DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Rilascio del permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi – Illegittimità della sanatoria condizionata – Effetti – Responsabilità del proprietario e committente e del tecnico progettista e direttore dei lavori – Artt. 3, 36, 44 e 45, D.P.R. n. 380/2001 (T.U.E.) – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Manufatto abusivo – Legittimazione attiva delle parti civili – RISARCIMENTO DEI DANNI – Vicini non confinanti – Diritto al risarcimento del danno – Fattispecie.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Ottobre 2020
Numero: 28666
Data di udienza: 7 Luglio 2020
Presidente: LAPALORCIA
Estensore: ANDRONIO
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Rilascio del permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi – Illegittimità della sanatoria condizionata – Effetti – Responsabilità del proprietario e committente e del tecnico progettista e direttore dei lavori – Artt. 3, 36, 44 e 45, D.P.R. n. 380/2001 (T.U.E.) – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Manufatto abusivo – Legittimazione attiva delle parti civili – RISARCIMENTO DEI DANNI – Vicini non confinanti – Diritto al risarcimento del danno – Fattispecie.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 15/10/2020 (Ud. 07/07/2020), Sentenza n.28666
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Rilascio del permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi – Illegittimità della sanatoria condizionata – Effetti – Responsabilità del proprietario e committente e del tecnico progettista e direttore dei lavori – Artt. 3, 36, 44 e 45, D.P.R. n. 380/2001 (T.U.E.).
È illegittimo, e non determina l’estinzione del reato edilizio di cui all’art. 44, comma 1, lettera b) , del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell’alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Manufatto abusivo – Legittimazione attiva delle parti civili – RISARCIMENTO DEI DANNI – Vicini non confinanti – Diritto al risarcimento del danno.
In materia di edilizia, ritenuta la legittimazione attiva delle parti civili, permane il diritto al risarcimento del danno per il fondo dei vicini anche se non direttamente confinanti, ma comunque danneggiati dalla realizzazione dell’opera abusiva, non operando, neanche, ai fini della responsabilità civile gli effetti della cosiddetta “sanatoria condizionata”. Fattispecie: danno derivato dall’impatto per la realizzazione di un muro di recinzione perimetrale, sia per le dimensioni, sia per la consistenza.
(dich. inammissibili i ricorsi avverso sentenza del 28/10/2019 – CORTE D’APPELLO DI LECCE) Pres. LAPALORCIA, Rel. ANDRONIO, Ric. Murra ed altro
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 15/10/2020 (Ud. 07/07/2020), Sentenza n.28666SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Murra Lucia, nato a Gallipoli;
De Pascalis Luigi, nato a Casarano;
avverso la sentenza del 28/10/2019 della CORTE D’APPELLO DI LECCE;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro Maria Andronio;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo il ricorso sia rigettato;
udito, per la parte civile Comune di Casarano, l’avv. Vincenzo Venneri, il quale ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
udito, per gli imputati, l’avv. Andrea Starace.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28 ottobre 2019, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce del 14 febbraio 2017, con la quale – per quanto qui rileva – gli imputati erano stati condannati, anche al risarcimento del danno in favore delle parti civili, per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere, in concorso tra loro, Murra quale proprietaria e committente e De Pascalis quale tecnico progettista e direttore dei lavori, eseguito in totale difformità dal permesso di costruire rilasciato il 17 dicembre 2008 la realizzazione di un muro di recinzione perimetrale sui lati sud-est e sud-ovest di un terreno, progettualmente previsto con altezza di cm 75 e della larghezza di cm 20, in realtà edificato con recinzione in conci di cemento e cemento armato di altezza di m 3 sul lato sud-ovest e di m 1,25 sul lato sud-est e della larghezza variabile da cm 50 a cm 80.
2. Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite il difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si deducono la violazione degli artt. 3, 36, 44 e 45 del d.P.R. n. 380 del 2001, con riferimento alla ritenuta inefficacia del permesso di costruire in sanatoria, nonché vizi della motivazione e travisamento della prova.
Si contesta l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui la realizzazione di un muro di altezza compresa tra m 3 e m 1,25 determina, per struttura e per estensione in altezza, una modifica dell’assetto urbanistico del territorio per la quale sarebbe stato necessario il permesso di costruire.
