ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Scarico di acque reflue (liquide o semiliquide) – Disciplina generale delle acque – Applicazione – Scarico reflui termali – Autorizzazione preventiva e deroga – Acque di contro-lavaggio dei filtri delle piscine – Assimilazione alle acque domestiche – Esclusione – Qualifica di acque industriale – Superamento dei limiti tabellari (parametro dei cloruri) – Campionamento delle acque – Prelievi di campioni finalizzati all’espletamento di analisi inerenti alle attività amministrative – Normale attività di vigilanza e di ispezione – Analisi e prelievi inerenti ad attività di polizia giudiziaria nell’ambito di una indagine preliminare – Differenze – Operatività delle norme di garanzia della difesa – Tutela delle acque dall’inquinamento – Scarico nella pubblica fognatura di acque reflue industriali – Assenza di preventivi trattamenti e di autorizzazione – Fattispecie: acque di controlavaggio dei filtri di piscine provenienti da un albergo e fangoterapia correlata alle docce – Artt. 74, 101, 102, 124, 137, 256 Dlgs n.152/06 – DPR 227/2011 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Principio di necessaria “autosufficienza” del ricorso – Rilettura degli elementi di fatto – Preclusione – Omesso esame da parte del giudice di merito di una memoria difensiva – Dovere di specificità dei motivi di ricorso.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 20 Marzo 2020
Numero: 10373
Data di udienza: 27 Novembre 2019
Presidente: ANDREAZZA
Estensore: NOVIELLO
Premassima
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Scarico di acque reflue (liquide o semiliquide) – Disciplina generale delle acque – Applicazione – Scarico reflui termali – Autorizzazione preventiva e deroga – Acque di contro-lavaggio dei filtri delle piscine – Assimilazione alle acque domestiche – Esclusione – Qualifica di acque industriale – Superamento dei limiti tabellari (parametro dei cloruri) – Campionamento delle acque – Prelievi di campioni finalizzati all’espletamento di analisi inerenti alle attività amministrative – Normale attività di vigilanza e di ispezione – Analisi e prelievi inerenti ad attività di polizia giudiziaria nell’ambito di una indagine preliminare – Differenze – Operatività delle norme di garanzia della difesa – Tutela delle acque dall’inquinamento – Scarico nella pubblica fognatura di acque reflue industriali – Assenza di preventivi trattamenti e di autorizzazione – Fattispecie: acque di controlavaggio dei filtri di piscine provenienti da un albergo e fangoterapia correlata alle docce – Artt. 74, 101, 102, 124, 137, 256 Dlgs n.152/06 – DPR 227/2011 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Principio di necessaria “autosufficienza” del ricorso – Rilettura degli elementi di fatto – Preclusione – Omesso esame da parte del giudice di merito di una memoria difensiva – Dovere di specificità dei motivi di ricorso.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 20 Marzo 2020 (Ud. 27/11/2019), Sentenza n.10373
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Scarico di acque reflue (liquide o semiliquide) – Disciplina generale delle acque – Applicazione – Scarico reflui termali – Autorizzazione preventiva e deroga.
In generale la disciplina delle acque trova applicazione in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico di acque reflue (liquide o semiliquide) in uno dei corpi recettori individuati dalla legge (acque superficiali, suolo, sottosuolo, rete fognaria) effettuato tramite condotta (ovvero tramite tubazioni, o altro sistema stabile) anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale. Correlata a tale sistema è la previsione di cui all’art. 124 del T.U.A., secondo cui “tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati” (cfr. art. 124 comma 1 cit.), salvo eccezioni, come quella per cui ” in deroga al comma 1 gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell’osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall’ente di governo dell’ambito”.
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Acque di contro-lavaggio dei filtri delle piscine – Assimilazione alle acque domestiche – Esclusione – Qualifica di acque industriale – Superamento dei limiti tabellari (parametro dei cloruri) – Fattispecie: acque di contro-lavaggio dei filtri di piscine non preventivamente trattate – Artt. 74, 101, 102, 124, 137, 256 Dlgs n.152/06 – DPR 227/2011.
In tema di scarichi delle acque di contro-lavaggio dei filtri delle piscine, esse non risultino assimilate alle acque domestiche né ai sensi dell’art. 101 del Dlgs. 152/06 né, tantomeno, in base al DPR 227/2011 ed al regolamento della regione Campania 6/2013. Si è in proposito evidenziato, con riguardo a tali due ultimi testi normativi, come essi abbiano espressamente escluso – pur nell’ambito della determinazione di caratteristiche di reflui “equivalenti” alle acque domestiche (ricollegabile alla generale previsione statale di cui all’art. 101 comma 7 lett. e) del cd. T.U. Ambiente) – le acque “di contro-lavaggio dei filtri non preventivamente trattate”. Operando al di fuori di un’astratta ipotesi di assimilazione alle acque domestiche (in ogni caso richiedente oltre al previo trattamento ulteriori condizioni in termini di rispetto di parametri e di riversamento in adeguati impianti di depurazione), tali ultimi reflui, provenendo da impianti, quali quelli collocati negli alberghi termali in contestazione, “in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento” devono qualificarsi come di tipo industriale (cfr. art. 74 lett. h) del Dlgs. 152/06), con rilevanza penale del mancato rispetto del regime autorizzatorio di riferimento.
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Campionamento delle acque – Prelievi di campioni finalizzati all’espletamento di analisi inerenti alle attività amministrative – Normale attività di vigilanza e di ispezione – Analisi e prelievi inerenti ad attività di polizia giudiziaria nell’ambito di una indagine preliminare – Differenze – Operatività delle norme di garanzia della difesa.
