Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Novembre 2013
Numero: 45598
Data di udienza: 1 Ottobre 2013
Presidente: Squassoni
Estensore: Andronio
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – Valutazione unitaria dell’intervento edilizio – Necessità – Valutazione autonoma e separata delle pertinenze – Esclusione – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Fattispecie: opere di ristrutturazione e trasformazione edilizia con modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli – Artt. 10, 22, 31 e 44, c.1, lett. c), d.P.R. n. 380/2001 – Art. 181 d.lgs. n. 42/2004.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3° 13 Novembre 2013 (Ud. 1/10/2013) Sentenza n. 45598
Un intervento edilizio deve essere considerato nel suo complesso e le opere realizzate non posso essere valutate autonomamente e separatamente come pertinenze. Nella specie, l’art. 10, comma 1, lettera c), d.P.R. n. 380/2001 prevede il subordine al permesso di costruire per gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.
(riforma sentenza n. 558/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del 25/01/2012) Pres. Squassoni, Est. Andronio, Ric. Cozza ed altro
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3° 13 Novembre 2013 (Ud. 1/10/2013) Sentenza n. 45598
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CLAUDIA SQUASSONI – Presidente
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI – Consigliere
Dott. MARIO GENTILE – Consigliere
Dott. GIULIO SARNO – Consigliere
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COZZA LUIGI N. IL 18/04/1961
RIZZO VITO N. IL 15/08/1960
avverso la sentenza n. 558/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del 25/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/10/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ALDO POLICASTRO che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi
Uditi il difensore Avv. Federico MAssa
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 25 gennaio 2012, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce – sezione distaccata di Casarano del 17 giugno 2010, con la quale gli imputati Cozza Luigi e Rizzo Vito Rocco erano stati condannati, per i reati di cui agli artt. 110, 81, secondo comma, 481 cod. pen.,
44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché
181 del d.lgs. n. 42 del 2004, per avere, Cozza Luigi quale committente delle opere, e Rizzo Vito Rocco quale il progettista e direttore dei lavori, realizzato, a seguito di d.i.a., nelle quali si affermava contrariamente al vero la conformità delle opere agli strumenti urbanistici vigenti, opere di ristrutturazione e trasformazione edilizia di una masseria, comportanti la modifica dei prospetti e della distribuzione degli spazi interni, la sostituzione di elementi costitutivi dell’edificio, il risanamento delle strutture esistenti, l’inserimento di nuove attrezzature e impianti, l’ampliamento del volume e della superficie coperta, la costruzione di nuovi locali, l’ampliamento della superficie utile con la chiusura permanente di porticati; opere che avevano comportato il mutamento della destinazione d’uso della masseria da struttura agricola struttura turistico-ricettiva, ricadente in un parco naturale; con la stessa sentenza, Cozza Luigi era stato condannato anche per la realizzazione di due piscine e un campo di calcetto senza permesso di costruire. I due imputati erano stati condannati anche al risarcimento dei danni causati dalla violazione edilizia al Comune, costituitosi parte civile, oltre che alla demolizione delle opere e alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi a loro spese.
2. – Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite il difensore, ricorsi per cassazione di analogo contenuto, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si contesta che per le opere eseguite occorresse il permesso di costruire (ai sensi dell’
art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001) o, in alternativa, la cosiddetta “super d.i.a.” (ai sensi dell’
art. 22, comma 3, lettera a, del d.P.R. n. 380 del 2001). La difesa sostiene che non vi sarebbe stata alcuna modifica radicale della destinazione d’uso dell’immobile, da agricola a turistica, perché si era trattato, invece, di semplici opere pertinenziali rispetto all’edificio principale, che, nel loro insieme, conseguivano una volumetria inferiore al 20% della volumetria di detto edificio. In particolare – proseguono i ricorrenti – la Corte d’appello non avrebbe considerato che la masseria era già dal 1983 una struttura ricettiva in ambito turistico e che la zona nella quale si trovava era a destinazione turistica (perché classificata come zona F 10, “parchi di campeggio”).
2.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si rilevano la carenza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, perché la Corte d’appello non avrebbe chiarito in che cosa consistesse l’uso totalmente difforme dell’immobile rispetto a quello previsto dallo strumento urbanistico, senza considerare che la masseria era stata sottoposta nel tempo a diversi interventi edilizi ed aveva di fatto ricevuto la destinazione turistico-ricettiva. La Corte d’appello non avrebbe, inoltre, risposto alla doglianza difensiva secondo cui la mancata corresponsione degli oneri urbanistici e dei contributi di costruzione per le opere realizzate non avrebbe potuto di per sé implicare un illecito di natura penale. Non si era considerato, inoltre: che per il locale adibito a deposito, per la piscina, per le baracche di deposito delle bevande non occorreva alcun titolo abilitativo, trattandosi di pertinenze; che altri manufatti erano stati riportati nel progetto di d.i.a. e non erano stati rilevati dai giudici di merito e dal consulente del pm per errore; che altre opere erano da classificare come interventi di manutenzione ordinaria, come ad esempio il volume tecnico o il campo di calcetto o la zona di sicurezza gpl; che altri interventi ancora non avevano rilievo dal punto di vista edilizio.
