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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Danno ambientale, Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 20155 | Data di udienza: 13 Aprile 2016

* DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione sull’identità del fatto-reato – Elemento materiale del reato – Componenti essenziali – Nesso causale – Violazione del divieto di bis in idemArt. 649 cod. proc. pen.CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Fattispecie: manutenzione di “crude oil” – Raffineria di Gela s.p.a. – Artt. 137, 240, 242, 256 e 257, d. lgs. n. 152/2006DANNO AMBIENTALE – Responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili – Prescrizione del reato – Annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello – Art. 622 cod. proc. pen..


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 16 Maggio 2016
Numero: 20155
Data di udienza: 13 Aprile 2016
Presidente: Ramacci
Estensore: Mengoni


Premassima

* DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione sull’identità del fatto-reato – Elemento materiale del reato – Componenti essenziali – Nesso causale – Violazione del divieto di bis in idemArt. 649 cod. proc. pen.CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Fattispecie: manutenzione di “crude oil” – Raffineria di Gela s.p.a. – Artt. 137, 240, 242, 256 e 257, d. lgs. n. 152/2006DANNO AMBIENTALE – Responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili – Prescrizione del reato – Annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello – Art. 622 cod. proc. pen..



Massima

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 16/05/2016 (Ud. 13/04/2016) Sentenza n.20155



DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione sull’identità del fatto-reato – Elemento materiale del reato – Componenti essenziali – Nesso causale – Violazione del divieto di bis in idem – Art. 649 cod. proc. pen. – CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Fattispecie: manutenzione di “crude oil”Artt. 137, 240, 242, 256 e 257, d. lgs. n. 152/2006.
 
La valutazione sull’identità del fatto, preclusiva di un secondo giudizio ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen., deve essere compiuta unicamente con riferimento all’elemento materiale del reato nelle sue componenti essenziali attinenti alla condotta, all’evento ed al nesso causale, nonché alle circostanze di tempo, di luogo e di persona del fatto-reato, considerati nella loro dimensione storico-naturalistica ed in quella giuridica, laddove la medesima condotta viola contemporaneamente più disposizioni incriminatrici; con la conseguenza che costituisce fatto diverso – ed ammette, quindi, un secondo giudizio – quello che, pur violando la stessa norma ed integrando gli estremi del medesimo reato, sia un’ulteriore estrinsecazione dell’attività del soggetto agente, diversa e distinta nello spazio e nel tempo da quella posta in essere in precedenza ed accertata con sentenza definitiva.
 

DANNO AMBIENTALE – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili – Prescrizione del reato – Annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello – Art. 622 cod. proc. pen..
 
Nel caso in cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato senza motivare adeguatamente in ordine alla responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili, l’accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’imputato impone l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6, n. 5888 del 21/1/2014, Bresciani).
 

(conferma sentenza del 15/10/2103 della Corte di appello di Caltanissetta) Pres. RAMACCI, Rel. MENGONI, Ric. Losardo

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 16/05/2016 (Ud. 13/04/2016) Sentenza n.20155

SENTENZA

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 16/05/2016 (Ud. 13/04/2016) Sentenza n.20155

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sui ricorsi proposti da:
– Losardo Salvatore, nato a Caltanissetta il 19/8/1958
– La Ferrera Enzo, nato a Catania il 3/3/1974
 
avverso la sentenza del 15/10/2103 della Corte di appello di Caltanissetta;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mario Fraticelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza senza rinvio perché il fatto non sussiste o, in subordine, per pregresso giudicato;
udito il difensore della parte civile Comune di Gela, Avv. Rocco Guarnaccia, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi
uditi i difensori dei ricorrenti, Avv. Carlo Autru Ryolo, in sostituzione dell’Avv. Luigi Autru Ryolo, e Avv. Gualtiero Cataldo, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 15/10/2013, la Corte dì appello di Caltanissetta, in riforma della pronuncia emessa il 18/2/2013 dal Tribunale di Gela, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Salvatore Losardo ed Enzo La Ferrera in ordine ai reati agli stessi ascritti, perché estinti per prescrizione, confermando le statuizioni civili in favore del Comune di Gela, della Provincia di Caltanissetta e dell’associazione “Amici della Terra”.
 
