DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Permesso di costruire – Legittimità/illegittimità dell’atto amministrativo – Poteri del giudice penale – Tutela sostanziale del territorio – Parametro di legalità – Artt. 12 e 13, d.P.R. 380/2001 – Abusi edilizi – Permesso di costruire illegittimo per contrasto con diverse disposizioni del Piano Territoriale Paesistico – Presupposti per la configurabilità del di reato urbanistico – Esecuzione di lavori “sine titulo” – Sanzioni penali – Giurisprudenza.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 10 Settembre 2019
Numero: 37475
Data di udienza: 13 Giugno 2019
Presidente: RAMACCI
Estensore: REYNAUD
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Permesso di costruire – Legittimità/illegittimità dell’atto amministrativo – Poteri del giudice penale – Tutela sostanziale del territorio – Parametro di legalità – Artt. 12 e 13, d.P.R. 380/2001 – Abusi edilizi – Permesso di costruire illegittimo per contrasto con diverse disposizioni del Piano Territoriale Paesistico – Presupposti per la configurabilità del di reato urbanistico – Esecuzione di lavori “sine titulo” – Sanzioni penali – Giurisprudenza.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 10/09/2019 (Ud. 13/06/2019), Sentenza n.37475
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Permesso di costruire – Legittimità/illegittimità dell’atto amministrativo – Poteri del giudice penale – Tutela sostanziale del territorio – Parametro di legalità – Artt. 12 e 13, d.P.R. 380/2001.
In materia urbanistica, il giudice penale può conoscere della legittimità dell’atto amministrativo che costituisca oggetto della fattispecie incriminatrice se tale potere trova fondamento e giustificazione nell’ambito della interpretazione ermeneutica della norma penale, qualora la legittimità/illegittimità dell’atto si presenti come elemento essenziale della fattispecie criminosa (cfr. Sez. U., n. 3 del 31/01/1987, Giordano), ciò che certamente avviene nel caso del reato urbanistico in esame, che ha di mira la tutela sostanziale del territorio, il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente (Cass. Sez. U., n. 11635 del 12/11/1993, Borgia). Posto, dunque, che il permesso di costruire deve essere rilasciato «in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente» (art. 12, comma 1, d.P.R. 380/2001, ribadito dal successivo art. 13, comma 1, d.P.R. 380/2001), laddove il provvedimento amministrativo, pur formalmente rilasciato, sia irrimediabilmente viziato per contrasto con il modello legale, tale da risolversi in una mera apparenza, ai fini dell’applicazione della disposizione penale lo stesso dev’essere considerato mancante e questa valutazione non viola il principio di legalità vigente in materia penale, né, fatta salva la necessità di accertare l’elemento soggettivo, quello di colpevolezza.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Abusi edilizi – Permesso di costruire illegittimo per contrasto con diverse disposizioni del Piano Territoriale Paesistico – Presupposti per la configurabilità del di reato urbanistico – Esecuzione di lavori “sine titulo” – Sanzioni penali – Giurisprudenza.
La macroscopica illegittimità del permesso di costruire non costituisce una condizione essenziale per l’oggettiva configurabilità del reato, ma rileva soltanto con riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo di fattispecie, rappresentando un significativo indice sintomatico della sussistenza della colpa richiesta per l’integrazione del reato. Pertanto, ai fini della configurabilità delle ipotesi di reato previste nelle lettere b) e c) dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non possono ritenersi realizzate in “assenza” di permesso di costruire le opere eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo meramente illegittimo, ma non illecito o viziato da illegittimità macrocospica tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante. Tale soluzione esclude sia una irragionevole equiparazione interpretativa “in malam partem” tra mancanza “ab origine” dell’atto concessorio e illegittimità dello stesso accertata “ex post”, sia la violazione del principio della responsabilità penale per fatto proprio colpevole (Cass..Sez. 3, n. 7423 del 18/12/2014, dep. 2015, Cervino e aa.) Sicché, la contravvenzione di esecuzione di lavori “sine titulo” sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione (Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice; Sez. 3, n. 49687 del 07/06/2018, Bruno e a.; v. anche Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi).
