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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 38849 | Data di udienza: 20 Luglio 2016

* DIRITTO URBANISTICO – Reati edilizi in difetto di permesso di costruire ed in violazione della normativa antisismica – Responsabilità del proprietario o comproprietario non committente – Responsabilità omissiva per difetto di vigilanza – Esclusione – Presupposti e limiti della responsabilità – Elementi oggettivi di natura indiziaria – Valutazione dei comportamenti (positivi o negativi) integrativi della prova della compartecipazione – Artt. 44, c.1 lett. b), 93-95-100, d.P.R.  n. 380/2001 – Giurisprudenza – Nozione di Opere precarie – Carattere della precarietà – Uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo – Facile rimovibilità o mancato ancoraggio al suolo – Insufficiente per il requisito della precarietà – Fattispecie: tettoia e relativa copertura – PROCEDURA PENALE – Controllo del Giudice di legittimità – Coerenza strutturale della decisione – Oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo – Esclusione della rilettura degli elementi di fatto.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 20 Settembre 2016
Numero: 38849
Data di udienza: 20 Luglio 2016
Presidente: AMORESANO
Estensore: Mengoni


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – Reati edilizi in difetto di permesso di costruire ed in violazione della normativa antisismica – Responsabilità del proprietario o comproprietario non committente – Responsabilità omissiva per difetto di vigilanza – Esclusione – Presupposti e limiti della responsabilità – Elementi oggettivi di natura indiziaria – Valutazione dei comportamenti (positivi o negativi) integrativi della prova della compartecipazione – Artt. 44, c.1 lett. b), 93-95-100, d.P.R.  n. 380/2001 – Giurisprudenza – Nozione di Opere precarie – Carattere della precarietà – Uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo – Facile rimovibilità o mancato ancoraggio al suolo – Insufficiente per il requisito della precarietà – Fattispecie: tettoia e relativa copertura – PROCEDURA PENALE – Controllo del Giudice di legittimità – Coerenza strutturale della decisione – Oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo – Esclusione della rilettura degli elementi di fatto.



Massima

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 20/09/2016 (ud. 20/07/2016) Sentenza n.38849 


DIRITTO URBANISTICO – Reati edilizi – Responsabilità del proprietario o comproprietario non committente – Responsabilità omissiva per difetto di vigilanza – Esclusione – Presupposti e limiti della responsabilità – Elementi oggettivi di natura indiziaria – Valutazione dei comportamenti (positivi o negativi) integrativi della prova della compartecipazione – Artt. 44, c.1 lett. b), 93-95-100, d.P.R.  n. 380/2001 – Giurisprudenza. 
 
In tema di reati edilizi, la responsabilità del proprietario o comproprietario non committente non può essere oggettivamente dedotta dal diritto sul bene né può essere configurata come responsabilità omissiva per difetto di vigilanza, attesa l’inapplicabilità dell’art. 40, secondo comma, cod. pen., ma dev’essere dedotta da indizi ulteriori rispetto all’interesse insito nel diritto di proprietà, idonei a sostenere la sua compartecipazione, anche morale, al reato. In particolare, si è evidenziato che questa responsabilità può dedursi da elementi quali la piena disponibilità della superficie edificata, l’interesse alla trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinità con l’esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi (anche in sanatoria), la fruizione dell’immobile secondo le norme civilistiche sull’accessione, nonché tutti quei comportamenti (positivi o negativi) da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione – anche morale – alla realizzazione del fabbricato; una responsabilità, dunque, che può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria e la cui valutazione si sottrae al sindacato di legittimità, se congruamente motivata. 
 
 
DIRITTO URBANISTICO – Nozione di Opere precarie – Carattere della precarietà – Uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo – Facile rimovibilità o mancato ancoraggio al suolo – Insufficiente per il requisito della precarietà – Fattispecie: tettoia e relativa copertura. 
 
Il carattere della precarietà non può essere desunto dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo, ancora dedotti con i presenti gravami (in Giur., Cass. Sez. 3, n.966 del 26/11/2014, Manfredini; Sez. 3, n. 22054 del 25/2/2009, Frank; Sez. 3, n. 20189 del 21/3/2006, Cavallini). Nella specie le opere (tettoia e relativa copertura) – destinate a soddisfare esigenze prolungate nel tempo – erano tali da modificare l’assetto urbanistico del territorio.
 
 
PROCEDURA PENALE – Controllo del Giudice di legittimità – Coerenza strutturale della decisione – Oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo – Esclusione della rilettura degli elementi di fatto.
 
Il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione delle vicende (in giur., Sez. 3, n. 46526 del 28/10/2015, Cargnello; Sez. 3, n. 26505 del 20/5/2015, Bruzzaniti ed altri). Sul punto, il costante indirizzo giurisprudenziale in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella). In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. 
 