In tema di prelievi di campioni finalizzati all’espletamento di analisi, è necessario distinguere i prelievi e le analisi inerenti alle attività amministrative, ovvero alla normale attività di vigilanza e di ispezione, disciplinati dall’art. 223 disp. att. cod. proc. pen., dalle analisi e prelievi inerenti invece ad un’attività di polizia giudiziaria nell’ambito di una indagine preliminare, per i quali devono operare le norme di garanzia della difesa in applicazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen..
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Tutela delle acque dall’inquinamento – Scarico nella pubblica fognatura di acque reflue industriali – Assenza di preventivi trattamenti e di autorizzazione – Fattispecie: acque di contro-lavaggio dei filtri di piscine provenienti da un albergo e fangoterapia correlata alle docce.
In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, sin dalla legge 10 maggio 1976, n. 3191 l’eliminazione dei fanghi “liquidi”, derivanti da processo produttivo ed eventualmente depurativo, è stata inclusa in quanto tale, e dunque nella sua autonomia e peculiarità, nell’ambito del settore dei residui acquosi. Alla luce di tale natura “industriale” e autonoma delle acque delle docce, provenienti dai centri ove venga eseguito trattamento di fangoterapia, i rilievi formulati in sentenza circa la ricostruzione di un quadro autorizzatorio mancante, e come tale rilevante già per le acque di controlavaggio dei filtri di piscine, sono perfettamente idonei a sancire la rilevanza penale ex art. 137 del Dlgs. 152/06 anche degli scarichi delle docce medesime.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Principio di necessaria “autosufficienza” del ricorso – Rilettura degli elementi di fatto – Preclusione.
In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Oltre che il principio di necessaria “autosufficienza” del ricorso proposto in sede di legittimità.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Omesso esame da parte del giudice di merito di una memoria difensiva – Dovere di specificità dei motivi di ricorso.
In tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame, da parte del giudice di merito, di una memoria difensiva, può essere dedotto in sede di legittimità come vizio di motivazione purché, in virtù del dovere di specificità dei motivi di ricorso, si rappresenti puntualmente la concreta idoneità scardinante dei temi della memoria pretermessa rispetto alla pronunzia avversata, evidenziando il collegamento tra le difese della memoria e gli specifici profili di carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità argomentativa della sentenza impugnata.
(riforma sentenza del 01/12/2019 del TRIBUNALE Sez. Dist. di ISCHIA) Pres. ANDREAZZA, Rel. NOVIELLO, Ric. Castagna ed altro
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 20 Marzo 2020 (Ud. 27/11/2019), Sentenza n.10373SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Castagna Lucia, nata a Napoli;
De Siano Michele nato a Ischia;
avverso la sentenza del 01/12/2019 del TRIBUNALE SEZ, DISTACCATA DI ISCHIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dr. Seccia Domenico, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Molinari Lorenzo Bruno Antonio anche in sostituzione dell’avv.to Tuccillo Lugi, che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il tribunale di Ischia, Sezione distaccata, con sentenza del 1 dicembre 2019 condannava Castagna Lucia e De Siano Michele Pesaro alla pena di euro 10000,00 di ammenda ciascuno in relazione ai reati, unificati dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. 137 Dlgs 152/06 quanto a Castagna Lucia – perché quale legale rappresentante dell’Albergo San Montano scaricava nella pubblica fognatura le acque reflue industriali provenienti dal predetto albergo in assenza di autorizzazione (capo b) – e, quanto a De Siano Michele, di cui agli art. 81 cpv. cod. pen. 137 Dlgs 152/06 e 256 comma 1 lett. a) e b) Dlgs. 152/06 – perchè quale amministratore unico della DMF s.p.a., titolare della gestione dell’albergo La Reginella, scaricava nella pubblica fognatura le acque reflue industriali provenienti dal predetto albergo in assenza di autorizzazione (capo e) nonché nelle medesime qualità di rappresentante legale della DMF s.p.a., titolare della gestione dell’albergo Villa Svizzera, smaltiva illecitamente rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi
2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso, mediante i rispettivi difensori, Castagna Lucia e De Siano Michele, deducendo entrambi nel medesimo ricorso tre motivi di impugnazione, laddove Castagna Lucia con un altro separato ricorso ha dedotto un distinto unico motivo.
3. Castagna Lucia e De Siano Michele, con il primo motivo hanno dedotto il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 114 e 220 disp. att. cod. proc. pen. nonché 354 cod. proc. pen.
Si rappresenta che la sentenza impugnata e, ancor prima, l’ordinanza del 6 maggio 2016, di rigetto della richiesta di dichiarare la nullità degli accertamenti eseguiti dalla polizia giudiziaria per violazione dell’articolo 114 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, sarebbe affetta da nullità di ordine generale, alla stessa stregua dei predetti accertamenti che, quindi, non potevano essere considerati dal tribunale per la sua decisione.
4. Con il secondo motivo, hanno dedotto la violazione dell’articolo 137 comma uno del decreto legislativo numero 152 del 2006 nonché il vizio di motivazione.
In particolare, la sentenza sarebbe frutto di un’erronea valutazione della normativa vigente, anche conseguente alla circostanza per cui il tribunale non avrebbe fatto buon governo delle risultanze processuali, e dall’altro non avrebbe considerato quanto riportato con memoria difensiva del 29 giugno 2017.
