ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Immissione nella pubblica fognatura di di prodotti farmaceutici – Violazione delle prescrizioni dell’A.I.A. – Responsabile dell’impianto di depurazione – Ente gestore del servizio idrico – Ambito di applicazione dell’art. 29-quaterdecies d.lgs n.152/2006 – VIA VAS AIA – Violazione dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) o di quelle imposte dall’autorità competente – Valutazione della condotta – Emissione nell’ambiente in violazione dei valori limite – corpi idrici ed aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano – Criterio gradualista – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sospensione condizionale – Pregiudizio addotto dall’interessato – Riserva del beneficio ad eventuali condanne a pene più gravi – Esclusione.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 11 Maggio 2021
Numero: 18145
Data di udienza: 10 Marzo 2021
Presidente: LAPALORCIA
Estensore: CORBETTA
Premassima
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Immissione nella pubblica fognatura di di prodotti farmaceutici – Violazione delle prescrizioni dell’A.I.A. – Responsabile dell’impianto di depurazione – Ente gestore del servizio idrico – Ambito di applicazione dell’art. 29-quaterdecies d.lgs n.152/2006 – VIA VAS AIA – Violazione dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) o di quelle imposte dall’autorità competente – Valutazione della condotta – Emissione nell’ambiente in violazione dei valori limite – corpi idrici ed aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano – Criterio gradualista – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sospensione condizionale – Pregiudizio addotto dall’interessato – Riserva del beneficio ad eventuali condanne a pene più gravi – Esclusione.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 11 maggio 2021 (Ud. 10/03/2021), Sentenza n.18145
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Immissione nella pubblica fognatura di di prodotti farmaceutici – Violazione delle prescrizioni dell’A.I.A. – Responsabile dell’impianto di depurazione – Ente gestore del servizio idrico – Ambito di applicazione dell’art. 29-quaterdecies d.lgs n.152/2006.
In tema di inquinamento idrico, per emissione si intende “lo scarico diretto o indiretto, da fonti puntiformi o diffuse dell’impianto, opera o infrastruttura, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore, agenti fisici o chimici, radiazioni, nell’aria, nell’acqua ovvero nel suolo”. Si tratta, di una definizione che estende l’ambito di operatività della disposizione applicabile per qualsiasi scarico, anche indiretto, nelle tre matrici ambientali considerate: aria, acque e suolo. Inoltre, va richiamata, la nozione di scarico, che l’art. 74, comma 1, lett. ff), così definisce “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”. Sicché, l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 3, lett. a), è applicabile agli scarichi in acque, sussistendo il reato, ovviamente, in presenza delle ulteriori condizioni richieste dalla legge, ossia la violazione dei valori limite, rilevata durante i controlli previsti nell’autorizzazione o nel corso di ispezioni di cui all’art. 29-decies, commi 4 e 7, ed a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell’autorizzazione stessa. Nella specie, è stata ravvisata la violazione dell’art.29-quattuordecies, comma 3, lett. a), in considerazione sul superamento dei valori limite di emissione in relazione ai tensiottivi e al MMiTD fissati dall’A.I.A..
VIA VAS AIA – Violazione dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) o di quelle imposte dall’autorità competente – Valutazione della condotta – Emissione nell’ambiente in violazione dei valori limite – corpi idrici ed aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano – Criterio gradualista.
