Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Beni culturali ed ambientali,
Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 52832 |
Data di udienza: 22 Marzo 2016
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Fiscalizzazione dell’abuso edilizio – Responsabilità del committente del direttore dei lavori e del legale rappresentante della impresa esecutrice – Demolizione ed integrale riedificazione di murature esterne in assenza di permesso a costruire – Revoca dell’ordine di demolizione – Artt. 31,32, 34, 44, lettera a), dPR n. 380/2001 – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Opere edili in zona paesaggisticamente vincolata – Distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale – Ininfluenza.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 14 Dicembre 2016
Numero: 52832
Data di udienza: 22 Marzo 2016
Presidente: FIALE
Estensore: Gentili
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Fiscalizzazione dell’abuso edilizio – Responsabilità del committente del direttore dei lavori e del legale rappresentante della impresa esecutrice – Demolizione ed integrale riedificazione di murature esterne in assenza di permesso a costruire – Revoca dell’ordine di demolizione – Artt. 31,32, 34, 44, lettera a), dPR n. 380/2001 – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Opere edili in zona paesaggisticamente vincolata – Distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale – Ininfluenza.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 22/03/2016) Sentenza n. 52832
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Fiscalizzazione dell’abuso edilizio – Responsabilità del committente del direttore dei lavori e del legale rappresentante della impresa esecutrice – Demolizione ed integrale riedificazione di murature esterne in assenza di permesso a costruire – Revoca dell’ordine di demolizione – Artt. 31,32, 34, 44, lettera a), dPR n. 380/2001.
L’operatività della cosiddetta fiscalizzazione dell’illecito edilizio, prevista in via generale dall’art. 34 del dPR n. 380 del 2001, non incide sulla legittimità dell’ordine di demolizione adottato ai sensi dell’art. 31 del dPR n. 380 del 2001, ma semplicemente in ordine alla sua perdurante efficacia e, in definitiva, sulla sua eseguibilità coattiva. Inoltre la possibilità di procedere alla fiscalizzazione e, pertanto, alla sospensione e all’eventuale revoca dell’ordine di demolizione, non deve occuparsene il giudice del processo principale detta valutazione rientrando nella competenza funzionale del giudice della esecuzione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 3/05/2013, n. 19090).
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Opere edili in zona paesaggisticamente vincolata – Distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale – Ininfluenza.
In materia paesaggistica, a prescindere dalla entità (parziale o totale) della variazione fra quanto realizzato e quanto precedentemente assentito dagli organi posti a tutela dell’ordinato assetto urbanistico del territorio, laddove ci si trovi in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione penale applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l’art. 32, comma terzo, del dPR 6 giugno 2001, n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali ex lege, sono sanzionati ai sensi della lettera e) dell’art. 44 del dPR n. 380 del 2001 (Corte di cassazione, Sezione III penale, 5/09/2014, n. 37169).
(Dichiara inammissibili i ricorsi avverso sentenza n. 9515 della CORTE DI APPELLO DI TRENTO del 11/03/2015) Pres. FIALE, Rel. GENTILI, Ric. Santuliana e altri
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 22/03/2016) Sentenza n.52832
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 22/03/2016) Sentenza n.52832
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
SANTULIANA Gianni, nato a Vezzano (Tn) il 5 marzo1947;
ANESI Mauro, nato a Trento il 23 gennaio 1956;
SCARPA Renzo, nato a Fornace (Tn) il 24 novembre 1953;
avverso la sentenza n. 95\15 della Corte di appello di Trento del 11 marzo 2015;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Paola FILIPPI, il quale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
sentito, altresì, per i ricorrenti l’avv. Antonio ANGELINI, del foro di Trento, il quale ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Trento, con sentenza del 11 marzo 2015, ha sostanzialmente confermato la condanna alla pena di giustizia inflitta dal Tribunale di Trento il precedente 28 maggio 2014 a Santuliana Gianni, Anesi Mauro e Scarpa Renzo, i quali, nelle rispettive qualità di committente dei lavori, direttore dei medesimi e di legale rappresentante della impresa esecutrice, erano stati riconosciuti responsabili, tutti, del reato di cui all’art.44, lettera e), del dPR n. 380 del 2001, per avere, in concorso fra loro, eseguito opere edili, in Comune di Vignola Falesina, in totale difformità rispetto al permesso a costruire loro rilasciato ed in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti, limitatamente alle opere non oggetto delle concessioni in sanatoria n. 4 e n. 5 del 2013, ed i soli Anesi e Scarpa anche del reato di cui all’art. 44, lettera a), dello stesso dPR n. 380 del 2001, per avere realizzato, l’Anesi quale direttore dei lavori e lo Scarpa quale amministratore sia della società proprietaria dell’immobile sia di quella esecutrice dei lavori, ulteriori lavori edili, sempre in Comune di Vignola Falesina, in difformità rispetto ai rilasciati permessi a costruire.
