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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 41589 | Data di udienza: 15 Ottobre 2021

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Provvedimenti autorità amministrativa (SCIA e DIA) – Errore di diritto scusabile e buona fede nelle contravvenzioni – Convincimento di liceità della condotta – Presupposti – Potere del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale – Fattispecie: sospensione lavori per totale difformità della S.C.I.A. in area a destinazione d’uso agricola – Conformità delle opere alla normativa urbanistica – Posizione di garanzia a carico del titolare del permesso di costruire e del committente e direttore dei lavori – Conoscenza delle particelle catastali e della loro destinazione urbanistica – Artt. 23, 29, 44 d.P.R. 380/2001 – Reati urbanistici – Ignoranza incolpevole della legge penale – Inevitabilità scusabile dell’autore dell’illecito – Limiti di tale inevitabilità – Buona fede – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Criterio dell’ordinaria diligenza e dovere di informazione – Giurisprudenza.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 16 Novembre 2021
Numero: 41589
Data di udienza: 15 Ottobre 2021
Presidente: ROSI
Estensore: SEMERARO


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Provvedimenti autorità amministrativa (SCIA e DIA) – Errore di diritto scusabile e buona fede nelle contravvenzioni – Convincimento di liceità della condotta – Presupposti – Potere del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale – Fattispecie: sospensione lavori per totale difformità della S.C.I.A. in area a destinazione d’uso agricola – Conformità delle opere alla normativa urbanistica – Posizione di garanzia a carico del titolare del permesso di costruire e del committente e direttore dei lavori – Conoscenza delle particelle catastali e della loro destinazione urbanistica – Artt. 23, 29, 44 d.P.R. 380/2001 – Reati urbanistici – Ignoranza incolpevole della legge penale – Inevitabilità scusabile dell’autore dell’illecito – Limiti di tale inevitabilità – Buona fede – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Criterio dell’ordinaria diligenza e dovere di informazione – Giurisprudenza.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^, 16 novembre 2021 (Ud. 15/10/2021), Sentenza n.41589

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Provvedimenti autorità amministrativa (SCIA e DIA) – Errore di diritto scusabile e buona fede nelle contravvenzioni – Convincimento di liceità della condotta – Presupposti – Potere del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale – Fattispecie: sospensione lavori per totale difformità della S.C.I.A. in area a destinazione d’uso agricola – Artt. 23, 29, 44 d.P.R. 380/2001.

L’art. 23 d.P.R. 380/2001 prevede che la Scia, così come in precedenza per la Dia, debba essere presentata almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori; nello stesso termine, come prevede il comma 6 (analoga disposizione era prevista per la Dia), il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento. Nel caso in esame non sussiste il «fatto positivo dell’autorità amministrativa» perché, al contrario, il comune sospese il titolo abilitativo e impose alla ricorrente il divieto di prosecuzione dei lavori. Pertanto, a seguito di tale comunicazione l’imputata non avrebbe dovuto consentire la prosecuzione dei lavori e neanche limitarsi ad affidarsi alle argomentazioni del suo tecnico. La ricorrente ha avuto in sostanza un mero convincimento soggettivo, non confortato da provvedimenti espressi dell’autorità amministrativa – anzi di contrario avviso – né da richieste di chiarimenti sul punto alla pubblica amministrazione. Tali condotte non sono idonee ad escludere la sussistenza della colpa normativamente richiesta per la punibilità dell’agente.

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Conformità delle opere alla normativa urbanistica – Posizione di garanzia a carico del titolare del permesso di costruire e del committente e direttore dei lavori – Conoscenza delle particelle catastali e della loro destinazione urbanistica.

L’art. 29 d.P.R. 380/2001 pone una posizione di garanzia a carico del titolare del permesso di costruire e del committente, nel caso in esame l’imputata, i quali devono garantire, e ne sono di conseguenza responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel capo 1, la conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. Sicché, deve affermarsi che il proprietario è tenuto a conoscere la destinazione urbanistica delle sue proprietà, poiché per altro risultante da atti (normalmente) in suo possesso quale il titolo di proprietà e le visure catastali, che riportano le particelle catastali e la destinazione urbanistica. Nella specie, riguardo alla destinazione agricola di parte della particella della proprietà del ricorrente, non può invocarsi alcuna buona fede, anche se per ragioni in diritto diverse da quelle prospettate dalla Corte territoriale.

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Ignoranza incolpevole della legge penale – Inevitabilità scusabile dell’autore dell’illecito – Limiti di tale inevitabilità – Buona fede – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Criterio dell’ordinaria diligenza e dovere di informazione – Giurisprudenza.

Per il comune cittadino l’ignoranza incolpevole della legge penale o l’inevitabilità dell’errore, è sussistente ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto «dovere di informazione», attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto. Inoltre, la buona fede del trasgressore può costituire causa di esclusione della responsabilità penale solo quando il comportamento antigiuridico sia stato determinato da un fatto positivo dell’autorità amministrativa, idoneo a produrre uno scusabile convincimento di liceità della condotta posta in essere. Le Sezioni Unite hanno affermato tal principio proprio analizzando una fattispecie relativa a reati urbanistici; hanno confermato l’assoluzione pronunciata dal giudice di merito per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, motivata dalla convinzione degli imputati dell’assenza del vincolo di inedificabilità, più volte affermata in provvedimenti del giudice amministrativo, nonché in specifici atti ufficiali del Ministero dei beni culturali e ambientali e del Comune interessato.

(rigetta il ricorso avverso avverso sentenza del 18/11/2020 della CORTE APPELLO di TORINO) Pres. ROSI, Rel. SEMERARO, Ric. Nicolini


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^, 16/11/2021 (Ud. 15/10/2021), Sentenza n.41589

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da NICOLINI;

avverso la sentenza del 18/11/2020 della CORTE APPELLO di TORINO;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;

lette le conclusioni del PG MARILIA DI NARDO

Il PG chiede di dichiarare inammissibile il ricorso;

Ricorso trattato ai sensi ex art. 23, comma 8 del D.L. n.137/20.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 18 novembre 2020 la Corte di Appello di Torino ha confermato la condanna inflitta a Roberta Nicolini dal Tribunale di Vercelli il 19 settembre 2019 alla pena di mesi due di arresto ed euro 6000 di ammenda per il reato ex art. 44, comma 2-bis, del d.P.R. 380/2001, perché, in qualità di committente e proprietaria della costruzione sita in Roasio, in totale difformità della S.C.I.A. prot. 4550 del comune di Roasio, realizzò opere edili – un nuovo corpo di fabbrica addossato all’abitazione, di circa 85 mq., con predisposizione di tubazioni per l’impianto elettrico – non autorizzabili in quanto in parte realizzate su terreno avente destinazione d’uso agricola (accertato in Roasio il 6 dicembre 2016).

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputata.

2.1. Dopo aver riportato uno stralcio della memoria difensiva depositata in primo grado – con cui si ricostruisce l’iter amministrativo e le argomentazioni sulla buona fede dell’imputata – ed i motivi di appello, con il primo motivo si deduce il vizio della motivazione sul rigetto della richiesta difensiva di ritenere sussistente la buona fede dell’imputata e l’omessa risposta ai motivi di appello sull’insussistenza dell’elemento soggettivo: l’imputata si sarebbe affidata alle valutazioni del geom. Balocca che l’avrebbe convinta sulla piena liceità dell’opera.

La Corte territoriale avrebbe ritenuto sussistenti due profili di colpa per la prosecuzione del rapporto con il direttore dei lavori, che aveva comunque avvisato l’imputata dall’inizio del dicembre 2016 della revoca della Scia, e per la costruzione dell’opera in area agricola; tale motivazione sarebbe illogica perché la sostituzione del direttore dei lavori non avrebbe inciso sull’esistenza dell’opera abusiva, che vi era già.

Inoltre, la ricorrente avrebbe ignorato che il cortile fosse attraversato da un confine catastale che divideva la proprietà in due diverse particelle, di cui una edificabile e l’altra quale area agricola, sicché non avrebbe avuto senso misurare l’area, come indicato dalla Corte territoriale.

2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 5 cod. pen. La Corte di Appello di Torino avrebbe erroneamente ritenuto non sussistente la buona fede dell’imputata, in deroga all’art. 5 cod. pen., reputando non qualificabile come fattore esterno l’errore del professionista.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato, non potendo nel caso in esame invocarsi né l’errore di diritto scusabile né la buona fede nelle contravvenzioni.

1.1. Le Sez. U, con la sentenza n. 8154 del 10/06/1994, Calzetta, Rv. 197885 – 01, a seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, secondo la quale l’ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l’autore dell’illecito, hanno stabilito i limiti di tale inevitabilità. Hanno affermato le Sezioni Unite che per il comune cittadino tale condizione è sussistente ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto «dovere di informazione», attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto.

Le Sezioni Unite hanno affermato tal principio proprio analizzando una fattispecie relativa a reati urbanistici; hanno confermato l’assoluzione pronunciata dal giudice di merito per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, motivata dalla convinzione degli imputati dell’assenza del vincolo di inedificabilità, più volte affermata in provvedimenti del giudice amministrativo, nonché in specifici atti ufficiali del Ministero dei beni culturali e ambientali e del Comune interessato.

1.2. Tali principi sono stati confermati dalla giurisprudenza successiva. Sez. 3, n. 42021 del 18/07/2014, Paris, Rv. 260657 – 01, ha affermato, in materia contravvenzionale, che la buona fede del trasgressore può costituire causa
di esclusione della responsabilità penale solo quando il comportamento antigiuridico sia stato determinato da un fatto positivo dell’autorità amministrativa, idoneo a produrre uno scusabile convincimento di liceità della condotta posta in essere (fattispecie relativa a violazione della normativa sui rifiuti, in cui la Corte ha escluso che l’invocata buona fede del ricorrente possa derivare da un fatto negativo, quale la mancata rilevazione, da parte degli organi di vigilanza e controllo, di irregolarità da sanare). Cfr. anche Sez. 3, n. 35314 del 20/05/2016, Oggero, Rv. 268000 – 01, per cui, in tema di elemento psicologico del reato, l’ignoranza da parte dell’agente sulla normativa di settore e sull’illiceità della propria condotta è idonea ad escludere la sussistenza della colpa, se indotta da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della pubblica amministrazione.

1.3. Orbene, risulta dalle sentenze di merito che la ricorrente presentò la Scia il 23 settembre 2016.

L’art. 23 d.P.R. 380/2001 prevede che la Scia, così come in precedenza per la Dia, debba essere presentata almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori; nello stesso termine, come prevede il comma 6 (analoga disposizione era prevista per la Dia), il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento.

1.4. Nel caso in esame dalla sentenza di primo grado, a cui fa riferimento la Corte di appello, risulta che il 17 ottobre 2016 – ben prima della scadenza dei termine di 30 giorni entro il quale avrebbero potuto essere iniziati i lavori – l’imputata ricevette dallo Sportello Unico per l’edilizia del Comune di Roasio la comunicazione della sospensione dell’efficacia del titolo edilizio abilitativo con divieto di prosecuzione dell’attività edificatoria, stante la mancanza della documentazione da allegarsi alla già presentata Scia.

1.5. Dunque, nel caso in esame non sussiste il «fatto positivo dell’autorità amministrativa» perché, al contrario, il comune sospese il titolo abilitativo e impose alla ricorrente il divieto di prosecuzione dei lavori. Pertanto, a seguito di
tale comunicazione l’imputata non avrebbe dovuto consentire la prosecuzione dei lavori e neanche limitarsi ad affidarsi alle argomentazioni del suo tecnico.

La ricorrente ha avuto in sostanza un mero convincimento soggettivo, non confortato da provvedimenti espressi dell’autorità amministrativa – anzi di contrario avviso – né da richieste di chiarimenti sul punto alla pubblica amministrazione. Tali condotte non sono idonee ad escludere la sussistenza della colpa normativamente richiesta per la punibilità dell’agente.

1.6. Quanto alla destinazione agricola di parte della particella della proprietà, deve ritenersi che anche sul punto non possa invocarsi alcuna buona fede, anche se per ragioni in diritto diverse da quelle prospettate dalla Corte territoriale.

Deve affermarsi che il proprietario è tenuto a conoscere la destinazione urbanistica delle sue proprietà, poiché per altro risultante da atti (normalmente) in suo possesso quale il titolo di proprietà e le visure catastali, che riportano le particelle catastali e la destinazione urbanistica.

Inoltre, l’art. 29 d.P.R. 380/2001 pone una posizione di garanzia a carico del titolare del permesso dì costruire e del committente, nel caso in esame l’imputata, i quali devono garantire, e ne sono di conseguenza responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel capo 1, la conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo.

2. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. sicondanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 15/10/2021.

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