In materia edilizia, non basta una mera e diversa affermazione da parte dell’imputato a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l’incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine con la conseguente applicazione del principio “in dubio pro reo“, atteso che, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull’imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che in tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell’opera incriminata. In altri termini, dunque, senza che ciò comporti un’inversione dell’onere probatorio, in tema di prescrizione, grava sull’imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 17/11/2016 (Ud. 20/09/2016) Sentenza n.48583
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 17/11/2016 (Ud. 20/09/2016) Sentenza n.48583
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
– MURCIANO ANTONIO, n. 10/06/1957 a Otranto
avverso la sentenza della Corte d’appello di LECCE in data 1/07/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. S. Tocci, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. A. Carene, che ha chiesto accogliersi il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 1/07/2015, depositata in data 16/07/2015, la Corte d’appello di LECCE confermava la sentenza emessa in data 6/11/2012 dal tribunale di Lecce, sez. dist. Maglie, che aveva condannato MURCIANO ANTONIO alla pena di 1 mese di arresto ed € 25.000,00 di ammenda per i reati di cui agli
artt. 44, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001 e
181, d. lgs. n. 42 del 2004, limitatamente al punto 5 dell’imputazione (per aver realizzato quale proprietario, su un terreno sito nel comune di Otranto, area sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza del p.d.c., opere edilizie consistenti in un manufatto ad uso stalla per ovini delle dimensioni meglio descritte nell’imputazione, avente superficie coperta di mq. 124,62), contestato come commesso nel mese di dicembre 2010.
2. Ha proposto ricorso MURCIANO ANTONIO impugnando la sentenza predetta con cui deduce due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., per aver falsamente ed erroneamente applicato il giudice di merito la normativa edilizia, basando la decisione su fatti e situazioni non corrispondenti alla realtà, con conseguente motivazione apodittica basata su falsa presupposizione; difetto di prova in relazione alla proprietà della p.lla 881 e delle opere sulla stessa realizzate; difetto di prova della realizzazione delle stesse opere da parte dell’imputato; difetto di prova sulla materiale disponibilità dell’intero fondo su cui ricade il fabbricato sia prima che dopo la realizzazione dello stesso fabbricato; difetto di prova di lavori in corso e/o che il ricorrente stesse eseguendo lavori al momento del sopralluogo.
In sintesi la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe fondato il giudizio di responsabilità su argomenti errati; secondo la Corte d’appello per l’ovile non sarebbe intervenuto il permesso in sanatoria, che ha invece riguardato ed è intervenuto per tutte le altre opere oggetto di contestazione, sulla struttura abitativa, essendone meri accessori, ma non per l’ovile; diversamente, si sostiene, l’unico teste, tale Tondo, avrebbe affermato che per la medesima p.lla 881, ossia per l’ovile, il ricorrente non avrebbe “presentato niente”; erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto che il ricorrente fosse proprietario di tutti i fondi e di tutte le opere, ivi compreso l’ovile, e che pertanto anche per quest’ultimo egli abbia presentato una richiesta di sanatoria, non ottenendola per l’ovile ma per le altre opere; la motivazione della Corte territoriale, in particolare, avrebbe “virato” sul concorso di colpa sulla base di elementi ritenuti sussistenti e che invece non sarebbero provati, pretendendo financo che il ricorrente provasse la sua innocenza; l’imputato, proprio perché non proprietario della p.lla 881 e non esecutore delle opere contestate, ma solo fruitore delle stesse da qualche settimana prima del sopralluogo, dopo la loro realizzazione ad opera del proprietario o su commissione di quest’ultimo, avvenuta nel 2008, nulla sapendo sulla loro regolarità non si sarebbe posto il problema di presentare una richiesta di sanatoria non avendo né potere né diritto per farlo, cosa che invece aveva fatto per le altre opere di cui era stato l’autore e dei beni sui quali insistono in quanto proprietario, vi sarebbe quindi stata solo una mera presunzione che le opere fossero state commissionate dal ricorrente, per averle egli utilizzate, laddove invece lo stesso ne faceva uso per necessità di avere un ricovero del proprio gregge da qualche settimana prima del sopralluogo; detta presunzione, tuttavia, verrebbe a cadere non essendo stata raggiunta la prova della realizzazione ad opera dell’imputato né di quegli elementi che per la giurisprudenza di legittimità devono sussistere per ritenere provata la responsabilità del non committente; il ragionamento nel merito sarebbe quindi viziato sia per non aver considerato che i lavori erano conclusi nel 2008 e tenuto conto della loro natura e destinazione d’uso oltre che precarietà; dall’altro, difettando la prova delta loro abitabilità al ricorrente, anche alla luce del suo comportamento, non avendo presentato richiesta di loro sanatoria.
