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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Acqua - Inquinamento idrico, Danno ambientale, Inquinamento del suolo Numero: 12514 | Data di udienza: 13 Febbraio 2025

INQUINAMENTO DEL SUOLO – Reato di inquinamento ambientale – Ravvedimento operoso del reo – Termine utile – Caratteri di concretezza ed effettività del risultato e profili temporali – Disciplina applicabile – Art. 62 n.6 cod. pen. – Analogia procedurale con la messa in sicurezza, bonifica e ripristino dello stato dei luoghi – Art. 240 T.U.A – INQUINAMENTO IDRICO – Ecoreati – Condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene – Specificità della matrice ambientale o dell’ecosistema – Condizione di squilibrio funzionale – Prova della contaminazione del sito –  Integrazione del reato di inquinamento ambientale – Elementi – Danneggiamento della matrice ambientale – Accertamento della sussistenza e del grado di compromissione o deterioramento – Sufficiente la qualificazione del fatto – Espletamento di specifici accertamenti tecnici – Limiti – Macroscopica evidenza – Art. 452-bis cod. pen – Definizione giuridica della tendenziale irreversibilità del danno – Disastro ambientale (art. 452 quater cod. pen.) – Cessazione della consumazione del reato – DANNO AMBIENTALE – Evento del danno nel reato di inquinamento ambientale – Olii fuoriusciti da una cisterna – Artt. 137, 240 e ss., 256 Dlgs. n.152/2006 – Natura di reato di danno.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 1 Aprile 2025
Numero: 12514
Data di udienza: 13 Febbraio 2025
Presidente: RAMACCI
Estensore: NOVIELLO


Premassima

INQUINAMENTO DEL SUOLO – Reato di inquinamento ambientale – Ravvedimento operoso del reo – Termine utile – Caratteri di concretezza ed effettività del risultato e profili temporali – Disciplina applicabile – Art. 62 n.6 cod. pen. – Analogia procedurale con la messa in sicurezza, bonifica e ripristino dello stato dei luoghi – Art. 240 T.U.A – INQUINAMENTO IDRICO – Ecoreati – Condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene – Specificità della matrice ambientale o dell’ecosistema – Condizione di squilibrio funzionale – Prova della contaminazione del sito –  Integrazione del reato di inquinamento ambientale – Elementi – Danneggiamento della matrice ambientale – Accertamento della sussistenza e del grado di compromissione o deterioramento – Sufficiente la qualificazione del fatto – Espletamento di specifici accertamenti tecnici – Limiti – Macroscopica evidenza – Art. 452-bis cod. pen – Definizione giuridica della tendenziale irreversibilità del danno – Disastro ambientale (art. 452 quater cod. pen.) – Cessazione della consumazione del reato – DANNO AMBIENTALE – Evento del danno nel reato di inquinamento ambientale – Olii fuoriusciti da una cisterna – Artt. 137, 240 e ss., 256 Dlgs. n.152/2006 – Natura di reato di danno.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 1° aprile 2025 (ud. 13/02/2025), Sentenza n. 12514

 

INQUINAMENTO DEL SUOLO – Reato di inquinamento ambientale – Ravvedimento operoso del reo – Termine utile – Caratteri di concretezza ed effettività del risultato e profili temporali – Disciplina applicabile – Art. 62 n.6 cod. pen. – Analogia procedurale con la messa in sicurezza, bonifica e ripristino dello stato dei luoghi – Art. 240 T.U.A.

L’art. 452-bis cod. pen., rientrando nella categoria delle circostanze relative al ravvedimento operoso del reo, partecipa alla disciplina comune dettata dal codice penale all’art. 62 n.6 il quale esprime un principio generale quanto al termine utile perché l’attivazione prestata sia rilevante ai fini della diminuzione della pena. Occorre, infatti, considerare che l’adoperarsi per evitare conseguenze ulteriori appare circostanza di natura strutturalmente estrinseca, che non inerisce ne’ all’esecuzione ne’ alla consumazione del fatto criminoso, ma fa riferimento a tutti quegli interventi, non preventivamente tipizzabili, ma evincibili alla luce dei casi concreti, che si connotino per dar luogo ad una effettiva quanto stabile interruzione delle conseguenze del reato. In questo modo il ravvedimento in parola può verificarsi anche a distanza temporale molto lontana dal reato, ma è comunque necessario che sia fissato un termine entro cui il suo manifestarsi, quanto meno iniziale alla luce di quanto appresso sarà precisato, abbia rilievo ai fini dell’applicazione della legge penale. E che tale termine debba essere anteriore al giudizio discende logicamente dalla stessa natura della funzione del giudice penale, il quale di norma è chiamato a decidere su eventi già realizzati e non ad intervenire su situazioni in fieri. Tanto si impone ancor più per la peculiarità della materia, cui inerisce l’attenuante, relativa a profili ambientali, rispetto ai quali appare coerente e connaturale al bene protetto la fissazione di un termine massimo almeno di inizio dell’azione riparatoria, che come tale renda effettiva ed efficace la stessa (cui osta naturalmente, ed al contrario, un prolungato decorso temporale del reato e dei suoi effetti, con relativo ordinario consolidamento) e in tal senso ne promuova la realizzazione. La ratio della previsione, tesa ad assicurare una risposta premiale rispetto ad una effettiva riparazione, implica anche il carattere oggettivo dell’attenuante e la concretezza ed effettività del risultato. Quanto alla analoga ma distinta condotta della messa in sicurezza, bonifica e ripristino dello stato dei luoghi, va premesso che le attività indicate possono individuarsi in quelle definite dall’art. 240 d.lgs. 1522006, e che per la messa in sicurezza l’art. 452-decies non specifica a quale, tra quelle indicate dal d.lgs. 1526, intenda riferirsi, così che nulla osta alla possibilità di contemplare sia la cd. messa in sicurezza di urgenza che quella operativa e quella permanente (cfr. art. 240 T.U.A. lettera m), n) ed o)); messa in sicurezza, bonifica e rispristino, inoltre, si distinguono tra loro per il progressivo grado di mitigazione degli effetti inquinanti che assicurano: dal contenimento degli effetti proprio della messa in sicurezza d’emergenza al completo recupero di un sito “alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso” del ripristino. Tale ulteriore condotta premiale, della prima fattispecie, analizzata, ripete altresì, all’evidenza, i caratteri di concretezza ed effettività oltre che i profili temporali.

