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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Inquinamento acustico Numero: 10478 | Data di udienza: 11 Giugno 2015

INQUINAMENTO ACUSTICO – Disturbo della pubblica quiete – Attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone – Superamento della soglia della normale tollerabilità – Emissioni sonore e pregiudizio ad un numero indeterminato di persone – Accertamento del fatto – Convincimento del giudice di merito su elementi probatori di diversa natura – Perizia o consulenza tecnica – Necessità – Esclusione – RUMORE – Idoneità della condotta ad arrecare disturbo – Reato di pericolo presunto – disturbo potenzialmente riferito ad un numero indeterminato di persone – Art. 659 cod. pen. – Art. 844 cod. civ. – PROCEDURA PENALE – Assoluzione perché il fatto non sussiste – Mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova – Limiti all’interesse ad impugnare – Artt. 652,125, 654 e 530, c.2°, cod. proc. pen..


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 14 Marzo 2016
Numero: 10478
Data di udienza: 11 Giugno 2015
Presidente: Franco
Estensore: Gentili


Premassima

INQUINAMENTO ACUSTICO – Disturbo della pubblica quiete – Attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone – Superamento della soglia della normale tollerabilità – Emissioni sonore e pregiudizio ad un numero indeterminato di persone – Accertamento del fatto – Convincimento del giudice di merito su elementi probatori di diversa natura – Perizia o consulenza tecnica – Necessità – Esclusione – RUMORE – Idoneità della condotta ad arrecare disturbo – Reato di pericolo presunto – disturbo potenzialmente riferito ad un numero indeterminato di persone – Art. 659 cod. pen. – Art. 844 cod. civ. – PROCEDURA PENALE – Assoluzione perché il fatto non sussiste – Mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova – Limiti all’interesse ad impugnare – Artt. 652,125, 654 e 530, c.2°, cod. proc. pen..



Massima

 

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 14/03/2016 (Ud. 11/06/2015) Sentenza n.10478
 
 
 
 
INQUINAMENTO ACUSTICO – RUMORE – Disturbo della pubblica quiete – Attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone – Superamento della soglia della normale tollerabilità – Emissioni sonore e pregiudizio ad un numero indeterminato di persone – Accertamento del fatto – Convincimento del giudice di merito su elementi probatori di diversa natura – Perizia o consulenza tecnica – Necessità – Esclusione.
 
L’accertamento dell’idoneità dei rumori a disturbare il riposo o le occupaioni delle persone, costituendo essa un elemento della materialità del reato, è strettamente necessario ai fini della verifica della sussistenza della fattispecie penalmente rilevante, e pur tenuto conto del rilievo che una siffatta verifica è il frutto di un accertamento di fatto rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull’espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete (Corte di cassazione, Sez. III penale, 16/03/2015, n. 11031), va precisato che esso deve, comunque, basarsi su dati obbiettivamente rilevati – ancorché non necessariamente con strumentazioni tecniche ma anche sulla base delle coerenti risultanze sensoriali del testi escussi – del cui apprezzamento il giudicante deve dare conto, tanto più ove si tratti di dati non strumentali, nella motivazione del suo provvedimento.
 

RUMORE – INQUINAMENTO ACUSTICO – Idoneità della condotta ad arrecare disturbo – Reato di pericolo presunto – disturbo potenzialmente riferito ad un numero indeterminato di persone – Art. 659 cod. pen. – Art. 844 cod. civ..
 
La violazione del comma primo dell’art. 659 cod. pen. trattandosi di una tipica fattispecie di reato di pericolo presunto, che può dirsi integrata l’ipotesi contravvenzionale de qua anche soltanto sulla base della mera idoneità della condotta ad arrecare disturbo (Corte di cassazione, Sez. 1 penale, 2/12/2011, n. 44905), non essendo necessario che la molestia in questione si sia effettivamente realizzata (Corte di cassazione, Sezione I penale, 7/01/2008, n. 246). Affinché la fattispecie assurga al livello di fatto penalmente rilevante e non rimanga confinata entro i limiti di interesse esclusivamente civilistico delle immissioni sonore disciplinate, nell’ambito del conflitti di vicinato, dall’art. 844 cod. civ., è indefettibilmente necessario che la condotta sia, ancorché solo astrattamente, idonea ad arrecare disturbo non a singoli, ancorché diversi, soggetti, ma tale idoneità deve essere potenzialmente riferita ad un numero indeterminato di persone (Corte di cassazione, Sez,I penale, 28/02/2012, n. 7748).
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Assoluzione perché il fatto non sussiste – Mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova – Limiti all’interesse ad impugnare – Artt. 652, 125, 654 e 530, c.2°, cod. proc. pen..
 
