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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto sanitario, Rifiuti Numero: 46897 | Data di udienza: 3 Maggio 2016

CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Codici a specchio – Classificazione dei rifiuti – Compete al detentore del rifiuto – Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo – DIRITTO SANITARIO – Gestione dei rifiuti sanitari provenienti da vari ospedali – Legislazione comunitaria – Art. 260 d.lgs. n.152/2006 – Classificazione corretta dei rifiuti – Codici “a specchio” – Criteri di individuazione – Catalogo Europeo dei Rifiuti – Rifiuti pericolosi o non pericolosi – Assegnazione di un CER corretto ad un rifiuto – In assenza va classificato come pericoloso – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Riesame delle misure cautelari reali – Ricorso per cassazione in materia di sequestro preventivo o probatorio – Limiti – Nozione di “violazione di legge”  – Artt. 325 e 606 cod. proc. pen. – GIURISPRUDENZA.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 9 Novembre 2016
Numero: 46897
Data di udienza: 3 Maggio 2016
Presidente: Ramacci
Estensore: RICCARDI


Premassima

CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Codici a specchio – Classificazione dei rifiuti – Compete al detentore del rifiuto – Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo – DIRITTO SANITARIO – Gestione dei rifiuti sanitari provenienti da vari ospedali – Legislazione comunitaria – Art. 260 d.lgs. n.152/2006 – Classificazione corretta dei rifiuti – Codici “a specchio” – Criteri di individuazione – Catalogo Europeo dei Rifiuti – Rifiuti pericolosi o non pericolosi – Assegnazione di un CER corretto ad un rifiuto – In assenza va classificato come pericoloso – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Riesame delle misure cautelari reali – Ricorso per cassazione in materia di sequestro preventivo o probatorio – Limiti – Nozione di “violazione di legge”  – Artt. 325 e 606 cod. proc. pen. – GIURISPRUDENZA.



Massima

 





CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 09/11/2016 (Ud. 03/05/2016) Sentenza n.46897



CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Codici a specchio – Classificazione dei rifiuti – Compete al detentore del rifiuto – Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo – DIRITTO SANITARIO – Gestione dei rifiuti sanitari provenienti da vari ospedali – Legislazione comunitaria – Art. 260 d.lgs. n.152/2006.
 
Compete al detentore del rifiuto dimostrare in concreto che, tra i due codici “a specchio”, il rifiuto vada classificato come non pericoloso, previa caratterizzazione dello stesso; in mancanza, il rifiuto va classificato come pericoloso (art 1, comma 6, Alleg. D). L’assegnazione di un CER corretto ad un rifiuto è, evidentemente, indispensabile per la successiva corretta gestione dello stesso. Pertanto, la classificazione dei rifiuti è disciplinata dal d.lgs. n. 152 del 2006, Parte IV, allegato D, che contiene l’ “Elenco dei rifiuti istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000”; la Decisione UE, ha istituito il Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER), precisando, in un allegato, le modalità da seguire per l’identificazione di un rifiuto. Nella specie, l’ordinanza impugnata ha affermato l’arbitraria attribuzione di codici non pericolosi anche sul rilievo che, tra di essi, erano stati rinvenuti oggetti contaminati da sangue; ed in tal senso, l’art. 2, comma 1, lett. d), n. 2 bl), d.P.R. classifica come “rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo” “i rifiuti elencati a titolo esemplificativo nell’allegato I del presente regolamento che (.. .) siano contaminati da (. .. ) sangue o altri liquidi biologici che contengono sangue in quantità tale da renderlo visibile”.
 

RIFIUTI – Classificazione corretta dei rifiuti – Codici “a specchio” – Criteri di individuazione – Catalogo Europeo dei Rifiuti  – Rifiuti pericolosi o non pericolosi – Assegnazione di un CER corretto ad un rifiuto – In assenza va classificato come pericoloso.
 
