In tema di discarica abusiva, anche se il reato è prescritto, è legittima la condanna al risarcimento del danno patito dalle costituite parti civili, in specie tutti soggetti residenti nelle immediate vicinanze della discarica non autorizzata con conseguente mutamento dello stato dei luoghi e concentrazione di metalli a spiccata radioattività naturale, che hanno leso il bene ambiente, ciò ha negativamente inciso, anche, sul valore delle unità immobiliari di proprietà delle parti civili, situate nei pressi della discarica. Sicché, emerge la legittimità della condanna degli imputati in via solidale al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, stante il disposto dell’art. 2055, comma 2, cod. .civ., a tenore del quale "se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno", fatta salva l’azione di regresso prevista dal successivo comma 2. Il dati fattuali rilevante emerse nel processo erano sia costituite da prove dichiarative sia dalla natura tecnico scientifica delle indagini (come i rilevamenti di radioattività di fondo correlata all’interramento di oltre un centinaio di "cassetti di acciaieria" contenenti zirconio") nonché dagli esiti dell’ispezione condotta dai vigili del fuoco.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 13/07/2018 (Ud. 09/05/2018), Sentenza n.32185
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 13/07/2018 (Ud. 09/05/2018), Sentenza n.32185
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Repetti Vittorio, nato a Borghetto di Borbera il 27/02/1943
Repetti Luca, nato a Genova il 16/04/1966
avverso la sentenza del 12/07 /2017 della Corte d’appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Gaeta, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Alessandria – sezione distaccata di Novi Ligure, appellata dagli imputati e dalle parti civili, la Corte d’appello di Torino dichiarava non doversi procedere nei confronti di Vittorio Repetti e di Luca Repetti in relazione al reato di cui all’art. 51, comma 3, d.lgs. n. 22 del 1997 perché estinto per prescrizione, a loro contestato per avere realizzato, quali soci accomandatari della "Repetti Vittorio & e sas", una discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi e non pericolosi sul piazzale della sede operativa di Borgetto Barbera; condannava gli imputati in solido al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili, rimettendone la liquidazione al giudice civile.
2. Avverso l’indicata sentenza gli imputati, per il tramite del comune difensore di fiducia, propongono ricorso per cassazione, articolato in tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce erronea applicazione della legge penale, in riferimento all’art. 51, comma 3, d.lgs. n. 22 del 1997 e connesso vizio motivazionale. Assume il difensore che la Corte territoriale avrebbe errato nel ravvisare la sussistenza del reato in esame, posto che, da un lato, la ditta Repetti era autorizzata a trattare lo zirconio, sicché la presenza delle centoundici cassette metalliche di quel materiale era lecita; dall’altro, per la sussistenza del reato occorre l’accertamento di una condotta ripetuta di scarico di rifiuti in un’area trasformata da deposito dei medesimi con carattere di definitività, non ravvisabile nel caso in esame.
Sotto altro profilo, la motivazione sarebbe illogica nella parte in cui ritiene che l’innalzamento delle quote del sito siano una conseguenza dei materiale che la ditta Repetti non aveva ritenuto conveniente recuperare, poiché, per l’imprenditore che opera nel settore dei rifiuti, il guadagno deriva proprio dal recupero dei materiali in ingresso per essere lavorati.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale, in riferimento agli artt. 6, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 22 del 1997 e 14 d.l. n. 138 del 2002, e relativo vizio motivazionale. Ad avviso dei ricorrenti, nell’area di proprietà della ditta Repetti sono stati realizzati un piazzale e un capannone, ciò che avrebbe richiesto operazioni di riempimento, spianamento e riporto del terreno, utilizzando materiale di scarto della lavorazione aziendale, che non sarebbe da considerare, perciò, quale "rifiuto", bensì materia prima secondaria, giusto il disposto dell’art. 14 d.lg. n. 138 del 2002.
2.3. Con il terzo motivo si eccepisce la violazione degli artt. 2043 cod. civ., 185 cod. pen. e 18 l. n. 349 del 1986. Secondo i ricorrenti, sarebbe illegittima la condanna al risarcimento dei danni, in assenza di una prova sul punto, né la Corte d’appello avrebbe potuto condannare in solido gli imputati, senza considerare le eventuali differenti responsabilità, in violazione dell’art. 18 l. n. 349 del 1986.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Il primo motivo è inammissibile perché tende a una rilettura del materiale probatorio, non consentita in sede di legittimità.
I ricorrenti non contestano i principi applicati dalla Corte territoriale, e, in particolare, quello secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, è necessario l’accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato (Sez. 3, n. 47501 del 13/11/2013 – dep. 29/11/2013, Caminotto, Rv. 257996). Essi contestano, piuttosto, la concreta sussistenza di una discarica abusiva, come ritenuta dai giudici di merito, ciò che, però, inevitabilmente si scontra con l’accertamento fattuale operato dalla Corte territoriale, la quale, con logica motivazione, ha ritenuto la sussistenza di una discarica abusiva – sulla base sia di prove dichiarative e di natura tecnico scientifica (come i rilevamenti di radioattività di fondo correlata all’interramento di oltre un centinaio di "cassetti di acciaieria" contenenti zirconio") – realizzata, diversamente da quanto opinato dai ricorrente, attraverso una pratica non occasionale di sversamento e accumulo al suolo di materiale in varie parti del sito, come desumibile dalla deposizione di Sergio Montenucco, dalle ammissioni, sia pur parziali di Vittorio Repetti, nonché dagli esiti dell’ispezione condotta dai vigili del fuoco.
Si tratta, come detto, di un apprezzamento di fatto, fedele alle risultanze probatorie e logicamente motivato che, quindi, sfugge al sindacato di legittimità.
3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo perché generico, in quanto riproduttivo delle medesime doglianze già disattese dalla Corte territoriale, senza un reale confronto critico con la motivazione del provvedimento impugnato.
Anche in tal caso, la Corte territoriale, con motivazione logica, ha ritenuto che se le cassette contenenti lo zirconio fossero state commerciabili, non si comprenderebbe perché siano state interrate, essendo lo spianamento un mezzo di occultamento dei predetti rifiuti pericolosi. Ancora, la questione dei materiali da scarto è stata correttamente ritenuta secondaria rispetto all’accumulo nel sito di strumenti di acciaieria con composizione alla zirconio, in concentrazione assai elevata, ciò che integra il reato contestato.
4. Il terzo motivo è parimenti manifestamente infondato.
Invero, la Corte territoriale, con motivazione logica, ha ravvisato il danno patito dalle costituite parti civili, tutti soggetti residenti nelle immediate vicinanze della ditta, nel fatto che la realizzazione della discarica abusiva, con conseguente mutamento dello stato dei luoghi e concentrazione di metalli a spiccata radioattività naturale, ha leso il bene ambiente, ciò che ha negativamente inciso sul valore delle unità immobiliari, di proprietà delle parti civili, situate nei pressi della discarica.
Va, peraltro, osservato che correttamente la Corte territoriale ha condannato gli imputati in via solidale al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, stante il disposto dell’art. 2055, comma 2, cod. .civ., a tenore del quale "se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno", fatta salva l’azione di regresso prevista dal successivo comma 2.
5. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 09/05/2018.