(annulla con rinvio sentenza del 07/03/2019 del TRIBUNALE DI SALERNO) Pres. RAMACCI, Rel. REYNAUD, Ric. Meola
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 10/09/2019 (Ud. 13/06/2019), Sentenza n.37475SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 10/09/2019 (Ud. 13/06/2019), Sentenza n.37475
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Meola Francesca, nata a Montecorice;
avverso la sentenza del 07/03/2019 del TRIBUNALE DI SALERNO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
udito per la ricorrente il difensore avv. Sergio Perongini, che ha concluso chiedendo l’accoglimento delle conclusioni del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 7 marzo 2019, il Tribunale di Salerno ha respinto l’istanza di riesame proposta da Francesca Meola e volta ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza con cui il g.i.p., convalidando il provvedimento assunto in via d’urgenza dal pubblico ministero, aveva disposto il sequestro preventivo di un immobile ubicato nel Parco nazionale del Cilento, interessato da lavori di ampliamento assentiti con permesso di costruire n. 2 del 17 marzo 2018.
Si era in particolare ravvisato il fumus del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 sul rilievo che il predetto permesso di costruire fosse illegittimo per contrasto con diverse disposizioni del Piano Territoriale Paesistico del Cilento Costiero (d’ora in avanti, PTPCC).
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagata, deducendo, con il primo motivo, violazione della legge processuale e sostanziale per mancanza del fumus del reato ipotizzato, essendo insussistente il vincolo di inedificabilità assoluta ravvisato nel caso di specie dal tribunale, non ricavabile dalle disposizioni di cui agli artt. 8, 9 e 14 PTPCC, che non precludono aumenti volumetrici e non li limitano neppure al 20% della volumetria esistente, essendo tale vincolo operante soltanto per interventi aventi ad oggetto adeguamenti igienico-sanitari e tecnologici.
L’insussistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta emergerebbe inoltre dalle norme tecniche di attuazione del piano urbanistico comunale di Montecorice – approvato con il favorevole parere di tutti gli enti preposti – il cui art. 46 consente sugli edifici esistenti gli interventi previsti dalla legge reg. n. 19/2009 (c.d. Piano Casa) ed il cui art. 53 ammette, nella zona B1 ove si trova l’edificio in questione, aumenti di superficie lorda sino ad un massimo di 30 mq.
3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. per assoluta assenza di motivazione proprio con riguardo al suddetto vincolo di inedificabilità assoluta, affermato assertivamente senza tener conto che il permesso di costruire era stato emanato con il parere favorevole sia della Soprintendenza sia dell’Ente Parco.
4. Con il terzo motivo si deducono violazione dell’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 380/2001, dell’art. 2 cod. pen., degli artt. 3, 25 e 27 Cost. e dell’art. 7 CEDU per essere stato ritenuto il fumus del reato di costruzione senza permesso sul rilievo che lo stesso era stato annullato in sede di autotutela dal Comune, omettendo di considerare che i lavori asseritamente abusivi erano stati eseguiti prima dell’adozione di tale provvedimento, in costanza di permesso valido ed efficace, non trattandosi peraltro di titolo illecito o macroscopicamente illegittimo.
5. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge per mancanza di motivazione in ordine al periculum non essendo stato considerato che l’indagata aveva interrotto i lavori subito dopo l’ordinanza di sospensione degli stessi del 15 gennaio 2019, cui aveva fatto seguito il citato provvedimento di annullamento del permesso di costruire, in tal modo interrompendo volontariamente qualsiasi attività edificatoria.
6. Con memoria contenente motivi aggiunti trasmessa via fax il 6 giugno u.s. la difesa ha addotto motivi aggiunti al primo di ricorso, allegando l’ordinanza con cui il T.A.R. Campania – in via incidentale e cautelare – aveva sospeso l’efficacia del provvedimento comunale di annullamento in sede di autotutela del permesso di costruire impugnato dall’odierna ricorrente, chiarendo che non sussiste in zona alcun divieto assoluto di edificabilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi di ricorso – connessi – sono infondati.
Il Tribunale – pur genericamente parlando di vincolo di inedificabilità assoluta – ha motivatamente chiarito quali sono i plurimi profili di illegittimità del permesso di costruire in questione e le violazioni della disciplina urbanistica, nella specie rilevante ai fini dell’applicazione della legge penale, lamentate dalla ricorrente non sono sussistenti.
