CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 13/06/2016 (ud. 03/03/2016) Sentenza n.24415
RIFIUTI – Smaltimento di rifiuti di imballaggio mediante incenerimento – Assenza di autorizzazione – Idoneità della combustione a sprigionare sostanze tossiche o velenose – Ininfluenza – Configurabilità del reato di cui all’art.256, c.1, d.lgs. n. 152/2006 – DANNO AMBIENTALE – Ratio della fattispecie incriminatrice.
Lo smaltimento di rifiuti di imballaggio (nella specie: carta e plastica) mediante incenerimento in assenza della prescritta autorizzazione integra il reato di cui all’
art. 256, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, senza necessità che sia verificata l’idoneità della combustione a sprigionare sostanze tossiche o velenose (sez. 3, 13 novembre 2013, n. 48737, rv. 257921). La fattispecie incriminatrice punisce, infatti, l’abusivo smaltimento dei rifiuti e non la produzione di inquinamento atmosferico, cosicché non assume alcun rilievo l’eventuale danno o pericolo di danno per l’ambiente atmosferico.
(conferma sentenza del Tribunale di Lecce del 24/01/2014) Pres. AMORESANO, Rel. ANDRONIO, Ric. Capoccello
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 13/06/2016 (ud. 03/03/2016) Sentenza n.24415
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 13/06/2016 (ud. 03/03/2016) Sentenza n.24415
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Capoccello Augusto, nato il 2 ottobre 1972
avverso la sentenza del Tribunale di Lecce del 24 gennaio 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Marilia Di Nardo, che ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Donato De Mitri.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 24 gennaio 2014, il Tribunale di Lecce ha – per quanto qui rileva – condannato l’imputato alla pena dell’ammenda, per il reato di cui all’
art.256, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, per avere, nella sua qualità di legale rappresentante di una società operante nella produzione di malte, collanti e pitture, effettuato illecitamente attività di smaltimento dei rifiuti speciali derivanti da tale attività, mediante l’incenerimento in un contenitore di ferro appositamente allocato di rifiuti di imballaggio (plastiche e carte impregnate di vernici).
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, impugnazione qualificata come appello, sostenendo che si era trattato di un singolo episodio in zona isolata e che i quantitativi di rifiuti bruciati non erano consistenti. Afferma, altresì, che non vi sarebbe stata la dimostrazione che l’attività fosse idonea a liberare sostanze tossiche o velenose, elemento – questo – che sarebbe necessario per integrare il reato in questione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché basato su una doglianza manifestamente infondata.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa – la quale non contesta il fatto né nella sua materialità, né sotto il profilo della sua attribuzione all’imputato – lo smaltimento di rifiuti di imballaggio (nella specie: carta e plastica) mediante incenerimento in assenza della prescritta autorizzazione integra il reato di cui all’
art. 256, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, senza necessità che sia verificata l’idoneità della combustione a sprigionare sostanze tossiche o velenose (sez. 3, 13 novembre 2013, n. 48737, rv. 257921). La fattispecie incriminatrice punisce, infatti, l’abusivo smaltimento dei rifiuti e non la produzione di inquinamento atmosferico, cosicché non assume alcun rilievo l’eventuale danno o pericolo di danno per l’ambiente atmosferico.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassadelle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 marzo 2016.