Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 18 Settembre 2019
Numero: 38596
Data di udienza: 18 Aprile 2019
Presidente: DI NICOLA
Estensore: ZUNICA
Premassima
MALTRATTAMENTO ANIMALI – Affidamento degli animali – Provvedimento di sequestro o di confisca – Configurabilità del reato di maltrattamento – Elemento soggettivo del dolo eventuale – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Legittimazione a costituirsi parte civile di associazioni – ASSOCIAZIONI E COMITATI – Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni – DANNO AMBIENTALE – Risarcimento del danno diretto dal reato – Art. 544 bis e 544 ter cod. pen..
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 18/09/2019 (Ud. 18/04/2019), Sentenza n.38596
MALTRATTAMENTO ANIMALI – Affidamento degli animali – Provvedimento di sequestro o di confisca – Configurabilità del reato di maltrattamento – Elemento soggettivo del dolo eventuale – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Legittimazione a costituirsi parte civile di associazioni – ASSOCIAZIONI E COMITATI – Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni – DANNO AMBIENTALE – Risarcimento del danno diretto dal reato – Art. 544 bis e 544 ter cod. pen..
In tema di reati commessi ai danni di animali, l’art. 7 della legge 20 luglio 2004, n. 189 (“diritti e facoltà degli enti e delle associazioni”), nell’attribuire ope legis alle associazioni e agli enti individuati con decreto del Ministro della Salute 2 novembre 2006 per l’affidamento degli animali oggetto di provvedimento di sequestro o di confisca la finalità di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla stessa legge, non esclude la legittimazione a costituirsi parte civile di associazioni diverse, anche non riconosciute, che perseguano la stessa finalità e che deducano di aver subito un danno diretto dal reato. Inoltre, ai fini della configurabilità del reato di maltrattamento, ben può essere integrato dall’elemento soggettivo del dolo eventuale, inteso come consapevolezza delle precarie condizioni di salute dell’animale e come accettazione del rischio che dall’omessa predisposizione dei trattamenti necessari potesse derivare la morte dell’animale, aspetto questo che nel caso di specie era peraltro accentuato dal fatto che l’imputato aveva un’esperienza nel settore da circa 25 anni, per cui era ben in grado di comprendere a quali conseguenze potesse andare incontro un animale tenuto in pessime condizioni (grave denutrizione, box con pulizia inadeguata, senza cibo né acqua).
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 24/04/2018 – CORTE DI APPELLO DI TORINO) Pres. DI NICOLA, Rel. ZUNICA , Ric. Figliomeni
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 18/09/2019 (Ud. 18/04/2019), Sentenza n.38596SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Figliomeni Cosimo Damiano, nato a Siderno;
avverso la sentenza del 24-04-2018 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Paola Filippi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito per la parte civile l’avvocato Mauro Carena, che si associava alle conclusioni del Procuratore Generale e depositava conclusioni scritte e nota spese.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23 luglio 2015, il Tribunale di Torino condannava Cosimo Damiano Figliomeni alla pena di anni 1, mesi 1 e giorni 10 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli art. 544 bis cod. pen. (capo A) e 544 ter cod. pen. (capo B), reati a lui contestati per avere, per crudeltà o senza necessità, cagionato la morte di un puledro di proprietà di Antonio Micucci, di cui aveva la custodia, omettendo che il giovane animale ottenesse le dovute cure che ne evitassero il decesso, avvenuto invece in data 26 ottobre 2012 (capo A), e per avere inoltre sottoposto 25 cavalli, 3 asini e 4 cani a sevizie e comportamenti incompatibili con le loro caratteristiche etologiche, detenendoli in evidente stato di denutrizione e in ambienti malsani e inadeguati (capo B), fatti accertati in San Benigno Canavese tra il dicembre 2012 e il gennaio 2013.
Con sentenza del 24 aprile 2018, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado e per quanto in questa sede rileva, rideterminava la pena in anni 1 di reclusione, confermando nel resto.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello piemontese, Figliomeni, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando cinque motivi.
