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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 10235 | Data di udienza: 15 Febbraio 2024

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Differenza tra certificato di collaudo e certificazione di idoneità statica – Responsabilità del proprietario, costruttore, progettista e direttore dei lavori – Valutazione della sicurezza strutturale – Artt. 24 e 67 T.U. Edilizia – Certificato di collaudo e certificazione di idoneità statica – Equiparazione – Esclusione – Eccezione – Legislatore regionale – Potestà legislativa concorrente in materia edilizia – Segnalazione certificata di conformità edilizia e di agibilità – Artt. 24, 25, T.U. Edilizia – Utilizzazione di un’opera in cemento armato o a struttura metallica prima del rilascio del certificato di collaudo – Natura di reato permanente a condotta mista – Commercializzazione delle unità immobiliari sprovviste del certificato di collaudo – Responsabilità del proprietario, costruttore, progettista e direttore dei lavori – Art. 75, DPR n. 380/2001.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 12 Marzo 2024
Numero: 10235
Data di udienza: 15 Febbraio 2024
Presidente: RAMACCI
Estensore: SCARCELLA


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Differenza tra certificato di collaudo e certificazione di idoneità statica – Responsabilità del proprietario, costruttore, progettista e direttore dei lavori – Valutazione della sicurezza strutturale – Artt. 24 e 67 T.U. Edilizia – Certificato di collaudo e certificazione di idoneità statica – Equiparazione – Esclusione – Eccezione – Legislatore regionale – Potestà legislativa concorrente in materia edilizia – Segnalazione certificata di conformità edilizia e di agibilità – Artt. 24, 25, T.U. Edilizia – Utilizzazione di un’opera in cemento armato o a struttura metallica prima del rilascio del certificato di collaudo – Natura di reato permanente a condotta mista – Commercializzazione delle unità immobiliari sprovviste del certificato di collaudo – Responsabilità del proprietario, costruttore, progettista e direttore dei lavori – Art. 75, DPR n. 380/2001.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 12 marzo 2024 (Ud. 15/02/2024), Sentenza n. 10235

 

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Differenza tra certificato di collaudo e certificazione di idoneità statica – Responsabilità del proprietario, costruttore, progettista e direttore dei lavori – Valutazione della sicurezza strutturale – Artt. 24 e 67 T.U. Edilizia.

In linea generale, una certificazione/dichiarazione di idoneità statica non equivale al certificato di collaudo, formalmente non ne costituisce equipollente. Un certificato di collaudo è il prodotto di un insieme di obblighi e regole normativamente ben determinati, relativi alla qualificazione dei tecnici, e della loro anzianità professionale, dei costruttori, dei materiali, della tipologia degli esami e delle ispezioni, ecc.; la certificazione di idoneità statica, no. In realtà, la dichiarazione di idoneità statica contiene le stesse considerazioni in termini di valutazione della sicurezza strutturale, vale a dire, gli stessi elementi che portano il tecnico estensore, su sua responsabilità, al proprio convincimento sulla sicurezza delle opere strutturali della costruzione, di quelli contenute nel certificato di collaudo statico. E può dirsi che conduce alle medesime conclusioni sostanziali. E’ un fatto, però, che il citato art. 24 del DPR 380/2001 espressamente prevede, per il rilascio del certificato di agibilità, che per interventi di: a) nuove costruzioni; b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, sia presente il certificato di collaudo statico, ai sensi dell’art. 67 del TUE. Dunque, non solo nei casi di opere strutturali.

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Certificato di collaudo e certificazione di idoneità statica – Equiparazione – Esclusione – Eccezione – Legislatore regionale – Potestà legislativa concorrente in materia edilizia – Segnalazione certificata di conformità edilizia e di agibilità – Artt. 24, 25, T.U. Edilizia.

L’art. 25, comma 3, lett. a) del DPR n. 380/2001 stabilisce che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale rilascia il certificato di agibilità verificato il certificato di collaudo statico, di cui all’art. 67 T.U.E. La segnalazione certificata di conformità edilizia e di agibilità può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili privi di agibilità che presentano i requisiti di sicurezza, igiene, salubrità e l’attestazione di prestazione energetica. Ai fini di questo comma, la sicurezza strutturale degli immobili è attestata dal certificato di collaudo statico o, in carenza dello stesso, dal certificato di idoneità statica, predisposto da professionista abilitato secondo i criteri metodologici stabiliti dal D.M. 15 maggio 1985 (Accertamenti e norme tecniche per la certificazione di idoneità statica delle costruzioni abusive (art. 35, quarto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47)). Il Legislatore regionale – che, in base alla previsione generale di cui all’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, esercita la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico – stabilisce dunque una precisa equipollenza tra certificato di collaudo statico e certificazione o dichiarazione di idoneità statica. Per gli edifici con opere strutturali in cemento armato costruiti dopo l’entrata in vigore della l. n. 1086/1971, la mancanza del certificato di collaudo non è formalmente giustificabile e la richiesta di agibilità deve essere accompagnata da una vera e propria denuncia delle opere strutturali « a posteriori », se non già presente e dal successivo collaudo statico. Non si rinviene, del resto, nell’ordinamento alcuna disposizione espressa che consenta di tollerare l’equiparazione, ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tra collaudo statico e la certificazione di idoneità statica, ad eccezione di quella prevista dell’art. 35, comma 3, lett. b), l. 28.02.1985, n. 47 che contempla, a determinate condizioni e quale sufficiente ai soli fini del rilascio del condono edilizio, la presentazione di un certificato di idoneità statica.

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Utilizzazione di un’opera in cemento armato o a struttura metallica prima del rilascio del certificato di collaudo – Natura di reato permanente a condotta mista – Commercializzazione delle unità immobiliari sprovviste del certificato di collaudo – Responsabilità del proprietario, costruttore, progettista e direttore dei lavori – Art. 75, T.U. Edilizia.