 

INQUINAMENTO IDRICO E DEL SUOLO – Ecoreati – Condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene – Specificità della matrice ambientale o dell’ecosistema – Condizione di squilibrio funzionale – Prova della contaminazione del sito – DANNO AMBIENTALE – Evento del danno nel reato di inquinamento ambientale – Olii fuoriusciti da una cisterna – Artt. 137, 240 e ss., 256 Dlgs. n.152/2006 – Natura di reato di danno – Art. 452-bis cod. pen..

Il delitto di inquinamento ambientale, di cui all’art. 452-bis cod. pen., è reato di danno, integrato da un evento di danneggiamento, cagionato in forma alternativa e che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce l’oggetto in misura tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne, anche parzialmente, l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, un’attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare. Precisando, con riguardo all’evento di danno nel reato di inquinamento ambientale, l’affermarsi del principio secondo cui il delitto di danno previsto dall’art. 452 bis cod. pen. ha quale oggetto di tutela penale l’ambiente in quanto tale e postula l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova norma incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 ss. d.lgs. 152 del 2006. Peraltro, la “compromissione” e il “deterioramento” consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi.

 

INQUINAMENTO DEL SUOLO – Integrazione del reato di inquinamento ambientale – Elementi – Danneggiamento della matrice ambientale – Accertamento della sussistenza e del grado di compromissione o deterioramento – Sufficiente la qualificazione del fatto – Espletamento di specifici accertamenti tecnici – Limiti – Macroscopica evidenza – Art. 452-bis cod. pen – Definizione giuridica della tendenziale irreversibilità del danno – Disastro ambientale (art. 452 quater cod. pen.) – Cessazione della consumazione del reato.

Ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale, ex art. 452-bis cod. pen., non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno, essendo sufficiente un evento di danneggiamento della matrice ambientale che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare. Proprio perché la tendenziale irreversibilità del danno, se sussistente e concernente l’equilibrio di un ecosistema, integra il più grave reato di disastro ambientale punito dall’art. 452 quater cod. pen., fino a che tale irreversibilità non si verifica, le condotte poste in essere successivamente all’iniziale “deterioramento” o “compromissione” del bene non costituiscono post factum non punibile, ma integrano singoli atti di un’unica azione lesiva, che spostano in avanti la cessazione della consumazione del reato. Sicché – indipendentemente dal fatto che l’inquinamento del sito sia dipeso anche da comportamenti precedenti all’introduzione nell’ordinamento della fattispecie di reato – la prosecuzione della condotta illecita con aggravamento del danno rileva ai fini della sussistenza del reato ipotizzato. Inoltre, ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici. Sebbene non possa escludersi la necessità, in determinati casi, di verifiche tecniche volte ad accertare la sussistenza ed il grado di compromissione o deterioramento di singole matrici ambientali o di un intero ecosistema, possono senz’altro verificarsi situazioni nelle quali simili situazioni siano di macroscopica evidenza, come nel caso di distruzione di flora o fauna immediatamente percepibili, ovvero quando, una volta individuato un determinato contesto ambientale e le caratteristiche che lo contraddistinguono, possano poi direttamente apprezzarsi le conseguenze della condotta contestata.

(riforma sentenza del 27/03/2024 – CORTE DI APPELLO DI ROMA) Pres. RAMACCI, Rel. NOVIELLO, Ric. Ducci


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 1° aprile 2025 (ud. 13/02/2025), Sentenza n. 12514

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

la pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ducci nato a Rocca di Papa il –/–/—-;
Ducci nato a Roma il –/–/—-,
nel procedimento a carico del medesimo;

avverso la sentenza del 27/03/2024 della CORTE DI APPELLO DI ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello;

letta la requisitoria dell’Avvocato Generale dr. Pasquale Fimiani che ha chiesto dichiarazione di inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni del difensore delle parti civili avv.to Bocci Arturo che ha insistito per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso depositando nota spese.

lette le conclusioni del difensore dei ricorrenti avv.to Marronaro Marco che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del tribunale di Roma del 11.1.2022, con la quale Ducci e Ducci erano stati condannati in relazione ai reati, avvinti dalla continuazione, di cui agli artt. 110 cod. pen. 452 bis cod. pen., 349 cod. pen.

2. Avverso la predetta sentenza Ducci e Ducci, mediante il difensore, hanno proposto ricorsi per cassazione, deducendo tre comuni motivi.

3. Si rappresenta, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge e di motivazione, anche proponendo la riqualificazione del fatto ai sensi degli artt. 137 e 256 Dlgs. 152/06.

