CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 15 Gennaio 2014 (C.C. 3/12/2013), Sentenza n. 1486
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dai Sigg.ri Magistrati
Dott.ssa Claudia Squassoni – Presidente
Dott. Giovanni Amoroso – Consigliere
Dott. Luigi Marini – Consigliere
Dott. Andrea Gentili – Consigliere
Dott. Alessio Scarcella – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
– PMT AVELLINO
in proc. c/
– ARAGOSA PAOLO n. 22/06/1968 a Limatola
– SACCARDO MARGHERITA n. 5/11/1969 a Summonte
– CAPONE DOMENICO n. 10/07/1955 a Pomigliano D’Arco
avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di AVELLINO in data 18/06/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALDO POLICASTRO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza;
udite le conclusioni dell’Avv. F. Patierno del Foro di Benevento, di fiducia per tutti gli indagati, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o comunque il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 18/06/2013, depositata in data 19/06/2013, il Tribunale del riesame di AVELLINO, in accoglimento dell’appello proposto dagli odierni ricorrenti, annullava il provvedimento 4/04/2013, con cui il GIP del Tribunale di AVELLINO, decidendo sull’istanza di revoca del sequestro preventivo, la rigettava; l’ordinanza seguiva quella, emessa il 5/04/2012, con cui il medesimo GIP aveva convalidato il sequestro preventivo eseguito d’urgenza dalla PG in data 28/03/2012 e disposto autonomo sequestro preventivo di un fabbricato in cemento armato per civili abitazioni composto da piano terra, primo piano, secondo piano, piano sottotetto, sito in Summonte alla via San Sebastiano; il sequestro veniva operato ai danni del CAPONE (costruttore), del direttore dei lavori (SACCARDO), quest’ultima anche quale comproprietaria dell’immobile insieme al marito ARAGOSA, in ordine ai reati di cui all’
art. 44, lett. C), d.P.R. n. 380/2001 ed all’
art. 181, comma 1-bis, d. Lgs. n. 42/2004.
2. Ha proposto tempestivo ricorso il PM presso il Tribunale di AVELLINO, impugnando l’ordinanza 18/06/2013 e deducendo un unico motivo di ricorso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Deduce, in particolare, il PM ricorrente, la violazione di legge e/o l’erronea applicazione della legge penale; in sintesi, rileva che l’immobile era stato sottoposto a sequestro perché in corso di realizzazione in area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale, ai sensi dell’
art. 136 D. Lgs. n. 42/2004, in quanto area di notevole interesse pubblico dichiarato con DM 14/06/1965 (ed, inoltre, in area vincolata ex
art. 142, lett. F), D. Lgs. n. 42/2004, in quanto eseguita all’interno del parco regionale del Partenio, in totale difformità (
art. 32, comma 3, d.P.R. n. 380/2001) dal permesso di costruire n. 8/2010, rilasciato illegittimamente dal Comune di Summonte, in difetto di autorizzazione paesaggistico – ambientale; il GIP, pertanto, aveva ritenuto configurabili sia il reato urbanistico (
art. 44, lett. C), d.P.R. n. 380/2001), sia il reato paesaggistico (
art. 181, comma 1-bis, lett. A), in relazione all’
art. 136, D. Lgs. n. 42/2004); rileva, in particolare, che per gli interventi edilizi non avrebbe potuto essere rilasciato alcun accertamento di compatibilità paesaggistica né, pertanto, poteva essere rilasciato alcun accertamento di conformità per i profili urbanistico edilizi; nonostante ciò i ricorrenti erano riusciti ad ottenere dal Comune sia un permesso di costruire in variante e in sanatoria all’originario permesso di costruire n. 8/2010 (in data 28/12/2012) che un’autorizzazione paesaggistico ambientale n. 11 del 2/10/2012, senza tuttavia ottenere dal GIP il dissequestro delle opere edilizie su parere contrario del PM; deduce, in particolare, che la motivazione del tribunale del riesame (secondo cui – pur sussistendo l’incremento dei volumi realizzati con il manufatto abusivo per effetto della maggiore altezza – le difformità rilevate fossero di minimo rilievo, inidonee ad incidere sul bene interesse tutelato, con conseguente inoffensività dell’intervento edilizio de quo), sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge, trattandosi di abuso insanabile e idoneo ad offendere i beni protetti sia dalla normativa urbanistico – edilizia che paesaggistico – ambientale, nonché illegittima, per aver ritenuto il tribunale che l’inoffensività della condotta avrebbe reso legittimo il rilascio della sanatoria in ordine alle rilevate difformità, consentendo la prosecuzione dell’attività edilizia.