Il reato di cui all’art. 75 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (utilizzazione di un’opera in cemento armato o a struttura metallica prima del rilascio del certificato di collaudo) ha natura di reato permanente a condotta mista in quanto comprende, da un lato, un aspetto commissivo costituito dall’utilizzazione dell’edificio e, dall’altro, un aspetto omissivo, costituito dalla mancata richiesta di collaudo all’autorità competente. Tale reato (art. 75, d.P.R. n. 380/2001) è configurabile anche a carico del direttore dei lavori in qualità di primo garante della sicurezza, è soggetto all’obbligo specifico di inibire l’utilizzazione dell’edificio prima del rilascio del certificato di collaudo. Ne consegue che la sua responsabilità è configurabile a prescindere dalla sua partecipazione attiva alla fase della commercializzazione delle unità immobiliari sprovviste del certificato di collaudo.

(annulla senza rinvio per prescrizione del reato sentenza del 28/02/2023 del TRIBUNALE di ASCOLI PICENO), Pres. RAMACCI, Est. SCARCELLA, Ric. Paolini ed altri


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 12/03/2024 (Ud. 15/02/2024), Sentenza n. 10235

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
PAOLINI F. nato a FOLIGNANO il –/–/—-;
PAOLINI M. nato a ASCOLI PICENO il –/–/—-;
VERRONE C. nato a ASCOLI PICENO il –/–/—-;

avverso la sentenza del 28/02/2023 del TRIBUNALE di ASCOLI PICENO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;

letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale DOMENICO SECCIA che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza per essere il reato estinto per prescrizione, con declaratoria di inammissibilità quanto alle doglianze in punto di responsabilità dei ricorrenti;

lette le conclusioni scritte del difensore, Avv. Francesco Carlesi, nell’interesse dei ricorrenti PAOLINI M. e PAOLINI F., che insistito nell’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 febbraio 2023, il Tribunale di Ascoli Piceno dichiarava colpevoli PAOLINI F., PAOLINI M. e VERRONE C. del reato loro ascritto (art. 75, T.U. Edilizia), per avere, nelle qualità rispettive, i primi due,
di amministratori della ditta proprietaria e costruttrice TAMARIX SRL e, il terzo, di progettista e direttore dei lavori, realizzato un complesso immobiliare in totale difformità dalla concessione di lottizzazione n. 62/1996, fatto contestato come commesso in permanenza dal 2003 secondo le modalità esecutive e spazio — temporali meglio descritte nel capo di imputazione.

2. Avverso la sentenza impugnata n& presente procedimento, i predetti hanno proposto separati ricorsi per cassazione tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo complessivamente dieci motivi, di seguito sommariamente indicati.

3. Ricorso congiunto PAOLINI F. e PAOLINI M. (avv. Carlesi) con cui si articolano sei motivi.

3.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di mancanza di motivazione in relazione all’art. 530, cod. proc. pen. per mancanza della prova della sussistenza del fatto e della motivazione per la condanna dei due imputati, censurandosi la sentenza per aver il giudice, in mancanza di c.t. del PM, dichiarata inutilizzabile, di atti di compravendita, di visure catastali da cui desumere quali immobili fossero oggetto di utilizzazione ai fini dell’art. 75, d.P.R. n. 380 del 2001, quali soggetti li utilizzassero, da quando e fino a quando fossero utilizzati, nonché in mancanza di provvedimenti di diniego della sanatoria o di rigetto del Genio Civile, pronunciando la condanna degli imputati in assenza di un procedimento argomentativo comprensibile in motivazione, con violazione dell’art. 546, lett. e), 530, co. 1 e 2, cod. proc. pen. e 24 Cost.

In sintesi, la difesa dei ricorrenti si duole sostenendo che in sentenza non sarebbe stato individuato in maniera precisa da quando sia stato consentito a terzi l’utilizzo del complesso immobiliare né si comprende quali specifici immobili siano stati oggetto di utilizzazione, né indicato chi ne sia stato l’utilizzatore prima del deposito del certificato di collaudo e se l’uso sia cessato o sia stato dismesso per taluno. L’unico elemento di certezza sarebbe rappresentato dall’essere state completate nell’anno 2003 tutte le cessioni degli immobili. Unico soggetto utilizzatore individuato è il teste Virgulti, ciò che dimostra solo che la società dei ricorrenti non era più proprietaria dal novembre 2003 dell’immobile a questi venduto, non essendo nemmeno individuato di quale appartamento si stesse parlando, difettando le indicazioni catastali e l’atto di compravendita. Il giudice, pertanto, per pervenire a giudizio di condanna, si sarebbe basato solo sulle fotografie agli atti, motivando una condanna in maniera apparente, ritenendo responsabili gli imputati sulla base della corrispondenza tra l’imputazione e le fotografie degli immobili.

Individuare immobili, utilizzatori e date delle cessioni sarebbe stato essenziale per individuare gli elementi costitutivi del reato stesso.

3.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 75 TU edilizia, all’art. 832 cod. civ. nonché agli artt. 157 cod. pen., 129 e 531, commi 1 e 2, cod. proc. pen., stante la mancata dichiarazione di prescrizione del reato in conseguenza della vendita degli immobili nell’anno 2003, al massimo fino a novembre 2003, maturata nell’anno 2006, o al massimo a novembre 2006, stante il decorso di tre anni per le contravvenzioni punite con pena detentiva secondo il teste antecedente alla L. n. 251/2005.

In sintesi, si sostiene che il giudice avrebbe dovuto dichiarare prescritto il reato a partire dal 2003, epoca di cessazione della titolarità dei beni in capo ai ricorrenti, o al massimo alla data del novembre 2003, unica epoca nota della cessione a Virgulti. Dal momento del perfezionamento degli atti di acquisto veniva meno per i due imputati la possibilità di intervenire sugli immobili venduti per far cessare la permanenza del reato d cui all’art. 75, d.P.R. 38012001 o impedirne l’utilizzazione ai proprietari. Dopo la vendita da parte della società di cui sono legali rappresentanti, non era più esigibile dagli imputati l’eventuale obbligo di far dismettere l’utilizzo dei beni immobili nella titolarità di terzi, né gli stessi avrebbero potuto imporre altre azioni doverose ai nuovi proprietari, non essendo più titolari dei beni ed essendo di ostacolo a qualsiasi iniziativa contro l’altrui proprietà privata la portata dell’art. 832, cod. civ. Dunque, al massimo alla data del novembre 2006 decorsi tre anni dalla vendita di cui quella al Virgulti risalente al novembre 2003, era da ritenersi maturato il termine di prescrizione del reato„ dovendo trovare applicazione l’art. 157, cod. pen. nella formulazione del testo antecedente alla l. n. 251 del 2005.