Si sostiene l’assenza di alcuna certezza circa la sussistenza e consistenza di una situazione di inquinamento, come emergerebbe anche dalle dichiarazioni di taluni testi, citati in ricorso. Sul punto mancherebbe ogni valutazione rispetto ai motivi di gravame proposti. Stante tale situazione istruttoria, il tribunale avrebbe dovuto almeno riqualificare i fatti ai sensi dell’art. 256 del Dlgs. 152/06. Sarebbe dunque ed alfine emerso che gli olii esausti della officina della società dei coimputati sarebbero stati canalizzati in una cisterna interrata, altri olii sarebbero stati rinvenuti sul piazzale della officina, in ogni caso poi rimossi, con relativa messa in sicurezza dell’area, e nessuna bonifica sarebbe stata avviata proprio per assenza di un accertato inquinamento; l’olio in foto sarebbe olio di ristagno della cisterna, in ordine al quale l’eventuale grado di contaminazione del terreno avrebbe dovuto essere accertato con carotaggi, per cui, in presenza di un reato di danno quale quello di cui al primo capo, i giudici avrebbero dovuto riconoscere l’assenza di prova del medesimo. Con insussistenza del fatto. In presenza, quindi, solo di olii fuoriusciti dalla cisterna a causa di una mistura di acqua piovana e terra e che avevano intriso il terreno attiguo, si sarebbe potuto o dovuto qualificare i fatti solo ex artt. 137 e 256 del Dlgs. 152/06. Tanto troverebbe conferma anche in dati documentali trascurati dai giudici e rivendicati con motivi di gravame, oltre che nella stessa motivazione della sentenza, che non cita il tema dell’inquinamento. Con invito alla riqualificazione nel senso sopra indicato, da parte della Corte di Cassazione, ex art. 611 comma 1 sexies cod. proc. pen.

4. Con il secondo motivo deducono il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 452 decies cod. pen., e il vizio di mancanza di motivazione perché apparente.

Si contesta la mancata applicazione della attenuante ex art. 452 decies cod. pen., Nonostante gli indagati si siano attivati per evitare il protrarsi di ulteriori conseguenze. Si contesta, in proposito, la esclusione, da parte della corte, di una collaborazione degli imputati, osservando che gli stessi non avrebbero potuto porre in essere spontaneamente una attività di bonifica tecnicamente intesa, in via autonoma. Attività di bonifica che nulla avrebbe a che vedere con il presente processo. Al contrario, sarebbe provato che gli imputati avrebbero collaborato alla messa in sicurezza in corso nelle aree oggetto di imputazione. Come sostenuto da un teste di cui si riporta per stralcio una dichiarazione.

5. Con il terzo motivo, deducono il vizio di violazione di legge e di motivazione, in relazione all’art. 349 cod. pen.

Altresì rappresentando il travisamento della prova per omissione. Si sottolinea come con il sequestro operato dalla pg e dalla AG si fosse comunque data autorizzazione per esercitare la “facoltà di proseguire coi processi di lavorazione dell’officina meccanica fermo restando quanto in sequestro”, per cui gli imputati avevano ritenuto di poter accedere al sito sequestrato per svolgere la propria attività lavorativa. La corte, sul punto, avrebbe trascurato i motivi di gravame e non avrebbe valutato la prova al riguardo, atteso che il verbale di sequestro supporterebbe la tesi della assenza di dolo non essendovi compatibilità tra la facoltà concessa e il rilevato fine di sversamento di olii sintetici. Quanto poi alla specifica posizione di Ducci e alla aggravante contestata, se ne ribadisce la non estensibilità come già evidenziato in sede di appello. In assenza di elementi dimostrativi della conoscenza, da parte sua, della notifica dei provvedimenti relativi al sequestro del 3 giugno 2019.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Riguardo al primo motivo, si premette che ai sensi dell’art. 452 bis cod. pen. è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Ai sensi del secondo comma, quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.

L’art. 452-quinquies cod. pen. indica una pena minore per i fatti di inquinamento e disastro ambientale causati per colpa (ed una ulteriore diminuzione per le ipotesi in cui dalle condotte descritte al primo comma derivi il pericolo di inquinamento o disastro).

Questa Corte ha precisato che il delitto di inquinamento ambientale, di cui all’art. 452-bis cod. pen., è reato di danno, integrato da un evento di danneggiamento, cagionato in forma alternativa e che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce l’oggetto in misura tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne, anche parzialmente, l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, un’attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare. (Sez. 3 – n. 17400 del 24/01/2023 Rv. 284557 – 01). E’ stato altresì precisato (cfr. anche in motivazione Sez. 3, n. 50018 del 19/09/2018, Rv. 274864 – 01), quanto all’evento di danno, che con riguardo al reato di inquinamento ambientale, deve affermarsi il principio secondo cui il delitto di danno previsto dall’art. 452 bis cod. pen. ha quale oggetto di tutela penale l’ambiente in quanto tale e postula l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova norma incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 ss. d.lgs. 152 del 2006. Sotto quest’ultimo angolo visuale, va rilevato come, sin dalle prime applicazioni giurisprudenziali della fattispecie, questa Corte abbia precisato, precedendo la sentenza già sopra anticipata, che la “compromissione” e il “deterioramento” di cui al nuovo delitto di inquinamento ambientale consistono in un’alterazione,significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi (Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016, Sirnonelli, Rv. 268059). Ai fini dell’integrazione del reato non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno (Sez. 3, n. 10515 del 27/10/2016, dep. 2017, Sorvillo, Rv. 269274), essendo sufficiente un evento di danneggiamento della matrice ambientale che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare (Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rv. 269489). Proprio perché la tendenziale irreversibilità del danno, se sussistente e concernente l’equilibrio di un ecosistema, integra il più grave reato di disastro ambientale punito dall’art. 452 quater cod. pen., fino a che tale irreversibilità non si verifica, le condotte poste in essere successivamente all’iniziale “deterioramento” o “compromissione” del bene non costituiscono post factum non punibile, ma integrano singoli atti di un’unica azione lesiva, che spostano in avanti la cessazione della consumazione del reato (Sez. 3, n. 10515 del 27/10/2016, dep. 2017, Sorvillo, Rv. 269274; Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269490), sicché – indipendentemente dal fatto che l’inquinamento del sito sia dipeso anche da comportamenti precedenti all’introduzione nell’ordinamento della fattispecie di reato – la prosecuzione della condotta illecita con aggravamento del danno rileva ai fini della sussistenza del reato ipotizzato.