3. Con memoria difensiva, depositata in data 14/11/2013 presso la cancelleria di questa Corte Suprema, il difensore fiduciario cassazionista degli indagati ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso del PM e/o il rigetto per totale infondatezza, motivando le predette richieste su quattro punti:
1) carenza di legittimazione attiva del PM e mancanza di concreto interesse;
2) assoluto difetto di specificità dei motivi di diritto, affermati con la generica formula “violazione di legge/erronea applicazione di legge penale”, e mai specificamente indicati né dimostrati;
3) esposizione di censure di fatto, strumentalmente e pretestuosamente rappresentate con mendace narrazione dei fatti e delle realtà processuali;
4) presunta illogicità e contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso del P.M. è fondato per le ragioni di seguito esposte.
5. I fatti per cui si procede seguono alla richiesta del PM di convalida del sequestro preventivo eseguito d’urgenza dalla PG di un fabbricato in c.a. su più livelli, realizzato in difformità dal permesso di costruire rilasciato dal Comune di Summonte in area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale ex
art. 136 D. Lgs. n. 42/2004; l’opera, in corso di esecuzione, non risultava conforme al progetto assentito per altezza, sagoma e volumetria del fabbricato e per realizzazione di un piano suscettibile di essere abitabile al posto del sottotetto, così ponendo in essere – secondo la prospettazione accusatoria – un organismo edilizio totalmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano volumetriche e di utilizzo da quello assentito, anche con la realizzazione di parte di organismo edilizio con specifica rilevanza ed autonoma utilizzabilità; i reati ipotizzati erano, da un lato, quello urbanistico – edilizio, previsto dall’art. 110, 113 cod. pen. e
44, lett. c), d.P.R. n. 380/2001 e, dall’altro, il delitto paesaggistico previsto dall’art. 110 cod. pen.,
181, comma 1-bis, d. Lgs. n. 42/2004, in relazione all’art. 136 del citato decreto; quanto alle rispettive qualifiche, gli indagati, infine, venivano chiamati a rispondere dei predetti reati nella qualità:
a) il Saccardo e l’Aragosa, di proprietari e committenti dei lavori;
b) la saccardo, anche quale direttore dei lavori;
c) il Capone, infine, quale amministratore della “Capone Costruzioni” S.p.A., società esecutrice dei lavori.
6. Nel dettaglio, il GIP del tribunale di Avellino, con ordinanza 5/04/2012, premessa la legittimità del provvedimento d’urgenza eseguito dalla PG, lo convalidava emettendo autonomo provvedimento di sequestro preventivo, ritenendo accertata la difformità del fabbricato realizzato rispetto al permesso di costruzione n. 8 del 1/10/2010, risultando indubbia l’incidenza sull’assetto urbanistico del territorio di quanto abusivamente realizzato (maggiore altezza complessiva del fabbricato, dovuta a maggiore altezza degli interpiani e del sottotetto, con un aumento della volumetria totale rispetto a quella assentita); il GIP, peraltro, riteneva sussistere anche il fumus del delitto paesaggistico, attesa l’assenza di qualsiasi autorizzazione paesaggistico – ambientale, pur insistendo il fabbricato abusivo in area vincolata; infine, quanto al periculum, il GIP motivava la necessità di sottrarre il bene alla libera disponibilità degli indagati, per impedire l’aggravarsi o il protrarsi delle conseguenze del reato ipotizzato (il provvedimento sembrerebbe riferirsi, sotto tale profilo, al solo reato urbanistico – edilizio), in considerazione del fatto che i lavori erano in corso all’atto del sequestro, come desumibile sia dal cartello esposto che dalla presenza sul posto di materiali ed attrezzature in corso di utilizzazione per la realizzazione del cemento armato.