3.3. Deducono, con il terzo motivo, il vizio di motivazione contraddittoria ed illogica, stante il travisamento del significato del certificato di conformità statica a firma dell’Arch. Angelini in data 1.09.2015, omesso esame degli allegati alla memoria difensiva del 19.0.2019, della PEC del 12.07.2019 ufficio Genio Civile delle Marche — Ascoli Piceno risposta ai quesiti del 28.06.2019 a firma ing. Babini e della testimonianza di quest’ultimo del 18.10.2022 e del teste Galanti del 6.10.2020, nonché dei documenti allegati all’udienza 1.02.2019, ossia la determina sanatoria e quietanza pagamento sanatoria.

In sintesi, si censura il travisamento probatorio di tali documenti e testimonianze da parte del giudice, non avendo anzitutto attribuito la corretta valenza al certificato di idoneità statica 1.09.2015 agli effetti giuridici circa l’intervenuta prescrizione del reato contestato. La normativa regionale (art. 35, co. 2, I.r. Marche 8/2019, modificativa della l.r. Marche n. 17/2015), infatti, ha sancito che per attestare la sicurezza strutturale degli immobili in caso di carenza di certificato di collaudo fosse possibile produrre il certificato di idoneità statica predisposto dal professionista abilitato secondo i criteri metodologici di cui al DM 15.05.1985. Detto certificato veniva prodotto dalla difesa in allegato alla memoria del 19.07.2019, cui era unita anche la risposta dell’Ufficio regionale del Genio Civile delle Marche – Ascoli Piceno che confermava che detto certificato corrispondeva ai requisiti della novella regionale, come confermato anche dal teste Babini, sentito all’udienza del 18.10.2022, precisando che detto certificato di idoneità statica era stato redatto nel rispetto della vigente normativa e che non necessitava di alcuna integrazione in quanto documento idoneo con la finalità dichiarata. Il giudice di merito, pur non contestando il contenuto e l’efficacia di tale certificato, non ne avrebbe tratto le dovute conclusioni in termini di individuazione del dies a quo del termine di prescrizione del reato, ossia la data del 1.09.2015 in cui il certificato era stato emesso, ritenendo illogicamente sulla base della normativa edilizia che gli immobili non fossero ultimati perché non muniti di certificato di collaudo.

Inoltre, il giudice non avrebbe considerato che il condono del 2004 si era correttamente perfezionato, previo pagamento dell’oblazione come attestato dal teste Galanti, deposizione on considerata in sentenza ma che risultava decisiva in quanto confermata dai documenti allegata alla memoria del 1.02.2019 attestanti la determinazione dirigenziale di fissazione degli importi dovuti per la sanatoria e le quietanze di pagamento. In conclusione, le opere erano già state ultimate e vendute nell’anno 2003 e il certificato di idoneità statica delle stesse, rilasciato in data 1.09.2015, comportava sicuramente la cessazione della permanenza del reato antisismico alla data del deposito, determinandosi la prescrizione alla data del 1.09.2020, cui erano da aggiungersi i 64 gg. di sospensione previsti dalla normativa Covid-19 (art. 83, co. 3, d.l. n. 18 del 2020), con conseguente maturazione di tale termina alla data del 4.11.2020.

3.4. Deducono, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 35, co. 2, I.r. Marche n. 8/2019, modificativo dell’art. 17 co. 3, I.r. Marche n. 17/2015, dell’art. 75, TU Edilizia nonché degli arti:. 157 e 161, cod. pen., 129 e 531, cod. proc. pen., stante la mancata dichiarazione dell’estinzione per prescrizione del reato in conseguenza dell’omesso riconoscimento degli effetti del certificato di idoneità statica a firma Angelini del 1.09.2015 che avrebbe comportato la cessazione della condotta antigiuridica addebitabile ai due imputati. In sintesi, richiamando in parte quanto già argomentato al terzo motivo, la difesa evidenzia che il certificato di idoneità statica teneva luogo del certificato di collaudo in base alla citata normativa regionale, rappresentando in sostanza l’azione doverosa omessa dal responsabile dell reato di cui all’art. 75 TU edilizia, donde, alla data del deposito di tale certificato, ossia il 1.09.2015 si era verificato il momento di cessazione della condotta antigiuridica per il reato contestato. Non potendo il reato antisismico oggetto di sanatoria con effetti estintivi non essendovi un’analoga previsione normativa a quella degli artt. 36 e 45, TU Edilizia, la produzione postuma del certificato di idoneità statica che tiene luogo del certificato di collaudo avrebbe avuto comunque l’effetto di far cessare la permanenza del reato.

Poiché dal 1.09.2015 al 28.02.2023 non risultano contestazioni amministrative di alcun tipo, e nulla emergeva nemmeno vagamente in sentenza, il giudice avrebbe dovuto ritenere cessata la permanenza alla data del 1.09.2015, con conseguente declaratoria di prescrizione alla data del 4.11.2020, senza invece prendere come riferimento l’ultimazione dei lavori secondo quanto erroneamente affermato in sentenza.

3.5. Deducono, con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge con riferimento all’ordinanza 19.07.2019 di rigetto dell’oblazione ex art. 162-bis, cod. pen.

In sintesi, la difesa dei ricorrenti impugna ex art. 586, cod. proc. pen. l’ordinanza di cui sopra con cui immotivatamente è stata rigettata l’istanza di oblazione speciale.

3.6. Deducono, con il sesto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 133, cod. pen. e 533 cod. proc. pen.„ circa l’eccessiva entità della pena base determinata in circa sei volte il minimo dell’ammenda di 106 euro prevista per il reato di cui all’art. 75, TU Edilizia.

In sintesi, la difesa si duole per aver il giudice irrogato quale pena base per il reato in esame, una pena pari a sei volte il minimo edittale, senza motivare in ordine a tale consistente discostamento rispetto alla pena base.

4. Ricorso VERRONE C. (avv. Ortenzi), con cui si articolano quattro motivi.

4.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione cFi legge in relazione all’art. 75 TU edilizia.