Non sussiste l’interesse ad impugnare la sentenza con la quale il giudicante abbia pronunziato l’assoluzione perché il fatto non sussiste ai sensi dell’art. 530, comma secondo, cod. proc. pen., per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova, in quanto tale formulazione non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria né segnala residue perplessità sulla innocenza dell’imputato, né spiega minore valenza con riferimento al giudizi civili, come comprovato dal tenore letterale degli artt. 652 e 654 cod. proc. pen. e che, pertanto, essa non può in alcun modo essere equiparata all’assoluzione per insufficienza di prove prevista dal previgente codice di rito (Corte di cassazione, Sezione V penale, 27/11/2014, n. 49580; idem Sezione III penale, 5/06/2014, n. 23485; idem Sezione V penale, 7/07/2009, n. 27917), deve, tuttavia, precisarsi che siffatto principio non può essere applicato anche nelle ipotesi in cui, come nella presente, il giudicante, il quale abbia espressamente rilevato che non è emerso alcun elemento di prova a carico del prevenuto, ne abbia poi inspiegabilmente pronunziato l’assoluzione ai sensi del secondo comma dell’art. 530 cod. proc. pen..
 
 
(annulla senza rinvio sentenza n. 248/13 del Tribunale di Lecce, sez. dist. di Casarano, del 16/04/2013) Pres. FRANCO, Rel. GENTILI, Ric. Orlando ed altro
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 14/03/2016 (Ud. 11/06/2015) Sentenza n.10478

SENTENZA

 

 
 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 14/03/2016 (Ud. 11/06/2015) Sentenza n.10478
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
 
Composta dagli Ili.mi Sigg.ri Magistrati:

Omissis 
 
ha pronunciato la seguente:
 
SENTENZA 
 
Sui ricorsi proposti da:
– ORLANDO Mauro, nato a Gallipoli (Le) il 3 novembre1974; 
– TORRICELLA Mario, nato a Taranto il 28 maggio 1966; 
avverso la sentenza n. 248/13 del Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Casarano, del 16 aprile 2013;
letti gli atti dì causa, la sentenza Impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott., Paolo CANEVELLI, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso di Orlando e l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto alla posizione del Torricella limitatamente alla ritenuta recidiva, che va esclusa, e la rideterminazione della pena; rigetto del ricorso nel resto.
 
RITENUTO IN FATTO
 
Orlando Mauro e Torricella Mario hanno presentato ricorso a questa Corte di cassazione per l’annullamento della sentenza con la quale il Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di Casarano – dichiarata la loro penale responsabilità in ordine al reato di cui agli artt. 110 e 659, comma 1, cod. pen., per avere, in concorso fra loro e nelle rispettive qualità di direttore responsabile e di amministratore unico delle società che gestisce una struttura alberghiera ubicata In Torre San Giovanni di Ugento, cagionato, con immissioni acustiche, molestie alle occupazione ed al riposo delle persone – li ha condannati, concessele attenuanti generiche e ritenuta la recidiva per il Torricella, alla pena di giustizia, subordinando la concessione della sospensione condizionale della pena all’avvenuto risarcimento del danno patito dalla costituita parte civile entro il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
 
Ad avviso dell’Orlando la sentenza impugnata sarebbe viziata, sotto il profilo della violazione di legge, per averlo Il Tribunale ritenuto responsabile delle molestie, sebbene egli non svolgesse nell’ambito della attività alberghiera alcun compito connesso all'”animazione”, settore al quale era preposto un responsabile.
 
Il ricorrente ha, altresì, lamentato la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza, poiché nella stessa è affermata la sua penale responsabilità, sebbene le emergenze istruttorie segnalino per una verso la assenza di diffusività delle denunziate molestie, in quanto le stesse sono state lamentate da una sola persona, e per altro verso la contenuta entità delle immissioni non Idonee a cagionare le lamentate molestie, così come testimoniato dagli appartenenti all’Arma dei Carabinieri intervenuti suol luoghi e successivamente sentiti in dibattimento.
 
Il ricorrente lamenta anche il fatto che Il giudicante, il quale ha irrogato una sanzione pecuniaria di non elevato importo, abbia ritenuto di dovere concedere Il beneficio della sospensione condizionale della pena, pregiudicando il condannato In relazione ad altre eventuali ulteriori fruizioni del beneficio.
 
E’, infine, censurata la sentenza nella parte in cui il ricorrente è stato condannato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, senza che siano stati chiariti i criteri di determinazione della somma liquidata.
 
Quanto al Torricella, questi ha prioritariamente censurato la sentenza nella parte in cui, pur avendo il giudicante sostenuto che non erano emersi elementi quanto alla responsabilità in ordine alla violazione dell’art. 659, comma 2, cod. pen., in dispositivo non ha pronunziato formula ampiamente assolutoria relativamente a tale fattispecie di reato.
 
