CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 12 Giugno 2014 (Ud. 1/04/2014), Sentenza n. 24876
DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Manufatto abusivo – Sequestro preventivo e probatorio – Fattispecie – Artt. 3, 44, lett. c), d.p.R. n. 380/2001 – Art. 181 d. lgs. n. 42/2004 – Artt. 349 e 734 cod. pen..
È legittima l’adozione da parte del G.I.P. del sequestro preventivo di un manufatto abusivo in sede di trattazione dell’opposizione al rigetto dell’istanza di revoca del sequestro probatorio, atteso che per l’adozione della misura cautelare reale non è richiesta la cessazione del sequestro probatorio e la avvenuta restituzione delle cose non più necessarie a fini di prova (Cass. Sez. III, 24.11.2005, n. 45629, Federici). Fattispecie: provvedimento del Gip di conversione del sequestro probatorio in sequestro preventivo di un cantiere relativo ad opere (in relazione ai reati di cui agli
artt. 44, lett. c), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380,
181 d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, 349 e 734 cod. pen. e 6 e 30 legge 6 dicembre 1991, n. 394), per avere eseguito incrementi di volume e di superficie, locali tecnici e magazzini, sbancamento di terreno per la realizzazione di un tracciato stradale e realizzazione di un piazzale per la sosta, senza permesso di costruire e senza nulla osta dell’ente preposto alla tutela del vincolo.
(conferma ordinanza emessa il l’11/12/2013 dal tribunale del riesame di Roma) Pres. Squassoni, Est. Franco, Ric. Giuliano
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sequestro preventivo – Deposito del dispositivo – Termini – Artt. 128, 309 e 321 c.p.p..
In tema di sequestro preventivo ex art. 321 cod. proc. pen. e 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, il richiamo all’art. 309 cod. proc. pen., commi nono e decimo, comporta che anche per tale misura cautelare reale, così come previsto per le misure cautelari personali, nel termine di dieci giorni deve essere depositato il dispositivo della pronuncia del tribunale del riesame e non già la motivazione che deve essere, invece, depositata nel termine ordinatorio di cinque giorni previsto dall’art. 128 cod. proc. pen. (Cass. Sez. VI, 18.10.1999, n. 3265, Albanese).
(conferma ordinanza emessa il l’11/12/2013 dal tribunale del riesame di Roma) Pres. Squassoni, Est. Franco, Ric. Giuliano
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Riesame – Effetto caducatorio della misura cautelare – Artt. 124, 128 e 309 c.p.p..
In tema di riesame, perché non si produca l’effetto caducatorio della misura cautelare, previsto dall’art. 309, comma decimo, cod. proc. pen. per il caso in cui la decisione del tribunale non intervenga entro il termine di cui al precedente comma nono, è necessario e sufficiente che entro tale termine si provveda al deposito del solo dispositivo dell’ordinanza decisoria, la cui motivazione potrà essere depositata entro il successivo termine di cinque giorni – ordinatorio, ma la cui osservanza è da considerare comunque doverosa per il giudice, ai sensi dell’art. 124 cod. proc. pen. – previsto dall’art. 128 stesso codice» (Cass. Sez. I, 12.6.1997, n. 4139, Falcone).
(conferma ordinanza emessa il l’11/12/2013 dal tribunale del riesame di Roma) Pres. Squassoni, Est. Franco, Ric. Giuliano
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 12 Giugno 2014 (Ud. 1/04/2014), Sentenza n. 24876
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA IM CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