Ed invero, contrariamente a quanto osserva l’impugnante, omettendo di considerare la chiarissima dizione delle previsioni del piano pure allegato al ricorso: l’art. 8, lett. a), PTPCC consente, per tutte le zone comprese nel Piano, quanto agli interventi su edifici preesistenti, le sole opere di manutenzione (ordinaria e straordinaria), di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia, parziale ed integrale «senza comportare alcun incremento delle volumetrie esistenti»; in base alle definizioni contenute nel precedente art. 6 PUTCC – richiamate nell’incipit della disposizione in esame – la ristrutturazione edilizia parziale (qual è quella nella specie avvenuta, posto che non vi è stata demolizione del fabbricato preesistente) prevede che si possa «configurare una struttura edilizia in parte difforme dalla precedente, ma nel rispetto dei vincoli planovolumetrici», con ciò ulteriormente attestando il divieto di aumenti di cubatura; – l’art. 9 PTPCC detta più specifiche previsioni per la tutela, tra l’altro, dei litorali marini, prevedendo ulteriori limitazioni per le aree che (come nella specie) ricadano nei 300 metri dalla linea di costa e consentendo che possano ivi effettuarsi interventi «di riqualificazione delle aree e degli edifici esistenti da realizzare secondo progetti esecutivi, finalizzati all’eliminazione degli elementi e delle zone di degrado»; la ricorrente ha richiamato tale previsione, ma, al di là del fatto che il ricorso non argomenta (ed è dunque sul punto generico) che l’intervento oggetto di processo rispondesse a tali caratteristiche e che gli elementi in fatto riferiti nell’ordinanza consentono di escluderlo (non si trattava, invero, di “eliminare elementi di degrado”, bensì di sopraelevare un edificio ad un piano, realizzando un altro piano), l’incipit del citato art 9 richiama il precedente art. 8, con conseguente esclusione dell’aumento di volumetria; – l’art. 14 PTPCC contiene una precisazione di tali norme generali con riguardo alle zone di recupero urbanistico, edilizio e di restauro paesistico ambientale (c.d. R.U.A., nelle quali ricade il fabbricato in questione), prevedendo tra l’altro, con particolare riguardo agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 6, punti 6 e 7, l’ammissibilità di «eventuali ampliamenti per adeguamento igienico-sanitario e tecnologico delle unità abitative con superficie compresa entro i mq. 100», con il limite del 20% per superfici utili sino a 50 mq. e del 10% per superfici utili comprese tra 50 e 100 mq.; – nel caso di specie l’ordinanza impugnata attesta, da un lato, che il notevole ampliamento volumetrico oggetto del permesso di costruire – pari a 249 mc. per una superficie di 99,60 mq. e concretizzatosi nella realizzazione di un intero nuovo piano sull’unico preesistente – non costituiva un mero adeguamento igienico-sanitario e che, in ogni caso, superava i limiti percentuali indicati (in base al non contestato capo d’imputazione provvisoria l’aumento volumetrico è pari a circa il 50% rispetto alla preesistente volumetria di 496,23 mc.).
1.1. Ciò detto quanto alla disciplina del PTPCC, va ulteriormente rilevato come il richiamo agli artt. 46 e 53 delle n.t.a. sia generico e manifestamente infondato.
Posto che la disciplina del PTPCC (v. art. 5) sancisce espressamente la prevalenza delle relative disposizioni, tra l’altro, su quelle urbanistiche comunali e che la previsione è assolutamente in linea con il regime delle fonti di pianificazione quale previsto dalla legge (cfr. art. 143, comma 9, d.lgs. 42 del 2004), l’art. 46 n.t.a. (nella parte in cui consente sugli edifici esistenti l’esecuzione degli interventi di cui alla I.reg. n. 19/2009) va interpretato nel senso che le relative norme sono applicabili ove non in contrasto con il suddetto piano e così pure l’art. 53 n.t.a. (il cui testo non è peraltro neppure stato allegato al ricorso).
2. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
In effetti, la motivazione dell’ordinanza impugnata è sul punto poco perspicua e non del tutto intelligibile. Il fatto che il permesso di costruire in base al quale la ricorrente ha cominciato i lavori sia stato revocato (rectius, annullato) dal Comune in sede di autotutela, se da un lato attesta che l’ente locale si è avveduto dell’illegittimità del titolo, d’altro lato non vale, di per sé solo, a far ritenere integrato il fumus del reato contestato sul rilievo che il permesso è, ex post, risultato mancante.