2.2. Eccepisce, con il secondo motivo, l’intervenuta prescrizione del reato; sostiene che il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l’attività edilizia; nella specie, la cessazione della permanenza si sarebbe avuta nel 2008 quando i lavori di edificazione sarebbero stati realizzati nello stato in cui è stato trovato l’immobile al momento del sopralluogo, la prescrizione decorrerebbe dunque dal 2008.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
4. Ed invero, la genericità del motivo che ne determina anzitutto l’inammissibilità non essendosi confrontato il ricorrente con le puntuali argomentazioni svolte dai giudici di merito che hanno compiutamente confutato la tesi secondo cui il difetto della titolarità della particella su cui ovile e stalla furono realizzati non consentirebbe di ritenere raggiunta la prova della circostanza che dette opere sarebbero state da lui realizzate (essendo infatti pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849), emerge dalla stessa lettura delle motivazioni del giudice di appello, che ha logicamente affermato che l’imputato, proprietario delle altre particelle attigue sulle quali insistevano gli immobili destinati alla propria civile abitazione ed all’attività agrituristica (ad esso pacificamente riconducibile), non solo era presente al momento del sopralluogo, ma che gli ovini rinvenuti al momento del sopralluogo nell’ovile e nell’annessa stalla, insistenti sulla p.lla 881, fossero al ricorrente pacificamente riconducibili; i giudici aggiungono, poi, con motivazione non manifestamente illogica, che nemmeno il ricorrente aveva indicato chi fosse il proprietario della p.lla né se il vero proprietario (che nella sentenza d’appello viene indicato in tale Campanile Annunziata Luigia) fosse in rapporti di parentela o meno con il ricorrente; ha, infine, richiamato la giurisprudenza di questa Corte in tema di concorso nel reato edilizio, infine, escludendo la inverosimiglianza della tesi difensiva della non meglio identificata benefattrice che avrebbe costruito qualcosa su un terreno di cui l’imputato aveva la disponibilità giuridica e materiale esercitandovi la propria attività, peraltro essendo stato indicato nell’ingiunzione a demolire come colui che aveva realizzato nei terreni distinti al catasto nel fgl. 30 dalla p.lle indicate nell’imputazione, opere abusive senza averne richiesto ed ottenuto il prescritto p.d.c.