1. Dott.ssa Claudia Squassoni – Presidente
2. Dott. Amedeo Franco – Consigliere Rel.
3. Dott. Vito Di Nicola – Consigliere
4. Dott. Luca Ramacci – Consigliere
5. Dott. Aldo Aceto – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso proposto da Giuliano Olimpia;
– avverso l’ordinanza emessa il 1’11 dicembre 2013 dal tribunale del riesame di Roma;
– udita nella udienza in camera di consiglio del 1° aprile 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
– udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Vito D’Ambrosio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
– udito il difensore avv. Domenico Cangemi;
Svolgimento del processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Roma confermò il provvedimento del Gip di Roma del 15.11.2013 di conversione del sequestro probatorio in sequestro preventivo di un cantiere relativo ad opere realizzate al quarto piano di un fabbricato adibito a casa di cura privata, in relazione ai reati di cui agli
artt. 44, lett. c), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380,
181 d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, 349 e 734 cod. pen. e 6 e 30 legge 6 dicembre 1991, n. 394, per avere eseguito incrementi di volume e di superficie, locali tecnici e magazzini, sbancamento di terreno per la realizzazione di un tracciato stradale e realizzazione di un piazzale per la sosta, senza permesso di costruire e senza nulla osta dell’ente preposto alla tutela del vincolo.
Osservò il tribunale:
– che le opere erano consistite nella modifica delle pendenze del tetto con realizzazione di nuova scala esterna e nuova distribuzione delle aree interne, in modo tale da ottenere un’altezza maggiore degli ambienti interni da adibire all’attività della clinica determinando un aumento del volume e una modifica delle sagome e dei prospetti; – che ciò andava qualificato come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’
art. 3, comma 1, lett. d) DPR 380/2001;
– che dette opere non erano assentibili in base alle previsioni dell’art. 3 della L.R. 21/09 (c.d. “Piano Casa”) e nemmeno alla stregua della normativa vigente al momento in cui sono state realizzate perché in contrasto con le previsioni dell’art. 30 del PTPR;
– che quindi non vi era la possibilità giuridica di realizzare opere di ristrutturazione edilizia (con trasformazione delle aree interne in ambienti idonei all’attività della clinica mediante aumento di volume conseguente alla modifica delle pendenze del tetto) all’interno delle aree protette;
– che pertanto, pur avendo l’interessata presentato DIA e ottenuto il nulla osta dell’Ente preposto alla tutela del vincolo, la compiuta attività edilizia doveva ritenersi effettuata in assenza di valido titolo ed integrava il reato di cui all’
art. 44, lett. c), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380;
– che perciò sussisteva il fumus di illiceità, pur essendo doveroso sollecitare il Pubblico Ministero ad un approfondimento riguardo alle questioni prospettate e richieste dalla difesa, che possono essere affrontate solo attraverso un incarico peritale;
– che, quanto al periculum in mora, la lesione dell’interesse protetto costituito dalla salvaguardia degli interessi naturalistici e delle bellezze naturali poteva essere scongiurato solo con l’apposizione del vincolo atteso che la prosecuzione dei lavori (attualmente non completati) era già stata accertata;
– che per l’adozione del sequestro preventivo non è richiesta la cessazione del sequestro probatorio.
L’indagata, a mezzo dell’avv. Domenico Cangemi, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione di legge per illogicità della motivazione con riferimento alla carenza assoluta dei presupposti di cui all’art. 321 cod. proc. pen. Lamenta che il tribunale non ha dato alcuna motivazione sulla libera disponibilità al momento del sequestro della cosa, che era soggetta a sequestro probatorio. Non vi era quindi libera disponibilità né pericolo di protrazione o di aggravamento del reato in corso o agevolazione alla commissione di altri reati.
2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle argomentazioni contenute nella istanza di riesame e nella memoria ex art 415 bis cod. proc. pen. e violazione dell’art. 292, comma 2 ter cod. proc. pen. Lamenta che il tribunale del riesame, da un lato, ha omesso di motivare sui rilievi tendenti a dimostrate l’insussistenza del reato urbanistico e dall’altro ha sentito il bisogno di invitare il Pubblico Ministero ad un supplemento di perizia sugli elementi in favore dell’indagata indicati nelle lettere da A a G delle memorie ex art. 415 bis c.p.p., cadendo in palese contraddizione sulla legittimità o meno dell’opera quale ipotesi criminosa.