Avverso la predetta sentenza emessa dal giudice del gravame, hanno interposto ricorsi per cassazione, con unico atto, i tre prevenuti, assistiti dal comune difensore di fiducia, articolando ben 9 distinti motivi di impugnazione.
Coi primi due motivi i ricorrenti hanno contestato la sentenza impugnata deducendone il vizio di motivazione quanto alla mancata valutazione delle intervenute concessioni edilizie per varianti in corso d’opera e la violazione di legge quanto alla applicazione dell’art. 72-bis della legge provinciale n. 22 del 1991.
Col terzo motivo è censurata, sotto il profilo del vizio di motivazione, la affermazione contenuta nella sentenza in merito alla arbitrarietà della riedificazione dei muri crollati nel corso delle realizzazione delle opere edili.
Col quarto motivo è dedotta la illogicità della motivazione nella parte in cui è esclusa la avvenuta concessione in sanatoria relativamente ai lavori eseguiti.
Con il quinto motivo è contestata, sempre sotto il profilo della logicità della relativa motivazione, la omessa considerazione che per la esecuzione delle opere di cui ai permessi a costruire n. 10 e 11 del 2008 sarebbe stato necessario operare le demolizioni di taluni muri che, infatti, sono autonomamente crollati e sono stati successivamente riedificati.
Il sesto motivo concerne il travisamento del fatto quanto alla individuazione di talune delle opere di cui ai capi di imputazione, per le quali, diversamente da quanto affermato dai giudici del merito, era intervenuta concessione edilizia in sanatoria.
Il settimo motivo ha ad oggetto il vizio di motivazione in relazione alla asserita insufficienza probatoria “sulla intenzione della completa ricopertura della intercapedine a nord” di una delle particelle interessate dai lavori, in ipotesi, abusivi e sulla “preesistenza di un immobile nella stessa posizione della intercapedine insistente” su altra particella.
Il motivo n. 8 riguarda l’asserita violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte tridentina nell’aver considerato le opere di cui al capo di imputazione n. 2) siccome integranti la violazione della lettera e) dell’art. dell’art. 44 del dPR n. 380 del 2001 e non, come invece ritenuto dal giudice di primo grado, la lettera b) della medesima disposizione.
Il nono, ed ultimo, motivo di impugnazione riguarda, infine l’applicabilità dell’art. 31 del dPR n. 380 del 2001 in relazione all’ordine impartito dai giudici del merito di demolire le opere di cui all’imputazione laddove non sanate con le concessioni in sanatoria, rilasciate dal Comune di Vignola Falesina, n. 3 e 4 del 2013.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, stante la loro identità, possono essere esaminati congiuntamente ed essere, pertanto, oggetto di un’unica pronunzia che questa Corte ritiene dovere essere di inammissibilità.
Esaminando i motivi di impugnazione secondo l’ordine in cui gli stessi sono stati prospettati dai ricorrenti va rilevato che – con riferimento al primo ed al secondo di essi, concernenti la contestazione formulata nei confronti di tutti gli imputati nel capo 2 della rubrica relativamente all’avvenuta demolizione ed integrale riedificazione di talune murature esterne in assenza di permesso a costruire – la Corte di merito, nel valutare in sede di gravame la applicabilità o meno alle opere in esame di provvedimenti autorizzatori, anche in sanatoria, rilasciati dal competente Comune, ha chiaramente escluso – con valutazione che, afferendo ad un dato di fatto, non è suscettibile di riesame in sede di legittimità – siffatta possibilità stante la chiarezza degli atti amministrativi in questione che ne impedivano un’interpretazione che consentisse le contestate demolizioni e successive ricostruzioni ex novo.
Il fatto che tale mancata sanatoria possa essere derivata da un vizio del procedimento, cioè il mancato passaggio della pratica attraverso il “Servizio urbanistico” della Provincia autonoma di Trento, non giustifica certo, a prescindere dall’eventuale responsabilità anche di taluni Uffici pubblici nella determinazione di tale disguido procedimentale, un’interpretazione dei provvedimenti in sanatoria che ampli il contenuto di essi, come se la fase mancante del procedimento si fosse regolarmente, e vantaggiosamente per la parte istante, svolta.