Si è anche chiarito (cfr. in motivazione Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018, Rv. 273566 – 01) che il termine “significativo”, nella sua accezione letterale, denota senz’altro incisività e rilevanza, mentre “misurabile” può dirsi ciò che è quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile, escludendo, sulla base dell’assenza di espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni o a particolari metodiche di analisi, l’esistenza di un vincolo assoluto, per l’interprete, correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, che pur rappresentano, comunque, un utile riferimento nel caso in cui possono fornire, considerando lo scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitività, un elemento concreto di giudizio circa il fatto che la compromissione o il deterioramento causati siano effettivamente significativi come richiesto dalla legge, mentre tale condizione, ovviamente, non può farsi automaticamente derivare dal mero superamento dei limiti (da ultimo, Sez. 3 n.18934 del 15/3/2017, cit.). Conseguentemente, l’evento di danno si è ritenuto perfezionato, ad esempio, nella ridotta utilizzazione di un corso d’acqua in conformità alla sua destinazione, quale diretta conseguenza della condotta di inquinamento (Sez. 3, n. 15865 del 31/1/2017, cit.; Sez. 3, n. 10515 del 27/10/2016, cit.), nella dispersione in acque marine di sedimenti contenenti sostanze inquinanti quali idrocarburi e metalli pesanti (Sez. 3, n. 46170 del 21/9/2016, cit.), nel depauperamento della fauna in una determinata zona con una drastica eliminazione degli esemplari ivi esistenti (Sez. 3 n.18934 del 15/3/2017, cit.).

Quanto, poi, alla prova del danno, ovvero del deterioramento o della compromissione, questa Corte ha altresì chiarito, con affermazione che va qui ribadita, che ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto immune da censure il provvedimento di conferma del sequestro di impianti idraulici utilizzati per prelievi idrici da un lago, che aveva escluso la necessità di un accertamento tecnico, avendo dato atto dell’elemento oggettivo costituito dal rilevante abbassamento delle acque del lago). (Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018 Rv. 273566 – 01). In particolare, si è evidenziato (cfr. Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018, Rv. 273566 – 01 cit.) che sebbene non possa escludersi la necessità, in determinati casi, di verifiche tecniche volte ad accertare la sussistenza ed il grado di compromissione o deterioramento di singole matrici ambientali o di un intero ecosistema, possono senz’altro verificarsi situazioni nelle quali simili situazioni siano di macroscopica evidenza, come nel caso di distruzione di flora o fauna immediatamente percepibili, ovvero quando, una volta individuato un determinato contesto ambientale e le caratteristiche che lo contraddistinguono, possano poi direttamente apprezzarsi le conseguenze della condotta contestata.

2. La sentenza impugnata, quanto alla individuazione del reato ex art. 452 bis cod. pen. siè mossa nell’ambito della cornice giuridica sopra delineata, con riguardo, in particolare, alla ricostruzione dell’evento di danno.

Posto che la contestazione riguarda la compromissione o comunque il deterioramento di porzioni estese di suolo e sottosuolo circostanti una officina meccanica, in ragione delle corrispondenti attività ivi espletate, i giudici di appello hanno perspicuamente evidenziato come l’esercizio dell’officina, per ammissione degli stessi imputati, si sia svolto sin dagli anni ’80 e senza alcuna autorizzazione, né tantomeno senza alcun formulario di smaltimento dei rifiuti e alcun registro di carico e scarico – indici questi, notoriamente indicativi di una gestione irregolare, certamente di rilievo ai fini in questione – e in particolare, la predetta gestione è avvenuta nel quadro di una descritta, persistente e imponente attività di sversamento di inquinanti liquidi sul terreno dell’officina e dell’area circostante, cosicchè, va rimarcato, la contestazione attiene alla compromissione o comunque al deterioramento di porzioni estese di suolo e sottosuolo circostanti l’officina meccanica degli imputati. Sempre gli stessi imputati hanno riconosciuto di avere continuato a lavorare anche dopo il primo provvedimento di sequestro, del 27.5.2019. Il 4 agosto 2019 si accertava che continuava l’attività con sversamento e smaltimento sul suolo di olii esausti, e secondo le relazioni dell’amministratore giudiziario, del novembre e dicembre 2020, le lavorazioni proseguivano sul sito in sequestro. I Carabinieri accedevano il 14.12.2020 sul sito e accertavano in loco pozze di olio motore sul suolo.