In sintesi, si duole la difesa del ricorrente per essere stato ritenuto colpevole il Verrone del reato in questione nonostante fosse il direttore dei lavori, soggetto non destinatario della norma, che individua come soggetto attivo del reato solo colui il quale consenta l’utilizzazione delle costruzioni, con ciò intendendo il soggetto che ha la disponibilità del bene e la facoltà di farne uso.

4.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di mancanza della motivazione.

In sintesi, premesso che la condotta contestata è quella di aver proceduto dal novembre 2003 alle vendite degli immobili senza il prescritl:o certificato di collaudo, si osserva che tale condotta non avrebbe potuto essere ascritta al Verrone, il quale non aveva partecipato alla vendita degli immobili.

4.3. Deduce, con il terzo ed il quarto motivo, che possono essere congiuntamente illustrati in quanto oggetto di accorpamento nella struttura dell’impugnazione, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 157 e 158, cod. pen. in tema di prescrizione nonché il vizio di contraddittorietà della motivazione in ordine all’applicazione della predetta normativa.

In sintesi, premesso che il giudice aveva ritenuto che il certificato di idoneità statica poteva essere considerato quale atto sostitutivo del certificato di collaudo, si duole la difesa per non aver il giudice tratto le dovute conclusioni dichiarando estinto per prescrizione il reato in esame, in quanto la produzione del certificato di idoneità statica determinava la cessazione della permanenza del reato.

La motivazione risulterebbe inoltre contraddittoria e manifestamente illogica, non avendo il giudice ritenuto cessata la permanenza del reato a seguito della produzione del predetto certificato di idoneità statica, pur avendo affermato in motivazione che detto certificato poteva essere considerato atto sostitutivo del certificato di collaudo.

5. Il Procuratore Generale presso questa Corte, ha fatto pervenire la propria requisitoria scritta in data 23.12.2023, con cui ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza per essere il reato estinto per prescrizione, con declaratoria di inammissibilità quanto alle doglianze in punto di responsabilità degli imputati.

Secondo il PG deve premettersi che la sentenza è conforme ai principi esegetici in materia per i quali l’art. 75 del d.P.R. n. 380 del 2001 attribuisce la responsabilità del reato a chiunque violi le disposizioni richiamate, cosicché la violazione assume la natura di reato comune, che può essere quindi realizzato dal proprietario, dal committente, dal titolare della concessione edilizia e da qualsiasi altro soggetto che abbia la disponibilità dell’immobile o dell’area su cui esso sorge, nonché da coloro che abbiano esplicato attività tecnica ed iniziato la costruzione senza il doveroso controllo del rispetto degli adempimenti di legge (Sez. 3, n. 48333/2017). Sovviene che (Sez. III 27199/2022), in tema di disciplina urbanistica e edilizia, la fattispecie espressa dal disposto ex art. 75 cit., costituisce reato comune. Consegue che anche il tecnico, nella specie, può essere ritenuto responsabile del reato edilizio, evincendosi un suo contributo soggettivo, apprezzabile secondo le regole generali del concorso di persone. Nella specie, non può nemmeno ritenersi che la sentenza sia priva di motivazione. Anzi, essa riporta il convincimento che con la vendita dei lotti senza il certificato di collaudo si sia consumato l’illecito previsto dalla tipologia contravvenzionale attribuita. La questione principale riguarda, come ripreso in diversi motivi di doglianza, la consumazione dell’illecito edilizio in atti rappresentato e la conseguente maturazione del tempo di prescrizione. Vale riprendere quanto stabilito in sentenza. La motivazione della decisione censurata ritiene che la configurazione del reato non può venire meno a seguito del certificato di idoneità statica ottenuto dalla società Tamarix il 20/08-01/09/2015, cioè quando già da diversi anni (dal 2003) la società aveva proceduto a stipulare gli atti di compravendita — senza, quindi, abitabilità e agibilità – consentendo l’utilizzo delle costruzioni vendute molto prima del rilascio del certificato di idoneità statica ottenuto soltanto il 20/08-01/09/2015. A conforto della tesi, la sentenza rende la non legittimazione della società Tamarix per la richiesta del collaudo al tempo della L. Regionale n.8/2019, che parifica l’efficacia del certificato di collaudo statico al collaudo. Ai fini che rilevano, per le questioni proposte, occorre menzionare che il reato di cui al capo di imputazione, inerente la fattispecie descritta dall’art. 75 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (utilizzazione di un’opera in cemento armato o a struttura metallica prima del rilascio del certificato di collaudo) ha natura di reato permanente a condotta mista, in quanto comprende, da un lato, un aspetto commissivo costituito dall’utilizzazione dell’edificio e, dall’altro, un aspetto omissivo, costituito dalla mancata richiesta di collaudo all’autorità competente, con la conseguenza che il momento di cessazione della condotta antigiuridica, da cui far decorrere il termine di prescrizione, coincide con il momento di dismissione dell’utilizzo dell’immobile ovvero con il collaudo (cfr. Sez. 3, n. 36095 del 30/06/2016 Rv. 267917 – 01 Ercoli; Sez. 3, n. 1411 del 03/11/2011 (dep.17/01/2012) Rv. 251880 – 01 Iazzetta). Ed è questo il profilo che il Giudice di primo grado non ha ritenuto adeguatamente in motivazione. La dismissione dell’utilizzo dell’immobile si presta ad esegesi diversa. L’avvento della società Tiramax, ricostruito in atti, consente in punto di ritenere non avvenuta la dismissione se non con l’avvenuto collaudo, atto sostituito secondo la legge regionale n. 8/2019 Marche citata con il certificato di idoneità statica, ottenuto già a far tempo in data 20/08 — 01/09/2015, che alla data dell’11.07.2019, stante la sopravvenuta normativa regionale n. 8/2019 del 18.04.2019, poteva essere considerato quale atto sostitutivo del certificato di collaudo. Né in punto ricorre alcuna disapplicazione, da parte del Giudice, della previsione normativa relativa alla equiparazione riportata. In proposito occorre premettere che ai sensi dell’art. 53 in tema di definizioni di opere in conglomerato e metallo cui va ricondotto l’art. 75 del DPR 380/01 (Terza sezione, rg 28955/2021 del 11/01/2022) si dispone che “ai fini del presente testo unico si considerano: a) opere in conglomerato cementizio armato normale, quelle composte da un complesso di strutture in conglomerato cementizio ed armature che assolvono ad una funzione statica; b) opere in conglomerato cementizio armato precompresso, quelle composte di strutture in conglomerato cementizio ed armature nelle quali si imprime artificialmente uno stato di sollecitazione addizionale di natura ed entità tali da assicurare permanentemente l’effetto statico voluto; c) opere a struttura metallica quelle nelle quali la statica è assicurata in tutto o in parte da elementi strutturali in acciaio o in altri metalli”.

