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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 15729 | Data di udienza: 8 Marzo 2016

DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Reati urbanistici e paesaggistici – Responsabilità del comproprietario non committente dell’abuso edilizio – Criteri per l’individuazione – Elementi oggettivi di natura indiziaria – Artt. 44 lett. e), 64, 65, 71, 72, 93, 94, 95 D.P.R. n. 380/2001 e 181 D.L.vo n. 42/2004.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Aprile 2016
Numero: 15729
Data di udienza: 8 Marzo 2016
Presidente: Ramacci
Estensore: De Masi


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Reati urbanistici e paesaggistici – Responsabilità del comproprietario non committente dell’abuso edilizio – Criteri per l’individuazione – Elementi oggettivi di natura indiziaria – Artt. 44 lett. e), 64, 65, 71, 72, 93, 94, 95 D.P.R. n. 380/2001 e 181 D.L.vo n. 42/2004.



Massima

 


 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 15/04/2016 (Ud. 08/03/2016) Sentenza n.15729


DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Reati urbanistici e paesaggistici – Responsabilità del comproprietario non committente dell’abuso edilizio – Criteri per l’individuazione – Elementi oggettivi di natura indiziaria – Artt. 44 lett. e), 64, 65, 71, 72, 93, 94, 95 D.P.R. n. 380 del 2001 e 181 D.L.vo n. 42/2004.
 
In materia di reati urbanistici e paesaggistici, l’individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell’abuso edilizio può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria della compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, desumibili dalla presentazione della domanda di condono edilizio, dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, dall’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, dai rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, dalla presenza di quest’ultimo “in loco” e dallo svolgimento di attività di vigilanza nell’esecuzione dei lavori o dal regime patrimoniale dei coniugi (Cass. Sez.3, n.52040 del 11/11/2014).
 
(dich. inamm. il ricorso avverso sentenza in data 22/10/2015 della Corte di Appello di Palermo) Pres. RAMACCI, Rel. DE MASI, Ric. Crisci ed altri

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 15/04/2016 (Ud. 08/03/2016) Sentenza n.15729

SENTENZA

 

 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 15/04/2016 (Ud. 08/03/2016) Sentenza n.15729
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– Sui ricorsi proposti da:
CRISCI ANTONINO, nato a Isola delle Femmine (PA) il 16/9/1945
LUCIDO MARIA, nata a Siracusa il 24/1/1949
CRISCI FRANCESCO,nato a Palermo il 12/6/1969
MANNINO MARIA CONCETTA, nata a Palermo il 7/3/1967
– avverso la sentenza in data 22/10/2015 della Corte di Appello di Palermo;
– visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
– udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
– udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Stefano Tocci, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi. 
 
RITENUTO IN FATTO
 
Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 9/10/2014, affermava la penale responsabilità di CRISCI ANTONINO, LUCIDO MARIA, CRISCI FRANCESCO e MANNINO MARIA CONCETTA per i reati di ci agli artt. 44 lett. e), 64, 65, 71, 72, 93, 94, 95 D.P.R. n. 380 del 2001 e 181 D.L.vo n. 42 del 2004, per aver realizzato, in qualità di proprietari e la LUCIDO anche di committente, in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico, in difformità al progetto presentato al Comune di Trappeto, in assenza di un progetto esecutivo redatto da un tecnico abilitato, senza aver effettuato la prescritta denuncia all’ufficio del genio civile ed aver ottenuto le relative autorizzazioni, anche sotto il profilo paesaggistico ambientale, un manufatto abusivo consistente in una recinzione con muri realizzati con conci di cemento pomice, intervallati da pilastrini in e.a. poggiati su un muro in e.a. e sormontato da un cordolo in cemento, che in una parte (lato sud) non costituisce solo recinzione ma parte di una struttura precaria, quest’ultima realizzata in assenza di concessione e/o autorizzazione edilizia, di circa mq. 670, con un tetto di lamiera gregata, e condannava, ritenuta la continuazione, la LUCIDO alla pena di mesi 3 e giorni 15 di arresto ed euro 20.000 di ammenda, e gli altri alla pena di mesi 1 e giorni 20 di arresto ed euro 17.000 di ammenda ciascuno, pena sospesa per tutti gli imputati. Avverso tale pronuncia gli stessi proponevano appello e la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della gravata sentenza, che confermava nel resto, riduceva la pena inflitta alla LUCIDO a mesi 1 e giorni 20 di arresto ed euro 17.000 di ammenda.
 