A questa descrizione attualizzante dei luoghi, i giudici hanno aggiunto un più complessivo esame dello stato degli stessi, in vista della verifica del danno di cui al reato ex art. 452 bis cod. pen. ed hanno sottolineato la presenza, accanto a rifiuti pericolosi rinvenibili sull’intera area dell’azienda, di idrocarburi sversati sul suolo, “sia sulle parti pavimentate che su quelle prive…”, lo sversamento di olii effettuato in particolare in un tombino dell’officina, descritto come “massiccio” tanto da “rendere pericoloso il passaggio”, la mancata manutenzione dell’impianto di prima pioggia, così da determinare la prolungata dispersione dei reflui inquinanti e l’accumulo nel terreno circostante, che ne era “impregnato raggiungendo in minima parte il corpo recettore degli scarichi civili”. Hanno sottolineato, altresì, l’estensione, notevole, dell’area interessata da tale presenza di inquinanti liquidi, tra zona pavimentata e una porzione anche di nudo terreno. Hanno sottolineato anche il “macroevento” dello sversamento diretto di olii nelle griglie, così da dar luogo alla diffusa permeazione progressiva sia di aree pavimentate che di nuda terra, tanto da rinvenirsi chiazze di idrocarburi qualificate dagli operanti in termini di “sabbie mobili”. Non hanno, i giudici, nemmeno trascurato di valutare anche la profondità e pervasività dei predetti fenomeni di dispersione di liquidi come sopra citati, deducendola, ragionevolmente, dal tempo che si è reso necessario per giungere alla bonifica dell’area, pari a tre anni, così citando un dato che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non assume solo un carattere descrittivo bensì anche una portata di rilievo tecnico, quanto alla presenza di inquinanti produttivi della compromissione o deterioramento contestati. E in questo quadro, assume coerenza la citazione dei contenuti di rapporti di prova eseguiti su suolo rivestito di bitume non impermeabilizzato, nell’area sia interna che esterna del capannone adibito ad officina, di cui uno rivelatore di idrocarburi nella misura di 38.600 mg/kg, quale dato evidenziato, congruamente, dai giudici, come riscontrabile anche visivamente dalle foto disponibili. Con espressa quanto coerente smentita della tesi della assenza di penetrazione degli olii anche all’interno del suolo. In linea con quest’ultima prospettiva di analisi, si pone anche la citazione dei lavori di rimozione della cisterna interrata, del pozzetto di servizio e tubazione di collegamento, pure interessati dagli olii e scollegati dalla rete fognaria locale, con cui si evidenzia come si sia in tal modo proceduto al recupero di centinaia di litri di emulsioni e di 770 kg. di fanghi. Oltre a 15.000 litri di rifiuti complessivi pericolosi e portati a smaltimento. Si tratta di una analisi e illustrazione che si pone in linea con i principi di non necessità di ricorso a specifici accertamenti tecnici, per la prova del danno del reato, da una parte, e, dall’altra, dà conto, in maniera inequivocabile, siccome connotata, come accennato, anche, comunque, da dati tecnici e non solo visivi, della presenza di olii non solo sulla superficie delle matrici ovvero del suolo di sversamento, ma anche all’interno delle stesse. Ed invero, occorre precisare che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, la quale sembra limitare ogni ipotesi di danno rilevante ex art. 452 bis cod. pen., solo in caso di penetrazione del suolo da parte degli elementi liquidi inquinanti, tale pregiudizio, piuttosto, investe – alla luce della stessa lettera della norma incriminatrice – ogni compromissione o deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo. Senza, quindi, che si debba escludere la fattispecie ove il fenomeno pregiudizievole rimanga e incida sul suolo e non penetri nel sottosuolo. Laddove, comunque, giova ribadirlo, il pregiudizio rinvenuto dai giudici, con motivazione esente sul punto da ogni vizio ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen, attiene ad entrambe le matrici, come sopra riportato.

Consegue l’inammissibilità del motivo, sconfessato dalla articolata motivazione, con la quale, in sostanza, i ricorrenti non si sono affatto confrontati, minimizzandone e riducendone arbitrariamente l’articolata portata argomentativa. Così anche incorrendo nel cd. deficit di specificità estrinseca, atteso che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).

3. Quanto al secondo motivo, con esso si contesta la mancata applicazione della attenuante ex art. 452 decies cod. pen., nonostante gli indagati si siano attivati, secondo la difesa, per evitare il protrarsi di ulteriori conseguenze.

Si contesta, in proposito, la esclusione, da parte della corte, di una collaborazione degli imputati, osservando che gli stessi non avrebbero potuto porre in essere spontaneamente una attività di bonifica, tecnicamente intesa, in via autonoma. Attività di bonifica che nulla avrebbe a che vedere con il presente processo. Al contrario, sarebbe provato che gli imputati avrebbero collaborato alla messa in sicurezza in corso nelle aree oggetto di imputazione. Va premesso che ai sensi dell’art. 452 decies c.p., “le pene previste per i delitti di cui al presente titolo, per il delitto di associazione per delinquere di cui all’articolo 416 aggravato ai sensi dell’articolo 452 octies, nonché per il delitto di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi, e diminuite da un terzo alla metà nei confronti di colui che aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.

Ove il giudice, su richiesta dell’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado disponga la sospensione del procedimento per un tempo congruo, comunque non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno, al fine di consentire le attività di cui al comma precedente in corso di esecuzione, il corso della prescrizione è sospeso”. La predetta norma è rubricata come “ravvedimento operoso”, prevede riduzioni di pena con riferimento ai delitti “contenuti nel presente titolo”, per l’associazione per delinquere (art. 416 cod. pen.) aggravata ai sensi dell’articolo 452-octies e per il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti per il quale l’intervenuta abrogazione dell’art. 260 d.lgs. 152\06, espressamente richiamato dall’art. 452-decies, deve ritenersi irrilevante, restando il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti compreso entro l’ambito di applicazione di quest’ultima norma in ragione del richiamo in essa effettuato ai “delitti di cui al presente titolo” che comprende ora anche l’art. 452- quaterdecies; sotto il profilo testuale, poi, l’articolo in esame riporta una sorta di catalogo di condotte integranti la circostanza attenuante ad effetto speciale in parola, le quali, da una parte, paiono attingere, almeno in parte, anche ad analoghe previsioni, proprie del “diritto premiale”, dall’altra, presentano in comune il connotato di un ravvedimento che si distingue e caratterizza per la comune matrice della effettiva quanto concreta messa in opera di una riparazione rispetto al reato, di tipo sostanziale, siccome inerente agli effetti del reato stesso (come rilevato anche da autorevole dottrina), ovvero di tipo processuale, siccome riguardante la ricostruzione del fatto, degli autori o la eliminazione di risorse potenzialmente strumentali per la commissione dei delitti.

