DIRITTO VENATORIO – CACCIA – Nozione di esercizio o attività di caccia – Mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna o di attesa – Interpretazione legislativa – Accertamento dell’esercizio venatorio – Giudizio di fatto – Artt.12, 13, 21, 30, 31 L. n.157/1992 e ss.mm.. – Parco o area protetta regionale – Divieti di esercizio venatorio e di ingresso con armi – Presupposti – Efficacia e limiti della L. 6/12/1991, n. 394.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 12 Luglio 2019
Numero: 30698
Data di udienza: 18 Giugno 2019
Presidente: IZZO
Estensore: SEMERARO
Premassima
DIRITTO VENATORIO – CACCIA – Nozione di esercizio o attività di caccia – Mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna o di attesa – Interpretazione legislativa – Accertamento dell’esercizio venatorio – Giudizio di fatto – Artt.12, 13, 21, 30, 31 L. n.157/1992 e ss.mm.. – Parco o area protetta regionale – Divieti di esercizio venatorio e di ingresso con armi – Presupposti – Efficacia e limiti della L. 6/12/1991, n. 394.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 12/07/2019 (Ud. 18/06/2019), Sentenza n.30698
DIRITTO VENATORIO – CACCIA – Nozione di esercizio o attività di caccia – Mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna o di attesa – Interpretazione legislativa – Accertamento dell’esercizio venatorio – Giudizio di fatto – Artt.12, 13, 21, 30, 31 L. n.157/1992 e ss.mm..
Nelle nozioni di esercizio venatorio o attività di caccia, non rientrano esclusivamente la cattura e l’uccisione della selvaggina, ma anche l’attività preliminare e la predisposizione dei mezzi ed ogni altro atto diretto alla cattura e all’abbattimento in tal senso qualificabile dal complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso viene posto in essere . Viene altresì compreso «il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla» (Cass. Sez. 3, n. 46526 del 28/10/2015, Cargnello). Sicché, è da escludere la possibilità di una lettura in senso riduttivo della L. n.157/1992 e ss.mm.. Inoltre, l’accertamento dell’esercizio venatorio costituisce giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato.
DIRITTO VENATORIO – CACCIA – Parco o area protetta regionale – Divieti di esercizio venatorio e di ingresso con armi – Presupposti – Efficacia e limiti della L. 6/12/1991, n. 394.
La normativa prevista dall’art. 10 della L. 6 dicembre 1991, n. 394 per i parchi nazionali, avendo portata derogatoria rispetto al principio generale, non è applicabile ai parchi regionali o ad altre zone protette rientranti nelle attribuzioni di competenza regionale. Pertanto, i divieti di esercizio venatorio e di ingresso con armi in un’area protetta sita all’interno di un parco regionale sono efficaci ed opponibili ai privati a condizione che l’area sia perimetrata da apposita tabellazione che ne renda visibili i confini o che comunque, ove risulti mancante o incerta la tabellazione, venga dimostrato da parte dell’accusa che il trasgressore avesse la consapevolezza del divieto all’interno dell’area, non potendo la stessa essere presunta.
(annulla senza rinvio sentenza del 30/10/2018 della CORTE APPELLO di FIRENZE) Pres. IZZO, Rel. SEMERARO, Ric. Fiorucci
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 12/07/2019 (Ud. 18/06/2019), Sentenza n.30698SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 12/07/2019 (Ud. 18/06/2019), Sentenza n.30698
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: FIORUCCI nato a ROMA;
avverso la sentenza del 30/10/2018 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore CIRO ANGELILLIS Si dà per letta la relazione Il Procuratore generale conclude per il capo A annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione; per il capo B e C perché il fatto non sussiste;
udito il difensore il difensore presente avvocato CECCHETTI si riporta ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza del 30 ottobre 2018, ha confermato la condanna inflitta a M. Fiorucci il 17 febbraio 2017, alla pena di mesi 3 di arresto ed € 650 di ammenda, con la sospensione condizionale della pena e la non menzione, per i reati ex art. 4 legge 110/1975 – per il porto fuori dall’abitazione di un coltello con lama di 15 cm. ed una roncola con lama di cm.23 11 comma 3 lett. f) e 30 comma 1 legge 294/2001, per avere introdotto il coltello, la roncola ed un fucile nel parco nazionale della maremma, e 30 comma 1 lett. a) e d) legge 157/1992 per avere esercitato la caccia in periodo di divieto generale ed all’interno del parco naturale della Maremma.
I reati sono stati commessi in concorso con M. Palmacci in Orbetello il 27 febbraio 2014.
2. Il difensore di Fiorucci ha proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 30 ottobre 2018.
2.1. Con il primo motivo, si deducono, ex art. 606 lett. a) ed e) cod. proc. pen., i vizi di violazione di legge e della motivazione con riferimento al capo a).
La Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che la disciplina della depenalizzazione di cui all’art. 2 della legge 67/2014 non si applichi al fatto commesso, inquadrabile nell’art. 4 comma 2 della legge n. 110/1975; il coltello e la roncola non dovrebbero essere qualificate come armi ma strumenti atti ad offendere sicché per essi non vale l’esclusione di cui all’art. 2 comma 2 lett. a) n. 7 della legge n.67/2014.
In ogni caso, la condotta si inquadrerebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo si deducono, ex art. 606 lett. a) ed e) cod. proc. pen., i vizi di violazione di legge e della motivazione, in relazione al capo b), per l’erronea applicazione degli art. 11 comma 3 lett. f) e 30 comma 1 legge 294/2001 che si applicano solo alle aree protette nazionali e non ai parchi regionali, come quello della Maremma. Si ritiene erroneo il richiamo all’art. 6 comma 3 il cui testo è riportato nel ricorso.
2.3. Con il terzo motivo si deduce, ex art. 606 lett. a) cod. proc. pen., il vizio di violazione di legge con riferimento agli artt. 12 comma 2 e 21 lett. g) legge 157/1992; la Corte di appello avrebbe erroneamente applicato le norme citate in quanto la condotta non si è concretizzata nel camminare a piedi con i mezzi di caccia; l’imputato era in auto e senza che sia avvenuto lo sparo. La condotta pertanto concretizzerebbe solo la violazione amministrativa ex art. 21 lett. g) della legge 157/1992, recepita dalla legge della regione Toscana n. 3 del 1994 art. 33 comma 4 e non il reato contestato.
2.4. Con il quarto motivo si deducono, ex art. 606 lett. a) cod. proc. pen., i vizi di violazione di legge in relazione all’art. 131-bis cod. pen. e della motivazione per la mancata applicazione dell’istituto.
La motivazione sul rigetto sarebbe apodittica e non avrebbe valutato che alcun danno a animali o persone o all’ambiente è stato procurato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato.
Nel ricorso si richiama l’art. 2 della legge n. 67/2014 con la quale però è stata esclusivamente attribuita la delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria.
La delega è stata poi esercitata e le norme sono racchiuse nel d.lgs. n.8/2016. Tutti i reati compresi nella legge 18 aprile 1975, n. 110, recante “Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi” sono stati esclusi dalla depenalizzazione; l’art. 1 comma 3 ha infatti escluso la depenalizzazione per i reati previsti dal codice penale, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 6, e a quelli compresi nell’elenco allegato al decreto. Nell’allegato relativo all’elenco delle leggi contenenti reati puniti con la sola pena pecuniaria esclusi dalla depenalizzazione a norma dell’art. 2 della legge n. 67/2014, vi è la legge 18 aprile 1975, n. 110.
2. Il secondo motivo, relativo al capo b), è fondato.
Effettivamente il parco della Maremma è un parco regionale e non nazionale, sicché ad esso trova applicazione la legge del 11.2.1992 n.157 e non la legge 6 dicembre 1991, n. 394. Cfr. sul punto Cass. Sez. 3, n. 35195 del 30/03/2017, Ciriello, Rv. 270681 – 01, in motivazione che ha precisato che la normativa prevista dall’art. 10 della L. 6 dicembre 1991, n. 394 per i parchi nazionali, avendo portata derogatoria rispetto al principio generale, non è applicabile ai parchi regionali o ad altre zone protette rientranti nelle attribuzioni di competenza regionale. La sentenza Ciriello ha anche precisato che i divieti di esercizio venatorio e di ingresso con armi in un’area protetta sita all’interno di un parco regionale sono efficaci ed opponibili ai privati a condizione che l’area sia perimetrata da apposita tabellazione che ne renda visibili i confini o che comunque, ove risulti mancante o incerta la tabellazione, venga dimostrato da parte dell’accusa che il trasgressore avesse la consapevolezza del divieto all’interno dell’area, non potendo la stessa essere presunta.
Sul capo b) si impone pertanto l’annullamento della sentenza senza rinvio perché il fatto non sussiste.
3. Anche il terzo motivo è fondato; sul capo c) si impone l’annullamento della sentenza senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Dalla parte generale della sentenza impugnata, così come dalla sentenza di primo grado, emerge che il controllo fu effettuato sull’auto sulla quale viaggiava il ricorrente, quale conducente. L’auto stata viaggiando all’interno del parco, di notte. Pertanto, come correttamente ritenuto dal ricorrente, la condotta ritenuta sussistente non integra il reato di esercizio della caccia. Se nella nozione di esercizio venatorio non rientrano esclusivamente la cattura e l’uccisione della selvaggina, ma anche l’attività preliminare e la predisposizione dei mezzi ed ogni altro atto diretto alla cattura e all’abbattimento in tal senso qualificabile dal complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso viene posto in essere (cfr. sul punto Cass. Sez. 3, n. 46526 del 28/10/2015, Cargnello, Rv. 265401 – 01), però l’art. 12 della legge n. 157 del 1992 fornisce una definizione di esercizio venatorio ai commi 2 e 3 e l’individua in «ogni atto diretto all’abbattimento o alla cattura di fauna selvatica» mediante l’impiego dei mezzi indicati, in modo specifico, nell’art. 13.