Alla luce delle argomentazioni che precedono è anche inammissibile il terzo motivo di censura, fondandosi lo stesso sulla pretesa legittimità dell’abbattimento e della successiva riedificazione della muratura perimetrale, circostanza questa già esclusa, con motivazione non più riesaminabile di fronte a questo Collegio, dalla Corte territoriale.
Il quarto motivo, al di là della sua genericità, pecca per la petizione di principio da cui è palesemente affetto, in quanto parte dal presupposto, del tutto indimostrato, che le concessioni in sanatoria rilasciate in favore dei ricorrenti, siano affette da illegittimità per difetto in quanto non estese anche alla demolizione e riedificazione delle mura esterne.
Anche il quinto motivo di impugnazione è riferito a valutazioni di fatto, cioè la inevitabilità della demolizione delle preesistenti pareti a valle ed a monte dell’edificio trattandosi di una conseguenza della realizzazione delle opere assentite con le concessioni edilizie nn. 10/2008 e 11/2008, che non possono trovare ingresso in questa fase del giudizio, avendo la Corte tridentina al riguardo osservato come la conservazione delle preesistenti strutture – attestata come possibile dagli stessi ricorrenti negli studi di fattibilità delle opere posti a corredo delle richiesta dei permessi ad aedificandum – avesse costituito elemento positivamente valutato in sede amministrativa al fine del rilascio dei medesimi.
Quanto al successivo motivo di impugnazione, avente ad oggetto il contenuto della deposizione del teste Corradini, che sarebbe stato travisato dalla Corte di merito, ritiene il Collegio che – anche a voler prescindere dalla genericità della prospettazione della censura tale da non permettere a questa Corte di verificare, attraverso l’integrale esame della deposizione che si assume travisata, l’effettivo contenuto di essa e l’eventuale errore di fatto in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa nel valutarne le risultanze (nel senso della genericità del motivo di impugnazione in caso di mera allegazione di uno stralcio delle deposizione testimoniale ove di essa sia dedotta la erronea comprensione da parte del giudice del merito, cfr. Corte di cassazione, Sezione IV penale, 26 novembre 2015, n. 46979; idem, Sezione I penale, 29 maggio 2015, n. 23308) – il motivo sia comunque inammissibile in ossequio al constante orientamento di questa Corte secondo il quale, nell’ambito dei motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, previsto dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., può essere dedotto, nel caso di cosiddetta “doppia conforme” soltanto nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 4 febbraio 2014, n. 5615).
Atteso che è, evidentemente, onere della parte che vi ha interesse, in ossequio al principio di completezza del ricorso per cassazione, segnalare la novità, rispetto alle argomentazioni già svolte dal giudice di primo grado, del richiamo da parte del giudice del gravame delle risultanze probatorie che si assumono da questo travisate, la circostanza che siffatto onere non sia stato soddisfatto dal ricorrente, il quale sul punto nulla ha dedotto, esclude la ammissibilità del relativo motivo di impugnazione.
In relazione a detto motivo, peraltro, questa Corte non intende esimersi dall’osservare che, in ogni caso, la Corte di Trento ha ritenuto la illegittimità della realizzazione della intercapedine di cui al capo di imputazione contestato ai ricorrenti sub 2) della rubrica elevata nei loro confronti, non solo sulla base delle loro, contestate, dimensioni, ma anche in relazione al fatto che si trattasse di un’opera che, comportando la definizione tridimensionale di uno spazio ed assolvendo alla funzione di areazione dell’immobile realizzato, necessitava di permesso a costruire.
Vale, pertanto, considerare che – anche laddove si fosse voluto ritenere che la richiamata deposizione del teste Corradini fosse riferita, nell’individuare la consistenza delle intercapedini, ad altra diversa opera rispetto a quella di cui al capo 2) della rubrica, oggetto, diversamente da questa, di concessione in sanatoria – comunque, avendo la Corte territoriale fondato la illegittimità della realizzazione delle predetta opere in questione non esclusivamente in relazione alle dimensioni di esse ma avendo tenuto presente anche la stessa natura dell’opera in questione e la sua finalità, l’ipotetico travisamento della prova riferito solo al profilo della valutazione delle dimensioni dell’intercapedine operata dalla Corte di Trento non sarebbe stato significativo ai fini dell’accoglimento del ricorso, posto che, come più volte affermato da questa Corte, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale /probatorio, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione ‘nel merito del risultato probatorio (per tutte: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 3 febbraio 2014, n. 5146).