Per la difesa, i giudici di merito avrebbero confuso il muro sul lato sud-est, con funzione di recinzione, con quello sul lato sud ovest, con funzione di contenimento, e non avrebbero considerato che la differenza di spessore tra il progetto e quanto effettivamente realizzato è comunque il rilevante, perché la legge, il regolamento edilizio e il piano regolatore disciplinano soltanto l’altezza.
Quanto alla recinzione sul lato sud-est, si sostiene che la stessa era espressamente prevista nell’originario permesso di costruire del 2008, mentre la porzione di muro rilevata in sede di sopralluogo costituiva solo ed esclusivamente la struttura di fondazione del muro di recinzione da realizzare lungo il confine e, dunque, sarebbe stata completamente interrata, essendo stato autorizzato un nuovo piano quotato di tutto il terreno; cosicché la misurazione dell’altezza avrebbe dovuto essere effettuata dal futuro piano di campagna.
Quanto al muro di contenimento sud-ovest, la difesa ammette che lo stesso necessitasse di permesso di costruire ed afferma che tale muro era menzionato nella relazione tecnica per l’originario permesso di costruire, ma, per un mero errore, il relativo elaborato grafico non era stato allegato alla domanda.
Tale muro si rendeva necessario ai fini di evitare danni alla proprietà confinante e per lo stesso era stato ottenuto un permesso di costruire in sanatoria (11 aprile 2017), per il quale la Corte d’appello aveva erroneamente escluso l’efficacia estintiva del reato.
La stessa Corte d’appello avrebbe richiamato il principio della conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria, senza considerare che tra i due momenti non era intervenuta alcuna modifica della disciplina urbanistica.
Aveva altresì affermato che il permesso atteneva solo al muro eretto sul lato sud-ovest e non anche alla parte sul lato sud-est e che, per tale parte, il reato non poteva comunque ritenersi estinto.
Aveva infine negato l’efficacia estintiva il permesso in sanatoria, in quanto rilasciato con prescrizioni, non potendo operare ai fini penali la cosiddetta “sanatoria condizionata”.
Secondo la difesa, le prescrizioni imposte non inficiavano in alcun modo l’originaria conformità dell’opera con la disciplina urbanistico edilizia vigente, perché riguardavano solo ed esclusivamente aspetti estetico-paesaggistici e non necessitavano di un nuovo intervento edilizio.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si deducono vizi della motivazione in relazione alla ritenuta legittimazione delle parti civili (coniugi Muscella e Comune di Casarano) e alla condanna del risarcimento dei danni.
Si lamenta che i coniugi Muscella sono stati ritenuti danneggiati in quanto proprietari del fondo finitimo a quello interessato dall’intervento edilizio abusivo, senza considerare che il lato sud dell’immobile non confina con la proprietà dei Muscella, bensì con altra proprietà.
In ogni caso, si sarebbe dovuto considerare che la costruzione violava al più interesse pubblico all’ordinato sviluppo dell’aggregato urbano, ma non quello dei privati confinanti.
Quanto al Comune di Casarano, si ricorda che lo stesso ha rilasciato il permesso in sanatoria, fondato sul preventivo accertamento che l’intervento era risultato conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, con ciò facendo venire meno il proprio interesse e la propria legittimazione.
2.3. In terzo luogo, si lamentano la violazione degli art. 164 e 165 cod. pen., nonché vizi della motivazione, con riferimento alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
1.1. La prima doglianza, riferita alla responsabilità penale sotto il profilo della necessità del permesso di costruire e dalla sanabilità delle opere edilizie, è manifestamente infondata. Contrariamente a quanto asserito dalla difesa, la Corte d’appello ha correttamente considerato sia la recinzione sul lato sud-est sia il muro di contenimento sul lato sud-ovest, evidenziando, in ogni caso, che entrambi erano parte di un’unica opera edilizia ed erano stati comunque realizzati in totale difformità dal permesso di costruire.