 
(riforma sentenza del 3/3/2016 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO) Pres. AMORESANO, Rel. MENGONI, Ric. Maniglia e altro
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 20/09/2016 (ud. 20/07/2016) Sentenza n.38849

SENTENZA

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 20/09/2016 (ud. 20/07/2016) Sentenza n.38849 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sui ricorsi proposti da:
Maniglia Carmela, nata a Favara(Ag) il 20/6/1955
Amone Calogero, nato a Favara(Ag) il 2/11/1944
avverso la sentenza del 3/3/2016 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria Francesca Loy, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibili i ricorsi
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 3/3/2016, la Corte di appello di Palermo, in riforma della pronuncia emessa il 16/2/2015 dal Tribunale di Agrigento, assolveva Carmela Maniglia e Calogero Amone dalle imputazioni loro ascritte quanto alle vasche idriche ed alla piattaforma in calcestruzzo priva di copertura e, per l’effetto, rideterminava la pena quanto ai residui interventi (tettoia e relativa copertura) ad un mese di arresto ed 11.000,00 euro di ammenda ciascuno; agli stessi erano contestate la contravvenzioni di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, comma 1, lett. b), 93-95, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per aver realizzato – in difetto di permesso di costruire ed in violazione della normativa antisismica – le citate opere edilizie.
 
2. Propongono congiunto ricorso per cassazione i due imputati, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
 
– difetto di motivazione; violazione e falsa applicazione delle norme contestate (motivi nn. 1-2). La Corte di merito, al pari del primo Giudice, avrebbe riconosciuto la responsabilità dei ricorrenti (nei termini indicati) senza alcuna effettiva motivazione e, in particolare, senza specificare le ragioni per le quali la tettoia ed il sottostante plateau avrebbero richiesto il permesso di costruire; ciò, in particolare, alla luce delle caratteristiche tecniche della prima, tale da consentirne la facile rimozione e, pertanto, da evidenziarne la precarietà. L’opera, inoltre, non comporterebbe alcun aumento di volume, svolgendo la mera funzione di riparo dal sole;
– violazione di legge penale. La sentenza non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla riconosciuta responsabilità dell’Amone; ed invero, questi – coniuge della Maniglia e non comproprietario – sarebbe stato soltanto trovato sul posto (condotta giustificabile in molti modi), in difetto di qualsivoglia elemento dal quale poter trarre una qualunque forma di concorso. Anche le dichiarazioni dallo stesso rese, e riportate in sentenza, non potrebbero aggiungere alcunché; specie alla luce della non operatività dell’art. 40, comma 2, cod. pen. e dell’insussistenza di obblighi, in capo al ricorrente, di impedire eventuali illeciti compiuti dalla moglie. E senza che, conclusivamente, possa accedersi ad una inammissibile inversione dell’onere della prova, come invece disporrebbe la sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. I ricorsi risultano parzialmente fondati.
 
Con riguardo ai primi due motivi, da trattare congiuntamente attesane l’identità di ratio, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione delle vicende (tra le varie, Sez. 3, n. 46526 del 28/10/2015, Cargnello, Rv. 265402; Sez. 3, n. 26505 del 20/5/2015, Bruzzaniti ed altri, Rv. 264396). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
 
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv.251760).
 
4. Se questa, dunque, è l’ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il giudizio della Suprema Corte, le censure che i ricorrenti muovono al provvedimento impugnato si evidenziano come infondate; ed invero, dietro la parvenza di un difetto motivazionale e di una violazione di legge, gli stessi di fatto invocano una nuova ed alternativa lettura delle medesime risultanze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito (in specie, con riguardo alle caratteristiche della tettoia e sottostante platea in calcestruzzo), sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
 
5. La doglianza, inoltre, oblitera che la Corte di appello – rispondendo alla medesima questione – ha sviluppato una motivazione del tutto adeguata, logica e priva di contraddizioni, con la quale ha peraltro integrato la decisione del primo Giudice sul punto; un’argomentazione complessiva, quindi, non censurabile in questa sede.
 
In particolare, la sentenza ha riconosciuto la necessità del permesso di costruire quanto agli interventi in oggetto, in ragione: 1) della superficie non irrilevante (circa 90 mq., con altezza al colmo di 4,15 m. ed alla gronda di 2,80 m.); 2) della struttura realizzata (pilastri in legno bullonato sulla superficie, con copertura a tre falde spioventi in perlinato, guaina bituminosa e coppi siciliani, con grondaia e pluviali). In forza di ciò, ha quindi concluso che le opere – non agevolmente rimovibili e destinate a soddisfare esigenze prolungate nel tempo – erano tali da modificare l’assetto urbanistico del territorio; sì da imporre il citato titolo urbanistico. In tal modo, quindi, la sentenza ha aderito al costante indirizzo di questa Corte in forza del quale il carattere della precarietà non può essere desunto dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo, ancora dedotti con i presenti gravami (tra le altre, Sez. 3, n.966 del 26/11/2014, Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 22054 del 25/2/2009, Frank, Rv. 243710; Sez. 3, n. 20189 del 21/3/2006, Cavallini, Rv. 234325).
 