Con il primo, il difensore deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché la violazione degli art. 125, comma 3, 192, 546 cod. proc. pen. e 7 della I. 189 del 2004, osservando che la Corte di appello, richiamando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto ammissibili le costituzioni di parte civile delle associazioni, pur essendo le stesse prive della individuazione come enti di protezione animali ex lege n. 189 del 2004.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli art. 125, comma 3, 192, 546, comma 1 lett. E) cod. proc. pen. e 544 bis cod. pen., nonché la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, evidenziando che la Corte di appello aveva omesso di confrontarsi con le doglianze difensive, non considerando ad esempio che il puledro non era morto presso il ranch di Figliomeni, ma presso l’azienda di Ruggero, che ha ricevuto l’animale il 10 ottobre 2012, ossia quasi un mese prima del decesso; allo stesso modo, non si era tenuto conto che il teste Grosso si era limitato a riferire di uno stato di emaciazione e della presenza di un’infezione, precisando, comunque che, nel caso di specie, non era stato possibile stabilire la causa della morte, per cui le fotografie citate dalla sentenza impugnata non erano idonee a provare alcunché.
La difesa inoltre ribadisce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Giovanni Micucci il 2 dicembre 2012, essendo documentato che lo stato di salute del teste era seriamente compromesso fin dal 2001 a causa di uno “stroke ischemico”.
Le dichiarazioni di Micucci, in ogni caso, non potevano essere ritenute credibili, poiché la sua cavalla era stata per due anni e mezzo presso il ranch di Figliomeni e, se non fosse stata ben curata, sarebbe sicuramente deceduta in tale periodo e non avrebbe dato alla luce un puledro, fermo restando che il teste Ruggero, titolare dell’azienda dove l’animale era stato portato nell’ottobre 2012, aveva smentito l’affermazione di Micucci secondo cui non egli non avrebbe visionato la cavalla per lungo tempo in quando impossibilitato a raggiungere il box a causa delle sue condizioni di salute, avendo Ruggiero riferito che il proprietario dell’animale si recava ogni giorno presso la sua azienda per andarlo a trovare.
Peraltro, sarebbe illogico l’assunto della Corte di appello, secondo cui la versione fornita da Figliomeni era autoaccusatoria e priva di riscontri, non essendo provato né che il compenso di Figliomeni avrebbe ricompreso le cure mediche e il sostentamento, né che la causa della morte sarebbe stata una torsione intestinale congenita non curata ed evitabile con un intervento tempestivo.
Con il terzo motivo, viene censurata ulteriormente l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, osservandosi che, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte territoriale, i veterinari escussi (Grosso, Borello e Cagna Vallino) hanno descritto come accettabili gli ambienti dove vivevano gli animali, non essendo vero che gli stessi fossero privi di fieno e acqua.
In relazione poi alla circostanza che gli animali si trovassero in uno stato di nutrizione al di sotto della media, secondo il parametro del Body Conditions Score, i veterinari sentiti hanno affermato che alcuni avevano il punteggio BCS 1 e altri BCS 2, essendo pari a 3 il livello ottimale, dovendosi ritenere in ogni caso non penalmente rilevante ogni condizione dell’animale che si discosti dal punteggio BCS 3, tanto più che era mancata nel caso di specie un’indagine sullo status di ogni animale al momento dell’inserimento presso il ranch di Figliomeni.
Quanto al trattamento dei cani, le testimonianze erano risultate generiche, posto che gli stessi giravano liberi e con adeguato approvvigionamento di cibo e acqua. Del tutto contraddittorio era poi il richiamo allo status di commerciante di Figliomeni, il quale, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte di appello, non aveva alcun interesse a denutrire gli animali, convenendogli al contrario tenerli in forma per poterli rivendere a un prezzo ben più alto di quello di acquisto.