Suona contraddittorio con l’esito del giudizio di riesame, poi, il rilievo – contenuto a pag. 4 del provvedimento impugnato – secondo cui l’illegittimità del titolo non sarebbe idonea ad integrare il reato ipotizzato, non essendo ravvisabile un’ipotesi di inesistenza dell’atto, con la contraria notazione (contenuta a pag. 5, e che ha fondato il rigetto dell’istanza di riesame), secondo cui, «in ragione delle dedotte molteplici violazioni di legge, dubbi sussistono sulla eventuale buona fede della ricorrente e, conseguentemente, sulla prospettata carenza dell’elemento psicologico».
2.1. Ciò posto, è da rilevare che, in forza dell’art. 325 cod. proc. pen., nei procedimenti relativi a misure cautelari reali il ricorso per cassazione è ammissibile solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Moccaldi e a., Rv. 251616), sicché, con riferimento alla violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., è deducibile soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119), né la sua contraddittorietà.
Trattandosi, peraltro, di motivazione che ha riguardo all’applicazione di norme di diritto, non si tratta di valutare la correttezza delle argomentazioni spese dal giudice di merito, quanto, piuttosto, la conformità a diritto della decisione (Sez. 1, n. 16372 del 20/03/2015, De Gennaro, Rv. 263326; Sez. 3, n. 6174 del 23/10/2014, dep. 2015, Monai, Rv. 264273).
2.2. Da questo punto di vista, reputa il Collegio che la decisione non sia censurabile perché conforme alla disciplina di legge.
Non sussiste, invero, la violazione delle disposizioni penali codicistiche, costituzionali e convenzionali dedotte in ricorso, dovendosi affermare il principio secondo cui, anche a livello di fumus richiesto in sede cautelare reale, non può ritenersi la sussistenza del reato di lavori sine titulo di cui all’art. 44, comma 1, d.P.R. 380 del 2001 per opere realizzate in forza di un permesso di costruire in base al mero rilievo che lo stesso è stato successivamente revocato o annullato in sede amministrativa o giurisdizionale, dovendosi invece accertare se quel titolo potesse considerarsi già in origine tamquam non esset per il suo contrasto con la disciplina normativa e di pianificazione.
Nell’indagine sulla sussistenza del reato urbanistico demandata al giudice penale, cioè, laddove i lavori si siano svolti in base ad un permesso di costruire ritenuto illegittimo, l’attenzione non va focalizzata tanto (o soltanto) sul fatto se il titolo abbia formalmente perduto efficacia in forza di un provvedimento di revoca o annullamento intervenuto prima dello svolgimento dei lavori – non potendosi, in tal caso, evidentemente dubitare della sussistenza della contravvenzione – quanto sulla circostanza se il titolo, pur apparentemente efficace in costanza di esecuzione delle opere, fosse conforme alla disciplina normativa e urbanistica e, dunque, sussistente ai fini dell’esclusione da responsabilità rispetto al reato di costruzione sine titulo.
Secondo una linea interpretativa risalente e ripetutamente ribadita nella giurisprudenza di questa Corte, di fatti, il giudice penale può conoscere della legittimità dell’atto amministrativo che costituisca oggetto della fattispecie incriminatrice se tale potere trova fondamento e giustificazione nell’ambito della interpretazione ermeneutica della norma penale, qualora la legittimità/illegittimità dell’atto si presenti come elemento essenziale della fattispecie criminosa (cfr. Sez. U., n. 3 del 31/01/1987, Giordano), ciò che certamente avviene nel caso del reato urbanistico in esame, che ha di mira la tutela sostanziale del territorio, il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente (Cass. Sez. U., n. 11635 del 12/11/1993, Borgia). Posto, dunque, che il permesso di costruire deve essere rilasciato «in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente» (art. 12, comma 1, d.P.R. 380/2001, ribadito dal successivo art. 13, comma 1, d.P.R. 380/2001), laddove il provvedimento amministrativo, pur formalmente rilasciato, sia irrimediabilmente viziato per contrasto con il modello legale, tale da risolversi in una mera apparenza, ai fini dell’applicazione della disposizione penale lo stesso dev’essere considerato mancante e questa valutazione non viola il principio di legalità vigente in materia penale, né, fatta salva la necessità di accertare l’elemento soggettivo, quello di colpevolezza (cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 6 275565; Sez. 3, n. 49687 del 07/06/2018, Bruno e a., non massimata; Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170).