Ai sensi della L. 11 agosto 2014, n. 116, che ha aggiunto all’Allegato D del d.lgs. 152 del 2006 un art. 1, rubricato “Classificazione dei rifiuti”, “…Le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto possiede sono le seguenti: a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso: la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l’analisi del rifiuto; b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso: la normativa europea sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi; le fonti informative europee ed internazionali; la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto; c) stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all’analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo. 5. Se i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non sono perciò noti i composti specifici che lo costituiscono, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione. 6. Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso. 7. La classificazione in ogni caso avviene prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione”. Pertanto, compete al detentore del rifiuto dimostrare in concreto che, tra due codici “a specchio”, il rifiuto vada classificato come non pericoloso, previa caratterizzazione dello stesso; in mancanza, il rifiuto va classificato come pericoloso (art 1, comma 6, Alleg. D).
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Riesame delle misure cautelari reali – Ricorso per cassazione in materia di sequestro preventivo o probatorio – Limiti – Nozione di “violazione di legge”  – Artt. 325 e 606 cod. proc. pen. – GIURISPRUDENZA.
 
Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo“, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov). In tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua).
 

(Dichiara inammissibile il ricorso avverso l’ordinanza del 05/06/2015 del TRIBUNALE DI ROMA) Pres. RAMACCI, Rel. RICCARDI, Ric. Arduini ed altro
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 09/11/2016 (Ud. 03/05/2016) Sentenza n.46897

SENTENZA

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 09/11/2016 (Ud. 03/05/2016) Sentenza n.46897

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da:
Arduini Marco, nato a Frosinone il 05/07/1984
Gabriele Regina, nata a Frosinone il 14/02/1963
 
avverso l’ordinanza del 05/06/2015 del Tribunale di Roma
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Riccardi;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
 
Pietro Gaeta, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
 
udito il difensore, Avv. Nicola Ottaviani, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con ordinanza emessa il 5 giugno 2015 il Tribunale di Roma, in sede di riesame, in accoglimento dell’appello proposto dal P.M. avverso la revoca del sequestro preventivo, già disposto dal Gip del Tribunale di Roma in data 02/02/2015, ripristinava il sequestro preventivo dell’impianto, dei macchinari e dell’intero stabilimento della SIMER s.r.l. in relazione ai reati di cui all’art. 260 d.lgs. 152 del 2006.
 
Evidenziava che la revoca del sequestro era stata disposta in seguito alla perizia eseguita, nelle forme dell’incidente probatorio, sui rifiuti sequestrati e sulla coerenza dei criteri di campionatura seguiti dal CT del PM.
 
L’ipotesi di reato originata dalla notizia di una non corretta caratterizzazione e gestione dei rifiuti sanitari provenienti da vari ospedali della provincia di Frosinone veniva riscontrata, secondo l’ordinanza impugnata, dai controlli effettuati sui rifiuti, dalle perquisizioni e sequestri, dalle intercettazioni telefoniche; in base agli elementi di prova raccolti, infatti, veniva ritenuto integrato il fumus commissi delicti del reato ipotizzato, consistente nell’accettazione sistematica, da parte della SIMER s.r.l., di ingenti quantitativi di rifiuti con codice CER errato, in alcuni casi attribuendo al rifiuto un codice a specchio non pericoloso, senza idonee analisi atte ad escluderne la pericolosità, in altre ipotesi sottoponendo i rifiuti a lavorazioni incompatibili con le operazioni che era autorizzata ad effettuare.
 
2. Avverso tale provvedimento ricorre il difensore di Arduini Marco e Gabriele Regina, Avv. Nicola Ottaviani, articolando quattro motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
 
2.1. Con i primi due motivi viene dedotta la violazione di legge in relazione alla nozione di rifiuto pericoloso ed alla errata classificazione dei “codici a specchio”: nel richiamare per estratto la perizia del dott. Martinelli, depositata all’esito dell’incidente probatorio, censura il richiamo al principio di precauzione operato dal Tribunale del riesame, in quanto il punto 5 dell’allegato D prevede che “se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose e come non pericoloso in quanto diverso da quello pericoloso (“voce a specchio”), esso è classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (. . .)”; quindi, un rifiuto può essere considerato pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni e non per il principio di precauzione; in ogni caso, spetta al produttore del rifiuto la corretta classificazione del rifiuto;
 
