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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 4977 | Data di udienza: 12 Gennaio 2022

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Prosecuzione dei lavori di edificazione di un immobile abusivo – Mantenimento sequestro del manufatto e dell’area – Attualità e concretezza del pericolo di prosecuzione della condotta – La permanenza del reato urbanistico – Inizio e cessazione – Decorrenza dei termini di prescrizione – Dati obiettivi ed univoci – Cause volontarie o imposte – Artt. 44, lett. c, 83 e segg., 64-71 d.P.R. n.308/2001 – Art. 181 d.lgs. n. 42/2004.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 11 Febbraio 2022
Numero: 4977
Data di udienza: 12 Gennaio 2022
Presidente: RAMACCI
Estensore: CERRONI


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Prosecuzione dei lavori di edificazione di un immobile abusivo – Mantenimento sequestro del manufatto e dell’area – Attualità e concretezza del pericolo di prosecuzione della condotta – La permanenza del reato urbanistico – Inizio e cessazione – Decorrenza dei termini di prescrizione – Dati obiettivi ed univoci – Cause volontarie o imposte – Artt. 44, lett. c, 83 e segg., 64-71 d.P.R. n.308/2001 – Art. 181 d.lgs. n. 42/2004.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^, 11 febbraio 2022 (Ud. 12/01/2022), Sentenza n.4977

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Prosecuzione dei lavori di edificazione di un immobile abusivo – Mantenimento sequestro del manufatto e dell’area – Attualità e concretezza del pericolo di prosecuzione della condotta – Artt. 44, lett. c, 83 e segg., 64-71 d.P.R. n.308/2001 – Art. 181 d.lgs. n. 42/2004.

In tema di reati edilizi, ai fini cautelari non può esservi alcuna equiparazione tra opere ultimate e opere la cui realizzazione viene interrotta dal sequestro. L’equiparazione rileva solamente ai fini della decorrenza dei termini di prescrizione, e non certamente ai fini della cautela. Pertanto, l’esigenza di impedire la prosecuzione dei lavori di edificazione di un immobile abusivo ancora in corso è, di per sé, condizione sufficiente per disporre e mantenere il sequestro preventivo del manufatto e dell’area ove esso insiste, indipendentemente dalla natura e dalla entità degli interventi ancora da eseguire per ultimarlo. Nella specie, le opere erano in corso di ultimazione ed in atto la prosecuzione dell’intervento, in difetto del sequestro, determinando un evidente aggravamento delle conseguenze della condotta illecita, in area paesaggisticamente vincolata.

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – La permanenza del reato urbanistico – Inizio e cessazione – Decorrenza dei termini di prescrizione – Dati obiettivi ed univoci – Cause volontarie o imposte.

La permanenza del reato urbanistico cessa con l’ultimazione dei lavori del manufatto, comprese le rifiniture, ovvero al momento della desistenza definitiva dagli stessi, da dimostrare in base a dati obiettivi ed univoci. Detta permanenza in tal modo termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l’accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado.

(dich. inammissibile il ricorso avverso ordinanza del 16/09/2021 del TRIBUNALE DI ROMA) Pres. RAMACCI, Rel. CERRONI, Ric. Okshtuni


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^, 11/02/2022 (Ud. 12/01/2022), Sentenza n.4977

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da Okshtuni Arben, nato in Albania;

avverso l’ordinanza del 16/09/2021 del TRIBUNALE DI ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Filippi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16 settembre 2021 il Tribunale di Roma, quale Giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha confermato il decreto del 6 agosto 2021 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli, in forza del quale era stato disposto il sequestro preventivo di un immobile di tre piani in Zagarolo su area di proprietà di Arben Okshtuni, indagato per i reati di cui agli artt. 44, lett. c, 83 e segg., 64-71 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nonché 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione articolato su un motivo di impugnazione, quanto alla dedotta insussistenza del periculum in mora.

2.1. In particolare, contestato l’automatismo tra violazione di norme urbanistiche e pericolo per il bene paesaggistico, ai fini della legittima adozione del sequestro occorreva un quid pluris di cui doveva darsi conto, mentre andava confermata l’equiparazione tra ultimazione dei lavori e loro interruzione, ai fini dell’integrazione del reato e della contestuale lesione del bene giuridico tutelato.

Ben diverso era pertanto il caso che i lavori potessero continuare, rispetto all’ipotesi in cui fossero comunque cessati.