Tutti gli imputati, tramite difensore fiduciario, propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
 
Con un primo motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., in relazione agli artt. 10, 29, 31, 44 lett. e), 64, 65, 71, 72, 93 e 95 D.P.R. n. 380 del 2001, in merito alla declaratoria di colpevolezza degli imputati, deducono che la Corte territoriale si è limitata a richiamare per relationem le motivazioni svolte dal giudice di primo grado, senza considerare che essendo contestato agli imputati il reato di cui all’art. 44 lett. e) D.P.R. n. 380 del 2001 le difformità dal permesso di costruire che rilevano sono quelle significative qualitativamente e quantitativamente rispetto alle strutture essenziali dell’opera e che nel caso di specie le opere realizzate, seppur difformi, avevano già ottenuto l’accertamento di compatibilità paesaggistica dalle competenti autorità. 
 
Con un secondo motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., in relazione agli artt. 125, 192, 530 e 546 comma 1, lett. e), c.p.p., deducono che la Corte territoriale ha fondato la penale responsabilità degli imputati sulla loro qualità di comproprietari dell’immobile interessato dai lavori abusivamente realizzati senza considerare che la LUCIDO aveva dichiarato di essere l’unica committente delle opere, e che l’originaria istanza per la realizzazione del muro di recinzione e per ottenere la compatibilità paesaggistica nonché la sanatoria urbanistica sono state sottoscritte soltanto dalla medesima.
 
Con un terzo motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 62 bis, 133 c.p. e 546 comma 1, let. e), c.p.p., deducono che la Corte territoriale ha negato le attenuanti generiche senza una adeguata motivazione e senza tenere in debita considerazione la circostanza che la LUCIDO e la MANNINO son incensurate e che i fatti in contestazione non sono gravi.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
I ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
 
La sentenza della Corte territoriale, la cui motivazione, trattandosi di doppia conforme, si fonde con quella di primo grado, formando un tutt’uno motivazionale con essa, avendo le due decisioni utilizzato, quantomeno con riferimento alla declaratoria di penale responsabilità degli imputati, criteri omogenei e seguito un apparato logico argomentativo uniforme (Sez. 1, n.8868 del 26/6/200, Rv. 216906, Sez. 4, n. 38824 del 17/9/2008), ha provveduto ad analizzare con il dovuto rigore critico gli elementi probatori raccolti.
 
Appare, quindi, evidente che, seppure nel loro articolato sviluppo, le doglianze difensive ripercorrono, in assenza di apprezzabili elementi di novità, le censure già espresse nei motivi di appello, senza nemmeno tener conto delle puntuali argomentazioni espresse dalla Corte territoriale, mancando dunque qualsiasi argomentata critica difensiva alle conclusioni cui è pervenuta la Corte di Appello di Palermo, ed apparendo, sotto tale aspetto, le censure anche affette da genericità.
 