Pertanto, in tema di legislazione antisismica, le contravvenzioni di omessa denuncia dei lavori e presentazione dei progetti e di inizio dei lavori senza preventiva autorizzazione hanno natura di reati permanenti, la cui consumazione si protrae sino a che il responsabile, rispettivamente, non presenti la relativa denuncia con l’allegato progetto, non termini l’intervento oppure non ottenga la relativa autorizzazione. (Sez. 3, n. 2210 del 16/12/2021 (dep. 19/01/2022). Nel caso in esame la prescrizione era da intendersi maturata, in violazione del disposto combinato degli artt. 157 e 158 c.p. Pertanto, il giudice doveva dichiarare la prescrizione del reato essendo ampiamente decorso il termine di cinque anni dall’01.09.2015 (data del certificato di idoneità statica) il giorno 4 novembre 2020 (1.09.2020 + 64 giorni (e cioè nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020, art. 83, comma 4, D.L. n. 18/2020) alla data di pronuncia della sentenza n. 202/2023. In sede di legittimità, non è possibile fare applicazione del disposto dell’art. 129, comma 2. cod. proc. peri., che non è stato neppure sollecitato con i motivi di impugnazione, non risultando evidente per essi il ricorrere di una delle cause di non punibilità di cui alla predetta norma, in considerazione delle ragioni espresse nell’iter argomentativo a supporto della decisione impugnata e in assenza di contestazioni con riferimento alle predette posizioni. Vanno quindi accolte le doglianze relative all’estinzione del reato per maturazione del tempo di prescrizione, assorbiti i motivi conseguenti, dichiarando inammissibili i motivi connessi all’affermazione di responsabilità degli imputati.

6. In data 30.01.2024, l’avv. Francesco Carlesi, nell’interesse dei ricorrenti PAOLINI M. e PAOLINI F. ha fatto pervenire memoria, con le relative conclusioni, insistendo nell’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato cartolarmente, in assenza di istanza di discussione orale, a norma dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, e successive modifiche ed integrazioni, è fondato.

2. Seguendo l’ordine dianzi svolto per l’illustrazione dei motivi di ricorso, si procederà anzitutto nell’esame del ricorso congiunto della difesa Paolini.

3. Il primo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.

Il reato per cui si procede è costituito dall’art. 75, d.P.R. n. 380 del 2001, che sotto la rubrica «Mancanza del certificato di collaudo», punisce chiunque consente l’utilizzazione delle costruzioni prima del rilascio del certificato di collaudo. La giurisprudenza di questa Corte, pronunciandosi sulla natura giuridica dello stesso, ha affermato che trattasi di reato permanente a condotta mista in quanto comprende, da un lato, un aspetto commissivo costituito dall’utilizzazione dell’edificio e, dall’altro, un aspetto omissivo, costituito dalla mancata richiesta di collaudo all’autorità competente (Fattispecie in tema di prescrizione, in cui la Corte ha precisato che il momento di cessazione della condotta antigiuridica coincide con il momento di dismissione dell’utilizzo dell’immobile ovvero con il collaudo: Sez. 3, n. 1411 del 03/11/2011, dep. 2012, Rv. 251880 – 01).

Da quanto sopra ne consegue che ciò che rileva ai fini dell’integrazione del reato in esame è la mancata richiesta di collaudo all’autorità competente, prescindendosi, dunque, dall’individuazione degli immobili non “collaudati”, dei loro utilizzatori e (a differenza di quanto sostengono i ricorrenti) delle date delle singole cessioni, in quanto il reato permane fino a quando l’utilizzo degli immobili non venga dismesso ovvero fino a quando, in costanza di utilizzo, non intervenga il collaudo degli immobili.

Nel caso di specie, è la stessa difesa ad ammettere che è certo che solo nel corso dell’anno 2003 venivano completate tutte le cessioni. Le dichiarazioni del teste Virgulti, poi, avvalorano la tesi accusatoria, senza tuttavia risolversi, come sostenuto dalla difesa, in una circostanza positiva per i ricorrenti, titolari della Tamarix SRL che, dal 2003, non sarebbe stata più proprietaria degli immobili e, quindi, esente da responsabilità. Sul punto è invero pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il reato in esame è configurabile anche a carico del costruttore, del committente o del proprietario (Sez. 3, n. 1802 del 24/11/2010, dep. 2011, Rv. 249133 — 01), ed è indubbio, risultando dallo stesso capo di imputazione, che la responsabilità dei ricorrenti viene chiamata in causa non solo e non tanto quali amministratori della società proprietaria, ma anche quale società costruttrice degli immobili non collaudati. E, quali costruttori, pertanto, anche gli attuali ricorrenti sono da individuare come soggetti penalmente responsabili.

4. Anche il secondo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.

Si è già detto nel dichiarare la manifesta infondatezza del motivo che precede, che la responsabilità dei ricorrenti quali amministratori della Tamarix SRL discende dalla loro qualità anche di costruttori degli immobili non collaudati. Si è anche aggiunto che, trattandosi di reato permanente, il momento di cessazione della permanenza va individuato o in quello di dismissione dell’utilizzo degli immobili o in quello di esecuzione del collaudo. Nella specie, pertanto, non può individuarsi il termine di prescrizione del reato nel 2006, in quanto la condotta antigiuridica, come si dirà infra, è da intendersi cessata, in mancanza di prova di dismissione dell’utilizzo degli immobili non collaudati, al momento del Collaudo e, più specificamente, al momento del rilascio del certificato di idoneità statica degli immobili sostitutivo del certificato di collaudo in base alla richiamata normativa regionale.

