+39-0941.327734 abbonati@ambientediritto.it
Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 40678 | Data di udienza: 26 Giugno 2018

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Mutamento di destinazione d’uso senza opere – SCIA o permesso di costruire – Presupposti – Stessa categoria urbanistica – Categoria omogenea – Centri storici – Art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380/2001 – Giurisprudenza – Destinazione d’uso – Funzione – Organizzazione e gestione del territorio comunale – Mutamento della destinazione d’uso – Aggravamento del carico urbanistico – Regimi urbanistico-contributivi diversi.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Settembre 2018
Numero: 40678
Data di udienza: 26 Giugno 2018
Presidente: LAPALORCIA
Estensore: CORBETTA


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Mutamento di destinazione d’uso senza opere – SCIA o permesso di costruire – Presupposti – Stessa categoria urbanistica – Categoria omogenea – Centri storici – Art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380/2001 – Giurisprudenza – Destinazione d’uso – Funzione – Organizzazione e gestione del territorio comunale – Mutamento della destinazione d’uso – Aggravamento del carico urbanistico – Regimi urbanistico-contributivi diversi.



Massima

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 13/09/2018 (Ud. 26/06/2018), Sentenza n.40678
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Mutamento di destinazione d’uso senza opere – SCIA o permesso di costruire – Presupposti – Stessa categoria urbanistica – Categoria omogenea – Centri storici – Art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380/2001 – Giurisprudenza.
 
In tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d’uso senza opere è assoggettato a SCIA, purché intervenga nell’ambito della stessa categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d’uso sia eseguito nei centri storici, anche all’interno di una stessa categoria omogenea. (Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016 – dep. 24/06/2016, P.M. in proc. Stellato).
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Destinazione d’uso – Funzione – Organizzazione e gestione del territorio comunale – Mutamento della destinazione d’uso – Aggravamento del carico urbanistico – Regimi urbanistico-contributivi diversi.
 
La destinazione d’uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione. Essa individua il bene sotto l’aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona. L’organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono, infatti, realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull’organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale. Non è, perciò, sufficiente dimostrare che il mutamento della destinazione d’uso sia stato eseguito in assenza di opere edilizie interne, ma occorre dimostrare che il cambio della destinazione presenti il requisito dell’omogeneità, nel senso che sia intervenuto tra categorie urbanistiche omogenee perché il cambio, allorquando investe categorie urbanistiche disomogenee di utilizzazione, determina un aggravamento del carico urbanistico esistente. Pertanto, è giuridicamente rilevante solo il mutamento di destinazione d’uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell’ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico-contributivi stante le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria.

(conferma sentenza del 10/05/2016 – TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA) Pres. LAPALORCIA, Rel. CORBETTA, Ric. Gareri

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 13/09/2018 (Ud. 26/06/2018), Sentenza n.40678

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 13/09/2018 (Ud. 26/06/2018), Sentenza n.40678
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE,
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da Gareri Alfonso, nato a Reggio Emilia;
 
avverso la sentenza del 10/05/2016 del Tribunale di Reggio Emilia;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giulio Romano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Reggio Emilia condannava Alfonso Gareri alla pena di euro mille di ammenda, condizionalmente sospesa, in relazione al reato di cui all’art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001, perché, quale esecutore materiale, realizzava, in contrasto con le previsioni urbanistiche (in specie, dell’art. 4.2.2 delle Norme tecniche di attuazione del vigente Regolamento urbanistico edilizio, d’ora in avanti R.U.E.), la modifica della destinazione d’uso dell’immobile catastalmente identificato al fl. 157, mappale 93, sub 2, in quanto, da destinazione ad esercizio commerciale di vicinato, veniva modificato in quella avente ad oggetto attività ludico-ricreativa con problematiche di impatto. Con l’indicata sentenza veniva assolto il coimputato Lamberto Ferri Ricchi, chiamato a rispondere in concorso del medesimo reato quale proprietario dell’immobile, concesso in locazione al Gareri, per non aver commesso il fatto.
 