Ha, poi, dedotto, con altro motivo di ricorso, la violazione di legge per avere il Tribunale ritenuto sussistere il reato di cui all’art. 659, comma 1, cod. pen., sebbene non sia stata provata la diffusività della dedotte molestie. li ricorrente ha, ancora, lamentato il fatto che sia stata affermata la sua penale responsabilità, sebbene egli, nella sua qualità di amministratore unico della società che gestisce l’albergo, non abbia dato alcun apporto causale alla commissione del reato.
 
Infine, anche il Torricella lamenta la quantificazione dell’ammontare del risarcimento del danno liquidato in favore della costituita parte civile in assenza di qualsivoglia prova di esso, nonché la subordinazione della sospensione condizionale della pena, peraltro non richiesta, all’avvenuto pagamento In favore della detta parte civile della somma llqutdata a titolo risarcitorio. 
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
I ricorsi sono fondati e, pertanto, essi vanno accolti.
 
Deve, in primo luogo, rilevarsi che, essendo stato contestato ai due ricorrenti la violazione dell’art. 659 cod. pen. sia con riferimento alla fattispecie di cui al primo comma della detta norma, che con riferimento alla fattispecie di cui al secondo comma di essa (e giova precisare che si tratta di ipotesi di reato fra loro logicamente distinte, non foss’altro in quanto la seconda violazione è costituita da un reato proprio potendo essere commessa non da chiunque ma esclusivamente da chi esercita una professione od un mestiere rumoroso), il Tribunale di Lecce, sebbene la formula assolutoria non sia stata curiosamente replicata in dispositivo, il quale sul punto è tacito, ha ritenuto, per come espressamente enunciato nella motivazione della sentenza, di dovere assolvere i due prevenuti al sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
 
Al riguardo osserva il Collegio che, sebbene sia pur vero che questa Corte ha, in più occasioni, affermato che non sussiste l’interesse ad impugnare la sentenza con la quale il giudicante abbia pronunziato l’assoluzione perché il fatto non sussiste ai sensi dell’art. 530, comma secondo, cod. proc. pen., per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova, in quanto tale formulazione non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria né segnala residue perplessità sulla innocenza dell’imputato, né spiega minore valenza con riferimento al giudizi civili, come comprovato dal tenore letterale degli artt. 652 e 654 cod. proc. pen. e che, pertanto, essa non può in alcun modo essere equiparata all’assoluzione per insufficienza di prove prevista dal previgente codice di rito (ex multis: Corte di cassazione, Sezione V penale, 27 novembre 2014, n. 49580; idem Sezione III penale, 5 giugno 2014, n. 23485; idem Sezione V penale, 7 luglio 2009, n. 27917), deve, tuttavia, precisarsi che siffatto principio non può essere applicato anche nelle ipotesi In cui, come nella presente, il giudicante, il quale abbia espressamente rilevato che non è emerso alcun elemento di prova a carico del prevenuto, ne abbia poi inspiegabilmente pronunziato l’assoluzione ai sensi del secondo comma dell’art. 530 cod. proc. pen..
 
In altre parole: ritiene il Collegio che effettivamente non sia ravvisabile alcun interesse in capo all’imputato ad impugnare la sentenza assolutoria pronunziata con la formula perché il fatto non sussiste, anche nel caso in cui il giudicante abbia ritenuto di dovere applicare il comma 2 dell’art. 530 cod. proc. pen., ove la motivazione della sentenza ponga in evidenza la esistenza di una situazione di prova effettivamente incerta, tale da condurre alla assoluzione dell’imputato non perché ne sia risultata la innocenza ma perché la pubblica accusa, introducendo in giudizio elementi probatori claudicanti, non è stata in grado di provare efficacemente la sua colpevolezza; ma laddove sia lo stesso giudicante a dare atto che non ci sono elementi di sorta (neppure equivoci od comunque insufficienti ai fini della pronunzia della condanna dell’imputato) a carico di costui, deve riconoscersi che vi è indubbiamente un interesse da parte di quest’ultimo acciocché il dispositivo della sentenza non abbia un contenuto mistificatorio e tale da tradire quelle che sono state le reali risultanze giudiziarie.
 
Pertanto, la sentenza in questione, tenuto conto del fatto che il Tribunale ha espressamente rilevato che “nessun elemento di prova è ( …) emerso per la violazione del secondo comma” dell’art. 659 cod. pen., va annullata senza rinvio con riferimento alla imputazione di cui all’art. 659, comma secondo, cod. pen., precisandosi che la assoluzione dei ricorrenti è pronunziata, ai sensi dell’art. 530, comma 1, cod. proc. pen., perché il fatto non sussiste.
 