Il motivo è, peraltro, privo di pregio nella parte in cui individua quale normativa più favorevole quella antecedente alle modifiche introdotte dalla l. 251 del 2005, posto che, come autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, ai fini dell’operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado determina la pendenza in grado d’appello del procedimento, ostativa all’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli (Sez. U, n. 47008 del 29/1.0/2009, D’Amato, Rv. 244810 — 01). Nella specie, la sentenza di primo grado è stata pronunciata in data 28/02/2023, con conseguente inapplicabilità della disciplina antevigente alle modifiche in tema di prescrizione introdotte dalla l. n 251 del 2005.

5. Il terzo ed il quarto motivo possono essere congiuntamente esaminati attesa l’intima connessione dei profili di doglianza con essi esposti.

Gli stessi sono fondati.

Ed invero, ritiene il Collegio che la produzione postuma del certificato di idoneità statica che tiene luogo del certificato di collaudo ha avuto l’effetto di far cessare la permanenza del reato. L’art. 17 della L.R. Marche 20 aprile 2015, n. 17, recante il “Riordino e semplificazione della normativa regionale in materia di edilizia”, come da ultimo sostituito dall’ art. 35, comma 2, L.R. Marche 18 aprile 2019, n. 8, a decorrere dal 19 aprile 2019, sotto la rubrica «Agibilità e agibilità parziale», prevede al comma terzo, che “3. La segnalazione certificata di conformità edilizia e di agibilità può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili privi di agibilità che presentano i requisiti di sicurezza, igiene, salubrità e l’attestazione di prestazione energetica. Ai fini di questo comma, la sicurezza strutturale degli immobili è attestata dal certificato di collaudo statico o, in carenza dello stesso, dal certificato di idoneità statica, predisposto da professionista abilitato secondo i criteri metodologici stabiliti dal D.M. 15 maggio 1985 (Accertamenti e norme tecniche per la certificazione di idoneità statica delle costruzioni abusive (art. 35, quarto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47)). L.a Giunta regionale può definire modalità semplificate per l’accertamento dell’idoneità statica delle unità strutturali”.

Quindi, è la stessa normativa regionale ad aver previsto, quale sostitutivo del certificato di collaudo statico, in sua mancanza, il certificato di idoneità statica redatto secondo i criteri metodologici previsti dal DM 15 maggio 1985 ed è, in particolare, emerso dagli atti allegati (certificato di idoneità statica del 1.09.2015) e dalle dichiarazioni confermative del teste arch. Angelini e del teste Babini che il predetto certificato di idoneità statica era stato redatto nel rispetto della vigente normativa e che non necessitava di alcuna integrazione in quanto documento idoneo con la finalità dichiarata.

6. Sul punto occorre svolgere alcune considerazioni.

È opportuno, intanto, un preliminare approfondimento sugli istituti dei quali occorre occuparsi.

6.1. Il certificato di agibilità assolve alla funzione di attestare “la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, e, ove previsto, di rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale, valutate secondo quanto dispone la vigente normativa” (art. 24, comma 1 del D.P.R. 380/2001). Ai fini del rilascio del certificato assumono pertanto rilievo tutti gli aspetti (sicurezza, igiene e sanità, risparmio energetico), che concorrono a rendere utilizzabile l’opera. Nel caso della realizzazione delle opere in cemento armato, normale e precompresso e a struttura metallica, il Comune è tenuto a verificare la sussistenza del certificato di collaudo statico (art. 25, comma 3, lett. a), TU Edilizia).

6.2. Il certificato di collaudo statico riguarda le costruzioni in conglomerato cementizio armato o a struttura metallica (cfr. art. 67 T.U. 380/2001, nel solco della I. 5 novembre 1971 n. 1086, artt. 7 e 8); la sua redazione spetta ad un ingegnere o ad un architetto iscritto all’albo da almeno dieci anni, che non sia intervenuto in alcun modo nella progettazione, direzione ed esecuzione dell’opera. La nomina del collaudatore spetta al committente. Il collaudo è emesso alla conclusione dei lavori; disciplinato con I. 5 novembre 1971, n. 1086 relativamente alle sole strutture in cemento armato normale e precompresso e alle strutture metalliche, ha poi trovato compiuta normazione, quanto a campo di applicazione e modalità, anzitutto nel Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008 – Testo Unico delle Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC), e, attualmente, nel D.M. 17 gennaio 2018 che sostituiscono, a decorrere dal 22 marzo 2018, quelle approvate con il precedente DM, decreto ministeriale che, al capitolo 9 stabilisce testualmente: ” Il collaudo statico, inteso come procedura disciplinata dalle vigenti leggi di settore, è finalizzato alla valutazione e giudizio sulle prestazioni, come definite dalle presenti norme, delle opere e delle componenti strutturali comprese nel progetto ed eventuali varianti depositati presso gli organi di controllo competenti. In caso di esito positivo, la procedura si conclude con l’emissione del certificato di collaudo”. Per via del fatto che, in genere, gli elementi strutturali, una volta posti in opera, non sono più ispezionabili e controllabili, il collaudo statico è un collaudo in corso d’opera; esso non assume mai la configurazione della provvisorietà. Per tanto le opere non possono essere mai essere messe in esercizio prima che il collaudo statico sia stato eseguito.

6.3. Il certificato di idoneità statica è invece un documento volto ad accertare la “sicurezza strutturale” di un edificio, sostanzialmente alternativo al certificato di collaudo, ideato e richiesto per soddisfare la necessità di attestare l’idoneità statica in almeno quattro differenti situazioni: 1. Le opere oggetto di condono edilizio; 2. Le opere oggetto di accertamento di conformità; 3. Le opere soggette al rilascio del certificato di agibilità; 4. Le costruzioni destinate a locali di pubblico spettacolo o di impianti sportivi, oltre ai casi di attestazioni di idoneità statica necessarie per gli edifici colpiti dagli eventi sismici ovvero oggetto di specifiche disposizioni di legge.