La prima condotta contemplata, di diretto interesse in questa sede siccome evocata in ricorso, consiste nella condotta di colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, e come tale fa riferimento a tutti quegli interventi, non preventivamente tipizzabili (e distinti come tali da quelli pure specificati nell’articolo in esame), ma evincibili alla luce dei casi concreti, che si connotino per dar luogo ad una effettiva quanto stabile interruzione delle conseguenze del reato. La sopra citata ratio della disposizione, evidenziata peraltro attraverso il più consistente effetto attenuante della pena assegnato alla prima parte del comma 1 dell’art. in parola (riduzione dalla metà a due terzi), impone l’integrazione, anche nel caso in esame, di un concreto aiuto all’ambiente, estraneo ad una mera attivazione priva di ogni effetto. In tal senso l’uso del verbo adoperarsi, obiettivamente suscettibile di interpretazioni riduttive valorizzanti la mera buona volontà disgiunta dal risultato, deve essere considerato nel quadro dell’ispirazione di fondo della norma – connotata, per quanto sopra osservato, da una prospettiva di risultato – e quindi deve essere valorizzato in una stretta correlazione con l’elisione delle conseguenze ulteriori, posto anche che l’espressione “adoperarsi per” ben può essere intesa anche nelsenso, conforme alla interpretazione che qui si prospetta, di “salvaguardare”, come tale implicante un risultato.

Per essa deve rilevarsi, altresì, che rientrando nella categoria delle circostanze relative al ravvedimento operoso del reo, partecipa pertanto alla disciplina comune dettata dal codice penale all’art. 62 n.6, (cfr. in tal senso Sez. 6, n. 6213 del 04/05/1998 Rv. 210900 – 01), il quale esprime un principio generale (seppure derogato in taluni casi dalla stessa giurisprudenza di legittimità – cfr. tra le altre Sez. 6, n. 27937 del 24/04/2008 Rv. 240951 – 01 – con riferimento alla tempistica di realizzabilità della previsione, anche essa di natura riparatoria sub specie di collaborazione, dell’art. 73 comma 7 del DPR 309/90) quanto al termine utile perché l’attivazione prestata sia rilevante ai fini della diminuzione della pena. Occorre infatti considerare che l’adoperarsi per evitare conseguenze ulteriori appare circostanza di natura strutturalmente estrinseca, che non inerisce ne’ all’esecuzione ne’ alla consumazione del fatto criminoso.

In questo modo il ravvedimento in parola può verificarsi anche a distanza temporale molto lontana dal reato, ma è comunque necessario che sia fissato un termine entro cui il suo manifestarsi, quanto meno iniziale alla luce di quanto appresso sarà precisato, abbia rilievo ai fini dell’applicazione della legge penale. E che tale termine debba essere anteriore al giudizio discende logicamente dalla stessa natura della funzione del giudice penale, il quale di norma è chiamato a decidere su eventi già realizzati e non ad intervenire su situazioni in fieri (sempre (cfr. in tal senso Sez. 6, n. 6213 del 04/05/1998 Rv. 210900 – 01). Con la conseguenza che è onere del legislatore, ove voglia per singoli reati stabilire un periodo di rilevanza diverso del ravvedimento, prolungandolo, quello di manifestare espressamente la sua volontà, dovendo altrimenti il giudicante attenersi alla regola generale dell’irrilevanza dei fatti che siano avvenuti dopo l’apertura del dibattimento.

In tale quadro, va osservato che la disposizione in esame nulla dice circa il tempo in cui il soggetto deve adoperarsi ai fini ivi descritti, per cui va ritenuto che tale attività debba essersi quantomeno attivata (in ragione anche di una lettura complessiva con quanto previsto dal comma 2 dell’art. 452 decies cod. pen.) anteriormente all’inizio del dibattimento. Del resto, per la distinta ma analoga, ulteriore fattispecie della messa in sicurezza, bonifica o ripristino dello stato dei luoghi ove possibile, espressamente la stessa disposizione afferma il termine ultimo della dichiarazione di apertura del dibattimento, cui si collega, ove le predette attività siano ancora “in corso di esecuzione” anche una sospensione ( ex art. 452 cit. comma 2) “del procedimento per un tempo congruo, comunque non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno, al fine di consentire le attività….”. Occorre sottolineare che quest’ultima previsione, di cui al comma 2 dell’art. 452 decies cod. pen., esplicitamente, peraltro, estende la sospensione del procedimento a tutte le “attività di cui al comma precedente in corso di esecuzione”, così comprendendo anche le iniziative, qui in esame, che evitino che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori; essa, quindi, afferendo ad un momento temporale riguardante il processo in corso, del quale, con disposizione eccezionale, si consente anche la sospensione, non può che presupporre un termine anteriore precedente, ordinariamente limitativo dello spatium operandi delle condotte riparatorie prima citate, da identificarsi, per quanto sopra osservato, nel comune limite della dichiarazione di apertura del dibattimento.

Tanto si impone ancor più per la peculiarità della materia, cui inerisce l’attenuante, relativa a profili ambientali, rispetto ai quali appare coerente e connaturale al bene protetto la fissazione di un termine massimo almeno di inizio dell’azione riparatoria, che come tale renda effettiva ed efficace la stessa (cui osta naturalmente, ed al contrario, un prolungato decorso temporale del reato e dei suoi effetti, con relativo ordinario consolidamento) e in tal senso ne promuova la realizzazione. Va altresì precisato che la ratio della previsione, tesa ad assicurare una risposta premiale rispetto ad una effettiva riparazione, implica anche il carattere oggettivo della attenuante e la concretezza ed effettività del risultato. E nel contempo la premialità intrinseca alla attenuante esclude la configurabilità in presenza di condotte doverose e necessitate, per le quali manchi ogni spazio deliberativo per l’interessato, non potendosi valorizzare a suo favore condotte imposte nel quadro di procedimenti necessitati.