2.2.1. In tempi meno recenti, questa Corte – proprio decidendo in un procedimento relativo al sequestro preventivo di un immobile costruito in forza di un permesso ritenuto illegittimo – ha affrontato diffusamente il tema, evocato in ricorso, della compatibilità costituzionale della disposizione incriminatrice in parola qualora interpretata nel senso di equiparare il titolo illegittimamente rilasciato a quello mancante. La pronuncia – che la stessa ricorrente invoca, mostrando di condividerla – ha incidentalmente disatteso, dichiarandola manifestamente infondata, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 d.P.R. 380/2001 interpretato nel senso dell’equiparazione tra costruzione senza permesso e costruzione in forza di permesso illegittimo (era stata dedotta la violazione degli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27, primo comma, Cost. per irrazionale equiparazione di situazioni diverse, violazione del principio di stretta legalità penale, violazione del principio di necessaria colpevolezza per l’applicazione di sanzioni penali).
Ripercorrendo le principali tappe della riflessione giurisprudenziale sul tema, la decisione afferma alcuni principi da cui è stata tratta la massima che segue: «ai fini della configurabilità delle ipotesi di reato previste nelle lettere b) e c) dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non possono ritenersi realizzate in “assenza” di permesso di costruire le opere eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo meramente illegittimo, ma non illecito o viziato da illegittimità macrocospica tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante. (In motivazione la Corte ha evidenziato che tale soluzione esclude sia una irragionevole equiparazione interpretativa “in malam partem” tra mancanza “ab origine” dell’atto concessorio e illegittimità dello stesso accertata “ex post”, sia la violazione del principio della responsabilità penale per fatto proprio colpevole)» (Sez. 3, n. 7423 del 18/12/2014, dep. 2015, Cervino e aa ., Rv. 263916). L’articolata motivazione, richiamando i precedenti della giurisprudenza di questa Corte in materia e muovendo dai rilievi sulla questione di legittimità costituzionale sollevata, li disattende nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata e contiene diverse affermazioni di principio che possono essere così sintetizzate:
a) i dubbi di legittimità costituzionale sollevati con riguardo alla tesi interpretativa che, ai fini di cui si discute, equipara il provvedimento illegittimo a quello mancante sono in particolare fugati dalla necessità di verificare in concreto la sussistenza del reato anche con riguardo all’elemento soggettivo;
b) le contravvenzioni urbanistiche tutelano il bene del territorio in conformità alla pianificazione urbanistica e il giudice penale, pur non potendo procedere alla disapplicazione del provvedimento amministrativo, può effettuarne lo scrutinio di legittimità quando esso costituisce elemento oggettivo della norma incriminatrice;
c) il provvedimento va ritenuto mancante (e cioè nullo o inesistente e non solo illegittimo) quando provenga da soggetto in assoluto non titolare del potere di emetterlo, ovvero sia privo dei requisiti essenziali di forma e contenuto;
d) il provvedimento illecito, perché frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia o del privato che lo ottiene, è sempre tamquam non esset e va parificato al provvedimento mancante;
e) pur quando non vi è prova della collusione, tanto che non viene neppure iniziata l’azione penale per altri reati, la macroscopica illegittimità del provvedimento può peraltro indurre a qualificare l’atto in termini di illiceità;
f) il provvedimento non è mai mancante e non origina responsabilità penale quando sia illegittimo perché affetto soltanto da un vizio procedurale.
Il più marcato profilo di novità della decisione – che non a caso ha orientato i redattori nel ricavare la massima sopra riportata e che non è tuttavia inedito nel panorama giurisprudenziale (il riferimento è a Sez. 3, n. 38735 del 11/07/2003, Schrotter e aa., Rv. 226576) – appare essere quello secondo cui, ai fini in parola, sarebbe tuttavia possibile ritenere l’illiceità, in via, per così dire, “presuntiva”, dalla macroscopicità del profilo di illegittimità.