I primi due motivi di doglianza, scrutinabili congiuntamente, sono comunque manifestamente infondati atteso che la motivazione della sentenza di appello per relationem a quella di primo grado deve essere ritenuta pienamente ammissibile proprio perché le censure meritali non contenevano elementi ed argomenti sostanzialmente diversi da quelli già esaminati e disattesi. La Corte territoriale ha sottolineato, all’esito di un apprezzamento di fatto sull’importanza delle opere, in quanto tale non censurabile in questa sede, che la totale difformità delle stesse rispetto al progetto presentato al Comune di Trappeto discende non tanto dalla divergenza in altezza del muro di recinzione, che pure è significativa, quanto piuttosto dall’ampia struttura metallica, dotata di tettoia, ed ancorata ad esso, realizzata in difetto di qualsivoglia provvedimento concessorio o autorizzatorio, manufatto che peraltro difetta del requisito della precarietà che – com’è pacifico – va individuato in relazione alla oggettiva ed intrinseca destinazione dell’opera, essendo necessario che essa soddisfi esigenze temporanee, e non esclusivamente in relazione alle caratteristiche dei materiali utilizzati per la realizzazione (ex multis, Sez. 3, n. 22054 del 25/2/2009, Sez. 3, n. 996 del 26/11/2014 , Sez. 3, n. 24898 del 4/4/2003, Rv. 225380).
 
Quanto al profilo concernente l’affermazione di responsabilità degli imputati, questa Corte ha già affermato che l’individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell’abuso edilizio può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria della compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, desumibili dalla presentazione della domanda di condono edilizio, dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, dall’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, dai rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, dalla presenza di quest’ultimo “in loco” e dallo svolgimento di attività di vigilanza nell’esecuzione dei lavori o dal regime patrimoniale dei coniugi (Sez.3, n.52040 del 11/11/2014, Rv. 261522).
 
Ed allora, se è vero che la LUCIDO, conduttrice del fondo, ha dichiarato di essere l’unica committente delle opere in questione, è altrettanto vero che la prova della colpevolezza degli altri tre imputati non riposa soltanto sulla loro qualità di comproprietari, avendo la Corte territoriale precisato che l’accertamento di compatibilità paesaggistica e l’istanza per ottenere la concessione in sanatoria sono stati sottoscritti da CRISCI ANTONINO e CRISCI FRANCESCO e che, come si ricava dalla denuncia di inizio lavori presentata all’Ufficio del Genio Civile di Palermo, il progettista e direttore dei lavori venne originariamente indicato in CRISCI FRANCESCO, a dimostrazione del fatto che tutti erano direttamente interessati all’esecuzione delle opere, compresa MANNINO MARIA CONCETTA, coniuge di CRISCI FRANCESCO e titolare di interessi comuni con quelli del marito, rispetto ad una edificazione su terreno di comune proprietà che assumeva rilevanza evidentemente familiare.
 
La sentenza impugnata è dunque esente dai vizi denunciati in quanto dotata di una motivazione compiuta e logica, del tutto conforme ai principi giuridici e giurisprudenziali in precedenza enunciati.
 
Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di doglianza, avendo la Corte territoriale sufficientemente giustificato il diniego delle attenuati generiche rilevando l’assenza di “elementi favorevoli agli imputati … non potendo ritenersi sufficiente, in forza del novellato art.62 bis c.p., il mero stato di incensuratezza di LUCIDO MARIA e MANNINO MARIA CONCETTA e nel contempo evidenziando che la pena base è stata determinata “in misura di poco superiore rispetto al minimo edittale, con un aumento minimo per effetto della disciplina della continuazione”, e che quindi il trattamento sanzionatorio applicato “non può subire ulteriori riduzioni”.
 
Nella specie, l’obbligo di motivazione oggetto di doglianza è da ritenersi assolto mediante il richiamo, in positivo, agli elementi di cui all’art. 133 c.p. ritenuti significativi, che com’è noto sono indicati dalla pacifica giurisprudenza di questa Corte come parametri cui il giudice deve attenersi nel concedere o negare le circostanze attenuati di cui all’art. 62 bis c.p., e, in negativo, alla mancanza di elementi ulteriori per mitigare la pena, elementi che neppure la difesa dei ricorrenti ha saputo indicare, così palesando la sostanziale genericità della censura.
 
Ai sensi dell’art. 616 c. p. p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cast. sent. n. 186 del 13/6/2000) – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille euro, cosi equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso in Roma, l’8 marzo 2016.
 
 

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