Le prime due doglianze, pertanto, debbono essere dichiarate manifestamente infondate.
 
6. Il ricorso della Maniglia, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.500,00.
 
7. Fondato, per contro, risulta il terzo motivo, in punto di responsabilità dell’Amone.
 
Al riguardo, questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di reati edilizi, la responsabilità del proprietario o comproprietario non committente non può essere oggettivamente dedotta dal diritto sul bene né può essere configurata come responsabilità omissiva per difetto di vigilanza, attesa l’inapplicabilità dell’art. 40, secondo comma, cod. pen., ma dev’essere dedotta da indizi ulteriori rispetto all’interesse insito nel diritto di proprietà, idonei a sostenere la sua compartecipazione, anche morale, al reato (Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013, Menditto, Rv. 275625). In particolare, si è evidenziato che questa responsabilità può dedursi da elementi quali la piena disponibilità della superficie edificata, l’interesse alla trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinità con l’esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi (anche in sanatoria), la fruizione dell’immobile secondo le norme civilistiche sull’accessione, nonché tutti quei comportamenti (positivi o negativi) da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione- anche morale – alla realizzazione del fabbricato (Sez. 3, n. 25669 del 30/5/2012, Zeno, Rv. 253065; Sez. 3, n. 15926 del 24/2/2009, Damiano, Rv. 243467); una responsabilità, dunque, che può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria e la cui valutazione si sottrae al sindacato di legittimità, se congruamente motivata. 
 
7. Ciò premesso, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata non abbia fatto buon governo di questi principi. Ed invero – pacifica l’assenza del titolo dominicale in capo al ricorrente – la Corte di merito ha rilevato che questi, marito della proprietaria Maniglia, a) era stato trovato sul posto al momento dell’accertamento da parte della Polizia municipale; b) unitamente alla moglie, aveva la disponibilità di fatto dell’immobile nelle cui adiacenze insiste l’abuso; c) nel negare di esser committente dei lavori (al momento, in corso), non aveva allegato alcun elemento per convalidare la tesi che la donna li avesse eseguiti a sua insaputa.
 
Orbene, al di là dell’ultima considerazione, palesemente illogica, rileva la Corte che le due precedenti non costituiscono sufficienti elementi di natura indiziaria per riconoscere un concorso nell’illecito da parte dell’Amone; in particolare, il mero dato della presenza in loco, che pur potrebbe esser ricondotto a circostanze occasionali, è stato supportato soltanto dalla disponibilità dell’area, quel che però la Corte ha riconosciuto in termini generici ed in assenza di qualsivoglia elemento specificante (ad esempio, in riferimento alla effettiva residenza dei coniugi, in quel luogo od altrove). Né, peraltro, sono stati individuati sintomi ulteriori dell’eventuale concorso, quali, ad esempio, la partecipazione alle spese di esecuzione dell’opera, all’acquisto dei materiali o – se del caso – l’avvenuto rapporto con chi aveva provveduto a montare la tettoia medesima.
 
Si imporrebbe, pertanto, l’annullamento della sentenza con rinvio, perché la Corte di merito provveda ad una più argomentata motivazione sul punto, alla luce dei principi di diritto sopra ricordati; tuttavia, il termine prescrizionale risulta interamente decorso ex artt. 157-161 cod. pen., in assenza di sospensioni di cui all’art. 159 cod. pen., a fronte di una condotta accertata il 7/5/2011 (non già il 21/7/2011), allorquando – come legittimante verificato da questo Collegio – la Polizia municipale aveva effettuato l’accesso sul sito e riscontrato gli abusi, oggetto di fotografie in atti.
 
Ai sensi dell’art. 100, d.P.R. n. 380 del 2001, si dispone la trasmissione di copia della presente sentenza all’Ufficio Tecnico della Regione Siciliana. 
 
P.Q.M.
 
 
Dichiara inammissibile il ricorso di Maniglia Carmela, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Amone Calogero perché i reati ascrittigli sono estinti per prescrizione. Dispone la trasmissione di copia della sentenza all’Ufficio Tecnico della Regione Siciliana.
 
Così deciso in Roma, il 20 luglio 2016
 
 
 
 
 
 

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