3) motivazione apparente in ordine al periculum in mora, che secondo l’ordinanza sarebbe costituito dalla salvaguardia degli interessi naturalistici e delle bellezze naturali, in quanto nessuno interesse afferente agli interessi naturalistici e alle bellezze naturali può sussistere nell’ambito di opere site all’interno di un immobile (clinica privata) che si trova sui luoghi da oltre 60 anni e che è preesistente ad ogni norma afferente il paesaggio e le bellezze naturali.
Successivamente il difensore ha depositato i seguenti motivi nuovi:
4) Violazione di legge con riferimento all’art. 324, commi 3 e 7, c.p.p. e art. 309 commi 9 e 10, c.p.p., per decorrenza dei termini perentori stabiliti per il deposito del provvedimento a seguito di istanza di riesame con conseguenziale perdita di efficacia dell’ordinanza che ha disposto la misura coercitiva. Osserva che l’istanza di riesame è stata depositata il 28.11.2013; che l’udienza per la discussione della suddetta istanza si è tenuta il 9/12/2013 e che l’11/12/2013 il Giudice del riesame ha depositato in cancelleria il dispositivo di rigetto dell’istanza, ma la motivazione è stata depositata solo il 30.12.2013, ossia 19 giorni dopo il deposito del dispositivo.
Eccepisce ora la perdita di efficacia della misura cautelare reale per il deposito della motivazione fuori dal termine previsto dall’art. 309, co. 9 e 10, c.p.p., così come richiamato dall’art. 324, co. 7, c.p.p.. E difatti, non è applicabile alle misure cautelari reali quell’orientamento giurisprudenziale relativo alle misure cautelari personali, che consente il deposito del semplice dispositivo ai fini interruttivi del termine decadenziale.
5) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione; violazione di legge sotto il profilo della mancata applicazione con riferimento all’art. 321, comma 1, primo inciso, c.p.p. Osserva che vi è una illogicità manifesta e contraddittorietà tra la motivazione ed il dispositivo laddove il giudice prima stigmatizza la carenza dei presupposti di legge per l’adozione del sequestro preventivo facendo rilevare che il Gip non aveva motivato sul fumus del reato e che esso tribunale non aveva il potere di annullarlo, e poi nel dispositivo conferma il provvedimento impugnato senza colmare le lacune motivazionali. Inoltre, il tribunale del riesame ha ritenuto sussistente il fumus pur ritenendo doveroso sollecitare il Pubblico Ministero ad un approfondimento riguardo alle questioni prospettate e richieste dalla difesa, così mostrando di avere dubbi sulla sussistenza del fumus.
Osserva anche che presupposto per l’emanazione della misura cautelare reale è il pericolo che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, mentre nella specie l’indagata al momento del sequestro non ne aveva la disponibilità in quanto sigillata a seguito di sequestro probatorio. Osserva altresì che il sequestro si protrae dall’ormai lontano 29/11/2012 e comporta notevoli problemi. Aggiunge infine che anche il dispositivo è stato depositato fuori termine.
Motivi della decisione
Il primo motivo, col quale si denuncia illogicità della motivazione in ordine alla dedotta carenza dei presupposti di cui all’art. 321 cod. proc. pen., è inammissibile. Ed invero, come è ben noto, con il ricorso per cassazione avverso provvedimenti in materia di misure cautelari reali, può essere dedotto solo il vizio di violazione di legge, ivi compresa la mancanza assoluta di motivazione o la motivazione meramente apparente e non anche i vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà di motivazione. Il motivo è comunque anche manifestamente infondato perché ai fini del sequestro preventivo è irrilevante che l’indagato non abbia la disponibilità della cosa per essere stata la stessa già sottoposta a sequestro probatorio. Ed invero: «È legittima l’adozione da parte del G.I.P. del sequestro preventivo di un manufatto abusivo in sede di trattazione dell’opposizione al rigetto dell’istanza di revoca del sequestro probatorio, atteso che per l’adozione della misura cautelare reale non è richiesta la cessazione del sequestro probatorio e la avvenuta restituzione delle cose non più necessarie a fini di prova» (Sez. III, 24.11.2005, n. 45629, Federici, m. 232643).