In sintesi, tutte le norme vigenti inquadrerebbero le acque reflue provenienti da stabilimenti termali e dalle piscine quali acque assimilate alle acque reflue domestiche. In tal senso deporrebbero:
– l’art. 101 comma 7 lett. f) del Dlgs 152/06, che sancisce la predetta equiparazione, salvo facendo le discipline regionali di settore;
– l’art.102 del medesimo decreto citato, che introduce (comma 1) un particolare regime per le acque reflue termali che presentino all’origine parametri chimici con valori superiori a quelli limite di emissione e, al comma due, ne consente lo scarico, tra l’altro, in reti fognarie (comma 2 lett. c), “purchè vengano osservati i regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico integrato e vengano autorizzati dalle Autorità di ambito”;
– il DPR 227/2011, che disciplinando i “criteri di assimilazione delle acque reflue domestiche”, al comma 1 stabilisce, fermo restando quanto previsto dal citato art. 101 e dall’allegato 5 alla parte terza del Dlgs. 152/06, l’assimilazione alle acque domestiche di acque reflue provenienti dalle categorie di attività elencate “nella tabella 2 dell’allegato A con le limitazioni indicate in tabella”, la quale inserisce al punto 19, tra le attività che generano acque reflue assimilate alle domestiche, “le piscine e gli stabilimenti idroponici e idrotermali escluse le acque di controlavaggio dei filtri non preventivamente trattate”;
– il DPR 59/2013, che reca “la disciplina dell’autorizzazione unica ambientale”, la quale, pur essendo l’unico valido provvedimento per l’autorizzazione agli scarichi di cui al capo II del titolo IV della sezione II della Parte Terza del Dlgs. 152/06, sarebbe stata ritenuta superflua e inconferente dalla stessa autorità d’ambito;
– il regolamento regionale del 24 settembre 2013 n. 6, relativo ai “criteri di assimilazione alle acque domestiche”, che all’art. 2 comma 1 lett. d) indica come acque assimilate a quelle domestiche le acque reflue provenienti dalle attività di cui all’art. 101 comma 7 del Dlgs 152/06, tra cui sarebbero ricomprese anche quelle termali, nonché, ed in aggiunta, quelle “ulteriori” individuate dall’art. 3 del presente regolamento, comprensivo peraltro, al comma 1 lett. a),, della assimilazione alle acque domestiche di quelle reflue di stabilimenti termali e piscine; peraltro si aggiunge che l’art. 1 del medesimo regolamento ne specifica l’ambito di applicazione, precisando che con il medesimo sono stabiliti i criteri di assimilazione alle acque reflue domestiche ai sensi dell’art. 101 comma 7 lett. e), per cui a rigore le acque di cui all’art. 101 comma 7 lett. f) ne sarebbero escluse, perché già legislativamente assimilate;
– si aggiunge che, in eassenza di specifica regolamentazione regionale, come nel caso in esame, lo scarico dei reflui termali in rete fognaria sarebbe ammesso con la semplice osservanza dei regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico e previo formale provvedimento autorizzativo dell’autorità d’ambito, ossia l’AT02.
Nel caso di specie le strutture alberghiere sarebbero risultate in possesso dei pareri favorevoli del consorzio di comuni che gestisce il servizio idrico e fognature dell’isola d’Ischia e delle autorizzazioni dell’autorità d’ambito; Si osserva altresì, in punto di fatto, che in base allo stesso campionamento effettuato dall’Arpac, sebbene viziato alla luce del primo motivo proposto, sarebbe emersa la compatibilità diretta dei reflui esaminati con lo scarico domestico, risultando quale unico parametro oltre soglia solo quello dei cloruri, dato tipico ed intrinseco alle acque termali e, comunque, rientrante nei limiti di tollerabilità.
Inoltre, quanto ai rifiuti, sarebbero tali solo quella parte di fanghi termali che, seccandosi sulla pelle del paziente dopo la terapia, viene poi fatta defluire in apposite vasche, ove si sedimentano.
Da qui l’esclusione della natura industriale dei reflui, atteso che deve considerarsi rifiuto solo la parte solida prima indicata, la quale si deposita nelle apposite vasche e per la quale non sarebbe stata dimostrata alcuna attività illecita di smaltimento, essendo la parte liquida, dell’acqua termale, priva di elementi solidi che confluiscano nelle linee dedicate ai reflui termali.
Quanto allo scarico di acque di controlavaggio dei filtri di piscine:
– non sarebbe stata provata l’assenza di autorizzazione per il relativo scarico – invece sussistente e la cui revoca forzata sarebbe stata limitata tra il 25.5.2014 e il 4.6.2014 – né sarebbe stato provato lo scarico stesso né sarebbero state analizzate;
– le predette acque, se previamente trattate sarebbero assimilate a quelle domestiche ai sensi sia del DPR 227/2011 che del citato regolamento regionale 6/2013 e quelle non preventivamente trattate, in ogni caso, sarebbero assimilate a quelle domestiche in base al già citato regolamento 6/2013, atteso che l’art. 3 lett. B) del medesimo atto normativo contempla come assimilabili le acque che presentino le caratteristiche qualitative di cui alla tabella b) e considerato che le analisi in autocontrollo del refluo prodotto avrebbero dimostrato il rispetto dei limiti di cui alla citata tabella.
Inoltre, le citate acque, come accertato dalla p.g., erano comunque previamente trattate, anche in ragione del fatto per cui la normativa non indica quale debba essere la modalità di trattamento, mentre sarebbe dimostrato che le predette acque subivano un processo di decantazione – e quindi di trattamento – in apposite vasche, ancor prima dell’inserimento, a seguito delle indagini, degli impianti di declorazione.
Si aggiunge che anche l’autorità di ambito avrebbe sancito la piena assimilazione alle acque domestiche delle predette acque. – quanto alla qualità dello scarico, troverebbe applicazione la particolare disciplina di cui all’art. 102 del Dlgs. 152/06, che impone la restituzione delle acque con caratteristiche chimiche qualitativamente non superiori rispetto a quelle prelevate all’origine, per cui l’Arpac non avrebbe tenuto conto nelle sue analisi di tale previsione e del fatto che – secondo la ricorrente – le acque soddisfacerebbero la condizione per cui i cloruri, allo scarico, dovrebbero essere soltanto non superiori a quelli presenti al momento del prelievo all’origine, essendo, piuttosto, inferiori.