Quanto alla analoga ma distinta condotta della messa in sicurezza, bonifica e ripristino dello stato dei luoghi, va premesso che le attività indicate possono individuarsi in quelle definite dall’art. 240 d.lgs. 152\2006, e che per la messa in sicurezza l’art. 452-decies non specifica a quale, tra quelle indicate dal d.lgs. 152\06, intenda riferirsi, così che nulla osta alla possibilità di contemplare sia la cd. messa in sicurezza di urgenza che quella operativa e quella permanente (cfr. art. 240 cit. lettera m), n) ed o)); messa in sicurezza, bonifica e rispristino, inoltre, si distinguono tra loro per il progressivo grado di mitigazione degli effetti inquinanti che assicurano: dal contenimento degli effetti proprio della messa in sicurezza d’emergenza al completo recupero di un sito “alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso” del ripristino. Tale ulteriore condotta premiale, della prima fattispecie, precedentemente analizzata, ripete altresì, all’evidenza, i caratteri di concretezza ed effettività oltre che i sopra citati profili temporali.

Come già osservato poi, l’art. 452-decies, indica come termine per la messa in sicurezza, bonifica e ripristino dello stato dei luoghi la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ma tale espressione non pare profilare, sul piano logico e tantomeno giuridico, un limite, in ordine all’ambito di operatività della fattispecie, con riguardo, in particolare, al solo giudizio ordinario come pure talvolta ipotizzato. L’opposta tesi, come osservato in dottrina, valorizza il riferimento alla dichiarazione di apertura del dibattimento per evidenziare come in caso di applicazione pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., così come nel giudizio abbreviato, manchi la dichiarazione di apertura del dibattimento. Si tratta, tuttavia, di un dato che sembra provare troppo, atteso che il momento della dichiarazione di apertura del dibattimento segna uno spazio cronologico che ben può comprendere il precedente eventuale verificarsi dei citati procedimenti speciali, laddove la sua funzione appare piuttosto giustificata dalla esigenza di delimitare la fattispecie in parola rispetto al peculiare e ordinariamente più lungo svolgersi del giudizio ordinario. Diversamente, potrebbero individuarsi aspetti di irragionevolezza in una tale limitazione a fronte di situazione fattuali eguali, quanto alla riparazione già avvenuta, seguite invece da diversi esiti procedi mentali. Al più, la stretta correlazione tra la dichiarazione di apertura del dibattimento e la sospensione del processo, di cui all’art. 452 decies comma 2 cod. pen. (“ove il giudice, su richiesta dell’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado disponga la sospensione del procedimento per un tempo congruo, comunque non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno”) può ragionevolmente solo escludere la predetta sospensione nell’ambito dei predetti giudizi speciali, anche in ragione della natura acceleratoria del giudizio; per cui eventuali esigenze volte a procedere alla riparazione e valorizzazione processuale della stessa, potranno essere perseguite, senza alcun pregiudizio difensivo, attraverso una libera scelta processuale diversa, indirizzata verso il giudizio ordinario.

Si può anche osservare che la previsione di cui al comma 2 dell’art. 452 decies cod. pen., – per cui è consentita la sospensione del procedimento per un tempo congruo, comunque non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno – siccome si giustifica per consentire le attività «di cui al comma precedente» che devono essere in corso di “esecuzione”, con termine che quindi, richiamando l’atto dell'”eseguire”, del portare a compimento personalmente un risultato, valorizza profili materiali delle condotte riparatorie, (sempre nel quadro di un privilegio dato dal Legislatore ad iniziative di elisione degli effetti pregiudizievoli per l’ambiente), appare, da una parte, escludere da ogni rilievo l’espletamento di operazioni preliminari o la mera attivazione di procedure amministrative, dall’altra, risulta riconducibile solo alle due ipotesi premiali sin qui esaminate; e quindi, non fa riferimento alla condotta collaborativa, di stampo processuale e, piuttosto, coinvolgente una compartecipazione d’azione tra l’imputato e la polizia giudiziaria estranea al riferimento “esecutivo” prima citato, di cui al terzo caso previsto dal primo comma dell’art. 452 decies cod. pen., per il quale sono diminuite da un terzo alla metà le pene nei confronti di colui che aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.

Quanto a quest’ultima fattispecie, va riaffermata anche per essa la necessaria connotazione della concretezza del contributo, che deve essere efficace nella individuazione dei tre termini possibili della collaborazione. Quanto al merito della censura in esame, si osserva che il motivo è inammissibile. A partire dalla citazione, per stralcio, di una dichiarazione di un teste, atteso che, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017 Rv. 270071 – 01).