Con riferimento alla imputazione concernente la violazione del comma primo dell’art. 659 cod. pen., rileva la Corte, trattandosi di una tipica fattispecie di reato di pericolo presunto, che può dirsi integrata l’ipotesi contravvenzionale de qua anche soltanto sulla base della mera idoneità della condotta ad arrecare disturbo (Corte di cassazione, Sezione 1 penale, 2 dicembre 2011, n. 44905), non essendo necessario che la molestia in questione si sia effettivamente realizzata (Corte di cassazione, Sezione I penale, 7 gennaio 2008, n. 246).
 
Va però ribadito il costante orientamento secondo il quale, affinché la fattispecie assurga al livello di fatto penalmente rilevante e non rimanga confinata entro i limiti di interesse esclusivamente civilistico delle immissioni sonore disciplinate, nell’ambito del conflitti di vicinato, dall’art. 844 cod. civ., è indefettibilmente necessario che la condotta sia, ancorché solo astrattamente, idonea ad arrecare disturbo non a singoli, ancorché diversi, soggetti, ma tale idoneità deve essere potenzialmente riferita ad un numero indeterminato di persone (Corte di cassazione, Sezione I penale, 28 febbraio 2012, n. 7748).
 
Ciò posto, considerato che l’accertamento di detta idoneità, costituendo essa un elemento della materialità del reato, è strettamente necessario ai fini della verifica della sussistenza della fattispecie penalmente rilevante, e pur tenuto conto del rilievo che, secondo un condivisibile orientamento ancora di recente ribadito da questa stessa Sezione, una siffatta verifica è il frutto di un accertamento di fatto rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, Il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull’espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete (Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 marzo 2015, n. 11031), va precisato che esso deve, comunque, basarsi su dati obbiettivamente rilevati – ancorché non necessariamente con strumentazioni tecniche ma anche sulla base delle coerenti risultanze sensoriali del testi escussi – del cui apprezzamento il giudicante deve dare conto, tanto più ove si tratti di dati non strumentali, nella motivazione del suo provvedimento.
 
Nel caso di specie il Tribunale di Lecce, a fronte peraltro delle dichiarazioni rese dai testi appartenenti all’Arma del Carabinieri che sono intervenuti sul posto – riportate, in ossequio al principio della autosufficienza del ricorso, dal ricorrente Torricella nel proprio atto impugnatorio a comprova della manifesta illogicità della motivazione della sentenza de qua – che depongono nel senso della piena tollerabilità delle immissioni sonore per cui è causa, ha, viceversa, affermato la loro idoneità ad arrecare le molestie di cui alla ipotesi criminosa contestata al ricorrenti, sulla base di un generico riferimento alle dichiarazioni della parte offesa Ancora Luigi (rectius: della parte civile Ancora Luigi, avente semmai la qualifica di soggetto danneggiato dal reato, posto che l’art. 659 cod. pen. contempla una contravvenzione in relazione al quale il bene Interesse tutelato, appunto la possibilità di attendere con tranquillità alle proprie occupazioni o quella di ritemprarsi nella quiete dalle fatiche con il necessario riposo, non è, come sopra già evidenziato, riferibile ad uno o più soggetti specifici ma è patrimonio comune di una pluralità indistinta di individui}, Il cui contenuto, che il giudicante non riferisce neppure per sintesi, sarebbe stato confermato da altre deposizioni, anch’esse non riportate, e dalla documentazione, anch’essa genericamente evocata, acquisita al fascicolo.
 
Non vi è chi non veda la natura esclusivamente apparente della motivazione redatta dal Tribunale di Lecce, come tale in sostanziale contrasto col precetto di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.
 
Dalla analisi di detta motivazione non è, infatti, consentito assolutamente riconoscere, sì da poterne dare una lettura critica volta a verificare i criteri di giudizio adottati, le ragioni che hanno indotto il giudicante ad affermare la penale responsabilità dei due prevenuti e l’iter argomentativo percorso per giungere alla sentenza di condanna.
 
Anche sotto il descritto profilo la sentenza impugnata deve essere, perciò, annullata, con rinvio al Tribunale di Lecce che, in diversa composizione, riesaminerà la ricorrenza o meno dei profilo oggettivo della fattispecie dì reato contestata ai ricorrenti.
 
Restano assorbiti i restanti motivi di impugnazione aventi ad oggetto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, la ingiustificata concessione della sospensione condizionale della pena nonché la legittimità delle pronunzie In materia di risarcimento del danno e di subordinazione della detta condizionale all’avvenuto materiale risarcimento del danno
 
PQM
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato di cui all’art. 659, comma 2, cod. pen., perché il fatto non sussiste, e con rinvio al Tribunale di Lecce in ordine al reato di cui all’art. 659, comma 1, cod. pen.
 
Così deciso in Roma, il 11 giugno 2015
 
 
 
 
 

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