2. Propongono separato ma di fatto identico ricorso per cassazione due imputati, a mezzo dei propri difensori, deducendo i seguenti motivi:
 
– violazione di legge in relazione all’art. 649 cod. proc. pen.
La Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione di violazione del divieto di bis in idem, non avvedendosi della perfetta identità – oggettiva e soggettiva – tra le condotte qui contestate al capo a (art. 137, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152) e quelle di cui alla sentenza del Tribunale di Gela del 19/11/2008, irrevocabile, che aveva assolto gli imputati dalla fattispecie di cui all’art. 256, d. lgs. n. 152 del 2006 per insussistenza del fatto. L’argomento speso dalla Corte – ovvero che, nel giudizio in corso, l’eccezione sarebbe stata avanzata soltanto con riguardo alla diversa imputazione di gestione di rifiuti non autorizzata (di cui alla precedente sentenza) – sarebbe irrilevante, perché avrebbe ad oggetto soltanto la mera qualificazione giuridica della condotta e non il suo effettivo contenuto, identico in entrambi i casi;
 
– violazione di legge e vizio motivazionale con riguardo al citato art. 137, d.lgs. n. 152 del 2006
La Corte avrebbe ritenuto applicabile la disciplina degli scarichi pur difettandone i presupposti; per un verso, infatti, il crude oil non costituirebbe acqua reflua industriale e, per altro verso, il presunto sistema di collettamento non sarebbe privo di soluzioni di continuità e, soprattutto, con collegherebbe l’impianto di produzione al corpo ricettore, tale non potendosi considerare il mare ove il liquido era risultato sversato. La condotta, pertanto, rientrerebbe nella disciplina in tema di rifiuti;
 
– violazione di legge, vizio motivazionale in relazione all’art. 137 citato, 40, 42, 43 cod. pen.. 
L’istruttoria avrebbe dimostrato che la fuoriuscita del liquido era avvenuta a causa di un foro millimetrico nell’ambito di un oleodotto lungo oltre dieci chilometri, evidenziandosi, quindi, la non imputabilità dell’accaduto ai ricorrenti. L’impianto, inoltre, non era certo ossidato o corroso (emergendo ciò solo da una deposizione priva di riscontri), ma perfettamente mantenuto, come evidenziato dalle prove spessimetrìche eseguite solo un mese prima dell’accaduto, disattese dalla Corte di appello con argomenti del tutto apodittici; 
 
– violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’art. 42, comma 1, cod. pen.. 
Con riguardo al Losardo, la sentenza non avrebbe valutato che lo stesso ricopriva la carica di dirigente dell’esercizio della SOI 3 (come da documentazione prodotta), nella quale non rientrano competenze in tema di manutenzione dell’impianto, invero riferibili ad altri soggetti;
 
– violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’art. 257, d. lgs. n.152 del 2006
Con riguardo al capo b), la sentenza non avrebbe considerato che il mare non è ricompreso nella definizione di sito tra le matrici ambientali di cui all’art. 240, stesso decreto, e che non esistono al riguardo tabelle di concentrazione soglie di contaminazione o metodi ufficiali per il calcolo della concentrazione soglie di rischio, il cui superamento è richiamato dall’art. 257 citato come condizione per il verificarsi dello stato di inquinamento;
 
– violazione di legge e vizio motivazionale in relazione agli artt. 242, 257, d. lgs. n. 152 del 2006
La sentenza, dopo aver escluso la disciplina in tema di rifiuti quanto al capo a), la recupera – in modo del tutto contraddittorio – in ordine al capo successivo; nella vicenda in esame, inoltre, difetterebbero del tutto i presupposti dell’obbligo di comunicazione di cui all’art. 242 citato, tra i quali il superamento del livello di CSC e di CSR, mai accertati;
 
– violazione di legge con riguardo agli artt. 137, 242 d. lgs. n. 152 del 2006
La Corte di appello avrebbe erroneamente rigettato l’istanza volta ad ottenere l’escussione dei testi Fantini e Abela, già indicati nella lista e “revocati” dal primo Giudice; le deposizioni di questi, invece, sarebbero risultate di particolare rilievo con riguardo agli interventi posti in essere subito dopo l’accertamento dello sversamento, ad evidenziare l’infondatezza della contestazione sub b);
 
– violazione di legge e vizio motivazionale in ordine agli artt. 242 e 257, d. lgs. n. 152 del 2006
La sentenza afferma, in modo apodittico, che i ricorrenti avrebbero omesso gli adempimenti di cui all’art. 242 e fornito fuorvianti indicazioni alla Capitaneria di porto; ciò sarebbe, per un verso, privo di ogni riscontro, e, peraltro, smentito dal fatto che la comunicazione di legge era stata effettuata, peraltro dall’amministratore delegato della raffineria (ing. Ricci), a conferma del fatto che tale incombente non spettava ad alcuno dei ricorrenti;
 
– violazione di legge e vizio motivazionale con riguardo all’art. 137, comma 3, d. lgs. n. 152 del 2006
La sentenza non avrebbe precisato in quali termini lo scarico avrebbe avuto ad oggetto sostante pericolose, difettando una precisa analisi in tal senso; al riguardo, la verifica di una percentuale di idrocarburi pari al 14%, effettuata “nell’acqua-mare scolmata in superficie” non risulterebbe affatto conducente. Una contestazione errata, quindi, che peraltro ha impedito ai ricorrenti di accedere- se del caso – all’oblazione speciale, una volta accertata l’eliminazione di ogni residuo pericoloso o dannoso;
 
– violazione di legge e vizio motivazionale in relazione agli artt. 185 cod. pen., 539 cod. proc. pen.. 
La sentenza avrebbe confermato le statuizioni civili pur difettando ogni motivazione – richiesta con il gravame – in punto di an e quantum del danno che si assume sofferto.
 
Con memoria deposita il 7/3/2016, il difensore de La Ferrera ha ribadito i propri argomenti, con particolare riferimento alla violazione del divieto di bis in idem.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. I ricorsi risultano fondati.
 
Con riguardo, innanzitutto, alla violazione di cui al capo a), relativa all’art.137, commi 1 e 3, d. lgs. n. 152 del 2006, osserva la Corte che l’azione penale non poteva esser proseguita per precedente giudicato, a ciò ostando l’art. 649 cod. proc. pen..
 
In particolare – come emerge dalla pronuncia gravata e dalle allegazioni ai ricorsi – con sentenza del Tribunale di Gela del 19/11/2008, irrevocabile il 3/3/2009, gli imputati erano stati assolti dalla contestazione di cui all’art. 256, d. lgs. n. 152 del 2006, «perché il fatto, così come contestato, non sussiste»; nel corpo motivazionale, il Giudice evidenziava che questa norma punisce «l’attività di “gestione di rifiuti non autorizzata” ma nel caso specifico, al di là della mera indicazione numerica del detto articolo, la fattispecie in oggetto, così come contestata mediante il richiamo per relationem al capo a) della rubrica, non sussiste, non essendo effettivamente stata imputata taluna delle fattispecie di “gestione di rifiuti non autorizzata”».
 
Orbene, questa motivazione – poi ripresa dai Giudici di seconde cure, investiti della medesima questione – non può trovare accoglimento, perché errata.
 
4. Al riguardo, occorre premettere che – per constante indirizzo di questa Corte – la valutazione sull’identità del fatto, preclusiva di un secondo giudizio ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen., deve essere compiuta unicamente con riferimento all’elemento materiale del reato nelle sue componenti essenziali attinenti alla condotta, all’evento ed al nesso causale, nonché alle circostanze di tempo, di luogo e di persona del fatto-reato, considerati nella loro dimensione storico-naturalistica ed in quella giuridica, laddove la medesima condotta viola contemporaneamente più disposizioni incriminatrici (tra le altre, Sez. 2, n. 19712 del 6/2/2015, Aieta, Rv. 263543; Sez. 5, n. 52215 del 30/1072014, Carbognani, Rv. 261364; Sez. 2, n. 18376 del 21/3/2013, Cuffaro, Rv. 255837); con la conseguenza che costituisce fatto diverso – ed ammette, quindi, un secondo giudizio – quello che, pur violando la stessa norma ed integrando gli estremi del medesimo reato, sia un’ulteriore estrinsecazione dell’attività del soggetto agente, diversa e distinta nello spazio e nel tempo da quella posta in essere in precedenza ed accertata con sentenza definitiva (Sez. 2, n. 292 del 4/12/2013, Coccorullo, Rv. 257992).
 
5. Ciò premesso, nel caso di specie è sufficiente la lettura dei capi di imputazione- quello di cui alla sentenza citata e quello di cui al presente giudizio – per ravvisare ictu oculi quell’identità del fatto che imponeva una pronuncia ex art. 649 cod. proc. pen..
 
Nel primo processo, infatti, la contestazione mossa al Losardo ed al La Ferrera concerneva – come accennato- la violazione dell’art. 256, d. lgs. n. 152 del 2006, ed era individuata nei seguenti termini: premessa la contestazione di cui al capo a), ex art. 674 cod. pen. (“Per aver Lo Sardo in qualità di Responsabile S.O.I.3 della Raffineria di Gela s.p.a., il La Ferrera quale responsabile della manutenzione S.O.I. 3 della Raffineria di Gela s.p.a., omettendo di effettuare una corretta manutenzione di un tratto della linea denominata P2 deputata alla manutenzione di “crude oil” dal campo Boe” al deposito costiero ella Raffineria, sversavano in mare sostanze inquinanti della specie idrocarburi)”, ai due ricorrenti era contestato al capo b) di aver “nelle qualità e con le condotte sopra descritte, immesso in mare sostanze inquinanti pericolose”. In Gela, il 20/2/2008.
 
