Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 14 Aprile 2016
Numero: 15466
Data di udienza: 10 Febbraio 2016
Presidente: Fiale
Estensore: Di Nicola
Premassima
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO – Rapporti tra autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire – Provvedimento paesaggistico distinto ed autonomo rispetto ai provvedimenti autorizzatori in materia urbanistica – Configurabilità del reato paesaggistico – Fattispecie: assenza di concessione edilizia in zona sottoposta a vincolo e rimessione in pristino dello stato dei luoghi – Art. 181, c.1-bis, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – Art. 44, c.1, lett. e), d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/04/2016 (Ud. 10/02/2016) Sentenza n.15466
L’autorizzazione paesistica, essendo finalizzata alla salvaguardia del paesaggio quale bene costituzionalmente protetto tanto sotto l’aspetto estetico e culturale quanto sotto il profilo di risorsa economica è un provvedimento distinto ed autonomo rispetto ai provvedimenti autorizzatori in materia urbanistica, i quali sono invece volti ad assicurare la corretta gestione del territorio, sotto il profilo dell’uso e della trasformazione programmata di esso in una visione unitaria e complessiva, con la conseguenza che, stante la reciproca autonomia dei due provvedimenti ad ogni effetto, ivi compreso quello sanzionatorio, il reato paesaggistico è integrato tutte le volte in cui manchi la relativa autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela dell’interesse paesaggistico, a nulla rilevando che la stessa autorità, se preposta anche alla tutela degli interessi urbanistici, abbia compiuto, in ragione della pluralità degli interessi presidiati dalle rispettive norme, una autonoma valutazione in quest’ultimo senso e non anche, come necessario, anche ai fini paesaggistici. Deriva da ciò, come nel caso in specie, anche la legittimità dei provvedimenti sanzionatori di tipo amministrativo di rimessione in pristino dello stato dei luoghi disposti dal giudice penale per la violazione della normativa paesaggistica.
(conferma sentenza del 16-03-2015 della Corte di appello di Cagliari)Pres. Fiale, Rel. Di Nicola, Ric. Bullegas
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/04/2016 (Ud. 10/02/2016) Sentenza n.15466
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/04/2016 (Ud. 10/02/2016) Sentenza n.15466
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso proposto da Bullegas Ottavio, nato a Sant’Antioco il 31-07-1939
– avverso la sentenza del 16-03-2015 della Corte di appello di Cagliari;
– visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
– udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
– Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paolo Canevelli che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
– Udito per il ricorrente l’avv. Andrea Pubusa che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Ottavio Bullegas ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Cagliari ha confermato quella con la quale il tribunale aveva condannato il ricorrente alla pena di mesi otto di reclusione per il reato paesaggistico di cui all’articolo 181, comma 1-bis, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Il ricorrente era originariamente imputato del reato previsto dal capo a), dichiarato estinto per prescrizione in relazione all’
articolo 44, comma 1, lettera e), d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 per avere, in qualità di committente, in assenza di concessione edilizia, e in zona sottoposta a vincolo, realizzato uno fabbricato composto da tre unità immobiliari ed una pertinenza staccata dal fabbricato principale nonché (capo b) per il quale ha riportato condanna) in relazione all’
articolo 181, comma 1-bis, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 per aver realizzato le opere di cui al capo a) in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi della D. A. P. I. del 6 aprile 1990 in assenza del nulla osta della regione autonoma della Sardegna. Fatti accertati in Sant’Antioco il 6 luglio 2007.
2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, il ricorrente, personalmente e tramite il difensore, articola tre motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disposizione di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), codice di procedura penale) in relazione all’articolo 157 codice penale per omessa declaratoria di prescrizione del reato paesaggistico, da ritenersi consumato alla data del 7 gennaio 2005, senza che la data di consumazione potesse risultare prolungata dall’intervenuto decreto di sequestro delle opere in quanto queste erano già completamente ultimate.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la mancanza e la illogicità della motivazione in relazione all’ordine di demolizione di cui all’articolo 181, comma 1-bis, decreto legislativo 42 del 2004 (articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale), sul rilievo che la sentenza impugnata presenta un ulteriore aspetto di contraddittorietà ed illogicità della motivazione nella parte in cui si pronuncia sull’obbligo di remissione in pristino dei luoghi, nonostante fosse stato autorizzato, con determinazione n. 589 del 18 febbraio 2011 del servizio di tutela del paesaggio della regione Sardegna, il piano di lottizzazione in località “Su Cuccureddu”, nel quale insiste l’immobile realizzato dal ricorrente. Sennonché la Corte territoriale ha ammesso l’efficacia dell’autorizzazione regionale esclusivamente per i profili di impatto paesaggistico con riferimento alla viabilità interna e le opere di urbanizzazione, negandola invece per i singoli immobili realizzabili nell’ambito della lottizzazione. Tuttavia la determinazione regionale comprende, secondo l’assunto del ricorrente, anche i singoli edifici da realizzarsi nei singoli lotti, per ciascuno dei quali del resto è stabilita una specifica cubatura edificabile. Pertanto, delle due l’una: o il provvedimento non ha autorizzato alcuna opera oppure le ricomprende tutte. In ogni caso, l’inserimento delle une e l’esclusione delle altre doveva costituire oggetto di puntuale motivazione, che invece è del tutto mancante.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione della legge penale in relazione all’articolo 54 del codice penale con riferimento allo stato di necessità abitativa dell’imputato (articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale), sul rilievo che il manufatto era destinato ad abitazione del proprietario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2. Quanto al primo motivo, la Corte territoriale, con adeguata e logica motivazione, ha stigmatizzato l’assunto del ricorrente – tendente a riportare, strumentalmente e senza alcun aggancio alle risultanze processuali, la commissione del reato a data anteriore e prossima al 7 gennaio 2005 quando cioè il ricorrente stesso stabilì la propria residenza nell’immobile abusivo cominciando anche a pagare regolarmente i tributi comunali – sul rilievo che il vigile Mocci e il geometra De Matteis, nel corso del sopralluogo del 6 luglio 2007, trovarono i lavori ancora in corso. Infatti, le fotografie da loro scattate in quella circostanza comprovavano in modo inequivocabile che, all’epoca dell’accertamento, erano in fase di realizzazione i lavori per edificare i due appartamenti al piano rialzato. Le strutture del fabbricato apparivano al rustico, prive di intonaci e di rifiniture e in palese stato di esecuzione: si notavano al piano superiore pilastri non ancora completati e con i ferri a vista; quasi tutto il fabbricato era contornato da ponteggi e dalle tipiche opere professionali funzionali alla edificazione; erano visibili attrezzature da muratore di varia natura (betoniera, montacarichi, secchi, funi, carriola, tavoloni).