La censura, peraltro, mostra di non cogliere adeguatamente le considerazioni dei giudici, che hanno sottolineato non solo l’assenza di ogni spontanea iniziativa per elidere le conseguenze del reato ma hanno altresì spiegato, nel contempo, e in linea con le considerazioni in precedenza formulate circa i requisiti della attenuante in esame, come la sola attività dei ricorrenti, diretta a rimuovere i residui ferrosi presenti in loco (diversi dai liquidi inquinanti in precipua contestazione), sia stata necessitata, trattandosi di materiale che ostacolava le operazioni di bonifica e controllo in corso. Né vale obiettare che ai ricorrenti non poteva imputarsi la mancata bonifica quale procedura tecnica non eseguibile dagli stessi, atteso, da una parte, che nulla esclude la possibilità del privato di contribuire alla bonifica ( come desumibile peraltro dallo stesso art. 452 decies cod. pen. prima esaminato) e, dall’altra, che i giudici, come prima evidenziato, si sono limitati a rilevare più semplicemente l’assenza di iniziative, ben possibili nella loro varietà e atipicità, dirette ad eliminare le conseguenze dannose, mentre, quanto alla bonifica, si sono limitati ad osservare come, semplicemente, gli imputati l’abbiano subita, omettendo, appunto, ogni altra iniziativa da loro autonomamente esercitabile. Va peraltro aggiunto, per completezza, che, premesso che dalla sentenza emerge la avvenuta effettuazione di una bonifica, tanto da evidenziarsi in tre anni il tempo necessario per pervenire alla medesima (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), senza che sul punto si opponga alcunchè nel ricorso, non può trascurarsi come, a fronte di una disciplina quale quella di cui all’art. 240 e ss. del Dlgs. 152/06, inerente le operazioni preliminari di prevenzione, analisi ed eventuale bonifica, che contempla anche il coinvolgimento del responsabile dell’inquinamento, non risulta né è dedotto che i ricorrenti si siano adoperati nell’effettuare alcuna delle attività predette e, tantomeno, quella di bonifica in senso tecnico, citata in sentenza. Il motivo dunque, è manifestamente infondato.

4. Riguardo all’ultimo motivo, in ragione del quale si deduce il vizio di violazione di legge e di motivazione, in relazione all’art. 349 cod. pen., si osserva come i giudici abbiano dato conto in maniera assolutamente chiara della intervenuta violazione dei sigilli.

Emerge, dalla sentenza, che il sequestro originariamente aveva riguardo a 4 aree esterne al capannone sede dell’officina. La successiva convalida del sequestro di iniziativa della polizia giudiziaria e il nuovo provvedimento di sequestro del gip del 3 giugno 2019, estendeva il vincolo anche al capannone. Così che, da quella data, era inibito lo svolgimento di ogni attività sia nella officina ovvero nel capannone, che nelle aree esterne. I giudici hanno evidenziato la consapevolezza, in capo a Ducci , della portata di tale inibizione, evidenziando come Ducci aveva presentato, in data 27.6.2019, una richiesta di accedere al sito per rimuovere i rifiuti metallici ivi presenti, con accertamento, tuttavia, in data 4 agosto del 2019, dello svolgimento, ivi, di attività lavorativa; oltre che con la precisazione, da parte dell’amministratore giudiziario, funzionale a sconfessare la tesi difensiva dei ricorrenti di essere stati in tal senso autorizzati, della assenza del rilascio, da parte del predetto, di ogni tipo di autorizzazione al riguardo. Altro teste, inoltre, come si legge in sentenza, ha precisato che nonostante il sequestro, lavorazioni erano in corso sul piazzale. E in proposito, questa precisazione, riguardante, lo si ripete, lavorazioni svolte sul piazzale, e non nel capannone, è formulata per espressamente confutare, con efficacia, la tesi, riproposta con il motivo in esame, per cui i ricorrenti avrebbero equivocato ritenendo che ad essi fosse precluso solo l’accesso al piazzale e non al capannone. Senza che nulla si opponga al riguardo nel ricorso, che ancora una volta opera censure sulla base di omissioni di comodo – inammissibili – in ordine a quanto evidenziato dai giudici. Significativa, al riguardo, è anche l’ulteriore precisazione per cui i carabinieri, il 14.12.2020, scoprirono al lavoro, su sette automezzi, taluni operai che, significativamente per quanto ora in parola, si diedero alla fuga alla vista degli operanti.

Quanto poi, alla specifica posizione di Ducci e alla aggravante contestata, che non sarebbe estensibile al medesimo, deve rilevarsi che a fronte di esplicita richiesta di gravame formulata in tal senso, la Corte di appello non ha fornito puntuali e chiare risposte, con conseguente necessario annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla aggravante riconosciuta a carico di Ducci. In proposito, si rammenta che in tema di violazione di sigilli, la circostanza aggravante della qualità di custode, di cui al comma secondo dell’art. 349 cod. pen., si comunica ai concorrenti nel reato che siano a conoscenza o ignorino colpevolmente tale qualità, non rientrando la stessa tra quelle circostanze soggettive da valutarsi soltanto con riguardo alla persona cui si riferiscono (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza di merito che ha riconosciuto, ai sensi dell’art. 59, comma secondo, cod. pen., la responsabilità per il reato in questione della moglie del custode di opera edilizia sequestrata, in quanto comproprietaria dell’opera dove per lungo tempo si erano protratti i lavori abusivi, nonchè coniuge convivente di quest’ultimo). (Sez. 3, n. 2283 del 24/11/2017, dep. 2018, Rv. 272358 – 01)

2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che debba essere annullata la sentenza impugnata limitatamente alla aggravante applicata a Ducci con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Con inammissibilità nel resto del ricorso di Ducci.

Dichiara altresì inammissibile il ricorso di Ducci, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che l’impugnazione sia stata presentata senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. La liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità in favore delle parti civili non è dovuta, perché esse non hanno fornito alcun contributo, essendosi limitate a richiedere la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, od il suo rigetto, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti (si tratta di principio più ampiamente illustrato in Sez. U, n. 877 del 14/07/2022 Cc. (dep. 12/01/2023 ) Rv. 283886 – 01 e che si ritiene applicarsi anche nel caso concreto connotato dalla sostanziale inerzia della parte civile, come tale non remunerabile).

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata nei confronti di Ducci limitatamente all’applicabilità dell’aggravante di cui all’art. 349 comma secondo c. p. con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di Ducci.

Dichiara inammissibile il ricorso di Ducci che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2025

 

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