In ogni caso era stato contestato che il ricorrente avesse la disponibilità del bene, attesa l’adozione – da parte dell’Amministrazione comunale – di provvedimento di sospensione dei lavori e di demolizione del manufatto. Ciò posto, la nomina del ricorrente come custode avrebbe dovuto comportare l’insussistenza di quadro cautelare idoneo al mantenimento della misura ablatoria.

3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1. In relazione ai profili di censura azionati, l’ordinanza impugnata non presenta vizio di sorta.

In specie, il provvedimento censurato ha dato atto che le opere erano in corso di ultimazione, in difetto di permesso di costruire e in zona gravata da vincolo paesaggistico.

4.1.1. Ciò premesso, come è stato correttamente rilevato dall’ordinanza impugnata, non può anzitutto esservi alcuna equiparazione, ai fini cautelari, tra opere ultimate e opere la cui realizzazione viene – in tesi – interrotta dal sequestro.

A questo proposito, infatti, è la permanenza del reato urbanistico che cessa con l’ultimazione dei lavori del manufatto, in essa comprese le rifiniture, ovvero al momento della desistenza definitiva dagli stessi, da dimostrare in base a dati obiettivi ed univoci (Sez. 3, n. 13607 del 08/02/2019, Martina, Rv. 275900).

Detta permanenza in tal modo termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l’accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado (Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014, Sullo, Rv. 260498). L’equiparazione, pertanto, rileva solamente ai fini della decorrenza dei termini di prescrizione, e non certamente ai fini della cautela. Invero, come è stato opportunamente ricordato dal Tribunale del riesame, in tema di reati edilizi l’esigenza di impedire la prosecuzione dei lavori di edificazione di un immobile abusivo ancora in corso è, di per sé, condizione sufficiente per disporre e mantenere il sequestro preventivo del manufatto e dell’area ove esso insiste, indipendentemente dalla natura e dalla entità degli interventi ancora da eseguire per ultimarlo (era stato così ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un manufatto, non ancora ultimato, realizzato senza titolo abilitativo in area paesaggisticamente vincolata, sottoposta alla normativa di prevenzione del rischio sismico e gravata da uso civico)(Sez. 3, n. 49220 del 06/11/2014, Santovito, Rv. 261215; Sez. 3, n. 38216 del 28/09/2011, Mastrantonio, Rv. 251302).

4.1.2. Vero è, quanto alla doglianza azionata dal ricorrente, che la permanenza del reato di edificazione abusiva cessa a seguito dell’interruzione dei lavori conseguente all’ordine di sospensione emanato dall’autorità comunale (anche ove tale ordine sia divenuto successivamente inefficace perché non seguito, nel termine previsto dalla normativa, dal sequestro amministrativo dell’opera abusiva)(Sez. 3, n. 49990 del 04/11/2015, Quartieri e altri, Rv. 265626). Al contempo è stato decisivamente osservato che la valutazione circa la cessazione della permanenza conseguente all’osservanza dell’ordine di sospensione costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sottratto, in presenza di motivazione, al sindacato di legittimità (era stato così respinto il ricorso del Pubblico ministero avverso il diniego di sequestro preventivo, motivato dal giudice con l’assenza di attualità e concretezza del pericolo cautelare per effetto dell’ottemperanza all’ordine di sospensione e del conseguente esaurimento della condotta criminosa)(Sez. 3, n. 14501 del 07/12/2016, dep. 2017, Rocchio, Rv. 269325).

4.1.3. Al riguardo, né in questa sede possono rivalutarsi gli accertamenti e le valutazioni oggetto dei giudizi di merito, l’ordinanza del Tribunale ha appunto osservato che le opere erano in corso di ultimazione ed in atto (v. supra, come ammesso anche dalla difesa che aveva invece operato la ricordata, e infondata, equiparazione tra opere ultimate e opere la cui realizzazione era stata interrotta dal sequestro), e che la prosecuzione dell’intervento, in difetto del sequestro, avrebbe determinato evidente aggravamento delle conseguenze della condotta illecita.

4.1.4. In definitiva, quindi, alcun positivo accertamento risulta essere intervenuto quanto all’eventuale, e neppure dedotta, ottemperanza all’ordine amministrativo di sospensione dei lavori.

4.1.5. Alla stregua dei rilievi che precedono, quindi, l’impugnazione siccome proposta deve considerarsi manifestamente infondata.

5. Ne consegue pertanto l’inammissibilità del ricorso.

5.1. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 12/01/2022

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