Con il quarto motivo, la difesa contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, non avendo la Corte di appello considerato che Figliomeni ha sempre tenuto un comportamento collaborativo, sia nella fase del sopralluogo degli accertatori, sia in ambito processuale, per cui la pena ben avrebbe potuto essere mitigata, anche perché, come affermato dai veterinari Grosso e Borello in forza di una loro conoscenza ultradecennale del ranch di Figliomeni, in esso mai si erano verificati casi di detenzione di animali in condizioni non adeguate.
Con il quinto motivo, infine, la difesa si duole della eccessività della pena, dovendo la stessa essere parametrata sul minimo edittale, alla luce del reale disvalore del fatto, essendo stata la condotta sostenuta solo dal dolo eventuale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che sia il Tribunale che la Corte di appello hanno già disatteso le eccezioni difensive circa l’ammissibilità delle costituzioni di parti civili, osservando innanzitutto che delle tre associazioni costituitesi, una, la “Terra dei cavalli”, era legittimata in forza dell’art. 7 della I. n. 189 del 2004, trattandosi di un’associazione che persegue, ex art. 91 cod. proc. pen., finalità di tutela degli interessi lesi dai reati introdotti dalla I. 189 del 2004, essendo peraltro affidataria della maggior parte degli equini in sequestro.
Quanto alle altre due associazioni, la Agriambiente onlus e la Horse Angels, si trattava, nel primo caso, di un’associazione riconosciuta come ente di protezione ambientale con decreto del Ministero dell’Ambiente del 4 novembre 2003, mentre la seconda era un’associazione statutariamente preposta alla protezione degli animali, portatrice degli interessi lesi dai due reati contestati all’imputato.
L’impostazione seguita dai giudici di merito risulta peraltro coerente con l’affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 52031 del 04/10/2016, Rv. 268777), secondo cui, in tema di reati commessi ai danni di animali, l’art. 7 della legge 20 luglio 2004, n. 189 (“diritti e facoltà degli enti e delle associazioni”), nell’attribuire ope legis alle associazioni e agli enti individuati con decreto del Ministro della Salute 2 novembre 2006 per l’affidamento degli animali oggetto di provvedimento di sequestro o di confisca la finalità di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla stessa legge, non esclude la legittimazione a costituirsi parte civile di associazioni diverse, anche non riconosciute, che perseguano la stessa finalità e che deducano di aver subito un danno diretto dal reato. Con le pertinenti considerazioni dei giudici di merito la difesa non si confronta, riproponendo argomenti già disattesi nelle sentenze di primo e secondo grado.
Di qui l’inammissibilità della doglianza difensiva.
2. Passando al secondo e al terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente perché tra loro sovrapponibili, deve escludersi che il giudizio di colpevolezza del ricorrente presenti vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Al riguardo occorre premettere che nelle due conformi sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a saldarsi per formare un corpus argomentativo unitario, è innanzitutto presente un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa: a tal fine è stato rimarcato che il presente giudizio è scaturito dalla segnalazione della morte di un puledro inoltrata alla Procura della Repubblica di Torino nel dicembre 2012 dall’agente coordinatore delle Guardie Zoofile Daniele Galletti, il quale dava conto appunto del decesso di una cavalla di proprietà di Giovanni Micuci in custodia onerosa presso la scuderia-agriturismo “Il Piccolo Paradiso” di proprietà di Cosimo Damiano Figliomeni, sito in Mappano di Caselle.
Qui le guardie zoofile eseguivano un primo sopralluogo in incognito il 2 dicembre 2015, constatando la condizione di grave denutrizione di alcuni cavalli e asini, che venivano tenuti in box con pulizia inadeguata, senza cibo né acqua.
Da quel momento venivano effettuati ulteriori e più accurati sopralluoghi da parte delle Guardie Zoofile, unitamente a personale veterinario dell’Asl di Torino.