2.2. Con il terzo motivo si lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla consulenza tecnica di parte del dott. Bisci, che evidenziava che l’autorizzazione in regime ordinario n. 442/2009, in virtù della quale SIMER opera, non annovera tra le prescrizioni esplicite l’obbligo di analisi per i rifiuti entranti; è onere del produttore, unico soggetto a conoscenza del processo produttivo, la classificazione del rifiuto; quanto ai rifiuti sanitari, la presenza di pochi grammi di oggetti contenenti tracce ematiche non può renderli pericolosi, in assenza di qualsiasi superamento di concentrazioni, e in una notevole quantità (circa 6400 kg.) di vetro; la SIMER non è una discarica, ma svolge operazioni di stoccaggio, selezione, trattamento, riduzione volumetrica dei rifiuti, al fine di favorirne il recupero, e l’accusa di una scorretta gestione dei registri non ha riscontri normativi; l’ipotesi che la SIMER abbia effettuato operazioni non autorizzate dipende dall’erronea valutazione della “messa in riserva” (una delle attività oggetto di autorizzazione), considerata restrittivamente, dal C.T. del P.M., come mero stoccaggio, ed invece comprensiva altresì delle operazioni preliminari – c.d. pre-trattamenti -non rientranti delle attività di recupero, in quanto dirette solo a rendere il rifiuto più omogeneo.
 
2.3. Con il quarto motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle intercettazioni telefoniche: l’erronea valutazione dipende dalla circostanza, non considerata, che Arduini Marco, oltre ad essere legale rappresentante della SIMER, era il responsabile logistico della ditta Regina Gabriele (oltre che figlio della predetta), autorizzata al trasporto di rifiuti pericolosi e non pericolosi; nel richiamare estratti di intercettazioni, pertanto, lamenta il travisamento del fatto, in quanto le conversazioni captate riguardano attività proprie di questa seconda società.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il ricorso è inammissibile.
 
2. Al riguardo, va preliminarmente rammentato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo“, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692); in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710).
 
Tanto premesso, va, pertanto, dichiarata l’inammissibilità del terzo e del quarto motivo, trattandosi di doglianze proposte dai ricorrenti in ordine alla valutazione, asseritamente erronea o omessa, da un lato, delle intercettazioni telefoniche, e, dall’altro, della consulenza tecnica della difesa, peraltro, sulla base di atti ed elementi non accessibili a questa Corte.
 
Appare, infatti, prima facie inammissibile la sostanziale richiesta di rivalutazione probatoria degli elementi integranti, secondo l’ordinanza impugnata, il fumus commissi delicti, sulla base di richiami parcellizzati ed arbitrariamente selezionati del materiale probatorio, e mediante deduzione di motivi – il “travisamento del fatto” (p. 17) nella valutazione delle intercettazioni, e l’ “errata valutazione della «messa in riserva»” da parte del C.T. del P.M. (p. 11) – non consentiti in materia cautelare, né, più in generale, in sede di legittimità (salvo il limite della contraddittorietà o della manifesta illogicità).
 
2. I primi due motivi, che meritano una valutazione congiunta, per l’omogeneità delle questioni proposte, sono manifestamente infondati.
 
2.1. Giova premettere che il titolo cautelare è il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, di cui all’art. 260 d.lgs. 152 del 2006, ed il fumus è stato ritenuto integrato dall’accettazione sistematica, da parte della SIMER s.r.l. di ingenti quantità di rifiuti, provenienti da alcuni ospedali delle province di Frosinone e Roma, con codice CER errato, in quanto, in alcuni casi, veniva attribuito un ‘codice a specchio’ non pericoloso senza analisi idonee ad escluderne la pericolosità, e, in altri casi, i rifiuti venivano sottoposti a lavorazioni incompatibili con le operazioni che la società era autorizzata ad effettuare.
 