In linea generale, l’inosservanza delle prescrizioni dell’A.I.A. o di quelle imposte dall’autorità competente configura un mero illecito amministrativo, a meno che tale violazione ricada in una delle specifiche previsioni alternativamente previste dal comma 3 ovvero dal comma 4, dell’art. 29-quaterdecies d.lgs n.152/2006, il che integra un illecito penale di natura contravvenzionale. Difatti, a seguito delle modifiche apportate all’art. 29-quattuordecies d.lgs. 3 aprile 2006, n. 156, dal d.lgs. 4 marzo 2014, n. 46, la condotta di chi, essendo in possesso dell’A.I.A., non ne osserva le prescrizioni, è depenalizzata e costituisce illecito amministrativo, quando attiene a violazioni diverse da quelle previste dai commi terzo e quarto della medesima disposizione; per altro verso, le contravvenzioni previste dall’art. 29 quattuordecies, comma 3, lett. a) e c), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che sanzionano la violazione dell’autorizzazione integrata ambientale, costituiscono autonome ipotesi di reato, in quanto la prima riguarda ogni caso di emissione nell’ambiente in violazione dei valori limite rilevata durante i controlli previsti nel provvedimento autorizzativo o nel corso di ispezioni, mentre la seconda concerne soltanto gli scarichi idrici recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’art. 94 del medesimo d.lgs. oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa, indipendentemente dal fatto che gli stessi superino i valori limite predeterminati. Va precisato, inoltre, che, ai fini della sussistenza del reato è irrilevante che le sostanze oggetto di scarico in misura superiore alle prescrizioni dell’A.I.A. siano il prodotto del ciclo produttivo industriale ovvero siano smaltite per conto terzi; invero, i parametri sopra indicati devono essere rispettati in relazione alla concentrazione delle singole sostanze oggetto di scarico, a prescindere dalla loro provenienza.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sospensione condizionale – Pregiudizio addotto dall’interessato – Riserva del beneficio ad eventuali condanne a pene più gravi – Esclusione.
La sospensione condizionale non può risolversi in un pregiudizio per l’imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena; l’interesse all’impugnazione, condizionante l’ammissibilità del ricorso, si configura pertanto tutte le volte in cui il provvedimento di concessione del beneficio sia idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e la sua eliminazione consenta il conseguimento di una situazione giuridica più vantaggiosa. Il pregiudizio addotto dall’interessato, tuttavia, in tanto è rilevante in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella “individualizzazione” della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato. In applicazione del principio è stato escluso che possa assumere rilevanza giuridica la mera possibilità di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi, trattandosi di valutazione di opportunità del tutto soggettiva e per giunta eventuale, e comunque in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale, e quindi di ravvedimento, imposta dall’art. 164, comma 1, cod. pen. per la concessione del beneficio medesimo. Coerentemente con questa impostazione, si è perciò ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna alla pena pecuniaria condizionalmente sospesa, con il quale l’imputato chiede revocarsi il beneficio allo scopo di preservarlo per eventuali future condanne, trattandosi di un interesse non giuridicamente qualificato e che, quindi, non può considerarsi meritevole di tutela.
(rigetta il ricorso avverso sentenza del 23/09/2020 del TRIBUNALE DI MONZA) Pres. LAPALORCIA, Rel. CORBETTA, Ric. Maroni
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 11/05/2021 (Ud. 10/03/2021), Sentenza n.18145SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Maroni Stefano, nato a Lecco;
avverso la sentenza del 23/09/2020 del TRIBUNALE DI MONZA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Valentina Manuali, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
lette le note scritte del difensore, avv. Pierluigi Varischi del foro di Milano, che insiste per raccoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Monza condannava Stefano Maroni alla pena di 5.000 euro di ammenda, con i doppi benefici di legge, in relazione al reato di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006, per non aver osservato, nella sua qualità di “procuratore nominato responsabile ecologia ed ambiente della Dofbar s.p.a.”, relativamente allo stabilimento di Vimercate, via Marzabotto n. 7/9, nell’ambito di un’attività, tra l’altro, di smaltimento mediante trattamento di rifiuti speciali allo stato liquido, le prescrizioni imposte al punto E.2.1. dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (d’ora in avanti A.I.A.), Disposizione Dirigenziale n. 1824 del 18 giugno 2013; in particolare, nell’effettuazione dello scarico in pubblica fognature delle acque reflue industriali dello stabilimento, violava i valori limite di emissione imposti dall’A.I.A. relativamente alle seguenti sostanze: a) Tensioattivi totali: concentrazione accertata 7,9 mg/l, limite prescritto 4 mg/l; b) M.MtTD (2-metil5-metiltio-1,3,4-tiodiazolo) concentrazione accertata 41 mg/l, limite prescritto 20 mg/l. Il Tribunale assolveva l’imputato dal reato di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 152 del 2006 perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per ca,ssazione, affidato a tre motivi due.