Peraltro, solo per l’hotel San Montano sarebbe stata analizzata la temperatura delle acque, in ogni caso rispettosa dei riferimenti di cui al citato art. 102; – vi sarebbe sempre stata, in ogni caso, la necessaria autorizzazione allo scarico, né nel breve periodo della relativa assenza si sarebbe mai accertato che fossero stati attivati gli impianti di controlavaggio dei filtri.
5. Con riferimento al terzo motivo di impugnazione, si deduce il vizio di cui all’art 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. nonché si eccepisce un vizio di nullità di ordine generale in relazione all’art. 125 comma 2, 145 e 305 cpv. cod. proc. pen.
Posto che all’udienza del 29 giugno 2017 era stata depositata articolata memoria difensiva, il tribunale, omettendo ogni pronunzia rispetto alle relative argomentazioni sarebbe incorso in un vizio di omessa motivazione.
6. Castagna Lucia, con il distinto secondo ricorso, ha dedotto il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione alla nullità degli accertamenti di pg eseguiti in violazione degli artt. 114, 220 e 223 cod. proc. pen., in ragione dell’omesso, preventivo avviso alla ricorrente dell’inizio delle operazioni e della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.
La nullità e inutilizzabilità di tali accertamenti travolgerebbe la sentenza impugnata siccome pronunziata “anche e sopratutto” sulla base dei risultati di quegli accertamenti. Si aggiunge che il possesso di autorizzazione per gli scarichi generati dall’Hotel non era stato mai ritenuto necessario dall’autorità d’ambito, e che erroneamente la sentenza avrebbe ritenuto che non esistesse alcun preventivo trattamento delle acque del centro termale prima dello scarico, mentre invece esse erano recapitate in pozzetti e vasche di pretrattamento.
Il superamento dei limiti tabellari in ordine ai cloruri deriverebbe altresì dalla mancata considerazione per cui il refluo termale in parola già presenterebbe, all’origine delle acque emunte, parametri chimici con valori superiori a quelli limite di emissione.
Inoltre, le acque provenienti dai servizi igienici e dalle cucine dell’albergo andrebbero inquadrate come acque reflue domestiche. E più in generale, si rileva come dal dibattimento sia emerso che il refluo in esame sarebbe compatibile con quello domestico, essendo sopra soglia solo il parametro dei cloruri, in ragione però di caratteristiche intrinseche al refluo medesimo.
Quanto alle acque di controlavaggio dei filtri, vi sarebbe stata la relativa autorizzazione allo scarico fino alla revoca forzata del maggio 2014.
Non potrebbe comunque definirsi il refluo di tipo industriale, atteso il dimostrato rispetto dei limiti di cui alla tabella b) del regolamento regionale 6/2013.
In ogni caso, posto che solo in assenza di qualsivoglia trattamento si potrebbe escludere l’assimilazione alle acque reflue domestiche, le predette acque dei filtri di piscine erano pretrattate, mediante operazioni di sedimentazione e decantazione anteriori al convogliamento in fognatura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Attesa l’omogeneità, devono essere congiuntamente considerati i primi motivi proposti con entrambi i due ricorsi depositati. Si tratta di motivi innanzitutto non specifici e come tali manifestamente infondati (cfr. tra le altre, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n. 8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249).
Invero i ricorrenti, a fronte peraltro di fatti riguardanti distinti alberghi, non precisano quali siano gli accertamenti tecnici di prelievo e campionamento presi in considerazione, tanto più che anche in sentenza si accenna solo al rigetto di non meglio indicate eccezioni riguardanti acquisizioni documentali proposte dal P.M. Né si illustra il contesto, amministrativo o giudiziario, in cui andrebbero inquadrate le citate attività.
Dalla predetta poco specifica indicazione, discende l’ulteriormente generica doglianza circa la violazione di garanzie procedurali, sub specie del mancato avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere dal difensore ex art. 114 cod. pen. disp. att., in quanto le medesime operano soltanto nel quadro di attività di indagine, e non amministrative, correlabili alle verifiche tecniche in parola. Infatti, in tema di prelievi di campioni finalizzati all’espletamento di analisi, è necessario distinguere i prelievi e le analisi inerenti alle attività amministrative, ovvero alla normale attività di vigilanza e di ispezione, disciplinati dall’art. 223 disp. att. cod. proc. pen., dalle analisi e prelievi inerenti invece ad un’attività di polizia giudiziaria nell’ambito di una indagine preliminare, per i quali devono operare le norme di garanzia della difesa in applicazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 52793 del 24/11/2016 Rv. 268766 – 01 Ballaera; Sez. 3, Sentenza n. 15372 del 10/02/2010 Rv. 246597 – 01 Fiorillo).
2. Quanto al secondo e terzo motivo proposti con il ricorso congiunto, e ripresi anche nell’unico motivo dedotto con altro separato ricorso da Castagna Lucia, se ne impone la valutazione congiunta in quanto essi afferiscono a profili inerenti la coerenza della motivazione.
2.1.Venendo in rilievo la disciplina degli “scarichi” di acque reflue, occorre premettere che lo “scarico” viene definito dall’art. 74, comma 1, lett. ff) d.lgs. 152\06 come “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”. Consegue che la disciplina delle acque trova applicazione in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico di acque reflue (liquide o semiliquide) in uno dei corpi recettori individuati dalla legge (acque superficiali, suolo, sottosuolo, rete fognaria) effettuato tramite condotta (ovvero tramite tubazioni, o altro sistema stabile) anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale (cfr. in motivazione (cfr. Sez. 3, n. 38946 del 28/06/2017 Rv. 270791 – 01 De Giusti).