2.3. – Si rileva, in terzo luogo, la violazione dell’art. 521 c.p.p., sul rilievo che nel capo di imputazione si faceva riferimento alla violazione delle norme in materia di aree protette e non al mancato conseguimento del nullaosta paesaggistico. Non si sarebbe considerato, inoltre, che il progetto di ristrutturazione edilizia risultava conforme agli indirizzi e alle direttive relative alla zona paesaggistica e che, per tale motivo, aveva ricevuto il parere favorevole della sovrintendenza e il successivo parere favorevole del responsabile comunale del settore urbanistica e del territorio. Né si sarebbe considerato che le norme tecniche di attuazione prevedono, al punto 5.02, che non è necessaria l’autorizzazione paesaggistica in tema di ampliamento di edifici industriali, artigianali, commerciali, direzionali, turistico-ricettivi ed agricolo-produttivi esistenti, purché conformi agli strumenti urbanistici, fino a un massimo di nuova superficie utile non superiore al 50% di quella esistente. La Corte d’appello non avrebbe, inoltre, risposto ai rilievi difensivi secondo cui l’art. 6, comma 3, della legge n. 394 del 1991 e l’art. 8 della legge della Regione Puglia n. 19 del 1997, non erano applicabili al caso di specie, perché la regione Puglia non aveva comunicato al Comune la pubblicazione del disegno di legge regionale relativo all’istituzione del parco regionale litorale. In mancanza di tale pubblicazione, i vincoli non avrebbero potuto essere ritenuti operativi, perché non conosciuti e non conoscibili da parte dei soggetti interessati.
2.4. – Quanto al reato di falso ideologico, la motivazione della sentenza della Corte d’appello sarebbe del tutto mancante.
2.5. – In prossimità dell’udienza di fronte a questa Corte, la difesa di Cozza ha depositato memoria, con la quale insiste nel ricorso e rileva che i reati si sono prescritti prima della presentazione del ricorso per cassazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Deve essere dichiarata l’estinzione dei reati contravvenzionali per intervenuta prescrizione, con eliminazione degli ordini di demolizione e rimessione in pristino e con conferma delle statuizioni civili. Quanto al delitto di cui all’art. 481 c.p., la sentenza deve essere annullata con rinvio, anche per l’eventuale determinazione della pena.
3.1. – Il primo motivo di ricorso – con cui si sostiene che non vi sarebbe stata alcuna modifica radicale della destinazione d’uso dell’immobile, da agricola a turistica, perché si era trattato, invece, di semplici opere pertinenziali rispetto all’edificio principale, che, nel loro insieme, conseguivano una volumetria inferiore al 20% della volumetria del fabbricato principale e perché la masseria aveva già destinazione turistica a partire dagli anni ’80, in conformità con la classificazione urbanistica della zona (F 10, “parchi di campeggio”) – è manifestamente infondato.
Come ampiamente evidenziato nella sentenza di primo grado, il fatto che la Masseria svolgesse, già a partire dagli anni ’80, l’attività di pensione non ha comportato, dal punto di vista urbanistico, un mutamento della destinazione d’uso, la quale rimane quella prevista dallo strumento urbanistico. Peraltro, secondo la stessa prospettazione difensiva, lo strumento urbanistico consentiva al più la realizzazione di “parchi di campeggio”, opere edilizie ben diverse da una masseria inizialmente destinata all’attività agricola e surrettiziamente trasformata in albergo.
3.2. – Inammissibile, per genericità, è il secondo motivo di ricorso. Ponendosi in totale continuità con la motivazione della sentenza di primo grado, la Corte d’appello ha, infatti, evidenziato, quanto al complesso delle opere edilizie realizzate, che esse devono essere prese in considerazione unitariamente e risultano macroscopicamente difformi da quanto aveva costituito oggetto delle denunce di inizio attività presentate. La difesa non mostra di tenere conto, in particolare, della coerente e articolata motivazione contenuta nella sentenza di primo grado (pagg. 34-37) e richiamata dalla Corte d’appello, secondo cui: a) le d.i.a. presentate non contenevano alcun riferimento al mutamento di destinazione d’uso, abusivamente effettuato dagli imputati; b) sono stati realizzati corpi autonomi e modifiche incidenti sull’assetto del territorio a norma dell’
art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, in parte non riportati nei progetti allegati alle d.i.a. (e analiticamente indicati nella sentenza di primo grado alle pagg. 35-36), in parte costituenti nuove costruzioni diverse da quelle indicate nei progetti allegati alle d.i.a. (v. pag. 36 della sentenza di primo grado). Ne consegue che le opere realizzate non possono essere valutate autonomamente e separatamente quali pertinenze nel contesto dell’intervento complessivo di trasformazione. Quanto all’argomento difensivo secondo cui la Corte d’appello non avrebbe preso in considerazione il rilievo per cui il mancato pagamento degli oneri non costituisce di per sé reato, deve osservarsi che esso ha per oggetto un profilo irrilevante. La responsabilità degli imputati non deriva, infatti, dal semplice mancato pagamento degli oneri, ma – come ampiamente visto – dalla radicale difformità delle opere eseguite rispetto alle d.i.a. inoltrate.