Il secondo motivo è parimenti inammissibile perché anche con esso si deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sui motivi di appello relativi alla sussistenza del reato urbanistico. Il motivo è anche generico, perché non indica quali specifici motivi di appello non sarebbero stati presi in considerazione ed è comunque manifestamente infondato perché il tribunale del riesame ha adeguatamente motivato sul fumus del contestato reato urbanistico, rilevando che nella specie era necessario il permesso di costruire, ed osservando:
– che le opere realizzate al IV piano, in base all’art. 3 della L.R.21/09 (c.d. “Piano Casa”), non erano assentibili in base alle previsioni della stessa legge;
– che si era trattato di modifica delle pendenze del tetto, realizzazione di nuova scala esterna e nuova distribuzione delle aree interne, in modo tale da ottenere un’altezza maggiore degli ambienti interni da adibire all’attività della clinica determinando un aumento del volume e una modifica delle sagome e dei prospetti che andava qualificato come intervento di ristrutturazione edilizia;
– che l’immobile si trova inoltre in zona F del PRG (parchi istituiti), e ricompreso nel perimetro della zona A della riserva naturale parco di Veio, nonché nella tabella B del PTPR;
– che le opere non erano assentibili neanche alla stregua della normativa vigente al momento in cui sono state realizzate perché in contrasto con le previsioni dell’art. 30 del PTPR (che vieta, per i parchi, ville e giardini storici, ristrutturazioni edilizie, nuove edificazioni e ampliamenti);
– che quindi non vi era la possibilità di realizzare opere di ristrutturazione edilizia (con trasformazione delle aree interne in ambienti idonei all’attività della clinica mediante aumento di volume conseguente alla modifica delle pendenze del tetto) all’interno delle aree protette;
– che pertanto l’attività edilizia doveva ritenersi effettuata in assenza di valido titolo autorizzatorio.
Il terzo motivo è anch’esso manifestamente infondato perché il periculum in mora è stato ritenuto anche con riferimento al reato edilizio, atteso il fatto che i lavori erano ancora in corso ed il possibile completamento delle opere abusivamente realizzate. Per quanto concerne il reato ambientale, l’ordinanza impugnata ha messo in rilievo che vi era stata una modifica delle pendenze del tetto, nonché delle sagome e dei prospetti, ed altresì la realizzazione di una nuova scala esterna.
E’ altresì manifestamente infondato il quarto motivo. Ed invero, secondo la ormai prevalente giurisprudenza di questa Corte, «In tema di sequestro preventivo ex art. 321 cod. proc. pen. e 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, il richiamo all’art. 309 cod. proc. pen., commi nono e decimo, comporta che anche per tale misura cautelare reale, così come previsto per le misure cautelari personali, nel termine di dieci giorni deve essere depositato il dispositivo della pronuncia del tribunale del riesame e non già la motivazione che deve essere, invece, depositata nel termine ordinatorio di cinque giorni previsto dall’art. 128 cod. proc. pen.» (Sez. VI, 18.10.1999, n. 3265, Albanese, m. 214952); «In tema di riesame, perché non si produca l’effetto caducatorio della misura cautelare, previsto dall’art. 309, comma decimo, cod. proc. pen. per il caso in cui la decisione del tribunale non intervenga entro il termine di cui al precedente comma nono, è necessario e sufficiente che entro tale termine si provveda al deposito del solo dispositivo dell’ordinanza decisoria, la cui motivazione potrà essere depositata entro il successivo termine di cinque giorni – ordinatorio, ma la cui osservanza è da considerare comunque doverosa per il giudice, ai sensi dell’art. 124 cod. proc. pen. – previsto dall’art. 128 stesso codice» (Sez. I, 12.6.1997, n. 4139, Falcone, m. 208351).
Il quinto motivo è inammissibile perché con esso si deduce manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, ed è comunque manifestamente infondato per le stesse ragioni indicate in riferimento al primo, secondo e terzo motivo, ed in particolare perché il tribunale del riesame ha fornito adeguata motivazione sulla sussistenza sia del fumus dei reati contestati sia del periculum in mora.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in € 1.000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 1° aprile 2014.