2.2. Altra norma di riferimento è costituita dall’art. 101 del T.U. Ambiente, con la quale è stabilito il principio generale per cui tutti gli scarichi devono comunque rispettare limiti di emissione di cui all’allegato 5 parte terza del T.U. Il comma 2 dispone che le regioni possono derogare ai valori dell’allegato 5 suindicato, salvi taluni parametri intangibili.
2.3. Correlata a tale sistema è la previsione di cui all’art. 124 del T.U. citato, secondo cui “tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati” (cfr. art. 124 comma 1 cit.), salvo eccezioni, come quella per cui ” in deroga al comma 1 gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell’osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall’ente di governo dell’ambito”.
2.4. Le sanzioni previste dal legislatore sono poi collegate alla tipologie dello scarico, prevedendosi con l’art. 137 del T.U. Ambiente e “fuori dai casi sanzionati dell’articolo 29 quattordecies comma 1” sanzioni di rilevanza penale, e non amministrativa (relative queste ultime a scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie), solo per gli scarichi di acque reflue industriali. Oltre ad ulteriori ipotesi peculiari, sempre di rilevanza penale, riguardanti i gestori di impianti di trattamento delle acque reflue urbane (cfr. art. 137 comma 6 cit.) ovvero casi di inosservanza di particolari disposizioni regionali (cfr. art. 137 comma 9 e ss. cit.).
2.5. Dall’accennata distinzione, anche sul piano sanzionatorio, tra acque reflue domestiche e industriali (oltre a quelle, pure significative, ma non di diretto interesse in questa sede, definite “urbane” ai sensi dell’art. 74 comma 1 lett. i) del Dlgs. 152/06), consegue la rilevanza del comma 7 dell’art. 101 citato, che indica taluni reflui assimilati ai domestici e, come tali, sottratti anch’essi ad ogni rilievo penale.
Tra questi, alla lettera e), si citano quelli individuati dalla normativa regionale, che rinvenga per essi caratteristiche “equivalenti” ai reflui domestici.
Quindi, nella successiva lett. f), dettata con riguardo esplicito ai reflui provenienti da “attività termali”, egualmente se ne dispone l’assimilazione ai reflui domestici, ma “fatte salve le discipline regionali di settore”.
Di rilievo, con riguardo alle acque reflue termali, è anche il successivo articolo 102, che, operando al di fuori del tema specifico della assimilazione alle acque reflue domestiche, affrontato dal citato art. 101 comma 1 lett. f), detta una possibile deroga ai limiti di emissione da rispettare con lo scarico per quelle acque termali con valori elevati già in fase di originario emungimento, purchè le acque restituite sui recapiti finali non presentino valori peggiori rispetto a quelli di partenza ovvero, nell’ambito massimo del 10 per cento, rispettino i parametri batteriologici e non siano presenti le sostanze pericolose di cui alle Tabelle 3/A e 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del T.U. Ambiente.
Inoltre, l’articolo aggiunge che gli scarichi termali sono ammessi, a certe condizioni, nei vari recapiti, facendo comunque salva la disciplina regionale di cui all’art. 124 comma 5; norma che attiene, come già accennato, alla articolazione del “regime autorizzatorio” e il cui comma 5, facendo espresso riferimento alle acque termali, dispone che “il regime autorizzatorio degli scarichi di acque termali è definito dalle regioni: tali scarichi sono ammessi in acque fognarie nell’osservanza dei regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico integrato ed in conformità all’autorizzazione rilasciata dall’Autorità di ambito”.
3. Operata questa generale premessa in tema di disciplina e regime degli scarichi di reflui, occorre a questo punto verificare la riconducibilità o meno degli scarichi di acque reflue termali in esame, con specifico riferimento a quelli realizzati nella regione Campania, nell’ambito della nozione di acque reflue domestiche piuttosto che industriali.
3.1. E’ necessario, in particolare, valutare la portata dell’art. 101 comma 7 lett. f) citato, laddove dispone che sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue “provenienti da attività termali, fatte salve le discipline regionali di settore”.
Tale norma invero, non può ritenersi riferita alla regolamentazione del regime autorizzatorio degli scarichi in parola, inteso come sistema normativo di determinazione delle forme autorizzative e dei valori da rispettare per le acque termali, atteso che a tale profilo fanno riferimento, piuttosto, sia il già citato articolo 124 – che dispone la regola generale della necessaria autorizzazione per ogni scarico e al comma 5 ribadisce anche per gli scarichi termali tale regola, aggiungendo tuttavia che ove vadano in fognatura non è necessaria la autorizzazione (come del resto per le acque domestiche), essendo sufficiente il rispetto del regolamento del gestore del servizio idrico integrato e l’autorizzazione della autorità di ambito – sia il pur richiamato art. 102 comma 2, che, ammettendo lo scarico di acque termali su ogni recapito, ribadisce il necessario rispetto del “regime autorizzatorio” di cui all’art. 124 citato.
Consegue che la citata disposizione di cui all’art. 101 comma 7 lett. f) del Dlgs. 152/06 deve ritenersi riferita, piuttosto, al distinto tema della assimilazione o meno delle acque reflue termali alle acque domestiche; cosicchè il richiamo alla eventuale disciplina regionale va inteso nel senso che, posto il principio generale disposto dal legislatore statale, di assimilazione dei reflui termali alle acque reflue domestiche, è consentito alle singole regioni di disporre eventualmente in senso diverso ovvero di specificare i presupposti di operatività del predetto principio.