Così argomentando, i giudici di primo e secondo grado hanno fatto corretta applicazione dell’
art. 10, comma 1, lettera c), il quale prevede che sono subordinati a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che – come quelli realizzati nel caso in esame – portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.
3.3. – Infondato è il terzo motivo di ricorso, con cui si lamenta, in primo luogo, la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., sul rilievo che il capo di imputazione avrebbe fatto riferimento alla violazione delle norme in materia di aree protette e non al mancato conseguimento del nullaosta paesaggistico e sull’ulteriore rilievo che il progetto di ristrutturazione edilizia risultava conforme agli indirizzi e alle direttive di zona paesaggistica ed aveva ricevuto i pareri favorevoli della sovrintendenza e del responsabile comunale del settore.
Con la stessa doglianza si lamenta altresì che non si sarebbe considerato che le norme tecniche di attuazione prevedono, al punto 5.02, che non è necessaria l’autorizzazione paesaggistica in tema di ampliamento di edifici industriali, artigianali, commerciali, direzionali, turistico-ricettivi ed agricolo-produttivi esistenti, purché conformi agli strumenti urbanistici, fino a un massimo di nuova superficie utile non superiore al 50% di quella esistente; la Corte d’appello non avrebbe, inoltre, risposto ai rilievi difensivi secondo cui l’art. 6, comma 3, della legge n. 394 del 1991 e l’art. 8 della legge della Regione Puglia n. 19 del 1997 non erano applicabili al caso di specie, perché la regione Puglia non aveva comunicato al Comune la pubblicazione del disegno di legge regionale relativo al parco regionale litorale.
In relazione al primo profilo di censura, deve rilevarsi che, con motivazione sintetica ma sostanzialmente corretta, il Tribunale, ancor prima della Corte d’appello, ha evidenziato che le opere era difformi da quelle autorizzate con il nullaosta paesaggistico, che aveva ovviamente riguardato le sole opere oggetto delle d.i.a. presentate e non anche quelle effettivamente realizzate.
Quanto, poi, allo specifico profilo della mancata notificazione del disegno di legge relativo all’adozione del piano con cui si è imposto il vincolo agli enti territoriali interessati, correttamente la Corte d’appello rileva che tale mancata notificazione non comporta, in assenza di previsioni normative in tal senso, alcuna conseguenza di nullità per la legge stessa.
Quanto, infine, al richiamo della difesa alla previsione delle norme tecniche di attuazione (punto 5.02) secondo cui non è necessaria l’autorizzazione paesaggistica in tema di ampliamento di edifici industriali, artigianali, commerciali, direzionali, turistico-ricettivi ed agricolo-produttivi esistenti, purché conformi agli strumenti urbanistici, fino a un massimo di nuova superficie utile non superiore al 50% di quella esistente, è sufficiente qui rilevare che lo stesso appare inconferente nel caso in esame. Il Tribunale e la Corte d’appello hanno, infatti, riscontrato nell’abusivo mutamento di destinazione d’uso una mancanza di conformità agli strumenti urbanistici; e tale mancanza di conformità esclude in radice l’applicazione della previsione invocata dai ricorrenti.
3.4. – Il quarto motivo di ricorso è, invece, fondato. La sentenza impugnata risulta, infatti, del tutto priva di motivazione circa la sussistenza e l’ascrivibilità degli imputati del reato di falso di cui all’art. 481 cod. pen., per il quale è stata pronunciata condanna in primo grado e relativamente al quale gli imputati avevano proposto motivi di appello non presi in considerazione dalla Corte territoriale.
4. – Quanto alla prescrizione dei reati contravvenzionali, dall’esame degli atti risulta che il relativo termine complessivo di anni cinque è decorso nell’ottobre del 2012, e cioè prima della pronuncia della presente sentenza, trattandosi di fatti che, secondo l’imputazione, risultano commessi nell’ottobre del 2007, in mancanza di sospensioni del corso della prescrizione. Alla dichiarazione di prescrizione conseguono l’eliminazione dell’ordine di demolizione e di rimessione in pristino e la conferma delle statuizione civili a favore del Comune.
5. – La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio, limitatamente alle contravvenzioni, perché estinte per prescrizione, con eliminazione dell’ordine di demolizione e di rimessione in pristino, ma con conferma delle statuizione civili. La stessa sentenza deve essere annullata, relativamente al delitto di cui all’art. 481 codice penale, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce, anche per l’eventuale determinazione della pena.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alle contravvenzioni, perché estinte per prescrizione, ed elimina l’ordine di demolizione e di rimessione in pristino, con conferma delle statuizioni civili. Annulla la sentenza, per il delitto ex art. 481 cod. pen., con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce, anche per l’eventuale determinazione della pena.
Così deciso in Roma, il 1° ottobre 2013.