5. Le doglianze del ricorrente quindi, appaiono del tutto prive di pregio e, oltre che generiche, anche manifestamente infondate nella parte in cui si contesta la estraneità del ricorrente rispetto alla realizzazione delle opere sulla p.lla 881, ritenute invece realizzate da quest’ultimo perché da questi utilizzate, come del resto riconosciuto dal medesimo ricorrente in ricorso. Nella specie, infatti, gli elementi indicati dalla Corte territoriale (disponibilità di fatto dell’ovile e della stalla; presenza dell’imputato al momento del sopralluogo; riferibilità degli ovini alla persona dell’imputato; inverosimiglianza della tesi difensiva secondo cui fosse stato il proprietario o chi per lui a realizzare i lavori di cui egli si sarebbe poi semplicemente avvalso), concorrono indiziariamente a ritenere raggiunta la prova logica del fatto, ossia ad escludere la sua pretesa estraneità rispetto all’intervento abusivo in questione. Premesso, infatti, che secondo la giurisprudenza di questa Corte la natura di reati “propri” degli illeciti previsti dalla normativa edilizia (
art. 44, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) non esclude che soggetti diversi da quelli individuati dall’art. 29, comma primo, del decreto medesimo, possano concorrere nella loro consumazione, in quanto apportino, nella realizzazione dell’evento, un contributo causale rilevante e consapevole (Sez. 3, n. 16571 del 23/03/2011 – dep. 28/04/2011, Iacono e altri, Rv. 250147), deve qui puntualizzarsi che la responsabilità di chi non è proprietario dell’area su cui insistono interventi edilizi abusivi, al pari di quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte a proposito del proprietario non committente, può essere desunta da elementi indiziari, quali la piena disponibilità di fatto del suolo, l’interesse specifico ad effettuare la costruzione, la sua eventuale presenza “in loco”, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria (nella specie, riguardanti, stranamente, tutte le altre opere abusive insistenti sulle p.lle 876, 877 e 881 del fgl. 30 del catasto del Comune di Otranto, ma non quelle eseguita sulla p.lla 811), ovvero di tutte quelle situazioni e comportamenti positivi o negativi dai quali possano trarsi elementi integrativi della colpa (v., tra le tante: Sez. 3, n. 26121 del 12/04/2005 – dep. 15/07/2005, Rosato, Rv. 231954).
Correttamente, pertanto, i giudici di appello, sulla base dei predetti elementi indiziari, hanno ritenuto raggiunta la prova della responsabilità del ricorrente.
6. Ad analogo approdo deve pervenirsi quanto alla eccepita prescrizione del reato, eccezione sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione.
Ed invero, il ricorrente si limita semplicemente a sostenere che la cessazione della permanenza si sarebbe avuta nel 2008 quando i lavori di edificazione sarebbero stati realizzati nello stato in cui è stato trovato l’immobile al momento del sopralluogo, sicchè la prescrizione decorrerebbe dunque dal 2008.
La sentenza impugnata, non investita della questione di prescrizione, in un passaggio della motivazione precisa però che il geometra dell’ufficio tecnico comunale, Tondo, aveva altresì chiarito che si trattava di opere di realizzazione relativamente recente e non complete. Alla luce di tale ultima precisazione, osserva il Collegio, non può quindi ritenersi vinta la presunzione di realizzazione delle opere in epoca prossima all’accertamento.
Ed infatti, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in materia edilizia, non basta una mera e diversa affermazione da parte dell’imputato a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l’incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine con la conseguente applicazione del principio “in dubio pro reo“, atteso che, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull’imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che in tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell’opera incriminata (Sez. 3, n.10562 del 17/04/2000 – dep. 11/10/2000, Fretto S, Rv. 217575). In altri termini, dunque, senza che ciò comporti un’inversione dell’onere probatorio, la giurisprudenza di questa Sezione è costante nel ritenere che in tema di prescrizione, grava sull’imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti (v., da ultimo: Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014 – dep. 23/06/2014, Laiso, Rv. 259181). E, nel caso in esame, nessun elemento, se non la mera, labiale affermazione dell’imputato che i lavori fossero stati eseguiti già nel 2008, risulta in senso contrario, donde deve ritenersi che la data di inizio del decorso del termine di prescrizione coincide con quella di esecuzione dell’opera incriminata, ossia quella del sopralluogo, a maggior ragione laddove si consideri che lo stesso teste Tondo aveva riferito di opere non complete all’atto del sopralluogo del dicembre 2010.
7. Il ricorso dev’essere, pertanto, dichiarato inammissibile, rilevandosi peraltro che non è ancora maturato il termine massimo di prescrizione quinquennale (originariamente fissato nel 1 dicembre 2015), atteso che occorre tener conto della sospensione del termine per gg. 420 (rinvio udienza dal 7/05/2014 al 1/07/2015 per adesione del difensore all’astensione proclamata dalla categoria professionale di appartenenza), con conseguente differimento del termine di prescrizione massima alla data del 25/01/2017, successiva alla decisione di questa Corte.
8. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 20 settembre 2016