2.1. Con i primi due motivi, esposti congiuntamente, si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 29-quattuordecies, commi 2 e 3, lett. a) d.lgs. n. 152 del 2006. Dopo aver richiamato le definizioni di “emissione” e di “valori limite di emissione”, di cui all’art. 5, comma 1, lett. i-septies, e lett. i-octies, d.lgs. n. 152 del 2006, il ricorrente, valorizzando un passo della motivazione della sentenza di questa Corte, Sez. 3 n. 24797 del 13/02/2019, argomenta che, nel caso di scariche di acque reflue industriali, l’inosservanza delle prescrizioni rileva penalmente solo nell’ipotesi del comma 3, lett. c) e del comma 4 dell’art. 29 -quattuordecies d.lgs. n. 152 del 2006; in particolare, il comma 4, laddove, nel richiamare le condotte di cui al precedente comma 3, dispone un aumento di pena “per i casi in cui il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei lavori limite di qualità dell’aria”, confermerebbe che il comma 3 si riferisca alle sole emissioni in atmosfera, e non anche agli scarichi.
Aggiunge il ricorrente che il disvalore penale è tutto improntato sull’inosservanza delle prescrizioni, le quali, a loro volta, sono indirizzate dall’Autorità competente su uno specifico contesto “emissivo” da cui non ci si può disallineare, così imbattendosi nell’errore, che avrebbe commesso il Tribunale, di ritenere una stessa condotta come, alternativamente, ascrivibile alla gestione dei rifiuti e allo scarico delle acque, e considerando che dal 2014 non è più possibile una generica contestazione di violazione dell’A.I.A., prova ne è che in giurisprudenza è stata riconosciuta la depenalizzazione della condotte attribuite a un soggetto, titolare di A.I.A., di superamento dei valori limite di emissioni contenuti nella tabella 3, Allegato 5, Parte terza: Ad avviso del ricorrente, quindi, il superamento dei limiti delle sostanze in esame non ha rilevanza penale perché il fatto costituisce illecito amministrativo, anche considerando che la sostanza M.mtTD non è contemplata da alcuna tabella del d.lgs. n. 152 del 2006, da cui discente il mero valore di indirizzo del rispetto del limite. In ogni caso, la motivazione del Tribunale non sarebbe convincente, non spiegando perché il valore guida sarebbe stato indicato con metodo statistico e perché l’autorità competente, una volta individuato il limite, non ne disponga il rispetto quale valore “soglia” e, in ogni caso, non essendo previsto alcun parametro di “tolleranza, frequenza ed entità”, ciò che determinerebbe l’insussistenza della prevista scriminante.
Sotto altro profilo, la motivazione sarebbe illogica, laddove il Tribunale afferma, per un verso, la sussistenza del reato di cui alla lett. a) dell’art. 29- quattuordecíes, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, e, per altro verso, con riguardo alla fattispecie di cui al capo b), come non sia possibile distinguere, riguardo alle sostanze chimiche rinvenute nella acque sversate dalla Dofbar nella pubblica fognature, tra quelle prodotte dall’azienda nel proprio ciclo di lavorazione, da qualificarsi come “scarico”, e quelle provenienti da altre ditte e scaricate “per conto terzi”, e quindi da qualificarsi come rifiuto.
Il Tribunale avrebbe poi errato nel qualificare il rapporto di specialità tra la previsione del comma 2 e quella del comma 3 dell’art. 29-quattuordecies d.lgs. n. 152 del 2006, posto che l’inosservanza dei valori di cui alle tabelle di legge sono già sanzionati amministrativamente e non possono essere “convertiti” in, fattispecie penale solo perché l’A.I.A. richiami gli stessi limiti.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’applicazione ex officio del beneficio della sospensione condizionale della pena. Evidenzia il ricorrente che il Tribunale non ha motivato in ordine all’utilità della concessione del beneficio rispetto al contrario interesse a non goderne, ciò che integra il denunciato vizio di motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Quanto ai primi due motivi, il ricorrente non muove alcuna censura in ordine alla sussistenza dei fatti, che il Tribunale ha così ricostruito.
