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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 52641 | Data di udienza: 26 Settembre 2017

RIFIUTI – Gestione di rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni – Smaltimento non autorizzato di rifiuto urbano non pericoloso – Smaltimento mediante incenerimento a terra – Artt. 183, 184, 256, c.1, lett. a) d.lgs. n.152/2006.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 20 Novembre 2017
Numero: 52641
Data di udienza: 26 Settembre 2017
Presidente: DI NICOLA
Estensore: CERRONI


Premassima

RIFIUTI – Gestione di rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni – Smaltimento non autorizzato di rifiuto urbano non pericoloso – Smaltimento mediante incenerimento a terra – Artt. 183, 184, 256, c.1, lett. a) d.lgs. n.152/2006.



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 20/11/2017, (Ud. 26/09/2017) Sentenza n.52641

  
RIFIUTI – Gestione di rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni – Smaltimento non autorizzato di rifiuto urbano non pericoloso mediante incenerimento a terra – Artt. 183, 184, 256, c.1, lett. a) d.lgs. n.152/2006.
 
Integra la fattispecie di cui all’art. 256, c.1, lett. a) d.lgs. n.152/2006, lo smaltimento non autorizzato, mediante incenerimento a terra, di rifiuti urbani non pericolosi, costituiti da una cassa da morto proveniente da esumazione cimiteriale. Per cui, anche l’incenerimento a terra, a tenore della parte IV all. B lett. D10 del d.lgs. 152 cit., rientra nel concetto di smaltimento (ossia di quell’operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia, cfr. art. 183, comma 1, lett. z del d.lgs. 152 cit.). 
 
 
(Dichiara inammissibili i ricorsi avverso sentenza del 21/05/2014 del TRIBUNALE DI TERAMO) Pres. DI NICOLA, Rel. CERRONI, Ric. Marrone ed altro  

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 20/11/2017, (Ud. 26/09/2017) Sentenza n.52641

SENTENZA

 

 
 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 20/11/2017, (Ud. 26/09/2017) Sentenza n.52641

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sui ricorsi proposti da:
 
1. Marrone Giacomo, nato a Teramo il 20/03/1958;
 
2. Di Giacinto Antonio, nato a Teramo il 30/04/1969;
 
avverso la sentenza del 21/05/2014 del Tribunale di Teramo visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Cuomo, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione;
 
udito per i ricorrenti l’avvocato Tommaso Navarra, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 21 maggio 2014 il Tribunale di Teramo ha condannato Giacomo Marrone e Antonio Di Giacinto, dipendenti del Comune di Basciano, alla pena di euro 3.000,00 di ammenda per il reato di cui agli artt. 110 e 256, comma 1, lett. a) del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in considerazione dell’avvenuto smaltimento non autorizzato, mediante incenerimento a terra, di rifiuti urbani non pericolosi, costituiti da una cassa da morto proveniente da esumazione cimiteriale.
 
2. Avverso il predetto provvedimento i ricorrenti hanno proposto ricorsi per cassazione con cinque motivi d’impugnazione.
 
2.1. Col primo motivo i ricorrenti hanno osservato, quanto alla dedotta violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., che mancava la peculiare provenienza della bara da esumazione ovvero da estumulazione, per cui non poteva essere integrata la fattispecie di reato.
 
2.2. Col secondo motivo è stata invece lamentata mancanza ovvero illogicità della motivazione, quanto all’esistenza del reato contestato in relazione all’attività istruttoria esperita.
 
2.3. Col terzo motivo è stata censurata l’entità della pena inflitta, non applicata nella misura minima nonostante la stessa richiesta del Pubblico ministero, ed a fronte della modestia della condotta e dell’inesistente capacità a delinquere dei ricorrenti.
 
2.4. Col quarto motivo è stata lamentata la mancata concessione delle attenuanti generiche, atteso che il fatto era semmai derivato da organizzazione inadeguata del datore di lavoro, e che le medesime attenuanti erano state invece concesse in sede di decreto penale opposto.
 
2.5. Col quinto motivo i ricorrenti hanno censurato, sempre sotto il profilo di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen., la mancata sospensione condizionale della pena, sulla quale la motivazione era stata omessa.
 
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
4. I ricorsi sono inammissibili.
 
4.1. In primo luogo, peraltro, non vi può essere questione di prescrizione, atteso che il precedente rinvio a nuovo ruolo dell’udienza del 12 gennaio 2017 avanti a questa Corte è stato disposto, tra l’altro su istanza del difensore degli odierni ricorrenti, a norma dell’art. 49, comma 7, lett. b), e comma 9, del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, siccome coordinato con la legge di conversione 15 dicembre 2016, n. 229, avente ad oggetto "Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016". In ragione di ciò, era stabilita ex lege la sospensione del corso della prescrizione per tutta la durata del rinvio.
 
4.2. In relazione ai motivi di censura, i primi due possono essere esaminati congiuntamente stante la loro intima connessione. 
 
In proposito, infatti, il primo Giudice ha osservato che non si era trattato dell’incenerimento di bare nuove, e che in ogni caso appariva logico che la cassa derivasse da esumazione cimiteriale anche in considerazione della deposizione testimoniale, che appunto escludeva la novità della res, nonché dell’apprezzabile valore economico dell’oggetto in questione, sì che doveva ragionevolmente escludersi che fosse stata data alle fiamme una cassa mortuaria non utilizzata in precedenza. Tra l’altro gli odierni imputati erano intenti alle loro operazioni nello spiazzo antistante il cimitero del paese.
 