6.4. Tanto premesso, in linea generale, una certificazione/dichiarazione di idoneità statica non equivale al certificato di collaudo, formalmente non ne costituisce equipollente. Un certificato di collaudo è il prodotto di un insieme di obblighi e regole normativamente ben determinati, relativi alla qualificazione dei tecnici, e della loro anzianità professionale, dei costruttori, dei materiali, della tipologia degli esami e delle ispezioni, ecc.; la certificazione di idoneità statica, no. In realtà, la dichiarazione di idoneità statica contiene le stesse considerazioni in termini di valutazione della sicurezza strutturale, vale a dire, gli stessi elementi che portano il tecnico estensore, su sua responsabilità, al proprio convincimento sulla sicurezza delle opere strutturali della costruzione, di quelli contenute nel certificato di collaudo statico. E può dirsi che conduce alle medesime conclusioni sostanziali. E’ un fatto, però, che il citato art. 24 del DPR 380/2001 espressamente prevede, per il rilascio del certificato di agibilità, che per interventi di: a) nuove costruzioni; b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, sia presente il certificato di collaudo statico, ai sensi dell’art. 67 del DPR stesso. Dunque, non solo nei casi di opere strutturali.

6.5. Venendo, però, alla questione della sanatoria da un punto di vista dell’idoneità statica degli edifici, la stessa venne per la prima volta affrontata dal Legislatore con l’art. 35 della I. n. 47 del 1985 che, con riferimento alla sanatoria, prevede che alla domanda debbano essere allegati alcuni documenti, tra cui una “apposita dichiarazione, corredata di documentazione fotografica, dalla quale risulti lo stato dei lavori relativi; quando l’opera abusiva supera i 450 metri cubi devono altresì essere presentati, entro il termine stabilito per il versamento della seconda rata della oblazione, una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una certificazione redatta da un tecnico abilitato all’esercizio della professione attestante l’idoneità statica delle opere eseguite. Qualora l’opera per la quale viene presentata istanza di sanatoria sia stata in precedenza collaudata, tale certificazione non è necessaria se non è oggetto di richiesta motivata da parte del sindaco”. Il terz’ultimo comma dell’art. 35 citato, poi, prevede che “A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni”.

La stessa norma disponeva (co. 4) che “Con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro per il coordinamento della protezione civile, sono determinati entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 12 gennaio 1988, n. 2, gli accertamenti da eseguire al fine della certificazione di cui alla lettera b) del comma precedente, anche in deroga alle leggi 9 luglio 1908, n. 445, e successive modificazioni, 5 novembre 1971, n. 1086, 2 febbraio 1974, n. 64 e 14 maggio 1981, n. 219, e relative norme tecniche. Con lo stesso decreto possono essere previste deroghe anche alle disposizioni della legge 2 febbraio 1974, n. 64, riguardanti le altezze degli edifici, anche in rapporto alla larghezza stradale e sono determinate altresì le disposizioni per l’adeguamento antisismico degli edifici, tenuto conto dei criteri tecnici già stabiliti con le ordinanze concernenti la riparazione degli immobili colpiti dal terremoto. Per le costruzioni realizzate prima della dichiarazione di sismicità della zona, gli accertamenti sono eseguiti senza tener conto della dichiarazione stessa”. Il decreto non tardò ad arrivare e fu emanato con D.M. 15/05/1985 ed era rubricato “Accertamenti e norme tecniche per la certificazione di idoneità statica delle costruzioni abusive”, poi integrato e modificato dal successivo D.M. 20/09/1985 per essere espressamente collegato alle opere oggetto di sanatoria.

La normativa che richiede il rilascio del certificato di idoneità statica è appunto quella del condono edilizio, ovvero la L. 47/85, lo stesso dicasi anche per i due successivi provvedimenti di riapertura dei termini di condono L. 724/94 e L. 326/2003. Nel Testo Unico Edilizia, DPR n. 380/01, invece non è minimamente contemplato, neppure nel capo relativo agli abusi edilizi e accertamento di conformità in sanatoria. Chiaramente il problema si pone nel momento in cui un immobile debba essere dotato di un nuovo provvedimento di agibilità (oggi Segnalazione Certificata Agibilità ex D. Lgs. n. 222/2016), e soprattutto per edifici sprovvisti di collaudo statico introdotto con la L. 1086/71. A differenza del collaudo statico, per la quale è richiesto che il professionista sia iscritto all’albo da almeno 10 anni, la dichiarazione di idoneità statica può essere prodotta ad un professionista abilitato nei limiti delle proprie competenze. La dichiarazione di idoneità statica contiene le stesse considerazioni finalizzate alla valutazione di sicurezza strutturale, seguendo le stesse logiche che conducono il tecnico certificatore al convincimento sulla sicurezza della struttura costruttiva, alla stregua del collaudo statico. Il problema della dichiarazione o certificazione di idoneità statica è costantemente emerso nel momento in cui gli immobili debbano dotarsi di nuova agibilità e risultino sprovvisti di collaudo statico per diversi motivi (ad es. la sua edificazione anteriore alla L. 1086/71). Nella nuova procedura di Segnalazione Certificata di Agibilità, che in sostanza ricalca i contenuti di quella previgente, si prevede solo la richiesta di collaudo statico, ma non si contempla nessun’altra alternativa,

6.6. Di fatto rapportandosi con la P.A. è invalsa la diffusa prassi che la certificazione di idoneità statica possa essere applicata in luogo del collaudo statico per gli immobili sprovvisti di esso, sprovvisti di agibilità perché datati e perfino nelle procedure di accertamento di conformità in sanatoria, come appunto previsto dalla L.R. Marche citata.

E ben vero che l’art. 25, comma 3, lett. a) del DPR 380/2001 stabilisce che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale rilascia il certificato di agibilità verificato il certificato di collaudo statico, di cui all’art. 67, ma è altrettanto vero che il richiamato art. 17 della L.R. Marche 20 aprile 2015, n. 17, recante il “Riordino e semplificazione della normativa regionale in materia di edilizia”, come da ultimo sostituito dall’art. 35, comma 2, L.R. Marche 18 aprile 2019, n. 8, a decorrere dal 19 aprile 2019, sotto la rubrica «Agibilità e agibilità parziale», prevede al comma terzo, che “3.