7. Con provvedimento emesso il 4 aprile 2013, il GIP del tribunale di Avellino, decidendo sull’istanza di revoca del sequestro preventivo, acquisito il parere contrario del P.M. procedente, letta la consulenza tecnica a firma dell’ing. V. D’Amato e le dichiarazioni rese a chiarimenti alla PG da quest’ultimo in data 22/03/2013 (allegate dalla difesa dei ricorrenti alla memoria depositata in vista dell’udienza camerale davanti a questa Corte), rigettava la richiesta sulla base dei seguenti rilievi:
a) l’originaria autorizzazione paesaggistica non poteva considerarsi valida in considerazione delle variazioni sostanziali al progetto assentito in corso d’opera;
b) vi era stato un illecito incremento di altezza e cubatura eccedente del 2% rispetto alle dimensioni assentite nel progetto;
8. Tale ordinanza veniva impugnata dagli attuali ricorrenti davanti al tribunale del riesame, che, nel decidere il gravame cautelare, teneva conto dell’intervenuto rilascio in data 28/12/2012 della variante in sanatoria all’originario permesso di costruire n. 8/2010 nonché dell’autorizzazione paesaggistico – ambientale (n. 11 del 2/10/2012); in particolare, come si legge nel gravato provvedimento, il tribunale del riesame ha ritenuto che, in relazione alle difformità accertate dal consulente tecnico, la previsione di cui all’
art. 181, comma 1-ter, lett. a), d. Lgs. n. 42/2004 – che esclude l’applicabilità delle sanzioni penali e di quelle amministrative ripristinatorie “per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati” – dovesse interpretarsi alla luce del principio di offensività, nel senso che la speciale sanatoria prevista dalla norma citata va esclusa in tutti i casi in cui la creazione di superfici utili o volumi o l’aumento di quelli legittimamente realizzati siano idonei a determinare una compromissione ambientale, a tal fine richiamando una recente decisione di questa Corte (il riferimento è alla decisione di questa Sezione, n. 899 del 2012, Cavallaro, non massimata); che, in applicazione di tale esegesi del testo normativo, le difformità rilevate apparivano, rispetto all’entità dell’opera in corso di realizzazione, di rilievo minimo, inidonee ad incidere sul bene – interesse tutelato (in particolare rilevando come “l’altezza del fabbricato rimanesse, comunque, ben al di sotto di quella massima consentita”) e che, inoltre, il sopravvenuto giudizio di compatibilità ambientale rendeva sanabili tali difformità, consentendo la prosecuzione dell’attività edilizia, con conseguente annullamento dell’ordinanza del GIP, dissequestro dell’abuso e restituzione agli aventi diritto.
9. Tanto premesso, con il ricorso presentato davanti a questa Corte, il PM ricorrente si duole dell’interpretazione fornita dal giudice del riesame, per aver ritenuto che fossero venute meno, in sostanza, sia il fumus che le esigenze cautelari dei reati ipotizzati, alla luce di quanto chiarito dal c.t. del P.M. circa la modesta entità delle difformità e l’intervenuto rilascio dell’accertamento di compatibilità paesaggistica.
Ritiene il Collegio che sussista la denunciata violazione di legge, unica suscettibile di sindacato di legittimità in questa sede ex art. 325 cod. proc. pen.