In data 11 dicembre 2015, il responsabile dell’impianto di depurazione di Vimercate segnalò all’ente gestore del servizio idrico nel territorio di Monza e provincia che nelle acque in entrata al depuratore erano stati rinvenuti tensioattivi, solventi e altre sostanze chimiche, tra cui la piridina, in quantità eccessive. Poiché nelle vicinanze vi è lo stabilimento della Dofbar s.p.a., società specializzata nella produzione di prodotti farmaceutici, i tecnici di BrianzAcque, in data 10 e 11 dicembre 2015, prelevarono due campioni di acque reflue provenienti da tale stabilimento, attingendoli dal pozzetto S3, prima della loro immissione nella pubblica fognatura; dalle analisi di laboratorio risultò che nei campioni prelevati erano presenti tensioattivi e 2-metil-5-metiltio-1,3,4- tiodiazolo in concentrazioni, rispettivamente, di 7,9 mg/l e di 41 mg/l, superiori ai valori limite, pari a 4 mg/l e a 20 mg/l, previsti al punto E.2.1. dell’A.I.A. rilasciata alla Dofbar s.p.a.
3. Ciò premesso, per affrontare le questioni poste dal ricorrente, occorre prendere le mosse dal tenore dell’art. 29-quattuordecies d.lgs. n. 152 del 2006, il quale è stato riscritto dall’art. 7, comma 13, d.lgs. 4 marzo 2014, n. 46 – recante “Attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali” – al fine di graduare le sanzioni comminate per la violazione delle prescrizioni dell’A.I.A. in relazione alla concreta gravità delle trasgressioni.
In particolare, ai fini che qui rilevano, il comma 2, “salvo che il fatto costituisca reato”, configura, in via generale, un mero illecito amministrativo, punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 a 15.000 euro, “nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorità competente”. Il comma 3, prevede, invece, un illecito contravvenzionale, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, punito con la sola pena dell’ammenda, che può estendersi da 5.000 fino a 26.000 euro, “nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorità competente nel caso in cui l’inosservanza: a) sia costituita da violazione dei valori limite di emissione, rilevata durante i controlli previsti nell’autorizzazione o nel corso di ispezioni di cui all’articolo 29-decies, commi 4 e 7, a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell’autorizzazione stessa; b) sia relativa alla gestione di rifiuti, c) sia relativa a scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa”.
E’ perciò evidente come il legislatore abbia previsto un sistema punitivo a gradualità crescente, nel senso che, in linea generale, l’inosservanza delle prescrizioni dell’A.I.A. o di quelle imposte dall’autorità competente configura un mero illecito amministrativo, a meno che tale violazione ricada in una delle specifiche previsioni alternativamente previste dal comma 3 ovvero dal comma 4, qui non di interesse, il che integra un illecito penale di natura contravvenzionale. Il criterio gradualista, inoltre, ha guidato il legislatore anche nella scelta della pena per reprimere le violazioni rispettivamente disciplinate dai commi 3 e 4, essendo comminata per le prime, ritenute meno gravi, la sola pena pecuniaria, mentre per le seconde, implicanti un’offesa maggiore, la pena congiunta.
4. Tale ricostruzione è in linea con quanto da affermato da questa Corte, secondo cui, per un verso, a seguito delle modifiche apportate all’art. 29-quattuordecies d.lgs. 3 aprile 2006, n. 156, dal d.lgs. 4 marzo 2014, n. 46, la condotta di chi, essendo in possesso dell’A.I.A., non ne osserva le prescrizioni, è depenalizzata e costituisce illecito amministrativo, quando attiene a violazioni diverse da quelle previste dai commi terzo e quarto della medesima disposizione (Sez. 3, n. 17056 del 13/12/2018, dep. 18/04/2019, Saraceno, Rv. 275926; Sez. 3, n. 14741 del 11/02/2016, dep. 11/04/2016, Gavioli, Rv. 266397); per altro verso, le contravvenzioni previste dall’art. 29 quattuordecies, comma 3, lett. a) e c), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che sanzionano la violazione dell’autorizzazione integrata ambientale, costituiscono autonome ipotesi di reato, in quanto la prima riguarda ogni caso di emissione nell’ambiente in violazione dei valori limite rilevata durante i controlli previsti nel provvedimento autorizzativo o nel corso di ispezioni, mentre la seconda concerne soltanto gli scarichi idrici recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’art. 94 del medesimo d.lgs. oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa, indipendentemente dal fatto che gli stessi superino i valori limite predeterminati (Sez. 3, n. 51480 del 18/09/2018, dep. 14/11/2018, Busisi, Rv. 274209).