Viene altresì compreso nell’esercizio venatorio «il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla». Da tale descrizione consegue che l’attività di caccia non contempla esclusivamente la cattura e l’uccisione della selvaggina, ma anche l’attività preliminare e la predisposizione dei mezzi ed ogni altro atto diretto alla cattura e all’abbattimento in tal senso qualificabile dal complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso viene posto in essere.
Tale ampia nozione della pratica venatoria è stata ripetutamente considerata dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 6762, 22 febbraio 2006, non massimata; Sez. 3, n. 2204, 25 gennaio 2005; Sez. 3, n. 48100, 17 dicembre 2003; Sez. 3, n. 6812, 5 luglio 1996), la quale ha anche esplicitamente escluso la possibilità di una lettura in senso riduttivo della richiamata disposizione (Sez. 3, n. 18088, 16 aprile 2003; Sez. 3, n. 452, 15 gennaio 1999) ed affermato che l’accertamento dell’esercizio venatorio costituisce giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato (Sez. 3, n. 2555, 25 ottobre 1994).
Nelle richiamate decisioni l’esercizio dell’attività venatoria è stato rinvenuto, ad esempio: nel possesso di fucile e delle relative cartucce, nello sparo di uno o più colpi e l’accompagnamento con un cane da caccia; nel recarsi a caccia, con l’annotazione sul relativo tesserino, in possesso di richiami vietati; nell’ispezione di trappole predisposte per la cattura di richiami vivi; nell’aggirarsi con un fucile e in osservazione del territorio.
Si è però anche affermato, cfr. Cass. Sez. 3, n. 22785 del 17/03/2004, Bordiga, Rv. 228613 – 01, che integra la contravvenzione prevista dall’art. 30 comma primo, lett. i) della legge 11 febbraio 1992, n. 157 – che punisce chi esercita la caccia sparando da autoveicoli, natanti a motore o aeromobili – non chi utilizza il mezzo di trasporto per lo spostamento nei luoghi di esercizio venatorio o per il recupero della preda, ma colui il quale, come nel caso di specie, compie dal natante l’atto tipico della caccia, rappresentato dallo sparo contro la selvaggina, in ciò agevolato dal mezzo di trasporto, sia per l’appostamento, sia per il raggiungimento della preda anche in zone impervie, essendo irrilevante l’uccisione di animali, in quanto l’abbattimento e l’impossessamento di specie cacciabili non costituiscono elementi costitutivi della fattispecie.
Gli artt. 21 e 31 della legge 157/1992 puniscono con la sola sanzione amministrativa alla lett. g) il trasporto, all’interno dei centri abitati e delle altre zone ove è vietata l’attività venatoria, ovvero a bordo di veicoli di qualunque genere e comunque nei giorni non consentiti per l’esercizio venatorio dalla presente legge e dalle disposizioni regionali, di armi da sparo per uso venatorio che non siano scariche e in custodia.
4. Il quarto motivo è fondato, limitatamente al reato di cui al capo a).
La motivazione della sentenza della Corte di appello di Firenze si incentra sull’assenza di particolare tenuità in relazione alle condotte di cui ai capi b) e c), relativi all’esercizio della caccia; non esprime però alcuna concreta motivazione sulla applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. al capo a), pur in presenza di specifico motivo di appello. Deve però prendersi atto che il reato di cui al capo a) è estinto per prescrizione, essendo decorso il termine massimo di 5 anni il 27 febbraio 2019.
La sentenza impugnata va annullata senza rinvio. Va ricordato (cfr. Cass. Sez. 3, n. 35180 del 2017) che in presenza di una causa di estinzione del reato non sono rilevabili in cassazione vizi di motivazione della sentenza, perché l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l’obbligo della immediata declaratoria di proscioglimento per l’intervenuta estinzione del reato, stabilito dall’art. 129 cod. proc. pen.
Né emergono in modo assolutamente non contestabile, in relazione a tale capo, come richiesto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale, per pronunciare la sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma 2 cod. proc. pen.: l’eventuale accoglimento dei motivi di ricorso imporrebbe una nuova motivazione in punto di fatto ed una nuova verifica delle prove.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al capo a) perché il reato è estinto per prescrizione; in ordine ai capi b) e c) perché il fatto non sussiste.
Così deciso il 18/06/2019.