10. Ed invero – premessa la irrilevanza in fatto (e, quanto ai profili giuridici, l’infondatezza) delle considerazioni espresse nella memoria difensiva depositata in prossimità dell’udienza camerale davanti a questa Corte, sia quanto al comportamento del P.M. ricorrente per non aver analizzato contenutisticamente i titoli abilitativi legittimanti l’esecuzione delle opere edilizie sotto ambedue i profili paesaggistico ed urbanistico, sia in ordine alla presunta carenza di interesse all’impugnazione (non v’è dubbio, infatti, che sussista l’interesse ad impugnare del P.M. rispetto ad un provvedimento emesso in sede cautelare reale ad esso sfavorevole, ciò al fine di ottenere una verifica sulla legittimità di una misura cautelare reale, anche a seguito dell’annullamento dovuto al presunto venire meno del
fumus e/o del
periculum, allorché – come nel caso in esame – la decisione sull’impugnazione possa avere effetti significativi sul ripristino della misura; né, del resto, prospettarsi un difetto di legittimazione del PM ricorrente, indicato nell’art. 325, comma primo, cod. proc. pen., genericamente come il “pubblico ministero”, essendo però pacifico che la relativa legittimazione spetta al solo ufficio requirente presso l’organo la cui decisione viene impugnata, come nel caso di specie, essendovi identità tra PM ricorrente ed ufficio requirente presso l’organo la cui decisione viene impugnata), sia, infine, quanto all’asserita genericità e manifesta infondatezza dei motivi di ricorso, per quanto si dirà oltre – deve rilevarsi, come correttamente oggetto di censura da parte del P.M. ricorrente, che i lavori eseguiti avevano determinato un incremento volumetrico, superiore al 2 % , per la maggior altezza del fabbricato in corso di realizzazione rispetto a quanto originariamente assentito e, che, ancora, non era applicabile la speciale sanatoria paesaggistica di cui all’
art. 181, comma 1-ter, d. Lgs. n. 42/2004.
Ciò avrebbe impedito, a prescindere quanto oggettivamente avvenuto con il rilascio dei titoli abilitativi sananti da parte delle autorità preposte – attesa l’autonomia della valutazione dell’A.G. penale da quella amministrativa in materia, posto che, da un lato, il giudice penale deve accertare la conformità dell’atto agli strumenti urbanistici, in ossequio alla previsione degli
artt. 36 e 44 del d.P.R. n. 380/2001, per i quali la concessione in sanatoria estingue i reati urbanistici solo se le opere risultano conformi agli strumenti urbanistici, senza ricorrere all’istituto della disapplicazione del provvedimento ex art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all.E (Sez. 3, n. 18764 del 26/02/2003 – dep. 18/04/2003, Demori, Rv. 224731) e, dall’altro, che ai fini della configurabilità dei fatti-reato previsti dalle disposizioni di settore, è necessaria la valutazione sulla legittimità degli atti amministrativi autorizzatori, ovviamente non estesa ai profili di discrezionalità, allorché tali atti costituiscano il presupposto o elementi costitutivi o integrativi del reato, atteso che una attività formalmente assentita non può svolgersi in contrasto con la disciplina di settore e con conseguente lesione del bene protetto finale) – l’accoglimento della richiesta difensiva, atteso che non potendosi rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria per l’incremento volumetrico, non poteva nemmeno essere rilasciato il permesso di costruire in sanatoria.
Tale disposizione, prevede, in particolare, che “Fuori dai casi di cui all’
articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”.
I casi “eccettuati” sono quelli in cui è ammesso l’accertamento di compatibilità paesaggistica – per quanto qui rileva – per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati, precisando la norma, al comma quinto, che “La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell’articolo 181, comma 1-
quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma”. Nel caso in esame, come chiarito dallo stesso c.t. del P.M. nel verbale di s.i.t. rese il 22/03/2013 (allegato dalla stessa difesa degli indagati alla memoria difensiva depositata presso la cancelleria di questa Corte il 14/11/2013), sebbene l’iter procedurale fosse legittimo, le difformità accertate erano da qualificarsi come eseguite in difformità totale dal titolo abilitativo originario e, non ricadendo nell’ipotesi dell’
art. 167, commi quarto e quinto, d. Lgs. n. 42/2004, devono considerarsi insanabili; lo stesso c.t., peraltro, chiariva ai verbalizzanti che le maggiori altezze di interpiano e del sottotetto comportano una maggiore altezza complessiva del fabbricato che, da un’altezza prevista fuori terra di mt. 9,30 a mt. 9,59 con un massimo di mt. 9,91, passa ad un’altezza variabile di mt. 9,67 a mt. 10,25, quindi con una tolleranza ampiamente superiore a 2% fissata per legge.