In particolare, la dr.ssa Antonella Borello, veterinario dell’Asl T04, all’esito di un controllo eseguito il 27 dicembre 2012, attestava le precarie condizioni di salute degli animali, i cui standard nutrizionali erano ampiamente al di sotto della media, ciò nel contesto di un ambiente contraddistinto da scarsa igiene e dall’assenza di fieno in vari punti, come desumibile peraltro anche dagli eloquenti rilievi fotografici operati nel corso dei vari sopralluoghi presso la scuderia.
Anche il dr. Marco Grosso del Servizio sanitario veterinario confermava le gravi condizioni di salute dei cavalli, 5 dei quali erano ai limiti della sopravvivenza. Alla luce di tali risultanze, il P.M., nel dicembre 2012, disponeva il sequestro degli animali presenti nella struttura (cavalli, asini, pony e cani), alcuni dei quali, in condizioni più critiche, venivano trasportati presso l’Associazione “Terra dei cavalli”, mentre altri venivano affidati a Francesco Figliomeni, nominato custode.
Peraltro il 7 gennaio 2013 uno di questi cavalli affidati in custodia moriva, per cui, all’esito di un ulteriore sopralluogo, gli altri animali ancora presenti nella fattoria “Il piccolo Paradiso” venivano trasferiti presso privati ed enti di tutela.
Nel prosieguo delle indagini venivano escussi dalla P.G. una serie di persone informate sui fatti, tra cui Giovanni Micucci, il cui verbale di sommarie informazioni veniva acquisito al fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., stante la sopravvenuta incapacità a testimoniare del teste.
I giudici di merito hanno invece ritenuto utilizzabile il precedente contributo dichiarativo del teste, osservando che, all’epoca in cui fu sentito (dicembre 2012), Micucci era in grado di testimoniare, risultando dalla certificazione sanitaria acquisita che egli, affetto nel 2001 da uno stroke ischemico, da maggio 2011 presentava esiti stabilizzati della malattia, con asintomaticità e completo controllo delle crisi di epilessia parziale motoria secondaria e vasculopatia.
Del resto, il giudizio sulla capacità di Micucci di testimoniare è stato corroborato sia dalla linearità della sua narrazione, rivelatasi particolarmente dettagliato, sia dalla circostanza che uno dei testi sentiti in dibattimento, Santo Ruggero, aveva riferito che, in epoca coeva all’assunzione delle sommarie informazioni, Micucci era solito recarsi presso la sua fattoria quasi tutti i giorni, avendo iniziato a diradare le visite solo dopo il mancato rinnovo della patente di guida.
Ciò posto, i giudici di merito hanno valorizzato il racconto di Micucci, il quale ha riferito di aver affidato una sua cavalla di cinque anni alla scuderia di Figliomeni, pagando una retta di circa duecento euro al mese; in seguito, ovvero nell’ottobre 2012, il dichiarante precisava che, recatosi presso la fattoria dell’imputato, aveva constatato che sia la sua cavalla, sia che la puledra che aveva partorito circa sei mesi prima, si presentavano in evidente stato di denutrizione, per cui, preoccupato dallo stato di salute degli animali, decideva di trasferirli presso l’agriturismo gestito da Santo Ruggero, sito in San Benigno, alla via Vauda 34.
Il 26 ottobre 2012, dopo circa 20 giorni dal suo ingresso nella struttura di Ruggero, la cavalla di Micucci moriva e le cause di quel decesso sono state ragionevolmente ricondotte alle condizioni precarie in cui la stessa è stata tenuta presso la fattoria di Figliomeni; al riguardo, il teste Ruggero ha infatti dichiarato che la cavalla, al pari della puledra che aveva dato alla luce, al momento dell’arrivo nella sua fattoria, si presentava così magra che le si vedevano le ossa, per cui egli chiamò subito il suo veterinario, dr. Grosso, per i controlli del caso.