Ebbene, prescindendo dai profili di merito, relativi anche alla ricostruzione del fatto (efficacemente esposta alle p. 3 e 4 dell’ordinanza impugnata), il Tribunale del riesame ha affermato l’arbitrarietà dell’attribuzione, ai rifiuti conferiti alla SIMER, di codici CER a specchio non pericolosi, senza l’espletamento di analisi esaustive sulla pericolosità degli stessi, in quanto il  CER del rifiuto pericoloso è sempre un codice residuale; nel rilevare che la SIMER era in possesso di autorizzazione limitata alla gestione dei soli rifiuti non pericolosi, e che la perizia disposta in sede di incidente probatorio non era stata esaustiva, non avendo proceduto a nuove analisi, ed avendo omesso di considerare la presenza di oggetti con tracce ematiche tra i rifiuti provenienti dal circuito ospedaliero, l’ordinanza ha ritenuto che tali rifiuti rientrassero di per sé nella categoria dei rifiuti sanitari pericolosi, senza necessità di superamento di concentrazioni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d), n. bl, d.P.R. 254 del 2003 (rifiuti sanitari contaminati da sangue o altri liquidi biologici contenenti sangue in quantità tale da renderlo visibile).
 
2.2. La questione da affrontare, dunque, è costituita dalla individuazione della corretta qualificazione dei rifiuti.
 
La classificazione dei rifiuti è disciplinata dal d.lgs. n. 152 del 2006, Parte IV, allegato D, che contiene l’ “Elenco dei rifiuti istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000”; la Decisione UE, invero, ha istituito il Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER), precisando, in un allegato, le modalità da seguire per l’identificazione di un rifiuto.
 
Ciascun rifiuto è, dunque, identificato da un codice a sei cifre, e l’elenco comprende tutti i rifiuti urbani, speciali e pericolosi.
 
In via generale, l’attribuzione del relativo codice CER è determinata dalla effettiva origine del rifiuto, sebbene, talvolta, come si dirà, sono necessari accertamenti analitici, cosicché la verifica della corretta attribuzione del codice costituisce un accertamento in fatto che, come nel caso in esame, è riservato alla valutazione del giudice del merito.
 
L’assegnazione di un CER corretto ad un rifiuto è, evidentemente, indispensabile per la successiva corretta gestione dello stesso.
 
I codici CER possono essere di quattro tipi: 1) codici assoluti relativi a rifiuti pericolosi, distinti con un asterisco (“*”); 2) codici assoluti relativi a rifiuti non pericolosi; 3) codici ‘speculari’ relativi a rifiuti pericolosi; 4) codici ‘speculari’ relativi a rifiuti non pericolosi.
 
La questione dedotta concerne, pertanto, la corretta classificazione dei codici c.d. “a specchio”, previsti per i casi in cui da una medesima operazione o processo produttivo possano generarsi, in alternativa, un rifiuto pericoloso o uno non pericoloso.
 
A prescindere dal concreto accertamento in fatto, riservato al giudice di merito, va, dunque, osservato che, recependo la Decisione UE, il d.l. 25/02/2012, n. 2 ha modificato il punto 5 dell’Allegato D, prevedendo: “Se un rifiuto e’ identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso è classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio, percentuale in peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o più delle proprietà di cui all’allegato I. Per le caratteristiche da H3 a HB, H10 e H11, di cui all’allegato I, si applica quanto previsto al punto 3.4 del presente allegato. Per le caratteristiche H1, H2, H9, H12, H13 e H14, di cui all’allegato I, la decisione2000/532/CE non prevede al momento alcuna specifica (.. .)”.
 
Ebbene, il ricorrente ha proposto una interpretazione di tale disposizione secondo cui, per classificare un rifiuto con codice CER ‘a specchio’, occorre la prova, mediante analisi, del superamento di determinate concentrazioni di sostanze pericolose.
 
Tuttavia, il punto 5 dell’Allegato D dà una definizione normativa del rifiuto con codice ‘a specchio’ pericoloso, non indica le modalità di caratterizzazione del rifiuto, che sono il presupposto di fatto di una corretta classificazione.
 
Quanto alle modalità di caratterizzazione, va preliminarmente evidenziato che la classificazione di un rifiuto identificato da un “codice a specchio”, e la conseguente attribuzione del codice (pericoloso/non pericoloso) compete al produttore/detentore del rifiuto; ne consegue che, dinanzi ad un rifiuto con codice “a specchio”, il detentore sarà obbligato ad eseguire le analisi (chimiche, microbiologiche, ecc.) necessarie per accertare l’eventuale presenza di sostanze pericolose, e l’eventuale superamento delle soglie di concentrazione; solo allorquando venga accertato, in concreto, l’assenza, o il mancato superamento delle soglie, di sostanze pericolose, il rifiuto con codice “a specchio” potrà essere classificato come non pericoloso.
 