In altri termini, la salvezza di cui all’art. 101 comma 7 lett. f), relativa al richiamo a discipline regionali, non si identifica con la salvezza del generale regime autorizzatorio regionale dello scarico di reflui termali – pena la identificazione con la previsione di cui, innanzitutto, all’art. 124 comma 5 e la conseguente interpretazione “abrogatrice” del predetto art. 101 comma 7 lett. f) -, bensì, nel quadro di tale regime, attiene al diverso, più specifico tema della assimilabilità delle acque termali a quelle domestiche.
Si tratta di un’interpretazione peraltro corroborata dal preciso, letterale riferimento, contenuto nel comma 7 dell’art. 101, di cui è parte la citata lettera f), alla questione della assimilabilità di taluni reflui a quelli domestici; nel cui contesto quindi, va ribadito, il riconoscimento del possibile rilievo della potestà normativa regionale depone nel senso della possibilità di disciplinare con essa l’assimilazione dei reflui termali alle acque domestiche.
3.2. E’ sulla scia di tale impostazione che si inseriscono ulteriori previsioni normative astrattamente in grado anche di incidere sulle acque reflue termali, nei limiti di seguito evidenziati.
3.3. In particolare, rileva il D.P.R. 227 del 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 03/02/2011, n. 28, riguardante il “Regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle imprese, a norma dell’art. 49, comma 4-quater, del decreto legge 31/05/2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30/07/2010, n. 122”.
Esso, va precisato, attiene solo ad alcune imprese, ossia le cd. pmi come identificate per legge; per quanto di interesse, fermo restando le previsioni di cui al già citato art. 101 del Dlgs. 152/06 ed al relativo allegato 5 alla parte terza del medesimo decreto legislativo (cfr. art. 2 comma 1 del DPR medesimo), esso ai sensi dell’art. 2 equipara sic et simpliciter talune acque reflue a quelle domestiche, secondo tre criteri generali:
a) le acque che prima di ogni trattamento depurativo presentino “le caratteristiche qualitative e quantitative di cui alla tabella 1 dell’allegato A)”;
b) le acque reflue provenienti dagli insediamenti in cui si svolgano “attività di produzione di beni e prestazione di servizi i cui scarichi terminali provengono esclusivamente da servizi igienici cucine e mense”;
c) le acque reflue provenienti da categorie di attività elencate nella tabella 2 dell’allegato A) e nei limiti ivi specificati, tra cui, per quanto di possibile interesse, compaiono anche le acque provenienti da “piscine – stabilimenti idropinici ed idrotermali, escluse le acque di controlavaggio dei filtri non preventivamente trattate” ( cfr. n. 19 della tabella 2 citata).
Con specifico riguardo a quest’ultima previsione, di rilievo in questa sede, è opportuno sottolineare che anche in tal caso il predetto DPR 227/2011, al comma 1 dell’articolo 2 ,fa espressamente salvo l’intero articolo 101 del Dlgs. 152/06, per cui, per il settore termale qui in esame, si deve ritenere che i criteri immediatamente sopra richiamati si applichino solo “in assenza di disciplina regionale” di “settore” già citata al comma 7 lett. f) del predetto art. 101. Laddove, con riferimento alla disciplina regionale di cui invece all’art. 101 lett. e), relativa alla diversa determinazione, in via generale, di caratteristiche tecniche “equivalenti a quelle domestiche”, l’art. 2 comma 2 del citato DPR formula una ulteriore, espressa previsione, con cui si fa salva, ancora una volta, tale eventuale ultima normativa non statale.
3.4. Quanto alla Regione Campania, la disciplina regionale “di settore” per le acque reflue termali può rinvenirsi nel regolamento regionale n. 6 del 24 settembre 2013 (che abroga all’articolo 5 il precedente Regolamento regionale del 12.10.2012 n. 11), entro tuttavia ristretti termini: esso, all’articolo 2, dedicato alle “definizioni”, si limita infatti a stabilire, con la lettera d), come siano “assimilate alle acque reflue domestiche” quelle acque reflue “provenienti dalle attività di cui all’art. 101 comma 7 del Dlgs. 152/06 nonché quelle individuate dall’art. 3 del presente regolamento”.
In assenza di altre specificazioni, il rinvio all’intero comma 7 dell’art. 101 cit., in cui rientra anche la lettera f), che sancisce qià l’assimilazione delle acque reflue termali a quelle domestiche, non può che intendersi nel senso della riaffermazione di tale assimilazione, anche a livello regionale campano.
3.5. E invero, a ben vederejil citato regolamento regionale 6/2013 all’art. 1 chiarisce espressamente come esso sia dettato, piuttosto, ed esclusivamente, per individuare “i criteri di assimilazione alle acque reflue domestiche” come previsto dall’art. 101 comma 7 lett. e) del Dlgs. 152/06, che, come già rilevato, è ben distinto dalla successiva lettera f), dedicata invece specificamente alle acque derivanti da attività termali.
Ne è conferma il rinvio, in tema di assimilazione ad acque domestiche, contenuto nel già sopra indicato articolo 2 del medesimo regolamento regionale, al successivo art. 3, la cui rubrica è chiaramente intitolata “criteri di assimilazione delle acque reflue alle acque reflue domestiche”: dizione che già di per sé riprende il riferimento, di cui all’art. 101 comma 7 lett. e) – distinta dalla lettera f) inerente espressamente alle attività termali -, alla disciplina regionale che individui, per le acque reflue in generale, “caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche”.
Nel medesimo senso depone poi il comma 1 del predetto articolo 3, che fissa un’articolata disciplina dei soli “criteri di assimilazione qualitativa delle acque reflue” a quelle domestiche, sulla scorta dell’espresso richiamo all’art. 101 comma 7 lett. e) citato, che, come già rilevato, rimanda alla disciplina regionale il compito di stabilire le predette caratteristiche generali di assimilazione.