Quest’ultimo ha riferito a sua volta che il corpo della cavalla poi deceduta era emaciato, presentando peraltro segni di morsi di altri animali; inoltre soffriva di una seria insufficienza renale e non aveva più le difese immunitarie, per cui in quello stato anche una banale infezione può averne causato la morte. Il dr. Grosso, peraltro, nel visitare i cavalli dopo il loro sequestro e il trasferimento presso l’associazione “La Terra dei cavalli”, accertava, utilizzando la scala di body condition score da O a 5, che per cinque cavalli lo stadio BCS era pari a zero e per tre cavalli era pari a uno, il che vuol dire che cinque cavalli erano al limite della sopravvivenza e che tre stavano demolendo le loro masse muscolari per vivere, mentre, quanto agli animali rimasti in custodia presso la fattoria dell’imputato, nel corso di un sopralluogo eseguito il 15 gennaio 2013, emergeva che la situazione era rimasta praticamente la stessa di un mese prima, nel senso che diversi cavalli erano ancora denutriti e che un paio di cani erano incatenati senza avere nel raggio delle loro catene né cibo né acqua.
Nel corso del medesimo sopralluogo, anche un altro veterinario, la dr.ssa Alica Cagna Vallino, redigeva un rapporto relativo agli animali rimasti nella struttura di Figliomeni (15 cavalli e 3 asini), da cui emergeva che 7 cavalli, tra cui 3 puledri, e 1 asino, presentavano lo stadio BCS 1, mentre 8 cavalli e 2 asini presentavano lo stadio BCS 2, non raggiungendo nessun animale il livello accettabile BCS3.
Coerentemente con tali risultanze probatorie, i giudici di merito hanno dunque ritenuto ravvisabili a carico dell’imputato sia il delitto di uccisione di animali (capo A), in relazione alla morte della cavalla di Micucci, sia quello di maltrattamento di animali (capo B), con riferimento alla sottoposizione degli animali a condizioni incompatibili con le loro caratteristiche etologiche.
Il giudizio sulla sussistenza dei reati è scaturito invero da una disamina attenta e razionale delle fonti dimostrative raccolte, avendo sia il Tribunale che la Corte di appello valorizzato una pluralità di testimonianze (sia dei veterinari che delle guardie zoofile) rivelatesi sostanzialmente convergenti circa gli esiti dei controlli sugli animali presenti o comunque provenienti dalla fattoria di Figliomeni.
Del resto, le cattive condizioni in cui sono stati costretti a vivere gli animali sono state riscontrate anche dalle immagini fotografiche in atti, rispetto alle quali il Tribunale ha evidenziato che “non possono non commuovere”, nella misura in cui ritraggono animali magrissimi, con il manto diradato e sporco, riduzione della massa muscolare e segni di decubito, il che vale a conferire all’apprezzamento personale del giudice un contenuto oggettivo, in linea con gli accertamenti svolti, in occasione di diversi sopralluoghi, dai veterinari e dalle guardie zoofile.
Né la circostanza che le condizioni di vita degli animali della fattoria di Figliomeni non fossero omogenee per tutti i cavalli, gli asini e i cani ospitati è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 544 ter cod. pen., posto che, come correttamente osservato nella sentenza impugnata, tale dato non cancella il fatto che la maggior parte degli animali si trovava invece in condizioni insopportabili, tali da mettere a repentaglio la loro sopravvivenza, il che è senz’altro sufficiente al fine di ritenere integrato il reato contestato al capo B.
A fronte del pessimo stato in cui erano ridotti gli animali, le considerazioni sulla professione di commerciante svolta da Figliomeni e sugli interessi personali sottostanti sono destinate, in un senso o nell’altro, a rimanere sullo sfondo, incentrandosi il disvalore della condotta su un elemento di valenza oggettiva, quale la sottoposizione degli animali a comportamenti, fatiche e lavori insopportabili, aspetto questo ampiamente comprovato dall’istruttoria.
