RIFIUTI – Utilizzazione delle terre e rocce da scavo – Abbandono o deposito in modo incontrollato rifiuti – Procedura di riutilizzo del “materiale da scavo” – Modalità operative della nuova normativa – Dubbi interpretativi della norma penale – Inevitabilità dell’errore – Limiti – Criteri oggettivi – Artt 192, 256, D.L.vo n.152/2006 – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Scusabilità dell’ignoranza della legge da parte del comune cittadino – Limite di inevitabilità dell’errore – Criterio dell’ordinaria diligenza – Dovere di informazione – Svolgimento di attività professionale.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 11 Luglio 2019
Numero: 30536
Data di udienza: 30 Maggio 2019
Presidente: SARNO
Estensore: CORBETTA
Premassima
RIFIUTI – Utilizzazione delle terre e rocce da scavo – Abbandono o deposito in modo incontrollato rifiuti – Procedura di riutilizzo del “materiale da scavo” – Modalità operative della nuova normativa – Dubbi interpretativi della norma penale – Inevitabilità dell’errore – Limiti – Criteri oggettivi – Artt 192, 256, D.L.vo n.152/2006 – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Scusabilità dell’ignoranza della legge da parte del comune cittadino – Limite di inevitabilità dell’errore – Criterio dell’ordinaria diligenza – Dovere di informazione – Svolgimento di attività professionale.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 11/07/2019 (Ud. 30/05/2019), Sentenza n.30536
RIFIUTI – Utilizzazione delle terre e rocce da scavo – Abbandono o deposito in modo incontrollato rifiuti – Procedura di riutilizzo del “materiale da scavo” – Modalità operative della nuova normativa – Dubbi interpretativi della norma penale – Inevitabilità dell’errore – Limiti – Criteri oggettivi – Artt 192, 256, D.L.vo n.152/2006 – Giurisprudenza.
Integra una situazione di assoluta non conoscibilità del precetto, in base a criteri (c.d. oggettivi puri), l’oscurità del testo legislativo, oppure, un atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari o amministrativi gravemente caotico, ma non può configurasi, certamente, come “ignoranza inevitabile” l’evenienza del tutto normale e ordinaria, che fisiologicamente si riconnette con le incertezze applicative di una legge appena entrata in vigore, ciò che dovrebbe rendere più cauta la condotta dell’agente, il quale, perdurando quell’incertezza, deve astenersi dal compimento di qualsivoglia attività, in attesa di indicazioni certe e affidabili, provenienti da organi qualificati, circa le modalità operative della nuova normativa (Corte costituzionale, sentenza n. 364/1988).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Scusabilità dell’ignoranza della legge da parte del comune cittadino – Limite di inevitabilità dell’errore – Criterio dell’ordinaria diligenza – Dovere di informazione – Svolgimento di attività professionale.
Il limite di inevitabilità dell’errore, per il comune cittadino è sussistente ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154/1994, P.G. in proc. Calzetta). Si è inoltre affermato che l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale; al contrario, il dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino cioè, secondo quanto emerge dalla sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga tale incertezza, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità (Sez. 5, n. 2506 del 24/11/2016 – dep. 18/01/2017, Incardona).
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 28/06/2018 della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE) Pres. SARNO, Rel. CORBETTA, Ric. Toparelli
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 11/07/2019 (Ud. 30/05/2019), Sentenza n.30536SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 11/07/2019 (Ud. 30/05/2019), Sentenza n.30536
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Toparelli A.;
avverso la sentenza del 28/06/2018 della Corte di appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore dell’imputato, avv. Pier Nicola Badiani del foro di Prato, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia resa dal Tribunale di Prato e appellata dagli imputati, che aveva assolto Andrea Toparelli e Silvano Pacini, non ricorrente, dal reato di cui agli artt. 256, comma 2, in relazione all’art. 192, comma 1, e 256, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 152 del 2006, ravvisando la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. In particolare, agli imputati – nella rispettiva qualità il Pacini di legale rappresentate dell’Azienda Agricola Pacini Silvano, di Silvano, Federico, e Nicola, quale impresa committente, il Toparelli quale legale rappresentante della La Prato Scavi srl, impresa alla quale erano attribuibili gli scarichi del materiale – era contestato di aver abbandonato e comunque depositato in modo incontrollato rifiuti in violazione dell’art. 192, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, senza rispettare la procedura di riutilizzo del “materiale da scavo” prevista dall’art. 41 bis I. n. 98 del 2013, che ha introdotto deroghe al regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo di cui al d.m. 10/08/2012, n. 161.
Fatto accertato il 03/09/2013.