5. In relazione, in particolare, alla fattispecie di cui al comma 3, va preliminarmente chiarito che, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, il richiamo alle “emissioni”, contenuto nella lett. a), deve essere letto in relazione alla definizione racchiusa nell’art. 5, comma 1, lett. i-septies), d.lgs. n. 152 del 2006, a tenore della quale per emissione si intende “lo scarico diretto o indiretto, da fonti puntiformi o diffuse dell’impianto, opera o infrastruttura, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore, agenti fisici o chimici, radiazioni, nell’aria, nell’acqua ovvero nel suolo”. Si tratta, conseguentemente, di una definizione che estende l’ambito di operatività della disposizione in esame, applicabile per qualsiasi scarico, anche indiretto, nelle tre matrici ambientali considerate: aria, acque e suolo.
Va richiamata, inoltre, la nozione di scarico, che l’art. 74, comma 1, lett. ff), così definisce “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”.
6. Come si evince dal contenuto letterale delle definizioni appena richiamate, appare di tutta evidenza che l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 3, lett. a), è applicabile agli scarichi in acque, sussistendo il reato, ovviamente, in presenza delle ulteriori condizioni richieste dalla legge, ossia la violazione dei valori limite, rilevata durante i controlli previsti nell’autorizzazione o nel corso di ispezioni di cui all’art. 29-decies, commi 4 e 7, ed a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell’autorizzazione stessa.
7. Nel caso in esame, correttamente è stata ravvisata la violazione dell’art.29-quattuordecies, comma 3, lett. a), in considerazione sul superamento dei valori limite di emissione in relazione ai tensiottivi e al MMiTD fissati dall’A.I.A. Va ricordato, infatti, che ai sensi dell’art. 29-sexies, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, “l’autorizzazione integrata ambientale deve includere valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti, in particolare quelle dell’allegato X alla Parte Seconda, che possono essere emesse dall’installazione interessata in quantità significativa, in considerazione della loro natura e delle loro potenzialità di trasferimento dell’inquinamento da un elemento ambientale all’altro, acqua, aria e suolo”; la stessa disposizione precisa inoltre che “i valori limite di emissione fissati nelle autorizzazioni integrate ambientali non possono comunque essere meno rigorosi di quelli fissati dalla normativa vigente nel territorio in cui è ubicata l’installazione. Se del caso i valori limite di emissione possono essere integrati o sostituiti con parametri o misure tecniche equivalenti”.
7.1. Ciò chiarito, quanto ai tensioattivi, al punto E.2.1 dell’A.I.A. si indica il valore limite di 4 mg/l, in linea con quanto stabilito al punto 1.2.1. delle “Prescrizioni generali” dell’Allegato 5 alla parte Terza d.lgs. n. 152 del 2006, a tenore del quale “gli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali, devono essere conformi ai limiti di emissione indicati nella successiva tabella 3”, che, tra le varie sostanze contempla, appunto, i tensioattivi e il relativo limite, che non può superare i 4 mg/l: limite ampiamente superato nel caso in esame, essendo stata accertata una concentrazione quasi doppia di tali sostanze, nella misura di 7,9 mg/l.
7.2. Con riguardo al MMiTD, nel punto E.2.1. dell’A.I.A, al n. XVII), si prescrive di “rispettare il valore guida di 20 mg/l per l’MMiTD”; anche in tal caso, fu rilevata una concentrazione doppia, pari a 41 mg/l.