In altri termini, il regolamento della regione Campania 6/2013 può ritenersi disciplina “di settore” per le acque termali, come richiamata dall’art. 101 comma 7 lett. f) del Dlgs. 152/06, nei soli ristretti limiti in cui, con l’art. 2 citato, si limita a riaffermare il principio statale della assimilazione dei reflui provenienti da attività termali ad acque reflue domestiche.
Con conseguente irrilevanza, sul piano penale (ma non anche amministrativo), dell’eventuale mancato rispetto del regime autorizzatorio di riferimento. Il successivo articolo tre infatti, integrandosi con la chiara indicazione dell’ambito di applicazione del regolamento, contenuta nell’art. 1 del medesimo, definisce la distinta disciplina regionale riguardante il diverso tema della determinazione, per i reflui, delle caratteristiche qualitative “equivalenti” a quelle domestiche e di cui all’art. 101 comma 7 lett. e) cit.
La specialità tra i riferimenti di cui alle predette lettere e) ed f) dell’art. 101 comma 7, esclude ogni interferenza tra le medesime. In tale quadro è di interesse, nel caso in esame, quanto al tema delle cd. acque di contro-lavaggio dei filtri delle piscine, anche la previsione dell’art. 3 comma 1 lett. a), che nel richiamare, ai fini della assimilazione alle acque domestiche, le acque reflue scaricate dalle attività di cui all’elenco della Tabella A) e, tra queste, al n. 21, le acque delle piscine, esclude espressamente quelle “di contro-lavaggio dei filtri non preventivamente trattate”.
Cosicchè, in ordine a tale ultimo profilo, tanto la disciplina nazionale di cui al DPR 227/2001 che quella regionale da ultimo citata escludono le acque di contro-lavaggio dei filtri da ogni assimilazione con quelle domestiche, se non previamente trattate (e salva comunque la verifica delle caratteristiche finali).
4. Nel procedere, a questo punto, all’esame dei vizi dedotti in ordine alla motivazione della sentenza impugnata, deve rilevarsi la contestata violazione di legge in cui è incorsa la stessa con riguardo all’inquadramento giuridico delle cd. acque provenienti da attività termali, svolte nella regione Campania.
Si è infatti ritenuto, erroneamente, che le acque termali campane siano equiparabili a quelle domestiche solo a condizione del rispetto dei valori previsti dalla tabella b) richiamata dall’art. 3 comma 1 lett. b) del regolamento della Regione Campania 3/2013 e, per i restanti parametri, come ad esempio i cloruri, di quelli contemplati dalla tabella 3 allegato 5 parte III del Dlgs. 152/06.
E sempre a condizione che tali acque siano coinvogliate in idoneo impianto di depurazione. L’accertata assenza di tali condizioni, secondo il giudice monocratico della sezione distaccata di Ischia, implicherebbe, nella sostanza, la qualificazione delle acque termali come reflui industriali e, quindi, la necessaria acquisizione di apposita autorizzazione, la cui mancanza sarebbe sanzionata ai sensi dell’art. 137 del Dlgs. 152/06, come contestato.
Tale ricostruzione normativa è in aperto contrasto con il quadro giuridico esposto nel precedente paragrafo, alla luce del quale, invece, deve ritenersi che i reflui provenienti da attività termali svolte nella regione Campania siano stati direttamente equiparati dal legislatore nazionale alle acque domestiche, senza che il legislatore regionale abbia mutato ovvero integrato tale scelta.
Con la conseguenza per cui, il mancato rispetto del regime autorizzatorio applicabile implica risvolti di rilievo amministrativo e non penale, così da non potersi ritenere sussistente il reato ex art. 137 del DIgs. 152/06, in assenza di autorizzazione.
Sotto tale aspetto la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alle condotte di scarico delle acque termali, perché il fatto non è previsto dalla legge, e con riguardo ai soli capi b) e g), per i quali è intervenuta condanna anche per reati riguardanti la gestione di acque termali, alla luce della contestazione ivi riportata facente espresso riferimento allo scarico di “reflui provenienti dagli stabilimenti idropinici ed idrotermali”.
5. E’ diverso e distinto invece, il profilo relativo agli scarichi delle acque di controlavaggio dei filtri delle piscine e delle acque provenienti da docce dei centri siti negli alberghi in contestazione.
5.1.Quanto alle prime, deve ribadirsi come esse non risultino assimilate alle acque domestiche né ai sensi dell’art. 101 del Dlgs. 152/06 né, tantomeno, in base al DPR 227/2011 ed al regolamento della regione Campania 6/2013. Si è in proposito evidenziato, con riguardo a tali due ultimi testi normativi, come essi abbiano espressamente escluso – pur nell’ambito della determinazione di caratteristiche di reflui “equivalenti” alle acque domestiche (ricollegabile alla generale previsione statale di cui all’art. 101 comma 7 lett. e) del cd. T.U. Ambiente) – le acque “di contro-lavaggio dei filtri non preventivamente trattate”.
Operando al di fuori di un’astratta ipotesi di assimilazione alle acque domestiche (in ogni caso richiedente oltre al previo trattamento ulteriori condizioni in termini di rispetto di parametri e di riversamento in adeguati impianti di depurazione), tali ultimi reflui, provenendo da impianti, quali quelli collocati negli alberghi termali in contestazione, “in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dílavamento” devono qualificarsi come di tipo industriale (cfr. art. 74 lett. h) del Dlgs. 152/06), con rilevanza penale del mancato rispetto del regime autorizzatorio di riferimento.