Deve, a tal proposito, ricordarsi che tra le misure comprese nel d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, è stata prevista una sanatoria per gli interventi edilizi eseguiti in parziale difformità dal titolo abitativo. Se la differenza rispetto all’indice contemplato dal permesso di costruire per cubatura, superficie e altezze risulta minore del 2%, la posizione di chi ha realizzato l’opera è giuridicamente legittima. La misura del suddetto parametro di tolleranza è stata espressamente stabilita dall’art. 5, comma 2, del predetto decreto. La norma, infatti, inserendo il
comma 2-ter all’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001, dispone che si esclude la presenza di parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle misure progettuali. La ratio sottesa alla previsione in oggetto è chiaramente la salvaguardia del principio della certezza del diritto che consiste nella possibilità di conoscere la valutazione concreta operata dal diritto positivo con riferimento alle azioni e situazioni compiute. Non sussistendo, infatti, prima dell’intervento del “decreto sviluppo” una definizione compiuta ed univoca di parziale difformità, il rischio per l’operatore non sorretto dalla previsione di standard e conseguenze predefiniti era quello di esporre la sua attività alle imprevedibili valutazioni ed apprezzamenti discrezionali della pubblica amministrazione, con buona pace del legittimo affidamento e della stabilità dei rapporti giuridici.
Presupposto per l’applicabilità della nuova previsione, tuttavia, è che si trattasse di difformità parziale, laddove, invece, come nel caso in esame, la difformità accertata e ribadita dallo stesso c.t. del PM a chiarimenti, è una difformità totale, poiché, ricadendo l’abuso edilizio in zona in area tutelata paesaggisticamente, trova applicazione quanto disposto dal comma terzo dell’
art. 32, d.P.R. n. 380/2001; in altri termini, quindi, gli interventi eseguiti, in quanto effettuati su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali (ipotesi contestata agli indagati:
artt. 136 e 142, lett. f), d.lgs. n. 42/2004), sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli
articoli 31 e 44 d.P.R. n. 380/2001, donde non avrebbe potuto trovare nemmeno applicazione la speciale ipotesi del
comma 2-ter dell’art. 34, d.P.R. n. 380/2001.
Conseguentemente, a prescindere dal fatto che il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell’abuso edilizio eseguito in zona vincolata non potrebbe certo escludere la punibilità del delitto paesaggistico previsto dall’a
rt. 181, comma 1-bis, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (v., in termini. Sez. 3, n. 7216 del 17/11/2010 – dep. 25/02/2011, Zolesio e altro, Rv. 249526), appare evidente l’errore di diritto in cui è incorso il tribunale che, nell’annullare il provvedimento del GIP, ha non soltanto qualificato gli interventi eseguiti come in difformità parziale, ma ha anche ritenuto che l’accertamento di compatibilità paesaggistica – a fronte di una condotta asseritamente inoffensiva – avrebbe determinato la sanabilità degli abusi, così erroneamente interpretando la chiara disposizione dell’
art. 167, comma quarto, d. Lgs. n. 42/2004 che consente l’accertamento di compatibilità paesaggistica per quegli interventi che “non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, come invece accertato nel caso in esame.
Pertanto, in applicazione dell’art. 146, comma quarto, d. Lgs. n. 42/2004, non rientrando il caso nella previsione dell’art. 167, commi quarto e quinto, d. Lgs. citato, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi.
12. L’ordinanza impugnata dev’essere pertanto annullata con rinvio al giudice del riesame, che, nell’attenersi a quanto sopra disposto da questo Giudice di legittimità, nel rivalutare sia il fumus che il periculum dei reati ipotizzati, posti a fondamento del sequestro preventivo, dovrà riconsiderare la questione dell’applicabilità del disposto del
comma 2-ter dell’art. 34, d.P.R. n. 380/2001, considerando, altresì, che comunque l’accertamento di compatibilità paesaggistica non produce alcun effetto estintivo del delitto paesaggistico, previsto dal
comma 1-bis dell’art. 181, d. Lgs. n. 42/2004.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Avellino.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2013
Si vedano altre sentenze in materia di: