Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 17 Ottobre 2016
Numero: 43720
Data di udienza: 27 Aprile 2016
Presidente: Fiale
Estensore: ANDRONIO
Premassima
* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Cancellata in ferro con piantoni e binario scorrevole – Opere abusive in area sottoposta a vincolo paesaggistico – Demolizione e rimessione in pristino dello stato dei luoghi – Art. 181 c.1 d.lgs. n.42/2004 – DIRITTO URBANISTICO – Opere abusive e particolare tenuità del fatto – PROCEDURA PENALE – Esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. – Valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta – Art. 44, c.1 lett.e, del d.P.R. n. 380/2001 – Artt. 133, 609 c.2, cod. proc. pen. – Subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 17/10/2016 (ud. 27/04/2016) Sentenza n.43720
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Cancellata in ferro con piantoni e binario scorrevole – Opere abusive in area sottoposta a vincolo paesaggistico – Demolizione e rimessione in pristino dello stato dei luoghi – Art. 181 c.1 d.lgs. n.42/2004.
La contravvenzione di cui all’
art. 181, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004 non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l’ambiente, essendo sufficiente l’esecuzione in area sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, potendosi escludere solo gli interventi di minima entità (Cass., sez. 3, 18/02/2015, n. 11048). Fattispecie: cancellata in ferro, con piantoni e binario scorrevole.
In relazione alla particolare tenuità del fatto, l’esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 16/03/2015, n. 28, compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte può rilevare di ufficio ex
art. 609, comma 2, cod. proc. pen., la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, dovendo peraltro limitarsi, attesa la natura del giudizio di legittimità, ad un vaglio di astratta non incompatibilità della fattispecie concreta (come risultante dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali) con i requisiti ed i criteri indicati dal predetto art. 131 bis (Cass., sez. 2, 30/09/2015, n. 41742). Il relativo giudizio richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Cass. sez. un., 25/02/2016, n. 13681). Va anche ribadito che, ai fini della applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni e paesaggistiche, la consistenza dell’intervento abusivo – data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive – costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell’intervento (Cass. sez. 3, 10 marzo 2016, n. 19111).
PROCEDURA PENALE – Subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione.
La subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione, è pienamente consentita dall’ordinamento (Cass., sez. 3, 7/07/2015, n. 42697).
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza della CORTE D’APPELLO DI LECCE del 29/04/2015) Pres. FIALE, Rel. ANDRONIO, Ric. Catamo
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 17/10/2016 (ud. 27/04/2016) Sentenza n.43720
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 17/10/2016 (ud. 27/04/2016) Sentenza n.43720
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Catamo Giuseppe, nato a Scorrano il 12 marzo 1931 nei confronti di Legambiente Onlus (parte civile);
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce del 29 aprile 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Marilia Di Nardo, che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso;
udita l’avv. Francesca G. Conte, per l’imputato.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 29 aprile 2015, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce del 29 novembre 2012, con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di cinque mesi di arresto e € 25.000,00 di ammenda, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, con ordini di demolizione delle opere abusive e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, e con i benefici della non menzione e della sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento dell’ordine di demolizione, per avere realizzato, quale legale rappresentante della società committente e proprietaria, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e in mancanza dei necessari titoli abilitativi edilizi e paesaggistici, una cancellata in ferro, con piantoni e binario scorrevole (artt. 81, secondo comma, cod. pen.,
44, comma 1, lettera e, del d.P.R. n. 380 del 2001,
181, comma 1, del d.lgs. n.42 del 2004; il 28 settembre 2010).
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo:
1) l’erronea applicazione delle disposizioni incriminatrici;
3) la mancanza, la contraddittorietà, la manifesta illogicità della motivazione;
4) la violazione degli artt. 132, 133, 165 cod. pen., in relazione alla determinazione della pena e alla condizione apposta al beneficio della sospensione condizionale;
5) il mancato riconoscimento dell’ipotesi di particolarmente tenuità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
La difesa tratta in modo sostanzialmente unitaria le doglianze di cui sopra, rilevando che il giudice d’appello avrebbe travisato il materiale probatorio costituito dalla testimonianza dell’ufficiale di polizia municipale che aveva accertato il fatto, dalla quale non era emerso che l’opera edilizia realizzata fosse diversa da quella già autorizzata nel 1992; né si sarebbe considerato che nel 1995 era stata presentata un’istanza di permesso in sanatoria avente ad oggetto proprio tale opera. Si sarebbe trascurata, inoltre, la testimonianza di Catamo Maria, dalla quale sarebbe emerso che nel 2010 vi era stata semplicemente una sostituzione del cancello già presente. Non si sarebbero considerate, infine, la fattura emessa dal fabbro in data 10 dicembre 2010, dalla quale risultava il rifacimento di due cancelli, nonché la relazione del consulente tecnico di parte, dalla quale emergeva che le opere realizzate in epoca antecedente al 1994 erano conformi ai titoli edilizi dell’epoca. Quanto a tale consulenza tecnica, la Corte d’appello avrebbe estrapolato dalla stessa i soli elementi sfavorevoli all’imputato e relativi ad una caratteristica della cancellata attualmente esistente non conforme rispetto all’organizzazione amministrativa originario, rappresentata dall’altezza della stessa. In ogni caso, l’opera avrebbe dovuto essere ricompresa tra le finiture dell’edificio, essendosi trattato della sostituzione e del rinnovamento di «serramenti e cioè infissi, serrande, finestre, abbaini». Si sarebbe trattato, perciò, di un’attività di manutenzione ordinaria, non assoggettata ad alcun titolo abilitativo.
Si lamenta, poi, la mancanza di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale rivolta ad ottenere l’audizione del fabbro, dalla quale sarebbe emerso – ad avviso della difesa – che questo aveva sostituito un cancello già esistente e non aveva invece effettuato una nuova costruzione.
Si contesta anche la ritenuta sussistenza della contravvenzione paesaggistica, in mancanza di prova dell’effettiva lesione dell’interesse paesaggistico. Si richiama, sul punto, il principio secondo cui dovrebbe andare esente da pena il soggetto che abbia avuto un affidamento incolpevole in un atto amministrativo.
Si deduce, poi, la carenza di motivazione in relazione alla subordinazione del riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere; si rileva, sul punto, che una tale subordinazione sarebbe illegittima. Si rileva altresì che l’imputato potrebbe in futuro non essere più l’amministratore della società proprietaria del fondo e, dunque, non essere in grado di adempiere all’obbligo di demolizione.
Si sostiene, infine, che dalla sentenza impugnata emergerebbero elementi a favore della particolare tenuità del fatto, essendo stati riconosciuti le attenuanti generiche e i benefici di legge.
Con memoria depositata in prossimità dell’udienza davanti a questa Corte, si allegano documenti rappresentati dai titoli abilitativi sulla base dei quali era stata realizzata sul posto la cancellata nella prima metà degli anni ’90, ribadendo che l’opera oggetto dell’imputazione costituirebbe un mero intervento di manutenzione ordinaria su quella cancellata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. – Nel dedurre formalmente l’erronea interpretazione delle disposizioni incriminatrici e la violazione dell’
art. 192 cod. proc. pen., la difesa intende in realtà lamentare vizi della motivazione in ordine alla responsabilità penale. Sostiene, in particolare, che non si sarebbero considerati elementi di prova, a favore dell’imputato, dai quali sarebbe emerso che la cancellata oggetto dell’imputazione costituiva semplicemente il rifacimento, nell’esercizio di un’attività di manutenzione ordinaria, di una precedente cancellata già esistente sul posto e regolarmente autorizzata all’inizio degli anni ’90. Tale ipotesi ricostruttiva, oltre ad essere basata su una mera rivalutazione in chiave alternativa degli elementi di fatto già valutati dei giudici di merito, è stata puntualmente esclusa da questi ultimi, con conforme e argomentata valutazione. Dalla semplice lettura della motivazione della sentenza impugnata, emerge infatti che la consistenza dell’opera accertata al momento del sopralluogo, il 28 settembre 2010, era del tutto diversa rispetto a quella che era stata oggetto di autorizzazione nel 1992, come emerge dalla comparazione del progetto allegato all’autorizzazione amministrativa del 1992 con quanto accertato all’epoca del sopralluogo. Tale conclusione trova conferma nella stessa relazione del consulente di parte, nella quale si afferma che l’altezza autorizzata nel 1992 era di 1 m, mentre l’altezza accertata nel 2010 era di 2,50 m. Si tratta, del resto, di una possente struttura, di rilevanti dimensioni, per la quale è necessario il permesso di costruire; né tale profilo è stato, del resto, oggetto di contestazione con il ricorso per cassazione, nel quale ci si è limitato ad osservare – contro l’evidenza dei fatti – che la nuova opera costituiva un mero rifacimento del preesistente. E come visto – contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente – la Corte d’appello, in totale continuità con il Tribunale, è giunta a tali conclusioni valorizzando sia gli elementi emersi dall’accertamento, sia la stessa prospettazione difensiva, nella quale sostanzialmente non si contesta l’accertata consistenza dell’opere edilizia oggetto dell’imputazione; ne è logica logica conseguenza – come bene evidenziato dalla Corte distrettuale – la totale irrilevanza sul punto della testimonianza del fabbro che avrebbe realizzato la cancellata oggetto dell’imputazione. Né risulta dagli atti che la maggiore altezza fosse stata assentita nel 1995, a seguito di domanda di concessione in sanatoria, come invece afferma la difesa. Come correttamente osservato dalla Corte di merito, dagli atti emerge, anzi, che un tale assenso non è mai intervenuto. Vi è, infatti, una sentenza del tribunale amministrativo regionale prodotta dalla difesa, che ha per oggetto l’annullamento dell’ordine di demolizione emanato dal Comune nell’anno 2012, sul mero presupposto formale della mancata evasione da parte del Comune stesso della domanda di condono presentata nel 1995, con espressa esclusione, da parte del giudice amministrativo della formazione del silenzio assenso su tale domanda.
3.2. – Il rilievo relativo alla mancanza di prova della lesione dell’interesse paesaggistico è manifestamente infondato. Infatti, la contravvenzione di cui all’
art. 181, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004 non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l’ambiente, essendo sufficiente l’esecuzione in area sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, potendosi escludere solo gli interventi di minima entità (
ex multis, sez. 3, 18 febbraio 2015, n. 11048, rv. 263289). L’opera realizzata non rientra in tale ultima categoria di interventi, perché i giudici di merito ne hanno evidenziato la significatività dell’impatto sul paesaggio, per le dimensioni e i materiali con i quali è stata realizzata.
Non risulta poi rilevante, nel caso in esame, il richiamo effettuato dalla difesa alla fattispecie dell’incolpevole affidamento nella legittimità di un atto amministrativo, non essendovi – neanche nella prospettazione del ricorrente – alcun atto amministrativo illegittimo nel quale questo avrebbe fatto affidamento.
3.3. – Del tutto generici, perché basati su mere indimostrate asserzioni, risultano i rilievi difensivi circa la determinazione della pena. E manifestamente infondate sono le censure relative alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione. Una tale subordinazione, infatti, è pienamente consentita dall’ordinamento (ex plurimis, sez. 3, 7 luglio 2015, n. 42697, rv. 265192). Quanto alla possibilità effettiva della demolizione, la stessa non è esclusa dalla prospettazione difensiva, perché questa si riferisce all’eventualità meramente futura e ipotetica che l’imputato cessi di rivestire la carica di amministratore della società proprietaria dell’immobile.
3.4. – In relazione, infine, alla dedotta particolare tenuità del fatto, va premesso che l’esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte può rilevare di ufficio ex
art. 609, comma 2, cod. proc. pen., la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, dovendo peraltro limitarsi, attesa la natura del giudizio di legittimità, ad un vaglio di astratta non incompatibilità della fattispecie concreta (come risultante dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali) con i requisiti ed i criteri indicati dal predetto art. 131 bis (
ex multis, sez. 2, 30 settembre 2015, n. 41742, rv. 264596). Il relativo giudizio richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (sez. un., 25 febbraio 2016, n. 13681, rv. 266590). Va anche ribadito che, ai fini della applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni e paesaggistiche, la consistenza dell’intervento abusivo – data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive – costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell’intervento (sez. 3, 10 marzo 2016, n. 19111, rv. 266586).
Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui la particolare tenuità del fatto risulta meramente asserita nel ricorso, in base ad un generico richiamo al trattamento sanzionatorio e al riconoscimento di benefici, e puntualmente esclusa nella sentenza d’appello, nella quale si fa riferimento ad una “limitata gravità” dei fatti, ovvero ad un livello di offensività degli stessi che non ne esclude la punibilità.
E questa conclusione trova conferma non solo in relazione alla consistenza delle opere presa in considerazione dai giudici di merito, ma anche nel fatto che le stesse sono state realizzate in violazione sia della normativa urbanistica che di quella paesaggistica.
Ne deriva l’inammissibilità del relativo motivo di doglianza.
4. – Deve infine rilevarsi che le violazioni, contestate come commesse il 28 settembre 2010, non sono a tutt’oggi prescritte, perché al termine complessivo quinquennale applicabile ai reati contravvenzionali, devono essere sommati otto mesi e tre giorni di sospensione del corso della prescrizione, giungendosi così alla data del 31 maggio 2016, successiva la pronuncia della presente sentenza.
5. – Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’
art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in € 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2016.