 
2. Avverso l’indicata sentenza l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
 
 
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione ed erronea applicazione delle norme di attuazione del R.U.E. Assume il ricorrente che il Tribunale, erroneamente, avrebbe ritenuto il mutamento di destinazione d’uso, in quanto l’esercizio commerciale "centro elaborazione dati" gestito dal Gareri, come riferito dal consulente della difesa, non potrebbe ascriversi alla tipologia di attività B1 7, essendo, piuttosto, riconducibile in altre tipologie di attività, pienamente compatibili con le norme di settore, e considerando, inoltre, che non vi sarebbe stata alcuna modifica né dei caratteri edilizi dell’edificio, né del carico urbanistico. Ad avviso del ricorrente, pertanto, l’attività svolta dal Guareri sarebbe perciò conforme alla destinazione d’uso dell’immobile.
 
 
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione, non avendo il Tribunale valutato la deposizione del consulente tecnico della difesa, il quale avrebbe rassegnato valutazioni tecniche opposte a quelle espresse dal funzionario comunale.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato. 
 
 
2. Il primo motivo è infondato, essendo prevalentemente articolato in fatto. Questa Corte ha chiarito che la destinazione d’uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione. Essa individua il bene sotto l’aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona (Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo). L’organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono, infatti, realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull’organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale (Sez. 3, n. 24096 del 07/03/2008, Desimine; Sez. 3, Sentenza n. 35177 del 12/07/2001, dep. 21/10/2002, Cinquegrani Rv. 222740). Non è, perciò, sufficiente dimostrare che il mutamento della destinazione d’uso sia stato eseguito in assenza di opere edilizie interne, ma occorre dimostrare che il cambio della destinazione presenti il requisito dell’omogeneità, nel senso che sia intervenuto tra categorie urbanistiche omogenee perché il cambio, allorquando investe categorie urbanistiche disomogenee di utilizzazione, determina, come nella specie, un aggravamento del carico urbanistico esistente. Pertanto, è giuridicamente rilevante solo il mutamento di destinazione d’uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell’ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico-contributivi stante le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria.
 
Va, quindi, conclusivamente ribadito che, in tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d’uso senza opere è assoggettato a SCIA, purché intervenga nell’ambito della stessa categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d’uso sia eseguito nei centri storici, anche all’interno di una stessa categoria omogenea. (Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016 – dep. 24/06/2016, P.M. in proc. Stellato, Rv. 267106).
 
 
3. Ciò premesso, la sentenza impugnata non merita censure, avendo correttamente ritenuto la configurabilità del reato urbanistico in quanto, contrariamente all’assunto del ricorrente, il mutamento della destinazione d’uso è stato effettuato proprio con riferimento a categorie tra loro incompatibili, trattandosi di esercizio ove veniva svolta l’attività di elaborazione dati relativi all’attività di giochi e scommesse, come appurato dal Tribunale, ricadente come attività di uso Bl 7 all’interno del R.U.E., e, quindi, praticabile solo nelle zone produttive, mentre il locale, ubicato in una via non ricompresa nella zona produttiva, era stato autorizzato per attività ad uso negozio.
 
Trattandosi di attività differenti, in relazione al~qual~ il comune di Reggio Emilia ha previsto, nel R.U.E., che possano svolgersi in determinati ambiti cittadini, correttamente il Tribunale ha ravvisato l’inosservanza della prescrizione contenuta nel regolamento edilizio, il che integra la contestata fattispecie di cui all’art. 44, comma 1, lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001.
 
 
3. Il secondo motivo è infondato.
 
Invero, pur non richiamando espressamente la deposizione del consulente della difesa, il Tribunale ha comunque logicamente spiegato, nel dar conto delle ragioni poste a fondamento del giudizio di penale responsabilità, il motivo per cui è stato dato credito alla deposizione del funzionario comunale, in particolare valutando che l’attività svolta nel locale gestito dell’imputato fosse da classificarsi come uso Bl 7, e, quindi, non consentita in una zona non produttiva, come quella in cui è ubicato detto locale.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
Così deciso il 26/06/2018.
 

Iscriviti alla Newsletter GRATUITA

Ricevi gratuitamente la News Letter con le novità di AmbienteDiritto.it e QuotidianoLegale.

N.B.: se non ricevi la News Letter occorre una nuova iscrizione, il sistema elimina l'e-mail non attive o non funzionanti.

ISCRIVITI SUBITO


Iscirizione/cancellazione

Grazie, per esserti iscritto alla newsletter!