Aderendo alla diversa prospettiva dedotta dal ricorrente, invece, ne deriverebbe che il detentore di un rifiuto con codice “a specchio” potrebbe classificarlo come non pericoloso, e di conseguenza gestirlo come tale, in assenza di analisi adeguate; ma tale interpretazione, oltre ad essere in contrasto con gli obblighi di legge, è evidentemente eccentrica rispetto all’intero sistema normativo che disciplina la gestione del ciclo dei rifiuti, ed al principio di precauzione ad esso sotteso.
 
Le modalità di caratterizzazione, del resto, sono state esplicitate dall’art. 13, comma 5 bis, d.l. 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, che ha aggiunto all’Allegato D del d.lgs. 152 del 2006 un art. 1, rubricato “Classificazione dei rifiuti”, che prevede: “1. La classificazione dei rifiuti e’ effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE. 2. Se un rifiuto e’ classificato con codice CER pericoloso ‘assoluto’, esso e’ pericoloso senza alcuna ulteriore specificazione. (. .. ) 3. Se un rifiuto e’ classificato con codice CER non pericoloso ‘assoluto’, esso e’ non pericoloso senza ulteriore specificazione.4. Se un rifiuto e’ classificato con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso, per stabilire se il rifiuto e’ pericoloso o non pericoloso debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede. Le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto possiede sono le seguenti: a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso: la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l’analisi del rifiuto; b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso: la normativa europea sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi; le fonti informative europee ed internazionali; la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto; c) stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all’analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo. 5. Se i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non sono perciò noti i composti specifici che lo costituiscono, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione. 6. Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso. 7. La classificazione in ogni caso avviene prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione”.
 
Pertanto, compete al detentore del rifiuto dimostrare in concreto che, tra due codici “a specchio”, il rifiuto vada classificato come non pericoloso, previa caratterizzazione dello stesso; in mancanza, il rifiuto va classificato come pericoloso (art 1, comma 6, Alleg. D).
 
Deve, dunque, ritenersi immune da censure l’ordinanza impugnata, laddove, nel rispetto di tali criteri di classificazione, ha ritenuto che i rifiuti, peraltro provenienti dal circuito sanitario, in assenza di analisi (o comunque in presenza di analisi parziali e non esaustive), dovessero considerarsi pericolosi, e fosse dunque (dolosamente) arbitraria l’attribuzione di codici speculari non pericolosi. 
 
Del resto, l’ipotesi accusatoria, fondata anche su intercettazioni ed altre fonti di prova, concerne la preordinata e sistematica accettazione di ingenti quantitativi di rifiuti, ai quali veniva attribuito un codice CER errato, evitando dispendiosi accertamenti, e gestendo rifiuti che sarebbero stati altrimenti esclusi dall’autorizzazione della quale la SIMER era titolare.
 
2.3. Peraltro, va evidenziato che, nel caso in esame, l’ordinanza impugnata ha affermato l’arbitraria attribuzione di codici non pericolosi anche sul rilievo che, tra di essi, erano stati rinvenuti oggetti contaminati da sangue; ed in tal senso, l’art. 2, comma 1, lett. d), n. 2 bl), d.P.R. classifica come “rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo” “i rifiuti elencati a titolo esemplificativo nell’allegato I del presente regolamento che (.. .) siano contaminati da (. .. ) sangue o altri liquidi biologici che contengono sangue in quantità tale da renderlo visibile”.
 
Al riguardo, dunque, a prescindere dall’accertamento di fatto relativo alla quantità di oggetti contaminati, che, oltre ad essere questione di merito, esulante dal sindacato di questa Corte, non appare criterio rilevante ai fini della classificazione del rifiuto sanitario come pericoloso, anche sotto tale profilo l’ordinanza impugnata appare del tutto immune da censure.
 
3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 1.500,00: infatti, l’art. 616 cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen..
 
P.Q.M.
 
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso in Roma, il 03/05/2016
 
 
 
 

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