La ricorrente non contesta la correttezza – e compatibilità costituzionale e convenzionale – di questi approdi esegetici, ma rileva come, nella specie, il provvedimento non sarebbe affetto da quelle illegittimità macroscopiche che la citata giurisprudenza reputa indispensabili per poter ritenere sussistente la condotta penalmente rilevante.
2.2.2. La questione posta dalla ricorrente è stata affrontata da questa Corte nelle più recenti pronunce sopra richiamate – alcune delle quali peraltro rese in giudizi cautelari reali analoghi a quello di specie – nelle quali si è affermato, senza ulteriori distinguo, che la contravvenzione di esecuzione di lavori “sine titulo” sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione (Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565; Sez. 3, n. 49687 del 07/06/2018, Bruno e a., non massimata; v. anche Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170). A proposito della macroscopica illegittimità del permesso di costruire, nelle citate sentenze Iodice e Minosi si pone in luce come la decisione resa nel procedimento Cervino, qui evocata dalla ricorrente, non si ponga in contrasto con tale conclusione, avendo la stessa soltanto voluto escludere ogni automatismo tra mera illegittimità del titolo abilitativo e sussistenza del reato urbanistico.
Richiamando quanto argomentato nella sentenza Iodice sulla scorta di un illuminante precedente (v. in motivazione, Sez. 3, n. 21487 del 21/03/2006, Tantillo e a., Rv. 234469), deve dunque qui ribadirsi che la macroscopica illegittimità del permesso di costruire non costituisce una condizione essenziale per l’oggettiva configurabilità del reato (con ciò dovendosi pertanto rilevare l’infondatezza del contrario assunto contenuto in ricorso), ma rileva soltanto con riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo di fattispecie, rappresentando un significativo indice sintomatico della sussistenza della colpa richiesta per l’integrazione del reato.
2.3. Posto che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al “fumus” del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato a condizione che esso emerga “ictu °culi” (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e a., Rv. 266896; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, Di Fulvio, Rv. 240521).
Considerato che l’ordinanza impugnata (pag. 5) attesta come le plurime violazioni degli strumenti urbanistici riscontrate non rendano evidente la buona fede, tenendo conto dei limiti della presente fase cautelare, non può dunque escludersi, nemmeno sotto questo profilo, la sussistenza del fumus del reato ipotizzato.
3. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Premesso che i lavori di edificazione non sono stati completati, l’ordinanza impugnata osserva che il provvedimento di annullamento del permesso di costruire adottato dal Comune, stante anche l’impugnabilità del medesimo, non esclude che i lavori possano proseguire e non può dunque assolvere alla funzione impeditiva propria del sequestro preventivo. Il rilievo è d’indubbia esattezza, come conferma lo sviluppo della vicenda giudiziaria nel caso di specie registratosi: dalla memoria difensiva prodotta dalla ricorrente si apprende, infatti, che, in accoglimento dell’istanza cautelare avanzata con l’impugnazione in sede giurisdizionale del provvedimento di annullamento del permesso di costruire adottato in autotutela, il T.a.r. Campania ha sospeso l’efficacia del predetto atto, sicché la ricorrente, forte dell’esito favorevole della valutazione cautelare compiuta in sede di giustizia amministrativa, ben potrebbe decidere di riprendere i lavori.
Certamente sussistente, dunque, è il periculum che il sequestro mira ad evitare, dovendo peraltro qui incidentalmente osservarsi – in risposta alle considerazioni svolte dalla ricorrente nella richiamata memoria difensiva – che la ratio decidendi del richiamato provvedimento del giudice amministrativo non riposa su un fumus di fondatezza nel merito del ricorso per essere legittimo il permesso di costruire annullato in sede di autotutela (fumus boni iuris che, con riguardo alla possibilità di invocare la I.r. n. 19/2009 e l’art. 53 n.t.a., il T.a.r. ha invece escluso, pur senza affrontare il problema, qui ritenuto dirimente, del contrasto con il PTPCC), bensì sulla sommaria valutazione d’insussistenza delle condizioni di legittimità che, in forza dell’art. 21 nonies I. 241/1990, consentono l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi illegittimi.
Una questione, dunque, irrilevante ai fini penali qui esaminati.
4. Il ricorso, complessivamente infondato, dev’essere pertanto rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 giugno 2019.