Fissata pertanto, come da contestazione, la data del reato al 6 luglio 2007, il termine massimo di prescrizione sarebbe decorso il 6 gennaio 2015. Tuttavia è stata computata una sospensione del dibattimento per complessivi tre mesi in ragione dell’adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata dall’ordine degli avvocati (dall’udienza del 12 marzo 2014 al 3 aprile 2014 e ancora dal 3 aprile 2014 al 12 giugno 2014).
Maturando pertanto la prescrizione in data (6 aprile 2015) successiva all’emanazione della sentenza impugnata (16 marzo 2015), l’inammissibilità del gravame, impedendo la costituzione di un valido rapporto giuridico processuale, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., tra cui la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, essendo risultato incontroverso che il ricorrente realizzò il fabbricato senza aver ottenuto alcun titolo abilitativo. In particolare, per quanto concerne il reato paesaggistico, la costruzione fu realizzata senza che fosse stata mai rilasciata la necessaria autorizzazione da parte del competente ufficio della Regione sarda, cosicché è stato correttamente ritenuto del tutto irrilevante il fatto che l’imputato avesse confidato nella definizione delle procedure concernenti l’approvazione del piano di lottizzazione, cui era subordinato il rilascio del permesso a costruire e dunque la legittima edificazione dei singoli edifici, posto che le disposizioni in materia urbanistica e paesaggistica prevedono tassativamente che le opere edilizie possano essere realizzate soltanto dopo il rilascio dei preventivi provvedimenti abilitativi da parte delle amministrazioni competenti, laddove invece il ricorrente ha comunque dato corso alle opere in assenza della prescritta autorizzazione paesistica.
Sono pertanto del tutto irrilevanti le obiezioni formulate dal ricorrente, anche sotto il profilo del difetto di motivazione, avendo la Corte d’appello fatto buon governo del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale l’autorizzazione paesistica, essendo finalizzata alla salvaguardia del paesaggio quale bene costituzionalmente protetto tanto sotto l’aspetto estetico e culturale quanto sotto il profilo di risorsa economica – è un provvedimento distinto ed autonomo rispetto ai provvedimenti autorizzatori in materia urbanistica, i quali sono invece volti ad assicurare la corretta gestione del territorio, sotto il profilo dell’uso e della trasformazione programmata di esso in una visione unitaria e complessiva, con la conseguenza che, stante la reciproca autonomia dei due provvedimenti ad ogni effetto, ivi compreso quello sanzionatorio, il reato paesaggistico è integrato tutte le volte in cui manchi, come nella specie, la relativa autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela dell’interesse paesaggistico, a nulla rilevando che la stessa autorità, se preposta anche alla tutela degli interessi urbanistici, abbia compiuto, in ragione della pluralità degli interessi presidiati dalle rispettive norme, una autonoma valutazione in quest’ultimo senso e non anche, come necessario, anche ai fini paesaggistici (Sez. 3, n. 23230 del 22/04/2004, Verdelocco, Rv. 229437).
Deriva da ciò anche la legittimità dei provvedimenti sanzionatori di tipo amministrativo di rimessione in pristino dello stato dei luoghi disposti dal giudice penale per la violazione della normativa paesaggistica.
4. Il terzo motivo è parimenti inammissibile per manifesta infondatezza, non essendo assolutamente invocabile nel caso di specie lo stato di necessità in quanto, dalle stesse indicazioni offerte dal ricorrente, è emerso, come è stato sottolineato dalla Corte distrettuale, uno notevole divario temporale fra il rientro dell’imputato nel paese di origine (2001) e la realizzazione delle opere de quibus, realizzazione che pertanto non dipese dalla contingente difficoltà di reperire un’abitazione a Sant’Antioco dopo un lungo periodo di emigrazione.
Per altro verso, l’entità delle opere edili realizzate (434 mq di superficie utile e con unità immobiliari distinte e ulteriori rispetto a quella che l’imputato destinò a propria abitazione) pone, come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, l’iniziativa edilizia radicalmente al di fuori degli angusti confini della necessità stringente di soddisfare le imprescindibili necessità abitative.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’
art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 10/02/2016