Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Beni culturali ed ambientali,
Diritto processuale penale
Numero: 13978 |
Data di udienza: 20 Marzo 2012
* BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Prefabbricato in legno in violazioni paesaggistiche – Verificarsi di un danno ambientale – Necessità – Esclusione – Natura di reato di pericolo – Fattispecie – Art. 181 d. Lgs. n. 42/2004 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Cause di estinzione del reato – Ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi – Effetti.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 12 Aprile 2012
Numero: 13978
Data di udienza: 20 Marzo 2012
Presidente: Mannino
Estensore: Franco
Premassima
* BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Prefabbricato in legno in violazioni paesaggistiche – Verificarsi di un danno ambientale – Necessità – Esclusione – Natura di reato di pericolo – Fattispecie – Art. 181 d. Lgs. n. 42/2004 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Cause di estinzione del reato – Ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi – Effetti.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 12 aprile 2012 (Ud. 20/03/2012), Sentenza n. 13978
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Prefabbricato in legno in violazioni paesaggistiche – Verificarsi di un danno ambientale – Necessità – Esclusione – Natura di reato di pericolo – Fattispecie – Art. 181 d. Lgs. n. 42/2004.
Il reato ambientale di cui all’
art. 181 d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è pacificamente un reato di pericolo, integrato dalla sola mancata richiesta di autorizzazione alla autorità competente, senza che occorra anche il verificarsi di un danno ambientale. Nella specie, è poi evidente che un manufatto prefabbricato in legno di circa 150 mq., non possa sicuramente ritenersi anche in astratto potenzialmente non idoneo ad arrecare danno al bene protetto.
(dich. inamm. il ricorso avverso sentenza emessa il 6/07/2010 dalla corte d’appello di Napoli) Pres. Mannino Est. Franco Ric. Iovino
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Cause di estinzione del reato – Ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi – Effetti.
Nel caso di ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, la circostanza che la prescrizione del reato sia maturata in una data successiva a quella in cui è stata emessa la sentenza impugnata, è del tutto irrilevante perché, a causa della inammissibilità del ricorso non si è formato un valido rapporto di impugnazione il che preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le eventuali cause di estinzione del reato, ivi compresa la prescrizione, verificatesi in data posteriore alla pronuncia della decisione impugnata (Cass. Sez. Un., 22/11/2000, De Luca; giur. costante).
(dich. inamm. il ricorso avverso sentenza emessa il 6/07/2010 dalla corte d’appello di Napoli) Pres. Mannino Est. Franco Ric. Iovino
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 12 aprile 2012 (Ud. 20/03/2012), Sentenza n. 13978
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
1. Dott. Saverio Mannino – Presidente
2. Dott. Aldo Fiale – Consigliere
3. Dott. Amedeo Franco – Consigliere Rel.
4. Dott. Renato Grillo – Consigliere
5. Dott. Luigi Marini – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso proposto da Iovino Raffaele, nato a Somma Vesuviana il 17.2.1958;
– avverso la sentenza emessa il 6 luglio 2010 dalla corte d’appello di Napoli;
– udita nella pubblica udienza del 20 marzo 2012 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
– udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Pietro Gaeta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Napoli revocò l’ordine di restituzione del manufatto abusivo al comune di Somma Vesuviana e confermò nel resto la sentenza emessa il 26 giugno 2008 dal giudice del tribunale di Nola, che aveva dichiarato Iovino Raffaele colpevole dei reati di cui agli
artt. 44, lett. c), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380 e
181 d. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 per avere, in assenza del permesso di costruire e della autorizzazione paesaggistica, eseguito in zona sottoposta a vincolo un manufatto prefabbricato di mq. 150 circa e lo aveva condannato alla pena di mesi due di arresto ed € 16.000,00 di ammenda, con la sospensione condizionale della pena e l’ordine di demolizione delle opere abusive.
L’imputato propone personalmente ricorso per cassazione deducendo:
1) avvenuta prescrizione dei reati contestati perché al momento del sequestro nell’ottobre 2007 la casa era abitata da tempo, essendo stata inaugurata nel Natale 2005 ed abitata dal gennaio 2006.
2)
erronea applicazione degli
artt. 181 d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e
44, lett. c), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, perché erroneamente il giudice ha ritenuto che il reato ambientale fosse integrato dalla mancata richiesta di autorizzazione alla competente autorità mentre occorre invece che l’opera abbia arrecato una concreta lesione al paesaggio. Manca inoltre la motivazione sulla idoneità della condotta posta in essere a ledere anche potenzialmente il bene tutelato.
3) illegittimità della pena irrogata perché non sono stati applicati i minimi per la pena pecuniaria e perché di natura diversa da quella prevista, in quanto nella specie andava applicata la pena della reclusione e della multa di cui all’
art. 181, comma 1 bis, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
Motivi della decisione
Il primo motivo é manifestamente infondato. Innanzitutto, perché si tratta di censura nuova (oltre che di censura in punto di fatto), in quanto con l’atto di appello non era stato contestato che la data di consumazione dei reati non era quella dell’accertamento, avvenuto l’8 ottobre 2007, ma avrebbe dovuto essere fissata nel gennaio del 2006. In ogni caso perché, quand’anche per ipotesi volesse ritenersi che i reati si siano consumati – come l’imputato sostiene per la prima volta in questa sede di legittimità – nel gennaio del 2006, il termine di prescrizione di cinque anni non era ancora decorso alla data del 6 luglio 2010, di emissione della sentenza impugnata, la quale quindi non presenta alcun vizio sotto questo aspetto.
Il secondo motivo è anch’esso manifestamente infondato perché il reato ambientale di cui all’
art. 181 d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è pacificamente un reato di pericolo, integrato dalla sola mancata richiesta di autorizzazione alla autorità competente, senza che occorra anche il verificarsi di un danno ambientale. E’ poi evidente che un manufatto prefabbricato in legno di circa 150 mq., non possa sicuramente ritenersi anche in astratto potenzialmente non idoneo ad arrecare danno al bene protetto.
Il terzo motivo – a parte la sua palese infondatezza non essendo stati nemmeno indicati gli elementi che avrebbero dovuto far ravvisare il delitto di cui all’
art. 181, comma 1 bis, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – è manifestamente inammissibile non avendo il ricorrente interesse a vedersi applicata la pena della reclusione e della multa invece di quella dell’arresto e dell’ammenda.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
Essendosi il reato consumato l’8 ottobre 2007, il termine quinquennale di prescrizione alla data odierna non è ancora decorso. In ogni caso, quand’anche la consumazione del reato si fosse verificata nel gennaio 2006, deve osservarsi che, essendo il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, la circostanza che la prescrizione del reato sia maturata in una data successiva a quella in cui è stata emessa la sentenza impugnata, è del tutto irrilevante perché, a causa della inammissibilità del ricorso non si è formato un valido rapporto di impugnazione il che preclude a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare le eventuali cause di estinzione del reato, ivi compresa la prescrizione, verificatesi in data posteriore alla pronuncia della decisione impugnata (Sez. Un., 22 novembre 2000, De Luca, m. 217.266; giur. costante).
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in € 1.000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 20 marzo 2012.