) non sarebbe rientrato fra quelli causa di sospensione ex lege. Infatti, la richiesta di rinvio presentata anche dal P.M. sarebbe stata estranea ai casi tassativi previsti dall’art. 159 c.p., sicché il termine massimo di prescrizione sarebbe decorso già prima dell’udienza del 9 marzo 2015. Inoltre, anche il legittimo impedimento dovuto a malattia del difensore di un coimputato non avrebbe potuto essere conteggiato a danno degli odierni ricorrenti.
2. La seconda censura s’impernia sulla dedotta erronea applicazione dell’
art. 23 bis DPR n. 380/01, come introdotto dall’art. 17 lett. n D.L. 12.09.2014, convertito nella legge 11 novembre 2014. Esso, disponendo (al 2° comma) che “la destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile”, avrebbe determinato la totale destinazione dell’immobile ad uso residenziale. In tal modo, si sarebbe verificata una sorta di depenalizzazione della condotta di mutamento di destinazione d’uso, giacché l’eventuale modifica della superficie utile minore non sarebbe stata più configurabile come variazione di destinazione d’uso, con la conseguenza che non vi sarebbe stata più alcuna difformità rispetto al titolo abilitativo.
3. Il ricorso è infondato, ma la sentenza della Corte Costituzionale n. 56, depositata il 23 marzo 2016, apre la strada alla declaratoria di prescrizione del reato.
3.1. Dalla riproduzione stenografica allegata dagli stessi ricorrenti (doc. n.4) emerge come l’11 giugno 2012 il Tribunale di Cagliari dispose il rinvio su richiesta delle parti, che erano però soltanto imputati, giacché, nella scansione del documento, la richiesta consegue all’elenco dei difensori degli imputati. E’ dunque legittimo il calcolo della sospensione a tale proposito, dovendosi ritenere che il rinvio sia stato disposto – senza interlocuzione da parte del P.M. d’udienza – su richiesta dei soli difensori degli imputati.
3.2. D’altronde, la sospensione del corso della prescrizione si estende a tutti i coimputati del medesimo processo allorché costoro, ove non abbiano dato causa essi stessi al differimento, non si siano opposti al rinvio del dibattimento ovvero non abbiano sollecitato (se praticabile) l’eventuale separazione degli atti a ciascuno di essi riferibili [Sez. 6, n. 3977 del 14/01/2010 (dep. 29/01/2010) Rv. 245857; Sez. F, n. 49132 del 26/07/2013 (dep. 06/12/2013) Rv. 257649].
3.3. Tutto il discorso relativo al mutamento rilevante della destinazione d’uso prevalente in termini di superficie utile non è applicabile al reato contestato ai due imputati, che riguarda l’assenza di un’autorizzazione paesaggistica.
Da parte di questa Suprema Corte è stato ripetutamente affermato il principio secondo il quale, riguardo agli abusi paesaggistici, il principio di offensività opera in relazione alla attitudine della condotta posta in essere ad arrecare pregiudizio al bene protetto, in quanto la natura di reato di pericolo della violazione non richiede la causazione di un danno e l’incidenza della condotta medesima sull’assetto del territorio non viene meno neppure qualora venga attestata, dall’amministrazione competente, la compatibilità paesaggistica dell’intervento eseguito. Si tratta, ad avviso del Collegio, di considerazioni che vanno ribadite anche in questa occasione, non essendovi ragione alcuna per discostarsi da un orientamento che può dirsi ormai consolidato. [Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015 (dep. 16/03/2015), Murgia, Rv. 263289; Sez. 3, n. 6299 del 15/1/2013, Simeon, Rv. 254493].
E’ stato altresì osservato che l’individuazione della potenzialità lesiva di detti interventi deve essere effettuata mediante una valutazione ex ante, diretta quindi ad accertare non già se vi sia stato un danno al paesaggio ed all’ambiente, bensì se il tipo di intervento fosse astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico tutelato (v. ex plurimis Sez. 3, n. 14461 del 7/2/2003, Carparelli, Rv. 224468; Sez. 3, n. 14457 del 6/2/2003, De Marzi, Rv. 224465; Sez. 3, n.12863 del 13/2/2003, Abbate, Rv. 224896; Sez. 3, n. 10641 del 30/1/2003, Spinosa, Rv. 224355) e che, proprio per tali ragioni, è richiesta la preventiva valutazione da parte dell’ente preposto alla tutela del vincolo per ogni intervento, anche modesto e diverso da quelli contemplati dalla disciplina urbanistica ed edilizia. Sulla base di tali considerazioni si è giunti, pertanto, ad affermare che il reato paesaggistico è configurabile anche se la condotta consiste nell’esecuzione di interventi senza autorizzazione i cui effetti, per il mero decorso del tempo e senza l’azione dell’uomo, siano venuti meno, restituendo ai luoghi l’originario assetto (Sez. 3, n. 6299 del 15/1/2013, Simeon, Rv. 254493, cit.).
Tuttavia, come si diceva, la declaratoria di illegittimità costituzionale “dell’
art. 181, commal-bis, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (
Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), nella parte in cui prevede <<: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed>>”, ha comportato una parificazione delle condotte di cui al comma 1 °-bis dello stesso art. 181 con la disciplina di cui al
comma 1 purché non vengano superate le soglie volumetriche indicate dal comma 1 -bis.
Nella specie, il manufatto – per una superficie totale di 24,12 mq. – si trova certamente al di sotto delle predette soglie e pertanto l’originaria declaratoria di prescrizione pronunziata per il reato sub a) va estesa anche alla residua fattispecie.
P.Q.M.
Così deciso il 18/05/2016