Quanto alla recinzione, che non è stata oggetto di sanatoria, ha correttamente rilevato che la stessa ha dimensioni che esorbitano in modo evidente da quanto autorizzato: un’altezza di m 1,25 e una larghezza di cm 50, a fronte delle minori dimensioni indicate nel permesso di costruire, ovvero di un’altezza di cm 75 e una larghezza di cm 20.
Né può essere presa in considerazione in questa sede la mera asserzione difensiva secondo cui il muro trovato sul posto era in realtà destinato ad essere interrato per un non meglio precisato innalzamento del piano di campagna, in modo da consentire la futura realizzazione di un ulteriore muro di dimensioni corrispondenti a quelle indicate nel permesso di costruire.
Quanto, invece, al muro di contenimento sudovest, la stessa difesa ammette l’abusività dell’opera, non indicata – a suo dire per mero errore – nella relazione di accompagnamento alla domanda di permesso di costruire, ma sostiene che l’abuso edilizio sarebbe estinto per intervenuta sanatoria.
Sul punto, però, la Corte d’appello ha correttamente affermato che la sanatoria è stata emessa con prescrizioni, ovvero non ha per oggetto l’opera edilizia come realizzata, bensì una futura e diversa opera edilizia.
Tali prescrizioni, riportate nel ricorso, attengono al rivestimento in pietra a secco sulla parte fuori terra e alla mitigazione paesaggistica completata con la piantumazione di arbusti misti a macchia mediterranea, nonché a rilevanti interventi di adeguamento ambientale e idraulico, al fine di eliminare il rischio di cedimenti.
Si tratta, con tutta evidenza, di vere e proprie attività edilizie di non trascurabile entità, richieste dal Comune attraverso un provvedimento dal quale emerge implicitamente la non conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, come affermato dalla stessa Corte d’appello.
Infatti, se il muro fosse stato conforme alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della sanatoria, l’amministrazione non avrebbe avuto la necessità di imporre, sotto forma di condizione, alcuna ulteriore attività edilizia.
Trova dunque applicazione il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui è illegittimo, e non determina l’estinzione del reato edilizio di cui all’art. 44, comma 1, lettera b) , del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell’alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica (ex multis, Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, Rv. 266034).
1.2. Anche il secondo motivo di doglianza, relativo alla legittimazione delle parti civili e al risarcimento del danno, è inammissibile.
Quanto alla posizione dei coniugi Muscella, la prospettazione difensiva si basa sull’asserzione – formulata con il ricorso per cassazione – secondo cui il terreno di questi non confina con le opere abusive realizzate. Si tratta di un’affermazione che attiene al merito della responsabilità civile e che, non essendo stata sottoposta al vaglio della Corte d’appello, non può essere valutata per la prima volta in questa sede, nella quale operano i limiti fissati al sindacato di legittimità dell’art. 606 cod. proc. pen.
E ciò, a prescindere dalla considerazione che – come osservato dei giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione – il fondo dei vicini è stato comunque danneggiato dalla realizzazione di un’opera abusiva delle dimensioni e della consistenza indicate nell’imputazione.
Quanto alla posizione del Comune di Casarano, va rilevato, in primo luogo, che il provvedimento di sanatoria emesso riguarda solo una parte delle opere edilizie abusive e, in secondo luogo, che lo stesso non rappresenta una sostanziale acquiescenza del Comune neanche in relazione a tali opere, perché lo stesso Comune ha ritenuto, attraverso l’imposizione di condizioni, di richiederne la modifica sostanziale; con la conseguenza che permangono inalterati la legittimazione e l’interesse al risarcimento del danno.
Ne deriva la manifesta infondatezza della relativa censura del ricorrente.
1.3. Il terzo motivo di doglianza è parimenti inammissibile, essendo riferito ad una violazione degli art. 164 e 165 cod. pen. non dedotta con i motivi di appello, oltre che a pretesi vizi di una motivazione che la Corte d’appello non aveva l’onere di fornire sul punto, non essendo stata investita della relativa questione.
2. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00 per ciascuno dei ricorrenti.
I ricorrenti devono anche essere condannati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di Casarano, da liquidarsi in complessivi euro 3000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di Casarano, che liquida in complessivi euro 3000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 07/07/2020