5.2. Quest’ ultima fattispecie è quella che emerge nel caso in esame, in cui il giudice del merito, con ripetuti richiami istruttori, ha innanzitutto chiaramente ribadito come sia emerso che le acque di contro-lavaggio dei filtri non siano state preventivamente trattate e come – alla luce di chiare dichiarazioni testimoniali – venissero scaricate direttamente in fogna, senza alcun trattamento preventivo.
Tale dato, unito alla rilevata presenza di violazioni di parametri tabellari ed al dato della appurata assenza di autorizzazione – quantomeno per un ben preciso periodo connotato dall’intervenuta sospensione della stessa, durante la quale tuttavia le attività non incontrarono alcuna interruzione, come accertato con apposito sopralluogo dalla polizia giudiziaria – ha condotto correttamente il giudice di primo grado a rilevare la sussistenza del reato ex art. 137 del DLgs. 152/06.
I rilievi critici difensivi, secondo cui vi sarebbe comunque stata un’ attività di pretrattamento, oltre al rispetto del regime autorizzatorio sub specie del rilascio di autorizzazione e dell’adeguamento a tutti i valori imposti, si traduce in una mera, diversa prospettazione e lettura di dati istruttori, peraltro non supportata dalle necessarie allegazioni, come tale inammissibile.
Rileva in proposito il principio per cui, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 Rv. 265482 – 01 Musso). Oltre che il principio di necessaria “autosufficienza” del ricorso proposto in sede di legittimità.
5.3. Riguardo all’ulteriore profilo dello scarico senza autorizzazione, delle acque delle docce provenienti dai centri ove veniva eseguito trattamento di fangoterapia – contestato in tutti i tre capi b), e) e g) in esame – va osservato come la stessa dizione lasci emergere un’attività peculiare ed autonoma, connotata dal ricorso alla fangoterapia, come tale non necessariamente inclusa nè identificabile con quella inerente ad acque termali.
E quindi distinta da essa e dalle sue caratteristiche. Oltre che distinta da richiami – invero alquanto generici, e come tali non comparabili con la specifica attività in parola, di rilievo anche terapeutico -, a servizi per il benessere fisico e l’igiene della persona, di cui alla normativa regolamentare citata.
La fangoterapia correlata alle docce degli alberghi in contestazione, viene del resto in considerazione in sentenza, nella sua tipicità e rilevanza con l’uso di sostanze di rilievo inquinante quali i fanghi, sia sotto il profilo dello smaltimento dei medesimi quali rifiuti distaccati dal corpo dopo le docce e raccolti per il successivo smaltimento (cfr. capi a) d) f), per i quali è intervenuta assoluzione in relazione al reato ex art. 256 del Dlgs. 152/06), sia sotto quello delle parti di fango che defluiscano a seguito delle docce stesse, miscelate con le relative acque, direttamente in fogna, e senza quindi previa raccolta in pozzetti di sedimentazione, per il successivo smaltimento.
Rileva, in tale ultimo caso, lo scarico di acqua evidentemente contaminata da residui di fango, dotata pertanto di sua tipicità, come tale distinta dalle acque termali in sè, e qualificabile ai sensi del già citato articolo 74 lett. i) del Dlgs. 152/06 come di tipo industriale.
Del resto, sin dalla legge 10 maggio 1976, n. 3191 l’eliminazione dei fanghi “liquidi”, derivanti da processo produttivo ed eventualmente depurativo, è stata inclusa in quanto tale, e dunque nella sua autonomia e peculiarità, nell’ambito del settore dei residui acquosi (cfr. Sez. 3, n. 2578 del 03/03/1993 Rv. 193817 – 01 D’Auria). Alla luce di tale natura “industriale” e autonoma delle acque delle docce in parola, i rilievi formulati in sentenza circa la ricostruzione di un quadro autorizzatorio mancante, e come tale rilevante già per le acque di controlavaggio dei filtri di piscine, sono perfettamente idonei a sancire la rilevanza penale ex art. 137 del Dlgs. 152/06 anche degli scarichi delle docce medesime. Anche per tale ultima ipotesi ogni considerazione difensiva, diversamente ricostruttiva della vicenda, si pone su un piano eminentemente fattuale.
5.4. Quanto al terzo motivo dedotto con il ricorso comune ai due ricorrenti, a fronte del generico richiamo alla memoria depositata in sede dibattimentale, senza specificazione puntuale dei contenuti ritenuti come non valutati né di alcuna illustrazione della loro incidenza sulle argomentazioni contestate, è sufficiente richiamare il principio per cui, in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame, da parte del giudice di merito, di una memoria difensiva, può essere dedotto in sede di legittimità come vizio di motivazione purché, in virtù del dovere di specificità dei motivi di ricorso, si rappresenti puntualmente la concreta idoneità scardinante dei temi della memoria pretermessa rispetto alla pronunzia avversata, evidenziando il collegamento tra le difese della memoria e gli specifici profili di carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità argomentativa della sentenza impugnata (cfr. Sez. 5 – n. 17798 del 22/03/2019 Rv. 276766 – 01 C.).
6. Consegue dalle considerazioni sopra esposte, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle condotte di scarico delle acque termali di cui ai soli capi b) e g), perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, con rinvio per la rideterminazione della pena al tribunale di Napoli sez. dist. di Ischia. Letto l’art. 624 cod. proc. pen. devono dichiararsi irrevocabili le restanti parti della sentenza e devono essere rigettati nel resto i ricorsi. Si dispone altresì la trasmissione degli atti alla regione Campania per quanto di competenza.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle condotte di scarico delle acque termali perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e rinvia per la rideterminazione della pena al tribunale di Napoli sez. dist. di Ischia. Rigetta nel resto i ricorsi.
Dispone trasmettersi gli atti alla regione Campania per quanto di competenza.
Così deciso il 27/11/2019.