2. Avverso l’indicata sentenza, Andrea Toparelli, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a un motivo, con cui deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen..
Assume il ricorrente che la motivazione sarebbe illogica, laddove ha ravvisato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, senza considerare la situazione di incertezza giuridica e interpretativa – rilevante ai sensi dell’art. 5 cod. pen., come risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988 – che ha caratterizzato la vicenda in esame; al tal proposito, il ricorrente evidenzia che la procedura da eseguire per il riutilizzo del materiale da scavo era regolata dall’art. 41 bis d.l. n. 29 del 2013, vigente dal 22/06/2013, convertito in I. n. 98 del 2013, pubblicata sulla G.U. del 28/09/2013, e che l’Arpat aveva pubblicato solo il 27/09/2013 le modalità della nuova procedura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va anzitutto chiarito che l’art. 41 bis d.l. 21/06/2013, n. 69, rubricato “ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo”, è stato introdotto, in sede di conversione, dalla I. 09/08/2013, n. 98, ed è entrato in vigore 22/08/2013; i fatti per cui è processo sono stati accertati il 13/09/2013. 3.
3. Ciò posto, va ricordato che l’errore che cade sulla fattispecie incriminatrice ha efficacia scusante, ai sensi dell’art. 5 cod. pen. come risultante dalla sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte costituzionale, solo nel caso in cui l’ignoranza della legge penale sia inevitabile, situazione che certamente non ricorre nel caso di specie.
Va, anzitutto, chiarito che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 364 del 1988, al § 27 ha chiarito che “l’inevitabilità dell’errore sul divieto va misurata secondo criteri oggettivi: ed anzitutto in base a criteri (c.d. oggettivi puri) secondo i quali l’errore sul precetto è inevitabile nei casi d’impossibilità di conoscenza della legge penale da parte d’ogni consociato. Tali casi attengono, per lo più, alla (oggettiva) mancanza di riconoscibilità della disposizione normativa (ad es. assoluta oscurità del testo legislativo) oppure ad un gravemente caotico (la misura di tale gravità va apprezzata anche in relazione ai diversi tipi di reato) atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari ecc. La spersonalizzazione che un giudizio formulato alla stregua di criteri oggéttivi puri necessariamente comporta va, tuttavia, compensata, secondo quanto innanzi avvertito, dall’esame di eventuali, particolari conoscenze ed “abilità” possedute dal singolo agente: queste ultime, consentendo all’autore del reato di cogliere i contenuti ed il significato determinativo della legge penale escludono che l’ignoranza della legge penale vada qualificata come inevitabile”. Ancora, la Corte costituzionale (al § 28) ha altresì precisato che “in evitabile, rimproverabile ignoranza della legge penale versa chi, professionalmente inserito in un determinato campo d’attività, non s’informa sulle leggi penali disciplinanti lo stesso campo”.
4. Nel solco tracciato dalla sentenza n. 364 del 1998, questa Corte, nel suo più alto consesso, ha affermato, a proposito dei limiti di tale inevitabilità, che per il comune cittadino, tale condizione è sussistente ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994 – dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv. 197885). Si è inoltre affermato che l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale; al contrario, il dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino cioè, secondo quanto emerge dalla sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga tale incertezza, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza’ dell’illiceità (Sez. 5, n. 2506 del 24/11/2016 – dep. 18/01/2017, Incardona, Rv. 269074).
5. Nel caso di specie, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi evocati, ravvisando la culpa levis in capo all’imputato, nella veste di legale rappresentante della società addetta allo smaltimento dei rifiuti.
Invero, a fondamento dell’inevitabilità dell’errore, il ricorrente non ha dedotto una circostanza che, come indicato dalla Corte costituzionale, integra una situazione di assoluta non conoscibilità del precetto – quale l’oscurità del testo legislativo oppure un atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari o amministrativi gravemente caotico – bensì un’evenienza del tutto normale e ordinaria, che fisiologicamente si riconnette con le incertezze applicative di una legge appena entrata in vigore, ciò che, appunto, avrebbe dovuto rendere più cauta la condotta dell’agente, il quale, perdurando quell’incertezza, avrebbe dovuto astenersi dal compimento di qualsivoglia attività, in attesa di indicazioni certe e affidabili, provenienti da organi qualificati, circa le modalità operative della nuova normativa.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. 7. L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266), formula che prevarrebbe sulla causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., in quanto la prima, estinguendo il reato, rappresenta un esito più favorevole per l’imputato, mentre la seconda lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialità storica e giuridica (Sez. 6, n. 11040 del 27/01/2016 – dep. 16/03/2016, Calabrese, Rv. 266505).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 30/05/2019.