Non ha pregio la tesi difensiva secondo cui il valore guida avrebbe solo una valenza indicativa; invero, come emerge dall’indicato passo dell’A.I.A., la società era tenuta a rispettare quel valore limite, comunque definito, il che integra il reato contestato anche in relazione alla sostanza in esame, considerando che l’A.I.A, non fissa, in relazione a tale violazione, margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità.
8. Va precisato, inoltre, che, ai fini della sussistenza del reato è irrilevante che le sostanze oggetto di scarico in misura superiore alle prescrizioni dell’A.I.A. siano il prodotto del ciclo produttivo industriale ovvero siano smaltite per conto terzi; invero, i parametri sopra indicati devono essere rispettati in relazione alla concentrazione delle singole sostanze oggetto di scarico, a prescindere dalla loro provenienza.
E’ perciò errata la motivazione, laddove il Tribunale ha valorizzato tale differenza per escludere la sussistenza del reato di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 152 del 2006, con un argomentazione ripresa dalla difesa per sostenere l’insussistenza del reato di cui alla lett. a) in quanto, come affermato dal Tribunale, vi è “un’oggettiva e ormai insuperabile incertezza sul punto”. Invero, l’insussistenza del reato di cui alla lett. b) deriva non già dall’impossibilità di distinguere, riguardo alle sostanze chimiche sversate nella pubblica fognatura, tra quelle prodotte dalla società nel proprio ciclo produttivo e quelle scaricate per conto terzi, bensì dal fatto che si è in presenza di scarichi, e non già di rifiuti. Ciò comporta che l’unica fattispecie applicabile è quella di cui alla lett. a), che, appunto, considera gli scarichi, indipendentemente dall’origine delle sostanze sversate.
9. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
10. Come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la sospensione condizionale non può risolversi in un pregiudizio per l’imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena; l’interesse all’impugnazione, condizionante l’ammissibilità del ricorso, si configura pertanto tutte le volte in cui il provvedimento di concessione del beneficio sia idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e la sua eliminazione consenta il conseguimento di una situazione giuridica più vantaggiosa. Il pregiudizio addotto dall’interessato, tuttavia, in tanto è rilevante in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella “individualizzazione” della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato (Sez. U, n. 6563 del 16/03/1994 – dep. 02/06/1994, Rusconi, Rv. 197535). In applicazione del principio le Sezioni Unite hanno escluso che possa assumere rilevanza giuridica la mera possibilità di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi, trattandosi di valutazione di opportunità del tutto soggettiva e per giunta eventuale, e comunque in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale, e quindi di ravvedimento, imposta dall’art. 164, comma 1, cod. pen. per la concessione del beneficio medesimo. Coerentemente con questa impostazione, si è perciò ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna alla pena pecuniaria condizionalmente sospesa, con il quale l’imputato chiede revocarsi il beneficio allo scopo di preservarlo per eventuali future condanne, trattandosi di un interesse non giuridicamente qualificato e che, quindi, non può considerarsi meritevole di tutela (Sez. 3, n. 39406 del 20/06/2013 – dep. 24/09/2013, Germani, Rv. 256698).
11. Nel caso in esame, il motivo è generico, e perciò inammissibile, non avendo il ricorrente mai allegato, come era suo preciso onere, né in sede di discussione davanti al Tribunale, né con il ricorso, alcuna situazione pregiudizievole da ritenersi prevalente rispetto al riconoscimento del beneficio, rispetto a una pena comportante un esborso non trascurabile, pari a 5.000 euro di ammenda.
In altri termini, sarebbe stato onere dell’imputato – ben sapendo che, in caso di condanna, la pena inflitta non poteva essere che la multa – rappresentare, già in sede merito, un concreto interesse a non beneficiare della sospensione condizionale della pena, interesse del quale il Tribunale avrebbe dovuto tener conto nelle sue determinazioni ex art. 163 cod. pen. Ma, come detto, sul punto il ricorso è silente.
12. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10/03/2021.