La segnalazione certificata di conformità edilizia e di agibilità può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili privi di agibilità che presentano i requisiti di sicurezza, igiene, salubrità e l’attestazione di prestazione energetica. Ai fini di questo comma, la sicurezza strutturale degli immobili è attestata dal certificato di collaudo statico o, in carenza dello stesso, dal certificato di idoneità statica, predisposto da professionista abilitato secondo i criteri metodologici stabiliti dal D.M. 15 maggio 1985 (Accertamenti e norme tecniche per la certificazione di idoneità statica delle costruzioni abusive (art. 35, quarto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47)). Il Legislatore regionale – che, in base alla previsione generale di cui all’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, esercita la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico – stabilisce dunque una precisa equipollenza tra certificato di collaudo statico e certificazione o dichiarazione di idoneità statica.

6.7. Quanto sopra, del resto, trova conforto anche nella giurisprudenza amministrativa che, pronunciandosi sul punto, ha affermato che per gli edifici con opere strutturali in cemento armato costruiti dopo l’entrata in vigore della I. n. 1086/1971, la mancanza del certificato di collaudo non è formalmente giustificabile e la richiesta di agibilità deve essere accompagnata da una vera e propria denuncia delle opere strutturali « a posteriori », se non già presente e dal successivo collaudo statico. Non si rinviene, del resto, nell’ordinamento alcuna disposizione espressa che consenta di tollerare l’equiparazione, ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tra collaudo statico e la certificazione di idoneità statica, ad eccezione di quella prevista dell’art. 35, comma 3, lett. b), I. 28.02.1985, n. 47 che contempla, a determinate condizioni e quale sufficiente ai soli fini del rilascio del condono edilizio, la presentazione di un certificato di idoneità statica (T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 08/10/2019, n.584).

Equipollenza, questa, assicurata, come visto dalla L.R. Marche, in quanto il rilascio del certificato di idoneità statica del 1° settembre 2015 si innestava nella pratica di condono attivata nel 2004.

7. Se tale equipollenza, come è noto, non determina alcun effettivo estintivo in sanatoria a differenza di quanto prevede il combinato disposto degli artt. 36 e 45, TU edilizia per le violazioni edilizie, ha tuttavia indubbio riflesso sotto il profilo del momento di cessazione della permanenza del reato di cui all’art. 75, TU edilizia.

E’ stato infatti più volte ribadito da questa Corte, come già in precedenza chiarito a proposito del primo motivo, che il reato di cui all’art. 75 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (utilizzazione di un’opera in cemento armato o a struttura metallica prima del rilascio del certificato di collaudo) ha natura di reato permanente a condotta mista in quanto comprende, da un lato,, un aspetto commissivo costituito dall’utilizzazione dell’edificio e, dall’altro, un aspetto omissivo, costituito dalla mancata richiesta di collaudo all’autorità competente (Fattispecie in tema di prescrizione, in cui la Corte ha precisato che il momento di cessazione della condotta antigiuridica coincide con il momento di dismissione dell’utilizzo dell’immobile ovvero con il collaudo: Sez. 3, n. 1411 del 03/11/2011, dep. 2012, Rv. 251880 – 01; Sez. 3, n. 36095 del 30/06/2016, Rv. 267917 – 01).

Ciò significa in altri termini che il dies a quo è costituito, in assenza di prova della dismissione dell’utilizzo dell’immobile, dall’avvenuta effettuazione del collaudo. In virtù della equipollenza prevista dalla Regione Marche tra certificato di collaudo statico e certificato di idoneità statica predisposto da professionista abilitato secondo i criteri metodologici stabiliti dal D.M. 15 maggio 1985 (come emerso nel corso del presente giudizio), detto dies a quo non può che coincidere con il momento in cui è stato rilasciato quest’ultimo, ossia il 10settembre 2015, momento di cessazione della permanenza del reato per l’intervenuto rilascio del collaudo.

Se così è, dunque, il termine di prescrizione massima del reato per cui si procede (5 anni), sarebbe dovuto maturare alla data del 10 settembre 2020, cui peraltro devono essere aggiunti i 64 giorni di sospensione previsti dalla normativa Covid-19, ossia dal 9 marzo al 30 giugno 2020, in virtù del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 4, con conseguente maturazione definitiva del termine alla data del 4.11.2020, dunque in data antecedente alla pronuncia della sentenza impugnata (28/02/2023).

Ciò comporta il doveroso annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato ascritto al Paolini F. ed al Paolini M. estinto per prescrizione.

8. L’intervenuto proscioglimento degli stessi rende superfluo l’esame dei restanti motivi di ricorso, da ritenersi pertanto assorbiti, atteso che tali motivi sono relativi alla asserita illegittimità dell’ordinanza reiettiva della richiesta di -ammissione all’oblazione speciale nonché al trattamento sanzionatorio.

9. Può quindi procedersi all’esame del ricorso Verrone.

10. Il primo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.

Questa Corte ha infatti già affermato che il reato di cui all’art. 75, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (utilizzazione di un’opera in cemento armato od a struttura metallica prima del rilascio del certificato di collaudo) è configurabile anche a carico del direttore dei lavori (In motivazione la Corte ha precisato che questi, in qualità di primo garante della sicurezza, è soggetto all’obbligo specifico di inibire l’utilizzazione dell’edificio prima del rilascio del certificato di collaudo: Sez. 3, n. 22291 del 15/02/2011, Rv. 250368 – 01).

11. Anche il secondo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.

Come già evidenziato in relazione al motivo che precede, il direttore dei lavori, in qualità di primo garante della sicurezza, è soggetto all’obbligo specifico di inibire l’utilizzazione dell’edificio prima del rilascio del certificato di collaudo. Ne consegue che la sua responsabilità è configurabile a prescindere dalla sua partecipazione attiva alla fase della commercializzazione delle unità immobiliari sprovviste del certificato di collaudo.

12. Il terzo ed il quarto motivo, già congiuntamente illustrati, sono invece fondati per le medesime ragioni già esposte a proposito del terzo motivo congiunto, già esaminato in relazione alla posizione dei ricorrenti Paolini F. e Paolini M.. Ne deriva che, anche in relazione alla posizione di Verrone C., il reato deve essere dichiarato estinto per prescrizione, con conseguente annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

Così deciso, il 15 febbraio 2024

 

 
 

 

 

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