Quanto al delitto di cui al capo A, il collegamento tra la morte della cavalla di Micucci e il livello di prostrazione dell’animale subito nella lunga e recente permanenza nel ranch dell’imputato risulta tutt’altro che irragionevole, stanti le gravi condizioni in cui l’animale è stato portato via dalla fattoria di Figliomeni. Del resto, le sofferenze fisiche della cavalla non erano ignote all’imputato, il quale tuttavia non si è mai preoccupato di intervenire per salvarlo assicurandogli le cure adeguate, adducendo ragioni economiche non solo non dimostrate, ma in ogni caso irrilevanti ai fini della configurabilità del reato che, dal punto di vista soggettivo, ben può essere integrato dall’elemento soggettivo del dolo eventuale, inteso come consapevolezza delle precarie condizioni di salute dell’animale e come accettazione del rischio che dall’omessa predisposizione dei trattamenti necessari potesse derivare la morte dell’animale, aspetto questo che nel caso di specie era peraltro accentuato dal fatto che Figliomeni aveva un’esperienza nel settore da circa 25 anni, per cui era ben in grado di comprendere a quali conseguenze potesse andare incontro un animale tenuto in pessime condizioni.
In definitiva, in quanto sorretto da argomentazioni non illogiche e coerenti con le fonti probatorie disponibili, il percorso motivazionale delle due conformi sentenze di merito non presta il fianco alle obiezioni difensive, che invero sono contraddistinte innanzitutto da palesi limiti di autosufficienza, essendo richiamate varie fonti dimostrative, il cui contenuto non è stato né riportato né allegato.
Al di là di tale aspetto, deve invero rimarcarsi che il ricorso, nell’operare una selezione frammentaria di singole risultanze probatorie, propone in sostanza una lettura alternativa del materiale istruttorio che non può ritenersi consentita in questa sede, dovendosi sul punto richiamare il consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Da ciò consegue l’inammissibilità della doglianza difensiva.
2. Passando ai due restanti motivi di ricorso, suscettibili dì trattazione unitaria, in quanto entrambi riferiti al trattamento sanzionatorio, deve rilevarsi che, anche sotto tale profilo, la sentenza impugnata risulta immune da censure.
Ed invero, quanto al diniego delle attenuanti generiche, lo stesso è stato giustificato dal Tribunale, in modo non irrazionale, con il richiamo ai numerosi e specifici precedenti penali a carico dell’imputato, cui è stata contestata peraltro la sola recidiva semplice, nonostante la stessa fosse qualificabile come reiterata e specifica, come precisato dalla Corte territoriale, che ha rimarcato altresì l’assenza di un comportamento compiutamente collaborativo da parte di Figliomeni, sia nel corso delle indagini che durante lo svolgimento del processo.
Tale aspetto è stato contestato dalla difesa in maniera generica, per cui, anche alla luce del riferimento alla personalità negativa dell’imputato, deve escludersi che l’apparato argomentativo dei giudici di merito presenti criticità, dovendosi ribadire che, come già chiarito da questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 e Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899), in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione, come appunto avvenuto nel caso di specie con argomenti logici.
Allo stesso modo, a parte non specifici riferimenti alla struttura del dolo e all’episodicità della condotta (profilo questo invero smentito dai precedenti specifici a carico dell’imputato), non risultano adeguatamente illustrate le ragioni che, in concreto, avrebbero dovuto orientare diversamente le decisioni di merito in ordine alla determinazione della pena, dovendosi osservare al riguardo che la pena base è stata determinata in mesi 6 di reclusione, ovvero in misura molto ravvicinata rispetto al minimo edittale del reato più grave (mesi 4), con aumenti contenuti sia per la recidiva (mesi 2), sia per la continuazione esterna (mesi 4).
Di qui la manifesta infondatezza delle doglianze difensive.
3. Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso proposto nell’interesse di Figliomeni deve essere dichiarato pertanto inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento e di provvedere altresì al pagamento delle spese processuali del grado in favore della parte civile, “La Terra dei Cavalli ONLUS”, liquidati in complessivi euro tremila, già comprensive di accessori di legge.
Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende, nonché al pagamento delle spese processuali del grado in favore della parte civile, “La Terra dei Cavalli ONLUS”, che liquida in complessivi euro tremila, già comprensive di accessori di legge.
Così deciso il 18/04/2019