Dal che l’evidente constatazione per cui, al di là del titolo di reato (ritenuta non corretta dal Giudice), la condotta effettivamente contestata agli imputati, nelle qualità citate, consisteva, per l’appunto, nell’aver immesso in mare dette sostanze, omettendo di effettuare una corretta manutenzione sul tratto di linea indicato.
 
Questo, dunque, è l’elemento materiale del reato, nelle sue componenti Essenziali oggettive e soggettive, e su questo doveva esser verificata l’eventuale applicazione dell’art. 649 cod. proc. pen.; non già sul titolo astrattamente contestato (il cui richiamo potrebbe anche essere improprio), come invece ritenuto dal Tribunale e dalla Corte di appello, in ciò determinatisi nel medesimo senso.
 
6. Ciò richiamato, si osserva che nel giudizio in corso è contestato il reato di cui all’art. 137 cit., perché “Losardo, quale responsabile SOI 3 della Raffineria di Gela s.p.a. e La Ferrera quale responsabile della manutenzione SOI 3 della Raffineria di Gela s.p.a., effettuavano un consistente scarico di reflui industriali (quantitativo non inferiore ai 100 lt) costituiti dal crude oil ovvero sostanza pericolosa – movimentato attraverso la linea P dal campo boe al deposito costiero della Raffineria -, reflui che fuoriuscivano da detta linea P del campo boe al deposito di calpestio della diga foranea, a causa della presenza di un foro derivante dalla corrosione delle pareti della condotta e che finivano sul piano di calpestio della diga foranea – cassone n. 6 – e quindi, attraverso fori presenti sul cassone, nelle acque superficiali sottostanti”. In Gela, il 20/2/2008.
 
Un’imputazione – rispetto all’altra – sicuramente formulata in termini più precisi ed analitici; un’imputazione, però, che concerne esattamente il medesimo fatto di reato di cui al precedente giudizio, nelle sue componenti essenziali attinenti alla condotta, all’evento ed al nesso causale, nonché alle circostanze di tempo, di luogo e di persona del fatto-reato, considerati nella loro dimensione storico-naturalistica ed in quella giuridica, come da giurisprudenza sopra richiamata.
 
7. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza limitatamente al reato di cui al capo 1), perché l’azione penale non poteva esser proseguita per precedente giudicato; quel che ben può esser rilevato anche in questa sede, posto che la accertata violazione del divieto del bis in idem si risolve in un error in procedendo per l’accertamento del quale non occorre alcuna verifica in fatto, altrimenti preclusa alla Corte di legittimità (per tutte, Sez. 5, n.2807 del 6/11/2014, Verde, Rv. 262586).
 
8. Con riguardo, invece, all’imputazione di cui al capo 2) – articolo 257, d. lgs. n. 152 del 2006 – ritiene il Collegio di dover sollecitare al Giudice di merito un nuovo giudizio. 
 
Ed invero, la motivazione offerta dalla Corte di merito in ordine ai due profili di colpa sollevati (omissione degli interventi urgenti ed Omessa comunicazione ex art. 242, stesso decreto) appare apodittica e carente, limitandosi a far discendere dalla (erroneamente ritenuta) responsabilità per il capo precedente la conseguenza che i ricorrenti «erano tenuti ad adottare gli interventi urgenti previsti dal comma 1, del cit. art. 257 e diretti alla bonifica del sito inquinato e ad effettuare la comunicazione» di cui alla norma citata.
 
Senza specificazione alcuna, peraltro, dei profili colposi effettivamente riscontrati con riguardo alle omissioni in esame, e senza indicazione alcuna del motivo per il quale la comunicazione comunque effettuata ex art. 242 (ancorché in ritardo) – peraltro da diverso soggetto, quale il legale rappresentante della società – non potesse valere a sollevare gli imputati quantomeno da tale profilo di responsabilità, con riguardo all’imputazione soggettiva della condotta ed all’individuazione della persona cui effettivamente spettava la comunicazione medesima.
 
La sentenza, pertanto, deve essere annullata sul punto, con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen.; ed invero, per costante giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui il  giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato senza motivare adeguatamente in ordine alla responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili, l’accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’imputato impone l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma della norma citata (per tutte, Sez. 6, n. 5888 del 21/1/2014, Bresciani, Rv. 258999).
 
P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 1) dell’imputazione, perché l’azione penale non poteva essere proseguita per precedente giudicato.
 
Annulla la medesima sentenza, relativamente alla residua imputazione, rinviando al giudice civile competente per valore in grado di appello.
 
Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016
 
 
 

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