Il fatto che nel caso di specie il ragionamento svolto nella sentenza impugnata si tenga in forza di un duplice ordine di argomenti rende chiaramente inammissibile lo specifico motivo di impugnazione ora illustrato, essendo esso incentrato su uno solo di tali ordini, sicché la complessiva tenuta del ragionamento non ne risulta interamente disarticolata.
Relativamente al settimo motivo di impugnazione, col quale si denunzia come insufficiente ed illogica la motivazione della sentenza censurata nella parte in cui in essa si rileva che non sono state fornite adeguate prove della intenzione di procedere alla completa ricopertura delle intercapedini abusivamente realizzate, va anche in questo caso rilevato come il motivo di impugnazione abbia ad oggetto valutazioni in fatto, quali la esuberanza rispetto al piano stradale di dette intercapedini ovvero la entità della loro distanza rispetto ad altri edifici, che non sono suscettibili di formare oggetto di cognizione di fronte a questo giudice.
Manifestamente infondato è l’ottavo motivo di impugnazione concernente la qualificazione come violazione della lettera e) dell’art. 44 del dPR n. 380 del 2001 del fatto contestato ai ricorrenti sub 2 della rubrica; sul punto osserva questa Corte che, a prescindere dalla entità (parziale o totale) della variazione fra quanto realizzato e quanto precedentemente assentito dagli organi posti a tutela dell’ordinato assetto urbanistico del territorio, laddove ci si trovi in zona paesaggisticamente vincolata, e tale risulta incontestatamente essere la zona ove insistono le opere edili per cui è processo, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione penale applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l’art. 32, comma terzo, del dPR 6 giugno
2001, n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali ex lege, sono sanzionati ai sensi della lettera e) dell’art. 44 del dPR n. 380 del 2001 (ex multis: Corte di cassazione, Sezione III penale, 5 settembre 2014, n. 37169).
Inammissibile è, infine, il nono motivo di doglianza rappresentato dai ricorrenti, col quale ci si lagna della conferma dell’ordine di demolizione disposto dal giudice di primo grado.
Va, infatti, rilevato che i ricorrenti si lamentano del fatto che la Corte di Trento non abbia applicato la previsione normativa di cui all’art. 129, comma 5, della legge provinciale della Provincia autonoma di Trento n. 1 del 2008; tale legge, in realtà, prevede che il Comune interessato in luogo di ordinare la demolizione a spese dei responsabili dell’abuso delle opere realizzate in variazione essenziale rispetto a quanto assentito possa, sempre che non si tratti di opere che contrastino con rilevanti interessi urbanistici e non sia possibile eseguire la demolizione senza pregiudizio per le opere regolarmente realizzate, disporre una sanzione pecuniaria sostitutiva il cui importo sia pari al 150% del valore delle opere abusive.
Si tratta, come rilevato dalla Corte territoriale, di un’ipotesi di cosiddetta fiscalizzazione dell’illecito edilizio, prevista in via generale dall’art. 34 del dPR n. 380 del 2001, la cui operatività, tuttavia, non incide sulla legittimità dell’ordine di demolizione adottato ai sensi dell’art. 31 del dPR n. 380 del 2001, ma semplicemente in ordine alla sua perdurante efficacia e, in definitiva, sulla sua eseguibilità coattiva.
Ciò posto, in disparte ogni valutazione in ordine alla astratta possibilità di procedere legittimamente nel senso richiesto, cioè alla cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso edilizio, anche laddove la difformità rispetto al permesso a costruire debba intendersi, come nel presente caso, essenziale (si veda, infatti, al riguardo quanto stabilito da Corte di cassazione, Sezione III penale, 15 gennaio 2014, n. 1486), va ribadito che della possibilità di procedere alla detta fiscalizzazione e, pertanto, alla sospensione e all’eventuale revoca dell’ordine di demolizione, non deve occuparsene il giudice del processo principale ma, come confermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, detta valutazione rientra nella competenza funzionale del giudice della esecuzione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 maggio 2013, n. 19090), sicché la relativa questione non poteva validamente formare oggetto della proposta impugnazione.
Quest’ultima deve, pertanto, essere dichiarata complessivamente inammissibile e, visto l’art. 616 cod. proc. pen., i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1500,00 ciascuno a favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1500,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2016