Al riguardo, quindi, la motivazione addotta dal primo Giudice appare tutt’altro che illogica, laddove in realtà gli odierni ricorrenti si sono limitati a contestare che l’oggetto dell’incenerimento rientrasse nell’ipotesi di cui all’art. 184, comma 2, lett. f) del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ("2. Sono rifiuti urbani: …f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale … "), ma non si confrontano appieno con la ratio decidendi del Tribunale teramano.
 
Ciò posto, anche l’incenerimento a terra, a tenore della parte IV all. B lett. D10 del d.lgs. 152 cit., rientra nel concetto di smaltimento (ossia di quell’operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia, cfr. art. 183, comma 1, lett. z del d.lgs. 152 cit.). Né vi è contestazione sul difetto di qualsivoglia autorizzazione ad ivi procedervi, sì che correttamente il primo Giudice ha dato conto dell’integrazione della fattispecie contestata di cui all’art.256, comma 1, lett. a), trattandosi di smaltimento non autorizzato di rifiuto urbano non pericoloso.
 
4.3. Manifestamente infondato è altresì il terzo motivo di impugnazione. In specie, infatti, risulta essere stata applicata una pena pecuniaria di euro 3.000 di ammenda, ossia una sanzione pressoché coincidente col minimo edittale (2.600 euro) a fronte della possibile applicazione alternativa di una pena restrittiva della libertà personale.
 
Al riguardo, è stato anzi rilevato che, in tema di reati puniti alternativamente con la pena detentiva o pecuniaria, la scelta del giudice di applicare la meno grave sanzione pecuniaria, anche se in misura superiore a quella media tra il minimo e il massimo edittale, deve ritenersi sufficientemente giustificata dalla qualificazione di essa come "congrua" o "equa" e dal mero richiamo alle circostanze indicate all’art. 133 cod. pen., ove la rilevanza di queste, in relazione alla gravità del reato ed alla capacità a delinquere del reo, risultino già desumibili dal complesso della motivazione (Sez. 1, n. 8560 del 18/11/2014, dep. 2015, Merenda, Rv. 262552). A maggior ragione la motivazione addotta in specie ("pena equa secondo i criteri di stima di cui all’art.133 c.p. appare … ") si presenta pienamente idonea, laddove è appunto insegnamento ripetuto che, nel caso in cui venga irrogata – come nella presente vicenda processuale – una pena prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, talché è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (ad es. Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi e altro, Rv. 256464).
 
4.4. In relazione poi alla mancata concessione delle attenuanti generiche, di cui al quarto motivo di ricorso, va anzitutto ricordato che il decreto penale di condanna, una volta fatto oggetto di opposizione, perde la sua natura di condanna anticipata e produce unicamente l’effetto di costituire il presupposto per l’introduzione di un giudizio (immediato, abbreviato o di patteggiamento) del tutto autonomo e non più dipendente da esso (cfr. ad es. Sez. 3, n. 20261 del 18/03/2014, Luzzana, Rv. 259648). Sì che le determinazioni colà eventualmente accolte, anche in ordine al prospettato riconoscimento delle attenuanti generiche, non possono di per sé rilevare nel giudizio di opposizione.
 
In proposito, per vero, la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Piliero, Rv. 266460). Del pari, le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale "concessione" del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena (Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, Vernucci, Rv. 260054).
 
In specie nulla è stato tempestivamente allegato, atteso che nella presente sede di legittimità sono state dedotte in proposito questioni di fatto, tese in sostanza ad accreditare l’ascrivibilità della vicenda ad inadeguati profili organizzativi dell’Amministrazione pubblica dalla quale dipendono i ricorrenti, aspetti che sfuggono istituzionalmente all’apprezzamento della Corte.
 
4.5. Infine, per quanto concerne il quinto motivo di ricorso, ed in relazione alla sospensione condizionale della pena, il giudice non è tenuto a motivare in ordine al mancato esercizio del potere discrezionale di concedere d’ufficio la sospensione condizionale della pena, quando l’interessato non abbia formulato al riguardo alcuna richiesta; ne deriva che il mancato riconoscimento del beneficio non costituisce violazione di legge e non configura mancanza di motivazione suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (cfr., in fattispecie in cui era intervenuta anche pronuncia d’appello, Sez. 2, n. 15930 del 19/02/2016, Moundi e altro, Rv. 266563; Sez. 4, n. 43113 del 18/09/2012, Siekierska, Rv. 253641). 
 
I ricorrenti hanno inteso dedurre l’interesse alla concessione del beneficio prendendo spunto dalla proposta opposizione al decreto penale di condanna, che avrebbe denotato il loro interesse al riguardo.
 
Va da sé, peraltro, che la questione appare manifestamente infondata, atteso che con l’opposizione al decreto penale viene contestata la pretesa punitiva, ma non può affatto considerarsi formulata anche la richiesta di sospensione condizionale, istanza tra l’altro non proposta all’epoca dell’opposizione, né in sede di conclusioni del giudizio avanti al Tribunale (cfr. epigrafe del provvedimento impugnato).
 
5. I motivi d’impugnazione appaiono pertanto manifestamente infondati, e non può quindi che essere dichiarata l’inammissibilità dei proposti ricorsi.
 
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso in Roma il 26/09/2017
 
 
 
 

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